Trasformazione del balcone in veranda

Per ampliare il balcone trasformandolo a veranda, bisogna rispettare lr regole circa l’uso delle parti comuni. E’ quanto afferma la Suprema Corte (Cass.Civ. II sez. 28 febbraio 2017 n. 5196) nel giudizio di legittimità al termine di una vicenda processuale nata in terra siciliana: un condomino provvede ad ampliare il proprio balcone e a trasformarlo in veranda, con chiusura sui tre lati, con ciò occupando in maniera significativa la colonna d’aria soprastante una chiostrina a servizio dell’unità immobiliare sottostante.

in primo grado il Tribunale di Palermo aveva ritenuto sussistente unicamente la violazione delle norme sulle distanze e ordinato la rimozione degli spuntoni di appoggio del balcone, che aggettavano sulla chiostrina.

La Corte di Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, introduce il concetto di utilizzo non consentito della facciata dell’edificio ai sensi dell’art. 1102 cod.civ., ordinando tuttavia la sola demolizione della veranda, ritenendo che l’attore – pur avendo lamentato anche l’ampliamento del balcone – avesse concluso solo per tale richiesta.

La Cassazione conferma la lettura del giudice di appello “ Il consolidato orientamento di questa Corte (ribadito anche con riguardo ad ipotesi analoghe a quella per cui è causa, nella quale, per quanto in specie accertato, un condomino ha trasformato il proprio balcone in veranda, altresì debordando dal suo perimetro originario) afferma che, allorché il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere nella sua proprietà esclusiva facendo uso di beni comuni, indipendentemente dall’applicabilità delle norme sulle distanze nei rapporti tra le singole proprietà di un edificio condominiale, è comunque necessario verificare che il condomino stesso abbia utilizzato le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c. (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10563 del 02/08/2001; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4844 del 04/08/1988; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 682 del 28/01/1984)”

Il giudice territoriale aveva accertato, tramite consulenza tecnica, che l’ampliamento del balcone, la costruzione della veranda e il mancato rispetto dell’allineamento con gli altri balconi avevano cagionato una riduzione spazio sovrastante la chiostrina nella misura dell’8,1 % e che “ciò ha comportato un danno per la funzionalità della chiostrina come essenziale dispositivo di aerazione ed illuminazione dei locali ad essa prospicienti”

Osserva la Corte che il giudice di appello, con accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, “nell’accogliere la domanda di riduzione in pristino della veranda dal balcone di proprietà esclusiva, ha affermato che le opere denunciate, in violazione dell’art. 1102 c.c., comportassero proprio una sensibile riduzione all’ingresso di luce ed aria nella proprietà inferiore G. conseguibile dalla facciata esterna comune dell’edificio (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10704 del 14/12/1994; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1132 del 11/02/1985).”

La Suprema Corte ritiene anche che la domanda dell’attore riguardi l’intero manufatto realizzato e non solo il balcone: “Deve, al contrario, ritenersi che, come allega il ricorso incidentale, avendo il G. espressamente dedotto l’illegittimità dell’aumento di superficie del balcone realizzato dalla controparte e comunque richiesto il ripristino dello stato dei luoghi, la demolizione altresì di tale opera era da intendersi contenuta in modo implicito in detta domanda di riduzione in pristino, trovandosi con essa in rapporto di necessaria connessione”

La sentenza di merito è cassata e il processo rinviato ad altra sezione della corte di Palermo, che dovrà attenersi ai principi esposti.

Tabelle millesimali da modificare e non da rifare

Le tabelle millesimali quando vanno cambiate per modificazioni intervenute nel fabbricato? Anzitutto importante chiarire che il testo dell’articolo 69 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile premette al primo capoverso che i millesimi condominiali possono essere rettificati all’unanimità; ma anche che possono essere modificati o rettificati dall’assemblea condominiale con la maggioranza prevista dall’articolo1136, comma 2, del Codice civile quando risulta che: 1) sono conseguenza di un errore; 2) sono mutate le condizioni dell’edificio per più di un quinto (tassativamente solo per avvenute sopraelevazioni, incremento di superfici, o incremento o diminuzione di unità immobiliari).

C’è chi pensa che a fronte della necessità di intervenire con una variazione delle tabelle, la metodologia non potesse essere altra che quella di elaborare integralmente nuove tabelle ex novo. Nulla di più sbagliato: «rettificare o modificare» i millesimi non può affatto significare «rifare» le tabelle, dimenticando ed annullando totalmente i criteri con cui siano state redatte le precedenti tabelle. Altro errore è quello di ricalcolare i valori delle unità immobiliari (specialmente esercizi commerciali) sulla base di intervenute modificazioni dei loro valori immobiliari perché, al di là di ogni possibile e ragionevole interpretazione, le condizioni poste dall’articolo 69 richiamato non ricomprendono affatto una simile fattispecie.

In questo senso possono leggersi due interessanti decisione: una della Corte di Cassazione (n.3001/2010) e l’altra del Tribunale di Milano (n.8416 /2015) . La prima ha precisato che «non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, né i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell’edificio o alterato, comunque,il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l’edificio», mentre la seconda, disponendo la «revisione delle tabelle millesimali di proprietà e delle tabelle di gestione in quanto le tabelle di proprietà vi influiscano», ha espressamente previsto che siano «tenuti comunque fermi i criteri convenzionali ricavabili dalle tabelle in uso».

Il meccanismo di adeguamento è peraltro semplicissimo, e consiste nel calcolare i nuovi valori (ai fini del calcolo delle tabelle millesimali) delle sole unità variate, secondo i criteri già adottati, aggiungerli ai precedenti valori e rapportare il tutto nuovamente a 1000 con una elementare operazione di proporzione.

La ceck list per la precompilata (da “Il Quotidiano del Condominio”)

La precompilata in condominio va ai supplementari: oggi, però, è l’ultimo giorno in cui gli amministratori di condominio possono inviare le comunicazioni dei dati all’Agenzia delle Entrate relativamente agli interventi di recupero edilizi e risparmio energetico, le cui spese sono detraibili al 50 per cento. Ma è con la mezzanotte di domenica 12 marzo che i giochi finiranno davvero. Sino ad allora sarà possibile correggere le comunicazioni inviate senza che la sanzione sia applicabile. Allo stesso modo ci si salva con la riduzione ad un terzo, se la segnalazione da parte dell’AdE perverrà entro i cinque giorni successivi alla stessa ma comunque entro sessanta giorni (6 maggio 2017).

Check list prima dell’invio

La sanzione scatta quest’anno solo «nei casi di lieve tardività o di errata trasmissione dei dati stessi, se l’errore non determina un’indebita fruizione di detrazioni o deduzioni». Ciò significa che l’errore può riguardare l’individuazione del beneficiario, la detraibilità, l’ammontare della spesa. Gli ultimi dubbi notturni degli amministratori di condominio possono quindi riguardare ciascuna di queste tre situazioni d’errore.

Chi è il Beneficiario

La sorgente dei dati è stato per (quasi) tutti il Rac – registro di anagrafe condominiale – che è composto però da dichiarazioni rese dai condòmini. Solo se queste fossero state assenti si è provveduto con la consultazione dei dati catastali. Ma il catasto, dove non è in vigore il sistema tavolare, può riportare situazioni non corrispondenti alla realtà. Ma è una missione impossibile, l’accertamento presso le Conservatorie, nei tempi ridotti del primo anno “sperimentale”.

Di qui le preoccupazioni sull’imputazione delle spese a coloro che apparentemente sono proprietari ma potrebbero poi non esserlo davvero. Ben più difficili gli accertamenti relativi agli altri diritti reali (nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione) e di godimento (locazione e comodato).

l’Agenzia delle Entrate ha autorizzato l’amministratore a non inviare i dati di questi soggetti non proprietariu né titolari di diritti reali, se non reperibili. Quindi, solo in caso di indicazione dal condòmino di un beneficiario diverso dal proprietario o titolare di diritti reali l’amministratore lo indica e contrassegna il campo «Altre tipologie di soggetti». In caso di dati mancanti, sarà questo”beneficiario” non condòmino a correggere la propria precompilata.

Quanto mi costi

L’esatta attribuzione dell’ammontare della spesa deve essere determinata non in base alla semplice ripartizione dell’ammontare pagato dall’amministratore con il bonifico parlante ma previa verifica dell’avvenuto pagamento del condòmino al condominio (si veda il Sole 24 ore del 19, 27 e 28 febbraio scorso).

Solo se l’amministratore ha potuto “anticipare” il pagamento, magari relativamente esiguo, da altri fondi, va contrassegnato il campo “pagamento non interamente corrisposto al 31/12”. Il campo è stato contrassegnato anche nel caso “di default” in cui il condòmino non abbia pagato nell’anno e possa l’anno successivo, a fronte del bonifico dell’amministratore, ottenere il beneficio. Anche un errore nella ripartizione delle spese può comportare la necessità della correzione negli ultimi cinque giorni.

L’anno che verrà

All’operazione precompilata segue l’invio delle normali certificazioni degli amministratori ai condòmini che potranno rispecchiarne il contenuto ma anche correggerlo, con la possibilità di essere sottoposti alla sanzione nel caso di avvenuto errore. Il software messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate è stato di gran lunga il più utilizzato anche perché gli aggiornamenti dei gestionali sono stati rilasciati troppo vicino alla scadenza.

Se la precompilata 2017 è al giro di boa le certificazioni fanno intravedere quello che sarà lo scenario dell’anno che verrà in cui tutti gli errori saranno sanzionati. Individuare i rimedi sarà l’obiettivo dei prossimi mesi perché altrimenti le sanzioni applicate alla complessità dei rapporti condominiali potranno diventare davvero rilevanti. La ricerca completa dei dati, con accesso alle conservatorie, coi costi a carico dei proprietari, l’obiettivo in agenda per rendere possibile che le variazioni di proprietà intervenute sino al 31 dicembre possano essere tutte già inserite nelle trasmissioni del 28 febbraio 2018.

La «certificazione» ai condòmini

In questo contesto non va scordata la certificazione da inviare ai condòmini con i dati esatti: occorrerà avvisarli che in molti casi dovranno correggere la loro «precompilata» (730 o Redditi – ex Unico) in base ai loro effettivi versamenti, soprattutto quando questi siano stati fatti da non condòmini (come conviventi o inquilini) Due fac simile pronti all’uso sono reperibili cliccando qui per i lavori di recupero edilizio e qui per quelli di risparmio energetico .

Il costruttore non può imporre per regolamento limiti sulle parti comuni

Nella sentenza numero 5336 del 2 marzo 2017 la Corte di Cassazione esprime alcuni importanti principi in materia di diritto condominiale e in particolare in tema di regolamento condominiale e di parti comuni.

La vicenda viene posta all’attenzione della Suprema Corte tramite il ricorso presentato da alcuni condomini i quali, impugnando una sentenza della Corte d’Appello che li aveva visti soccombenti, lamentava diverse condotte poste in essere da altri condomini.

Nella doppia veste di venditori dell’immobile e di condomini, infatti, le controparti avrebbero a detta dei ricorrenti posto in essere svariati comportamenti degni di censura.

In particolare queste condotte, espresse in quattro motivi di ricorso, erano raggruppabili in due categorie: in prima battuta i ricorrenti lamentavano come le controparti non avessero provveduto a redigere il regolamento di condominio e non avessero “individuato, chiarito e concesso agli attori di utilizzare le parti comuni in quota proporzionale, come stabilito nei rogiti”.

In secondo luogo, i ricorrenti lamentavano come le controparti avessero, in seguito alla vendita dell’appartamento, provveduto a realizzare delle opere sulle parti comuni, ledendo il loro diritto di godimento.

La Corte di Cassazione, nel pronunciare la sentenza, tratta singolarmente le questioni.

Con riguardo alla prima doglianza, la Cassazione rigetta il ricorso proposto.

In particolare secondo i giudici i ricorrenti avevano chiesto di condannare i venditori degli immobili per non avere rispettato l’obbligo di redigere il regolamento di condominio, mentre in sede di appello avevano domandato la loro condanna per non avere individuato chiarito e concesso agli attori il diritto di utilizzare le parti comuni.

La domanda effettuata in grado di appello era considerata nuova e quindi, ai sensi dell’articolo 345 del Codice di Procedura Civile, questa veniva dichiarata inammissibile.

La Cassazione specificava inoltre il principio in ragione del quale “l’obbligo del venditore di un’unità immobiliare, compresa in un condominio edilizio, di individuare e concedere al compratore l’utilizzazione delle parti comuni dell’edificio non discende affatto dall’assunzione di un apposito ed autonomo vincolo negoziale, avendo piuttosto i singoli condomini di un edificio il diritto di utilizzare direttamente, per il miglior godimento della porzione di loro proprietà esclusiva, tutte quelle parti del fabbricato che, per la loro destinazione ad un uso comune, si presumono di proprietà condominiale a norma dell’articolo 1117 c.c.”.

Per quanto riguarda la seconda parte del ricorso, invece, la Cassazione accoglieva le argomentazioni dei ricorrenti.