Chi esegue la sopraelevazione di un edificio preesistente deve rispettare le distanze legali

Chi esegue la sopraelevazione di un edificio preesistente deve sempre rispettare le distanze legali. Infatti il diritto di prevenzione riconosciuto a chi edifica per primo si esaurisce con il completamento della struttura originaria e non si estende alla sopraelevazione. Lo ha ricordato la sesta sezione civile della Cassazione con l’ordinanza 27818 del 22 novembre.
La Suprema corte ha respinto il ricorso del proprietario di un fabbricato chiamato in giudizio dai vicini, i quali hanno chiesto al tribunale di ordinare la riduzione in pristino del fabbricato di proprietà del convenuto attraverso la demolizione dei piani sovrastanti quello terra per violazione delle distanze.
Il tribunale ha accolto la domanda e la decisione è stata confermata anche in appello. Di qui il ricorso in Cassazione dove l’uomo ha sostenuto che, avendo costruito per primo, il giudice avrebbe dovuto applicare il principio di prevenzione non solo per la parte originaria del fabbricato ma anche per le successive sopraelevazioni.
La Cassazione ha affermato che in materia di distanze legali fra costruzioni, il diritto di prevenzione riconosciuto a chi per primo edifica, si esaurisce con il completamento della struttura, non potendo, quindi, giovare automaticamente per la successiva sopraelevazione, che è una nuova costruzione tenuta a rispettare la normativa sulle distanze legali. Infatti la sopraelevazione di un edificio preesistente determina un incremento della volumetria del fabbricato, con aumento della sagoma di ingombro, per cui va qualificata come nuova costruzione, sicché deve rispettare la normativa sulle distanze vigente al momento della sua realizzazione, non potendosi automaticamente giovare del diritto di prevenzione caratterizzante la costruzione originaria, che si esaurisce con il completamento, strutturale e funzionale, di quest’ultima.
Nel caso in esame, ha concluso la Cassazione, la corte territoriale ha chiarito che il convenuto non si è limitato a realizzare una ricostruzione dell’originario immobile ad un piano terrazzato, ma ha proceduto ad un aumento della volumetria mediante l’edificazione di ben quattro piani fuori terra, con la conseguenza che, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui, la costruzione è sicuramente nuova nella parte del fabbricato sovrastante l’originario piano terra.

Trasformare l’affaccio occasionale in terrazzo non costituisce aggravamento della servitù di veduta

Bocciato il ricorso di due fratelli, proprietari di un immobile: va esclusa la rimozione delle opere eseguite sulla copertura in lamiera perché integrano solo una forma più comoda di fruizione

Non costituisce aggravamento della servitù di veduta la trasformazione di un precedente affaccio occasionale (copertura in lamiera) in un terrazzo. Lo sancisce la Cassazione con l’ordinanza 27909/17, pubblicata dalla seconda sezione civile.
Nulla da fare per i proprietari di un immobile che citavano in giudizio i vicini per sentirli condannare all’eliminazione di vedute ai loro danni. Nello specifico, i ricorrenti lamentavano che i convenuti, dopo aver acquistato un’unità immobiliare, creavano delle servitù sulla loro proprietà, trasformando una copertura in lamiera in un terrazzo che significava, secondo la loro versione, godere di un’ulteriore veduta e affaccio. In secondo grado, il giudice rigetta l’appello perché nessuna estensione e ampliamento della servitù sussisteva, dunque, non si era concretizzato alcun aggravamento. La sentenza della Corte territoriale è esente da censure in quanto il giudice ha correttamente applicato, al caso di specie, i principi di diritto affermati in materia. La Cassazione ricorda, a questo proposito, che «la possibilità di restare in maniera più comoda ad esercitare una veduta non costituisce aggravamento della servitù di veduta». Più di recente, con la sentenza n. 11938/202, è stato affermato dalla stessa Corte suprema che «non costituisce aggravamento della servitù di veduta, ai sensi dell’articolo 1067 Cc, la trasformazione di un precedente affaccio occasionale». Ai principi si è allineato il giudice del merito. Le motivazioni inducono il collegio al rigetto del ricorso dei proprietari.

Il Regolamento contrattuale può vietare il distacco dall’impianto centralizzato

Tribunale di Roma – sentenza 2272 del 07-02-2017
Il regolamento condominiale di natura contrattuale che, mentre non può derogare alle disposizioni richiamate dall’articolo 1138 ultimo comma Cc e non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, ben può, invece, derogare alle disposizioni legali non dichiarate inderogabili: ne consegue che mentre esso non può consentire la rinuncia all’uso dell’impianto centralizzato di riscaldamento laddove sia mirata all’esonero dall’obbligo del contributo per le spese di conservazione e manutenzione di detto impianto, ben può invece vietare la rinuncia all’uso ossia il distacco dell’impianto del singolo condomino da quello centralizzato, non essendo tale divieto in contrasto, anzi in sintonia, con la disciplina legale dell’uso della cosa comune, ancorché derogabile.

Non basta il regolamento votato all’unanimità per vietare di tenere qualsiasi tipo di animale in casa

Contrattuali le pattuizioni che limitano il diritto di proprietà, come il divieto di installare tende: serve la volontà di tutti i condomini e la firma è necessaria perché la restrizione è come una servitù

Il regolamento condominiale è approvato all’unanimità dall’assemblea ma non basta, ad esempio, a vietare di tenere qualsiasi tipo di animale negli appartamenti dell’edificio. Possibile? Sì, perché in tal caso ha natura contrattuale in quanto restringe il diritto di proprietà dei singoli. E dunque costituisce oneri reali su ciascun immobile: affinché le restrizioni siano valide serve la volontà di tutti i condomini a pattuire le limitazioni, con la sottoscrizione richiesta dall’articolo 1350 Cc. È quanto emerge dalla sentenza 2492/17, pubblicata dalla quarta sezione civile del tribunale di Napoli

Accolta l’opposizione del proprietario esclusivo: annullata la clausola “incriminata”. Di solito il regolamento di natura contrattuale è redatto dal costruttore dell’edificio e originario proprietario di tutti gli appartamenti che lo allega a ogni singola vendita oppure solo al primo atto richiamandolo nei successivi. Ma le limitazioni al diritto di proprietà ben possono essere stabilite da una successiva scrittura privata sottoscritta da tutti i condomini. Che ad esempio vieta di abbellire il terrazzo con le tende ma può porre anche restrizioni più forti proibendo di utilizzare l’immobile come sede di movimenti politici per evitare fastidi ai residenti. A rendere validi i “paletti” non è tuttavia sufficiente il voto favorevole di tutti i partecipanti all’assemblea, benché rappresentino tutti gli appartamenti: per ridurre la portata dei diritti reali, scrive il giudice, serve il consenso «unanime» dei partecipanti al condominio. E le «debite forme» indicate dalla legge portano a ritenere che un regolamento del genere debba essere firmato da tutti i condomini perché i divieti costituiscono oneri reali o servitù sugli immobili: viene quindi in rilievo la sottoscrizione prevista dall’articolo 1350 Cc. L’assemblea del condominio, d’altronde, non ha i poteri per decidere oltre i limiti ex articolo 1135 Cc.

Dunque nulla e non annullabile la delibera adottata dall’assemblea: lo stop è dunque rilevabile anche oltre i trenta giorni previsti per l’impugnazione. E la nullità può essere fatta valere anche dal condomino che ha votato a favore: può chiederla chiunque ne abbia interesse e il giudice ha facoltà di rilevarla d’ufficio ex articolo 1421 Cc. Al condominio non resta che pagare le spese di giudizio.

Valida la notifica degli atti al portiere anche senza delega

Sufficiente per chi riceve qualificarsi come incaricato

E’ valida la notifica degli atti processuali al portiere anche in assenza di una delega da parte del condominio. Basta che il ricevente si qualifichi come incaricato.

Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 28902 di oggi, ha accolto il ricorso di una condomina che aveva instaurato il giudizio per ottenere il risarcimento dei danni da infiltrazione dell’acqua.

Ma la donna non aveva ricevuto alcuna risposta. Il condominio aveva infatti opposto la nullità della notifica dell’atto in assenza di delega del portiere ricevente.

La tesi non ha retto di fronte ai giudici di legittimità che, ribaltando il verdetto di merito, hanno affermato che nell’ipotesi in cui il portiere di un condominio riceva la notifica della copia di un atto qualificandosi come “incaricato al ritiro”, senza alcun riferimento alle funzioni connesse all’incarico afferente al portierato, ricorre la presunzione legale della qualità dichiarata, la quale, per essere vinta, abbisogna di rigorosa prova contraria da parte del destinatario, in difetto della quale deve applicarsi il secondo comma (e non il quarto) dell’art. 139 cod. proc. civ.

In poche parole per la Cassazione il giudice d’appello ha errato nel ritenere la nullità della notificazione effettuata a mani del portiere del Condominio, ritenendo che per poterlo validamente ritenere quale “addetto alla ricezione” fosse necessaria la prova di un’apposita delega.