Assemblea di condominio. Avviso di convocazione tramite PEC

Un condomino, in qualità di proprietario di un appartamento sito nello stabile condominiale ha convenuto in giudizio lo stesso Condominio, in persona dell’amministratore pro tempore, impugnando, ex art. 1137 c.c., la delibera assunta dall’assemblea condominiale il 16.10.2016.

L’attore deduceva la nullità o annullabilità della suddetta deliberazione per omessa trasmissione al medesimo dell’avviso di convocazione relativo all’adunanza condominiale, in violazione dell’art. 1136, comma 6 c.c., avendo egli avuto conoscenza soltanto del verbale della medesima deliberazione soltanto attraverso la ricezione, in data 24.10.2016, del verbale assembleare pervenutogli a mezzo raccomandata A/R. Concludeva affinché la deliberazione impugnata venisse dichiarata nulla o annullata.

Costituendosi in giudizio, il condominio, attraverso l’amministratore, ha evidenziato di aver comunque dato comunicazione all’attore, tramite PEC – secondo prassi concordata dai condomini (incluso il condomino) – dell’avviso di convocazione relativo alla riunione assembleare in occasione della quale era stata assunta la deliberazione impugnata.

Per il corretto utilizzo della posta elettronica certificata da parte dell’amministratore è fondamentale la “certificazione” dell’invio e della ricezione, in quanto l’invio della pec implica la ricezione di due messaggi, e cioè una “ricevuta di accettazione” ed una “ricevuta di avvenuta consegna”.

In sostanza, con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna si perfeziona la notifica.

Sempre nulla la delibera che ripartisce le spese in parti uguali

Spetta, infatti, al giudice stabilire l’entità del contributo dovuto dal singolo condomino conformemente ai criteri di ripartizione derivanti dai valori delle singole quote di proprietà (Sentenza 21 febbraio 2018, n. 4259).

In fatto. Un condòmino che esercita la professione di avvocato, aveva svolto per conto del Suo Condominio un’attività processuale, al termine della quale aspettava il pagamento del compenso professionale maturato. Non essendo stato remunerato, decide allora di agire in giudizio. Chiede ed ottiene un Decreto ingiuntivo che notifica al Condominio.

Successivamente, l’assemblea dei condòmini decide di ripartire la spesa tra tutti i condòmini (compreso lui) in parti uguali, in assenza della tabella millesimale.

Il Condomino-avvocato non ci sta e impugna la delibera tacciandola di illegittimità sia per il criterio di ripartizione adottato sia perché, quale parte vittoriosa, ritiene non dovere partecipare alla contribuzione.

La vicenda perviene, dopo alterni esiti tra il primo e il secondo grado di giudizio, avanti alla Suprema Corte di Cassazione e qui decisa con il provvedimento sopra riportato.

Il provvedimento. Con riferimento ai criteri di ripartizione della spesa – così è stato precisato nella Sentenza – ogni qual volta vi sia una condanna giudiziale definitiva del condominio, in persona dell’amministratore, al pagamento di una somma di denaro in favore di un creditore della gestione condominiale, la ripartizione tra i condòmini degli oneri derivanti dalla condanna va fatta alla stregua dei criteri dettati dall’art. 1123 c.c., salvo diversa convenzione (argomentazione tratta dalla pronuncia resa sempre dalla Corte di Cassazione Sez. 2, 12/02/2001, n. 1959).

In buona sostanza, la mancanza di tabelle millesimali non giustifica l’assemblea ad adottare un criterio diverso da quello della proporzionalità.

In mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità, espressione dell’autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese condominiali generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123, comma primo, c.c., e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire secondo altro criterio le spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune.

Nel qual caso, spetterà al giudice stabilire l’entità del contributo dovuto dal singolo condomino conformemente ai criteri di ripartizione derivanti dai valori delle singole quote di proprietà (tra le tante pronunce richiamate: Cass. Sez. 2, 26/04/2013, n. 10081; Cass. Sez. 2, 30/07/1992, n. 9107).

La deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione in parti uguali degli oneri derivanti dalla condanna del condominio, in deroga all’art. 1123 c.c., è stata, dunque, ritenuta nulla (conformemente: Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233).

In conclusione, l’articolo 1123 codice civile non è derogabile nemmeno attraverso il ricorso ad una ripartizione in parti uguali, se non nel caso eccezionale in cui la relativa modifica sia stata disposta da tutti i condòmini all’unanimità.

La Cassazione si è espressa: parapetto e soletta dei balconi sono parti comuni se ricoprono una funzione prevalentemente estetica!

Il rivestimento dei parapetti e delle solette dei balconi sono parti comuni di un edificio in quanto contribuiscono a renderne esteticamente gradevole la facciata!

Con la sentenza n. 30071/2017 i giudici della Corte di Cassazione, confermando la decisione della Corte di Appello di Napoli, hanno chiarito che parapetto e soletta dei balconi, se svolgono una prevalente funzione estetica dell’edificio, rientrano nelle parti comuni definite dall’articolo 1117 del Codice civile.

Per orientamento consolidato della Corte, mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’ art. 1117 c.c., non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, né essendo destinati all’uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (Cassazione, Sez. II, sentenza n. 14576/2004; Cassazione, Sez. II, sentenza n. 6624/2012).