Valido il regolamento approvato dopo la vendita se l’acquirente dà mandato di deposito presso il notaio

È valido il regolamento approvato dopo la compravendita quando l’acquirente ha conferito al costruttore la delega di depositarlo presso un notaio. Il neo proprietario dovrà quindi rimuovere dal terrazzo le fioriere vietate dal regolamento stesso.
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 23128 del 14 novembre 2016, ha respinto il ricorso dell’acquirente di un appartamento che aveva messo dei vasi che ostruivano la vista, sul mare, dei vicini di casa.
Per la seconda sezione civile, dunque, è indubbia la natura convenzionale del regolamento in questione, data dal fatto che l’acquirente non ha assunto il generico impegno a rispettare l’emanando regolamento, ma ha dato specifico incarico di predisporre tale regolamento in nome e per conto proprio, previsione che consente di superare l’obiezione della mancanza di regolamento al momento dell’acquisto dell’unità immobiliare, posto che tale regolamento deve ritenersi dal medesimo accettato nel rispetto delle forme obbligatoriamente prescritte. Inoltre, spiegano ancora gli Ermellini, dato che ai sensi dell’art. 1388 cod. civ. gli effetti del contratto concluso dal rappresentante si perfezionano direttamente nei confronti del rappresentato e preso atto che il neo proprietario non invoca la nullità di siffatta clausola contrattuale o la successiva revoca della procura o il suo superamento da parte del costruttore, il regolamento condominiale risulta opponibile all’appellante in quanto predisposto dall’originario venditore su suo specifico incarico contrattale. È dunque evidente che l’obbligatorietà del regolamento viene immediatamente ricollegata al potere rappresentativo concesso dall’uomo alla società, restando estranea alla dinamica dei rapporti prospettati dalla parte ricorrente
Nell’ipotesi in esame non ricorre, secondo la Corte suprema, un’ipotesi di regolamento che avrebbe dovuto essere approvato dall’assemblea condominiale o l’affidamento di un mandato alla società venditrice di predisporre il regolamento condominiale ma, semplicemente, l’attribuzione di un incarico alla società venditrice di predisporre il regolamento in nome e per conto proprio delimitando le materie sulle quali sarebbe dovuto intervenire. E, il divieto di formare fioriere mobili rientrava nella materia affidata al regolamento che sarebbe stato predisposto.

Chi si oppone all’ingiunzione del condominio può contestare debito e verbale ma non la delibera

Nel giudizio di opposizione all’ingiunzione ottenuta dal condominio il proprietario esclusivo non può contestare la validità della delibera che ripartisce le spese ma solo la sussistenza del debito, la documentazione posta a fondamento del provvedimento monitorio o il verbale dell’assemblea. E ciò perché la decisione assunta dall’adunanza prova di per sé l’esistenza del credito per l’ente di gestione e l’eventuale vizio della delibera per la mancata convocazione di un condomino deve essere fatto valere in altra sede da parte del singolo proprietario con l’impugnazione ex articolo 1137 Cc. È quanto emerge dalla sentenza 22452/16, pubblicata il 4 novembre dalla sesta sezione civile della Cassazione.

Attualità ed efficacia

Respinto il ricorso del condominio che contesta l’appartenenza al supercondominio. In generale, l’ambito del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio (nella specie “super”) è ristretto alla verifica dell’esistenza e dell’efficacia della delibera con cui l’assemblea ha approvato la spesa e la relativa ripartizione fra i condomini: la decisione costituisce titolo di credito per l’ente di gestione che lo legittima non solo a ottenere il provvedimento monitorio ma anche la condanna al pagamento delle somme nel giudizio di opposizione proposto contro il decreto ingiuntivo dal condomino moroso. Inutile dunque contestare la delibera laddove l’attualità del debito del proprietario esclusivo non sarebbe comunque subordinata alla validità della decisione ma soltanto alla sua perdurante efficacia.

Nullità e annullabilità

Va detto poi che l’eventuale omessa convocazione di un condomino costituisce motivo di annullamento e non di nullità della delibera approvata dall’assemblea. E quindi non si tratta di un vizio che può essere dedotto nella fase dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Va invero ricordato che sono nulle solo le delibere: prive degli elementi essenziali; con oggetto impossibile o illecito oppure che non rientra nella competenza dell’assemblea; che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini; comunque invalide in relazione all’oggetto. Non resta allora che pagare le spese di giudizio e il contributo unificato aggiuntivo

Chi installa l’impianto fotovoltaico sul tetto non deve pagare un terzo delle spese per il rifacimento

Altro che uso esclusivo. Chi installa l’impianto fotovoltaico sul tetto comune dell’edificio condominiale non deve pagare un terzo delle spese in caso di rifacimento delle coperture: la possibilità di montare pannelli solari sul lastrico è infatti da ricondurre alla facoltà ex articolo 1102 Cc che consente un miglior godimento della cosa comune. È quanto emerge dalla sentenza 23206/15, pubblicata dalla quinta sezione civile del tribunale di Roma (giudice unico Guido Berri).

Utilizzo paritetico

Niente da fare per il singolo condomino che vorrebbe far annullare o comunque dichiarare inefficace la delibera adottata dall’assemblea sul riparto dei costi per i lavori alle coperture dell’edificio. Il giudice del merito, in effetti, deve limitarsi a riscontrare la legittimità della decisione assunta dall’adunanza senza poter entrare nel merito o controllare il potere discrezionale esercitato dall’insieme dei proprietari esclusivi. Non giova all’attore invocare il regolamento condominiale: la norma “incriminata”, contenuta nell’articolo 11, si riferisce soltanto alle riparazioni parziali del lastrico in corrispondenza delle singole scale che compongono l’edificio. Ed è escluso che montare i pannelli solari privati sul tetto comune configuri un uso esclusivo del lastrico perché l’installazione non impedisce di fare altrettanto ad altri singoli proprietari o allo stesso condominio né di utilizzare per altri scopi le coperture del fabbricato: non si applica allora il criterio ex articolo 1226 Cc che prevede l’obbligo di pagamento del 33 per cento delle spese. L’impianto fotovoltaico, d’altronde, non lede il decoro architettonico del palazzo né può risultare dannoso per la sicurezza e la stabilità della costruzione. Al condominio riottoso non resta che pagare le spese di lite al condominio. Sentenza esecutiva per legge.

Il condomino torna al centralizzato se il suo distacco costa di più agli altri e riduce il calore nelle case

Se il distacco dall’impianto centralizzato comporta un aggravio di costi per tutti gli altri proprietari e uno squilibrio di funzionamento, il condomino sarà tenuto al ripristino della situazione originaria. Né tanto meno il proprietario potrà pensare semplicemente di concorrere alle spese per manutenzione straordinaria, messa a norma e conservazione dell’impianto. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 22285/16, pubblicata il 3 novembre dalla sesta sezione civile.
Il collegio rigetta il ricorso del proprietario di un appartamento che decideva di distaccarsi dall’impianto centralizzato. Il condominio, però, con una delibera, non concedeva al ricorrente tale possibilità perché avrebbe danneggiato le altre unità sia da un punto di vista economico che di rendimento del riscaldamento. A dare credito al condominio è il tribunale che rigetta l’istanza del proprietario. La Cassazione è dello stesso avviso: al ricorrente non può essere concessa tale facoltà. È ammessa la possibilità del singolo di distaccarsi dall’impianto comune, a patto però che non ci siano aggravi di costi per gli altri condomini e che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento.
L’onere della prova in capo al condomino che intenda esercitare tale facoltà viene meno «soltanto nel caso in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente autorizzato il distacco dall’impianto comune sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei presupposti citati». Va fatta un’ulteriore precisazione: chi intende distaccarsi dovrà, «in presenza di squilibri nell’impianto condominiale e/o aggravi per i restanti condomini, rinunciare dal porre in essere il distacco perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante».

Né il soggetto interessato potrà effettuare il distacco e ritenere di essere tenuto solo «a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma», perché tale opportunità è prevista solo per i proprietari che abbiano potuto distaccarsi e che abbiano dimostrato che dal loro distacco non derivano conseguenze spiacevoli per gli altri condomini.

I cinque giorni di preavviso al condomino si contano dall’avviso di giacenza della convocazione

Conta la data dell’avviso di giacenza alla posta ai fini del preavviso di cinque giorni necessario per la convocazione del condomino all’assemblea condominiale: la raccomandata non recapitata per momentanea assenza del destinatario, infatti, deve ritenersi entrata nella sfera di conoscibilità dell’interessato nel momento in cui è rilasciato l’avviso secondo cui il plico deve essere ritirato all’ufficio postale. È quanto emerge dalla sentenza 22311/16, pubblicata il 3 novembre dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Presunzione e disponibilità

Accolto il ricorso del condominio nella controversia con il proprietario esclusivo che vorrebbe fosse dichiarata la nullità della delibera per non essere stato informato dell’assemblea. Sbaglia la Corte d’appello ad annullare la decisione adottata dall’assemblea sul rilievo che il termine libero di cinque giorni prescritto dall’articolo 66, terzo comma, disp. att. dovrebbe farsi decorrere dalla ricezione della convocazione da parte del condomino e non dalla relativa spedizione. In realtà nel caso della raccomandata non consegnata per l’assenza del destinatario e di una persona abilitata a riceverla è la presunzione di conoscenza ex articolo 1335 Cc a far ritenere rilevante il rilascio dell’avviso di giacenza del plico presso la posta e non il momento in cui la missiva viene consegnata. Nella specie la comunicazione è ritirata soltanto il 18 aprile ma deve ritenersi entrata nella disponibilità del condomino già il 9 del mese grazie all’avviso del postino. Parola al giudice del rinvio.

Il quesito: amministratore «interno» senza fatturazione

In un condominio sotto gli 8 proprietari un proprietario fa l’amministratore interno. Il suo compenso fissato in assemblea (diciamo 500 €) viene detratto dalle sue spese personali annuali. Esempio: spese condominiali che deve pagare l’amministratore interno per il suo appartamento sono 1800 €, i quali si diminuiscono per 500 €, perche fa l’ amministratore. Alla fine paga 1300€. Tutto questo viene logicamente senza fattura, perché l’amministratore interno dice che non serve. In una situazione come questa, davanti al fisco, si è in regola?

La Risposta

Se il condominio ha il codice fiscale, va presentato il modello Cu (quanto meno per l’amministratore, che a sua volta presenta il quadro AC) e vanno effettuate le ritenute. Bisogna affrettarsi a mettersi in regola a partire dai compensi 2015 (se ancora non corrisposti). Quanto al pregresso, in ogni caso esiste il rischio di sanzioni e interessi.
Se invece il condominio non avesse ancora chiesto il codice fiscale, lo deve fare subito, per poter ottenere fatture dai fornitori ma anche per poter operare la ritenuta d’acconto del 4% sul compenso dell’amministratore. A sua volta, l’amministratore, dato che per lui si tratta di collaborazione occasionale, deve indicarla come tale nella dichiarazione dei redditi. Dato che presumibilmente sinora nulla di ciò è stato fatto, il suggerimento, in questo caso, è di ottenere il codice fiscale condominiale e solo dopo regolarizzare il pagamento e la ritenuta dell’amministratore per l’anno in corso. In caso l’agenzia delle Entrate si “accorga” dei compensi erogati in passato (ma è più difficile se il condominio non possedeva codice fiscale) scattano sanzioni e interessi.