Revocato il decreto che ingiunge il pagamento in solido e non pro quota di oneri condominiali

L’amministratore deve rispettare la divisione parziaria del debito maturato dai singoli comproprietari della medesima unità immobiliare

Il decreto ingiuntivo che impone il pagamento in solido e non pro quota di oneri condominiali ai comproprietari di un appartamento deve essere revocato. La soluzione, infatti, contrasta con i criteri che disciplinano la suddivisione delle spese condominiali contenuti nell’articolo 1123 del codice civile.

Lo ha affermato il tribunale di Palermo con la sentenza 1163 del 2017 che ha accolto il ricorso di tre comproprietari di un appartamento pervenuto loro per successione in quote diverse.

Il condominio, consapevole della situazione, aveva originariamente chiesto a ciascuno il pagamento in base alla quota di proprietà ma il tribunale aveva ingiunto il versamento in solido. Di qui l’opposizione presentata dai proprietari.

Il tribunale, nel decidere la questione revocando il decreto ingiuntivo, ha spiegato che l’amministrazione condominiale era a conoscenza delle quote di proprietà delle unità immobiliari, come è documentato dalla richiesta dei contributi avanzata per l’attività di ristrutturazione dell’edificio pro-quota di proprietà. La sopravvenuta morte di uno dei comproprietari avrebbe quindi dovuto allertare l’amministratore per distribuire ai singoli comproprietari delle unità immobiliari oggetto della pretesa creditoria la giusta quota degli oneri condominiali singolarmente su di essi ricadente. A un cauto e diligente amministratore di un condominio, ha proseguito il tribunale, non può sfuggire che il condominio è creditore rispetto ai singoli comproprietari condomini degli oneri condominiali pro-quota di proprietà di ciascuno, non rispondendo degli oneri condominiali vantati dalla comunione condominiale i condomini in solido fra loro verso il condominio stesso ma soltanto parziariamente sia con riferimento alla proprietà delle singole unità immobiliari sia con riferimento ai rapporti interni fra comproprietari di una stessa unità immobiliare.

I criteri che disciplinano la suddivisione delle spese condominiali sono infatti contenuti nell’articolo 1123 del Cc che dispone al primo comma che le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza dei condomini sono sostenute in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salva diversa convenzione.

Questo principio, ha spiegato il tribunale, costituisce criterio primario di suddivisione degli oneri condominiali ed è improntato alla ripartizione delle spese sulla base del valore delle proprietà dei singoli partecipanti alla comunione e, perciò, in base ai millesimi di proprietà di ciascuno dei condomini. Nulla di più semplice e immediato.

Nella specie, quindi, non ci si trova dinnanzi a un rapporto obbligatorio instaurato tra terzi estranei alla comunione condominiale ma a un’obbligazione che vincola i comproprietari pro-quota di una stessa unità immobiliare al condominio medesimo.

Ne consegue che il condominio, che è parte creditrice del rapporto obbligatorio, ha l’onere di rispettare la divisione parziaria del debito maturato nei suoi confronti dai singoli comproprietari della medesima unità immobiliare.

Nulla la delibera sulla ristrutturazione che viola proprietà individuali anche se il danneggiato ha prestato il consenso ai lavori

La decisione può essere considerata valida solo se l’interessato ha manifestato la volontà espressa di stipulare un negozio dispositivo in tal senso

La delibera condominiale che approva la ristrutturazione del fabbricato è nulla se viola diritti individuali di proprietà anche quando l’interessato ha prestato il consenso all’esecuzione dei lavori. La decisione, infatti, può essere considerata valida solo quando il danneggiato ha manifestato la volontà espressa di stipulare un negozio dispositivo in tal senso. Lo ha affermato la seconda sezione civile del tribunale di Nocera Inferiore con la sentenza 251/17 che ha accolto il ricorso di una donna nei confronti del condominio.
In particolare la ricorrente chiedeva che fosse dichiarata nulla la delibera condominiale in forza della quale erano stati approvati ingenti lavori di ristrutturazione dell’edificio. Le opere eseguite, infatti, avrebbero violato i diritti individuali di proprietà, in particolare provocandole la perdita dell’uso esclusivo della scala di accesso al sottotetto, la perdita dell’affaccio sul lato est, la perdita dell’uso di un locale adibito a bagno e la riduzione della superficie della sua proprietà in favore di un altro condomino.
Il condominio, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda sul presupposto che l’istanza doveva essere inquadrata nel rimedio dell’annullamento della delibera assembleare e che, pertanto, si doveva considerare tardiva.
Il tribunale, nell’accogliere la richiesta della donna, ha affermato invece che dalle risultanze della perizia tecnica si ricavano molteplici elementi che provano l’effettiva esistenza di diritti esclusivi della ricorrente intaccati dalla delibera impugnata e dalla successiva esecuzione dei lavori, quali la perdita dell’uso esclusivo della scala di accesso al sottotetto, dell’affaccio sul lato est e dell’uso di un locale adibito a bagno, nonché la riduzione della superficie complessiva della sua proprietà. Le delibere assembleari del condominio, ha proseguito il giudice, sono considerate nulle, tra l’altro, quando incidono sui diritti individuali con la conseguenza che appaiono infondate le eccezioni sollevate dai convenuti in punto di tardività dell’impugnazione, atteso che l’azione di nullità non è soggetta ad alcun termine di decadenza. Inoltre, ha concluso il tribunale, va espressamente escluso che nel prestare il consenso all’esecuzione dei lavori di ristrutturazione, la ricorrente abbia inteso disporre dei propri diritti esclusivi. Infatti un’incidenza sui diritti individuali dei singoli condomini si può giustificare e non dar luogo a nullità della delibera solo nel caso in cui il condomino interessato abbia manifestato l’espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo in tal senso.

Dopo la divisione in due dell’edificio è condominiale la terrazza che copre tutti i piani della porzione

Per superare la presunzione ex articolo 1117 Cc il proprietario esclusivo dell’appartamento estraneo al fabbricato dovrebbe produrre un titolo con l’espressa disposizione o destinazione in suo favore

È comune e non di esclusiva proprietà la terrazza a livello che fa da copertura ai piani sottostanti di uno dei due edifici e attigua all’immobile compreso nell’altro edificio, a meno che non risulti da un titolo l’espressa disposizione o destinazione in favore del proprietario dell’appartamento confinante estraneo al condominio. A sancirlo è la Cassazione con l’ordinanza 21340/17, depositata oggi dalla sesta sezione civile.
Il collegio di legittimità accoglie il ricorso di una società immobiliare contro i condomini di un edificio vicino. La controversia ha ad oggetto una terrazza a livello, ritenuta dalla società ricorrente bene comune, mentre dai vicini di proprietà esclusiva che, con mobili e manufatti, la occupavano abusivamente. La Corte di appello, in conferma della decisione del tribunale, ritiene che la ricorrente non aveva prodotto in giudizio alcun titolo dimostrativo della proprietà della terrazza. La società ha, però, il suo riscatto in sede di legittimità. La controversia è tra i due aventi causa dall’originario proprietario di un unico complesso immobiliare suddiviso successivamente in due distinti condominii e riguarda la proprietà della terrazza sovrapposto a uno dei due. Ora la società ritiene, correttamente, che il manufatto fa da copertura dei piani sottostanti dell’edificio, operando una presunzione di comunione, come stabilisce l’articolo 1117 Cc: pertanto, la decisione della Corte di appello è errata perché ha mal interpretato la disposizione. Il giudice del rinvio, cui è rimandata la causa, dovrà rifarsi al seguente principio di diritto: «Nella controversia fra due aventi causa dall’unico originario proprietario di un complesso immobiliare, poi suddiviso in due distinti condomìni, la proprietà di una terrazza a livello, svolgente funzione di copertura dei sottostanti piani di uno dei due edifici ed attigua ad un’unità immobiliare ricompresa nell’altro edificio condominiale, è da ritenersi oggetto di proprietà comune dei proprietari delle unità immobiliari da essa coperte, a norma dell’articolo 1117, n. 1), Cc., quale parte necessaria all’esistenza del fabbricato, salvo che non risulti dal titolo l’espressa disposizione o destinazione della proprietà superficiaria della terrazza in favore del proprietario del contiguo appartamento estraneo al condominio». Il collegio accoglie il ricorso.

Il condomino non può occupare una porzione di pianerottolo che fa accedere ai solai installando una porta

Il condomino non può occupare una porzione del pianerottolo che fa accedere ai soli installando una porta che lo introduce in un vano da lui occupato. Lo ha affermato la seconda sezione civile della Cassazione con l’ordinanza 21312 di oggi che ha condannato “l’abusivo” a rilasciare il solaio e a rimuovere la porta. In particolare la Cassazione ha ricordato che in tema di condominio negli edifici, ciascun condomino ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità più intensa o semplicemente diversa da quella ricavata in concreto dagli altri purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, cosa che in questo caso non è avvenuta.

L’amministratore del condominio ottiene dal giudice il decreto ingiuntivo senza la delibera dell’assemblea.

Con la ratifica del suo operato, può impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione dell’assemblea. Lo sancisce la Cassazione con l’ordinanza n. 21313/17, pubblicata il 14 settembre dalla seconda sezione civile. Il collegio di legittimità richiama la pronuncia delle Sezioni unite (sentenza n. 18331/2010), secondo la quale l’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131, secondo e terzo comma, Cc., può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione.

Il garage interrato sotto il viale condominiale non paga perché la manutenzione è dovuta al passaggio

Quando il garage interrato si trova sotto il viale condominiale, per i lavori di manutenzione non si applica il criterio di riparto ex articolo 1126 Cc che pone due terzi delle spese a carico del proprietario dell’unità immobiliare sottostante. Si applica invece in via analogica l’articolo 1125 Cc, che accolla per intero le spese a chi ha l’uso esclusivo del pavimento del piano superiore e determina la necessità della manutenzione. È quanto emerge dall’ordinanza 21337/17, pubblicata il 14 settembre dalla sesta sezione civile della Cassazione.