Posti auto in condominio : regolamentazione

Ordinaria regolamentazione

Si approva con la maggioranza semplice (se non modifica un regolamento contrattuale). Tra i numerosi provvedimenti legittimamenta assunti con delibera a maggioranza, volti a disciplinare il libero parcheggio nelle aree condominiali ,si può prendere qualche esempio attingendo ad una casistica molto vasta della Cassazione: uso turnario (sentenza 1421/2016); divieto di sosta se questa impedisce agli altri condòmini il pari uso dello spazio comune (sentenza 3640/2004) o rende difficoltoso il passaggio delle altre vetture (sentenza 14633/2012); divieto di parcheggio della seconda auto se i posti sono insufficienti (ordinanza 11861/2005); proibizione di lasciare autovetture nell’atrio di uno stabile di particolare pregio (sentenza 19615/2012).

Innovazioni

Quando, invece, si decide di organizzare un’area a parcheggio per il condominio, si crea una “innovazione”. Con la riforma del 2012 il Codice civile (articolo 1120) qualifica espressamente come innovazione «opere e interventi» per un parcheggio; ma la maggioranza necessaria viene abbassata a 500 millesimi dai due terzi previsti per le innovazioni in generale.

Rimane fermo, in ogni caso, il divieto delle innovazioni che rendono il bene «inservibile all’uso od al godimento anche di un solo condòmino o pregiudicano stabilità, sicurezza, decoro architettonico dell’edificio» (articolo 1120, 4° comma, del Codice civiled articolo 9 della legge “Tognoli”).

La stabilità del fabbricato potrebbe essere minata, per esempio, dai parcheggi nel sottosuolo, mentre la rilevanza per il decoro architettonico farebbe pensare, fra l’altro, a un giardino di particolare pregio e qualità ornamentali mutato in parcheggio o a una costruzione in totale disarmonia con lo stile dell’edificio.

Nuove destinazioni d’uso

Se l’innovazione muta del tutto la specifica utilizzazione dell’area (per esempio, prima adibita a parco giochi dei bimbi), si produce anche un cambiamento della destinazione d’uso del bene comune.

Con la riforma del 2012 è intervenuto il nuovo articolo 1117-ter del Codice civile, che sottopone questo cambio di destinazione d’uso alla maggioranza “aggravata” di 4/5 (dei millesimi e dei condòmini), ponendosi però in conflitto con l’articolo 1120, comma 2, che per i parcheggi prevede solo 500 anziché 800 millesimi.

Ma l’apparente contrasto dovrebbe risolversi se si considera che il 1117-ter, norma di carattere generale, non è applicabile ai parcheggi perché derogata dalla norma speciale del 1120, comma 2, perché la legge speciale prevale su quella generale.

In altri termini, se un’innovazione “ordinaria” e non specificata (cioè quella “da due terzi” di cui all’articolo 1120, comma 1) comporta anche il cambio di destinazione, oggi valgono il quorum e la procedura del 1117 ter (quindi con 4/5 dei millesimi); se invece l’innovazione è fatta espressamente «per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell’edificio» come dice il comma 2, n. 2) dello stesso articolo 1120, con maggioranza dei 2/3, il 1117-ter e la sua super maggioranza rimangono fuori causa.

Infine, il divieto di rendere “inservibile” il bene anche per un solo condòmino (che non sussisterebbe se si applicasse invece la più rigorosa, per altri versi, disciplina dell’art. 1117-ter) impone che la nuova utilità e funzione sia garantita a tutti i partecipanti, anche se non possessori di auto, perché queste potrebbero venir acquisite in un momento successivo.

Senza poi dimenticare, come sancito ancora di recente, che “l’’attribuzione esclusiva” dei posti auto ad alcuni soltanto dei condòmini richiede, a pena di nullità, una delibera unanime perché in questo modo si pregiudica l’uso e il godimento paritario del bene (Cassazione, sentenza 11034/2016).

Negozi in condominio e spese di manutenzione scala

Quando si pensa ad un condominio tipicamente si pensa ad un palazzo formato da varie parti comuni e appartamenti privati. In realtà, però, una gran parte delle unità immobiliari nei palazzi italiani è utilizzato a fini non abitativi.

Nel rapporto del 28 maggio 2015 sul mercato immobiliare, l’agenzia delle Entrate ha censito ben 4.239.886 unità immobiliari di tipologia non residenziale, intese come uffici, negozi, banche, edifici commerciali e alberghi.

Sovente, infatti, specie nelle grandi città, il piano terra dello stabile è occupato da negozi e locali, con vetrine che si affacciano sulla pubblica via.

Sebbene queste unità possano dare l’impressione di essere autonome rispetto al condominio, queste non lo sono e i proprietari degli immobili sono condòmini a tutti gli effetti.

I problemi di convivenza con i condòmini residenti sono generalmente di tre tipologie: i condòmini che lamentano l’invasività del negozio, i cui clienti parcheggiano in modo selvaggio davanti allo stabile e le cui insegne sono istallate sulla facciata del palazzo, e i proprietari dei negozi, che lamentano di dovere pagare spese condominiali per servizi quasi mai utilizzati.

Per quanto riguarda la questione dei clienti invasivi è chiaro come essi non possano parcheggiare i veicoli al di fuori dei parcheggi ufficialmente delimitati dal comune, neanche per i pochi minuti necessari per svolgere la commissione in negozio.

E’ chiaro infatti che l’abitudine di lasciare l’automobile di traverso in prossimità del portone condominiale è contraria alle norme stradali, prima ancora che alle norme interne del palazzo.

Starà quindi al proprietario del negozio di sensibilizzare i propri clienti abituali invitandoli a tenere condotte stradali che non impediscano ai condomini il libero accesso allo stabile.

Nel caso di reiterazione della sosta selvaggia, comunque, oltre ad avvertire la polizia stradale per ottenere la rimozione dei veicoli, si potrà domandare all’amministratore di condominio l’istallazione (compatibilmente con le regole comunali) di dissuasori di sosta da realizzare di fronte all’ingresso del palazzo di modo da rendere impossibile il parcheggio delle autovetture.

La questione dell’insegna del negozio apposta sulla facciata del palazzo, invece, deve essere considerata alla luce dell’articolo 1102 del Codice Civile, che afferma al primo comma che “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”.

Il negoziante potrà quindi, chiesti i permessi necessari alla pubblica amministrazione e a sue spese, fare apporre una insegna al fine di promuovere il proprio negozio.

Un espresso limite al quale andrà incontro il negoziante sarà quello della necessità di tutelare il decoro architettonico del palazzo per cui un’insegna non conforme alle regole estetiche e storiche del palazzo sarà certamente considerata come innovazione vietata (si pensi all’insegna di un’autofficina apposta sulla facciata di un palazzo costruito in stile liberty).

L’ultimo comma dell’articolo 1120 del Codice Civile afferma infatti che “sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico”.

I condomini, tuttavia, potranno all’unanimità modificare il regolamento contrattuale vietando l’apposizione di insegne o targhe nel condominio e in particolare “con il consenso unanime i condomini, possono derogare od integrare la disciplina legale e, in particolare, possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’articolo 1120 del Cc, estendendo il divieto di immutazione sino a imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva” (Cassazione, sentenza n. 12582 del 17 giugno 2015 ).

Ulteriore problema di frequente sollevato nella difficile convivenza tra negozi e condomìni è la questione del pagamento delle spese condominiali da parte degli immobili ad uso non residenziale.

Sovente, infatti, il negoziante si sente parte estranea rispetto al condominio, dato che magari non partecipa alle assemblee, non utilizza scale e ascensori e vi si reca solamente durante le ore di apertura.

Di conseguenza può capitare che il commerciante veda come un’ingiustizia il fatto di dovere pagare spese come la manutenzione dell’ascensore, la pulizia delle scale o il riscaldamento anche nelle parti comuni.

Tale ragionamento, tuttavia, non pare corretto.

Il negozio, pur se apparato commerciale, è a tutti gli effetti parte integrante del condominio.

L’articolo 1118 del Codice Civile prevede in punto gestione e utilizzo delle parti comuni che “il condòmino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni” e che “il condòmino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali”.

Di conseguenza anche il proprietario del negozio dovrà contribuire, in base ai millesimi di competenza, al pagamento delle spese condominiali.

Quelli sopra tratteggiati sono i conflitti statisticamente più rilevanti tra i condomini e i negozianti dello stabile, esistono tuttavia svariate ulteriori problematiche che possono cagionare attriti.

Per dirimere tali conflitti è necessario avere regole ben precise, definite puntualmente dal regolamento condominiale, e un amministratore in grado di farle rispettare.

In ogni caso le norme del regolamento condominiale e l’opera dell’amministratore possono essere utili e necessari per dirimere i conflitti più macroscopici mentre per le questioni più secondarie e meno evidenti è consigliabile esercitare buon senso e moderazione, anche al fine di evitare lunghe e costose liti giudiziarie.

II° Corso di Aggiornamento 2017

PALERMO: SABATO 1 APRILE 2017

ORE 9-13 – HOTEL LA TORRE (MONDELLO)

MODELLO 770 E CU

Programma del corso:

  • CU Ordinario
  • CU Semplificato
  • Termini di presentazione
  • Ravvedimento tardiva presentazione
  • Modello 770 – Novità 2017
  • Modalità di compilazione
  • Termini di presentazione
  • Modello 770 – Dichiarazione integrativa
  • Ravvedimento tardiva presentazione

Relatore: Dott. Giuseppe La Scala

  • La corretta assunzione del Rischio della Polizza Globale Fabbricato
  • Analisi Articoli di riferimento del Codice Civile

Relatore: Dott. Maurizio Crucillà

Il corso è valido ai fini della formazione periodica obbligatoria.

Rilascio attestato € 10,00 (Associati ARAI) – € 20,00 (non Associati)

N.B. Prenotazione obbligatoria contattando la segreteria ARAI al numero +39 091 344385

Condominio: balconi, si dividono solo le spese per gli elementi decorativi

Cassazione sentenza n. 6652/2017

La Cassazione fa chiarezza sulla ripartizione delle spese per il rifacimento dei balconi in condominio

Su chi gravano le spese per il rifacimento dei balconi di proprietà esclusiva dei condomini? A fare chiarezza è la Cassazione, con la recentissima sentenza di marzo n. 6652/2017, spiegando che i condomini sono chiamati a condividere le spese relative agli elementi decorativi, in quanto rientranti nelle parti comuni dell’edificio, mentre non devono sostenere quelle relative al rifacimento della pavimentazione (o soletta) che rimangono a carico del proprietario dell’appartamento.

Nella vicenda, una condomina impugnava innanzi al tribunale di Roma una delibera condominiale, chiedendo che venisse dichiarata nulla giacchè poneva a carico di tutti i condomini il costo dei lavori di rifacimento “dei frontalini e dei sottobalconi dell’edificio, quali elementi statici dei balconi, le cui opere necessarie dovevano gravare a totale carico dei proprietari dei balconi stessi, tra cui non vi era l’istante”.

Il condominio obiettava che si trattava di lavori inerenti l’estetica del fabbricato e il giudice di primo grado gli dava ragione, ritenendo “che i frontalini e i sottobalconi si inserivano nel prospetto dell’edificio, avevano una chiara funzione decorativa e artistica e dovevano, quindi, essere considerati parti comuni dell’edificio medesimo, contribuendo a renderlo esteticamente gradevole”.

La Condomina non si dava per vinta e proponeva appello ribadendo che i lavori nulla “avevano a che vedere con l’estetica e l’aspetto architettonico dell’edificio” ma la corte territoriale riteneva inammissibile l’impugnazione, giacchè era stato “ampliato il thema decidendum”.

A questo punto si appella alla Corte di Cassazione innanzi alla quale la donna riesce ad ottenere vittoria.

La decisione

Per gli Ermellini, il ricorso è fondato, e la corte di merito ha erroneamente ritenuto “che la contestazione della delibera condominiale, in ordine all’inerenza dei lavori disposti anche all’impermeabilizzazione e rifacimento dei pavimenti dei balconi, fosse fatto nuovo inammissibile, perché dedotto per la prima volta in sede di gravame, mentre in realtà già nel giudizio di prime cure era stato precisato che dovevano porsi a totale carico delle unità immobiliari dalle quali si accede ai balconi i lavori diretti a preservare e conservare l’area di calpestio”. Solo la richiesta in appello della declaratoria di nullità per un motivo diverso da quello dedotto in primo grado, hanno precisato infatti i giudici, “costituisce, atteso il mutamento dell’iniziale “causa petendi”, una domanda nuova, vietata dall’art. 345 c.p.c.”.

Deve ritenersi, inoltre, precisa la Corte che “poiché l’assemblea condominiale non può validamente assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell’ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull’adeguato uso delle cose comuni, nel caso di lavori di manutenzione di balconi di proprietà esclusiva degli appartamenti che vi accedono, è valida la deliberazione assembleare che provveda al rifacimento degli eventuali elementi decorativi o cromatici, che si armonizzano con il prospetto del fabbricato, mentre è nulla quella che disponga in ordine al rifacimento della pavimentazione o della soletta dei balconi, che rimangono a carico dei titolari degli appartamenti che vi accedono”.

Ascensore in condominio: sì alle esigenze di alcuni condomini di abbattimento delle barriere

L’installazione in un condominio di un ascensore, allo scopo dell’eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata su parte esterna di aree comuni deve considerarsi indispensabile ai fini dell’accessibilità dell’edificio e della reale abitabilità dell’appartamento

E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con ordinanza del 9 marzo 2017, n. 6129, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato quanto già deciso dalla Corte d’appello di Trieste.

La pronuncia traeva origine dal fatto che il Tribunale di Trieste, in accoglimento della domanda degli attuali ricorrenti, aveva accertato il diritto degli stessi, ai sensi dell’art. 2 delle legge 9 gennaio 1989, n. 13, ad installare un ascensore occupando una parte del sedime del giardino comune, a ridosso della facciata, ove è ubicato il portone d’ingresso del Condominio in Trieste.

La domanda degli attori conseguiva al rigetto espresso due volte dall’assemblea condominiale alla proposta di installazione dell’ascensore e deduceva la difficoltà di deambulazione di due condomini.

La Corte d’Appello di Trieste, riformando la sentenza impugnata e rigettando le domande degli appellati, osservava che “l’ascensore è manufatto diverso dal concetto di servoscala o altre strutture mobili e facilmente amovibili”, di cui all’art. 2, comma 2, legge n. 13/1989, e che l’ascensore per cui è causa comunque non avrebbe consentito ai condomini interessati di raggiungere senza problemi i rispettivi appartamenti, dovendo fermarsi sul pianerottolo dell’interpiano con dieci gradini da percorrere a piedi.

La Corte di Trieste ha perciò ritenuto l’installazione dell’ascensore lesiva dell’art. 1102 c.c., ed in particolare della destinazione a giardino dell’area comune, e quindi illegittima in difetto di deliberazione assembleare approvata con il quorum di cui all’art. 1136 cod. civile.

I condomini interessati alla vicenda hanno proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la citata sentenza 4 agosto 2015, n. 483/2015, resa dalla Corte d’Appello di Trieste.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. e dell’art. 113 c.p.c.

Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. in relazione agli artt. 1 e 2, legge n. 13/1989, degli artt. 1120, 1121 e 1136, c.c., degli artt. 2, 32 e 42 Cost., dell’art. 113 c.p.c.

Con il terzo motivo di ricorso lamenta il mancato accoglimento dell’istanza di correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza del Tribunale, ove si affermava in alcune parti che l’ascensore era da installare “all’interno del Condominio in Trieste”, e non, come nei fatti, “all’esterno” di esso.

La decisione

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 6129/2017 ha ritenuto fondato il secondo motivo ed ha accolto il ricorso.

Il condomino dell’ultimo piano ben può aprire un passaggio al solaio anche se taglia le travi portanti

Non si può impedire al condomino dell’ultimo piano che ha l’uso esclusivo del lastrico solare di praticare un’apertura per collegare l’appartamento e il solaio, anche se l’intervento comporta il taglio di travi portanti del tetto. A meno che, beninteso, i lavori non creino problemi di statica all’edificio. L’articolo 1102 Cc non può infatti essere interpretato in senso tanto restrittivo da impedire ogni intervento sulla cosa comune: il giudice del merito deve invece verificare se dopo i lavori è garantita la funzione di copertura e protezione delle strutture sottostanti. È quanto emerge dalla sentenza 6253/17, pubblicata il 10 marzo dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Verifica necessaria
Altro che la «manifesta infondatezza con condanna aggravata alle spese» chiesta dal sostituto procuratore generale. Il ricorso del proprietario dell’ultimo piano è accolto eccome. E ciò perché sbaglia la Corte d’appello a ritenere che basti il taglio delle travi del tetto per integrare la violazione della norma ex articolo 1102 Cc sull’uso della cosa comune. Al centro del mirino del vicino che adisce per primo il giudice finisce la bussola in vetro posta a copertura del collegamento fra l’appartamento e il solaio. Ma un’analoga struttura sul tetto già c’è: quella che garantisce l’accesso condominiale. E in ogni caso il proprietario dell’ultimo piano può trasformare il tetto comune dell’edificio in terrazza di proprio uso esclusivo a patto che sia mantenuta la destinazione principale del bene, laddove la modifica non risulta di portata significativa. Il solo taglio delle travi non può dunque determinare l’alterazione della cosa comune che ne impedisce l’uso ex articolo 1102 Cc. Parola al giudice del rinvio, che dovrà verificare se la bussola in vetro realizzata sul lastrico solare non priva gli altri condomini della reale possibilità di utilizzare il solaio

Trasformazione del balcone in veranda

Per ampliare il balcone trasformandolo a veranda, bisogna rispettare lr regole circa l’uso delle parti comuni. E’ quanto afferma la Suprema Corte (Cass.Civ. II sez. 28 febbraio 2017 n. 5196) nel giudizio di legittimità al termine di una vicenda processuale nata in terra siciliana: un condomino provvede ad ampliare il proprio balcone e a trasformarlo in veranda, con chiusura sui tre lati, con ciò occupando in maniera significativa la colonna d’aria soprastante una chiostrina a servizio dell’unità immobiliare sottostante.

in primo grado il Tribunale di Palermo aveva ritenuto sussistente unicamente la violazione delle norme sulle distanze e ordinato la rimozione degli spuntoni di appoggio del balcone, che aggettavano sulla chiostrina.

La Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, introduce il concetto di utilizzo non consentito della facciata dell’edificio ai sensi dell’art. 1102 cod.civ., ordinando tuttavia la sola demolizione della veranda, ritenendo che l’attore – pur avendo lamentato anche l’ampliamento del balcone – avesse concluso solo per tale richiesta.

La Cassazione conferma la lettura del giudice di appello “ Il consolidato orientamento di questa Corte (ribadito anche con riguardo ad ipotesi analoghe a quella per cui è causa, nella quale, per quanto in specie accertato, un condomino ha trasformato il proprio balcone in veranda, altresì debordando dal suo perimetro originario) afferma che, allorché il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere nella sua proprietà esclusiva facendo uso di beni comuni, indipendentemente dall’applicabilità delle norme sulle distanze nei rapporti tra le singole proprietà di un edificio condominiale, è comunque necessario verificare che il condomino stesso abbia utilizzato le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c. (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10563 del 02/08/2001; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4844 del 04/08/1988; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 682 del 28/01/1984)”

Il giudice territoriale aveva accertato, tramite consulenza tecnica, che l’ampliamento del balcone, la costruzione della veranda e il mancato rispetto dell’allineamento con gli altri balconi avevano cagionato una riduzione spazio sovrastante la chiostrina nella misura dell’8,1 % e che “ciò ha comportato un danno per la funzionalità della chiostrina come essenziale dispositivo di aerazione ed illuminazione dei locali ad essa prospicienti”

Osserva la Corte che il giudice di appello, con accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, “nell’accogliere la domanda di riduzione in pristino della veranda dal balcone di proprietà esclusiva, ha affermato che le opere denunciate, in violazione dell’art. 1102 c.c., comportassero proprio una sensibile riduzione all’ingresso di luce ed aria nella proprietà inferiore G. conseguibile dalla facciata esterna comune dell’edificio (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10704 del 14/12/1994; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1132 del 11/02/1985).”

La Suprema Corte ritiene anche che la domanda dell’attore riguardi l’intero manufatto realizzato e non solo il balcone: “Deve, al contrario, ritenersi che, come allega il ricorso incidentale, avendo il G. espressamente dedotto l’illegittimità dell’aumento di superficie del balcone realizzato dalla controparte e comunque richiesto il ripristino dello stato dei luoghi, la demolizione altresì di tale opera era da intendersi contenuta in modo implicito in detta domanda di riduzione in pristino, trovandosi con essa in rapporto di necessaria connessione”

La sentenza di merito è cassata e il processo rinviato ad altra sezione della corte di Palermo, che dovrà attenersi ai principi esposti.

Tabelle millesimali da modificare e non da rifare

Le tabelle millesimali quando vanno cambiate per modificazioni intervenute nel fabbricato? Anzitutto importante chiarire che il testo dell’articolo 69 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile premette al primo capoverso che i millesimi condominiali possono essere rettificati all’unanimità; ma anche che possono essere modificati o rettificati dall’assemblea condominiale con la maggioranza prevista dall’articolo1136, comma 2, del Codice civile quando risulta che: 1) sono conseguenza di un errore; 2) sono mutate le condizioni dell’edificio per più di un quinto (tassativamente solo per avvenute sopraelevazioni, incremento di superfici, o incremento o diminuzione di unità immobiliari).

C’è chi pensa che a fronte della necessità di intervenire con una variazione delle tabelle, la metodologia non potesse essere altra che quella di elaborare integralmente nuove tabelle ex novo. Nulla di più sbagliato: «rettificare o modificare» i millesimi non può affatto significare «rifare» le tabelle, dimenticando ed annullando totalmente i criteri con cui siano state redatte le precedenti tabelle. Altro errore è quello di ricalcolare i valori delle unità immobiliari (specialmente esercizi commerciali) sulla base di intervenute modificazioni dei loro valori immobiliari perché, al di là di ogni possibile e ragionevole interpretazione, le condizioni poste dall’articolo 69 richiamato non ricomprendono affatto una simile fattispecie.

In questo senso possono leggersi due interessanti decisione: una della Corte di Cassazione (n.3001/2010) e l’altra del Tribunale di Milano (n.8416 /2015) . La prima ha precisato che «non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, né i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell’edificio o alterato, comunque,il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l’edificio», mentre la seconda, disponendo la «revisione delle tabelle millesimali di proprietà e delle tabelle di gestione in quanto le tabelle di proprietà vi influiscano», ha espressamente previsto che siano «tenuti comunque fermi i criteri convenzionali ricavabili dalle tabelle in uso».

Il meccanismo di adeguamento è peraltro semplicissimo, e consiste nel calcolare i nuovi valori (ai fini del calcolo delle tabelle millesimali) delle sole unità variate, secondo i criteri già adottati, aggiungerli ai precedenti valori e rapportare il tutto nuovamente a 1000 con una elementare operazione di proporzione.

La ceck list per la precompilata (da “Il Quotidiano del Condominio”)

La precompilata in condominio va ai supplementari: oggi, però, è l’ultimo giorno in cui gli amministratori di condominio possono inviare le comunicazioni dei dati all’Agenzia delle Entrate relativamente agli interventi di recupero edilizi e risparmio energetico, le cui spese sono detraibili al 50 per cento. Ma è con la mezzanotte di domenica 12 marzo che i giochi finiranno davvero. Sino ad allora sarà possibile correggere le comunicazioni inviate senza che la sanzione sia applicabile. Allo stesso modo ci si salva con la riduzione ad un terzo, se la segnalazione da parte dell’AdE perverrà entro i cinque giorni successivi alla stessa ma comunque entro sessanta giorni (6 maggio 2017).

Check list prima dell’invio

La sanzione scatta quest’anno solo «nei casi di lieve tardività o di errata trasmissione dei dati stessi, se l’errore non determina un’indebita fruizione di detrazioni o deduzioni». Ciò significa che l’errore può riguardare l’individuazione del beneficiario, la detraibilità, l’ammontare della spesa. Gli ultimi dubbi notturni degli amministratori di condominio possono quindi riguardare ciascuna di queste tre situazioni d’errore.

Chi è il Beneficiario

La sorgente dei dati è stato per (quasi) tutti il Rac – registro di anagrafe condominiale – che è composto però da dichiarazioni rese dai condòmini. Solo se queste fossero state assenti si è provveduto con la consultazione dei dati catastali. Ma il catasto, dove non è in vigore il sistema tavolare, può riportare situazioni non corrispondenti alla realtà. Ma è una missione impossibile, l’accertamento presso le Conservatorie, nei tempi ridotti del primo anno “sperimentale”.

Di qui le preoccupazioni sull’imputazione delle spese a coloro che apparentemente sono proprietari ma potrebbero poi non esserlo davvero. Ben più difficili gli accertamenti relativi agli altri diritti reali (nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione) e di godimento (locazione e comodato).

l’Agenzia delle Entrate ha autorizzato l’amministratore a non inviare i dati di questi soggetti non proprietariu né titolari di diritti reali, se non reperibili. Quindi, solo in caso di indicazione dal condòmino di un beneficiario diverso dal proprietario o titolare di diritti reali l’amministratore lo indica e contrassegna il campo «Altre tipologie di soggetti». In caso di dati mancanti, sarà questo”beneficiario” non condòmino a correggere la propria precompilata.

Quanto mi costi

L’esatta attribuzione dell’ammontare della spesa deve essere determinata non in base alla semplice ripartizione dell’ammontare pagato dall’amministratore con il bonifico parlante ma previa verifica dell’avvenuto pagamento del condòmino al condominio (si veda il Sole 24 ore del 19, 27 e 28 febbraio scorso).

Solo se l’amministratore ha potuto “anticipare” il pagamento, magari relativamente esiguo, da altri fondi, va contrassegnato il campo “pagamento non interamente corrisposto al 31/12”. Il campo è stato contrassegnato anche nel caso “di default” in cui il condòmino non abbia pagato nell’anno e possa l’anno successivo, a fronte del bonifico dell’amministratore, ottenere il beneficio. Anche un errore nella ripartizione delle spese può comportare la necessità della correzione negli ultimi cinque giorni.

L’anno che verrà

All’operazione precompilata segue l’invio delle normali certificazioni degli amministratori ai condòmini che potranno rispecchiarne il contenuto ma anche correggerlo, con la possibilità di essere sottoposti alla sanzione nel caso di avvenuto errore. Il software messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate è stato di gran lunga il più utilizzato anche perché gli aggiornamenti dei gestionali sono stati rilasciati troppo vicino alla scadenza.

Se la precompilata 2017 è al giro di boa le certificazioni fanno intravedere quello che sarà lo scenario dell’anno che verrà in cui tutti gli errori saranno sanzionati. Individuare i rimedi sarà l’obiettivo dei prossimi mesi perché altrimenti le sanzioni applicate alla complessità dei rapporti condominiali potranno diventare davvero rilevanti. La ricerca completa dei dati, con accesso alle conservatorie, coi costi a carico dei proprietari, l’obiettivo in agenda per rendere possibile che le variazioni di proprietà intervenute sino al 31 dicembre possano essere tutte già inserite nelle trasmissioni del 28 febbraio 2018.

La «certificazione» ai condòmini

In questo contesto non va scordata la certificazione da inviare ai condòmini con i dati esatti: occorrerà avvisarli che in molti casi dovranno correggere la loro «precompilata» (730 o Redditi – ex Unico) in base ai loro effettivi versamenti, soprattutto quando questi siano stati fatti da non condòmini (come conviventi o inquilini) Due fac simile pronti all’uso sono reperibili cliccando qui per i lavori di recupero edilizio e qui per quelli di risparmio energetico .