Condominio consumatore.

Il condominio è un consumatore? Sì, a certe condizioni. Al contratto concluso con il professionista dall’amministratore del condominio, ente di gestione sprovvisto di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applicano, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, le norme sulla tutela del consumatore, anche in assenza di una prevalenza, fra i condomini, di persone fisiche consumatori.

Questo, in sostanza, è quanto dice il Tribunale di Ravenna (sentenza 711 del 27 settembre 2017) sull’applicabilità del Codice del consumo (Dlgs 206/2005) ai contratti che coinvolgono il condominio: in altri termini, il tema affrontato è se il condominio sia qualificabile o meno come consumatore.

L’orientamento che si è finora delineato, sia di merito che di legittimità, ha valorizzato in via pressoché esclusiva l’assunto secondo il quale, essendo il condominio ente di gestione privo di personalità giuridica, «l’amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale» (Cassazione, sentenze 10679/2015 e 452/2005).

Conforme a questo principio anche il Tribunale di Milano, per il quale gli effetti dell’attività contrattuale compiuta dall’amministratore vanno sempre riferiti ai singoli condomini, essendo irrilevante che il contratto sia stato concluso dall’amministratore (sezione XI, sentenza del 21 luglio 2016).

La pronuncia del giudice ravennate ha affrontato l’analisi della composizione del condominio, valutando se fra i condòmini vi fosse compresenza di professionisti e di persone fisiche che agissero al di fuori di attività professionali e se sussistesse prevalenza dell’una o dell’altra categoria.

Nel caso concreto lo stabile era occupato integralmente da persone fisiche, salvo due unità occupate da professionisti (per 76/1000) e non era emersa alcuna prova del carattere professionale dei condòmini. Il giudice ha ritenuto quindi confermata la qualifica di consumatore al condominio ma, spingendosi oltre, ha affermato che non sarebbe comunque richiesto un rapporto di prevalenza di persone fisiche quali condòmini, ai fini dell’applicabilità della normativa consumeristica. Ciò, in quanto l’amministratore del condominio, nel momento in cui stipula contratti di utenza o manutenzione per conto dei condomini, agirebbe comunque per scopi estranei all’attività professionale degli stessi.

Però va valutato nel concreto se i condòmini siano consumatori o professionisti. Se infatti i contratti stipulati dall’amministratore vanno sempre riferiti ai singoli condòmini e non al condominio, occorre volta per volta valutare non se il condominio ma se i singoli condòmini siano o meno consumatori, distinguendo per esempio un condominio meramente residenziale da uno composto da soli professionisti. Nell’ipotesi di compresenza tra professionisti e consumatori, potrà stabilirsi, in base al criterio di prevalenza, come per i contratti misti, quale sia la normativa in concreto applicabile.

Di recente, la Corte di Giustizia Ue ha precisato come la nozione di consumatore debba essere interpretata «in maniera restrittiva, facendo riferimento alla posizione di tale persona in un determinato contratto, in relazione alla natura ed alla finalità di quest’ultimo, e non invece alla situazione soggettiva di quella stessa persona, potendo un medesimo soggetto essere considerato un consumatore nell’ambito di determinate operazioni ed un operatore economico nell’ambito di altre».

Necessario il Codice fiscale del Condominio

Per poter fruire della detrazione dall’Irpef del 50% delle spese sostenute per la manutenzione o ristrutturazione delle parti comuni occorre che ci sia sempre il codice fiscale del condominio e che le fatture siano a questo intestate. Un principio, quello espresso dall’agenzia delle Entrate con la risoluzione 74/E del 27 agosto 2015 , che nella sostanza ribadisce quanto detto nella circolare 11/E/2014 .

Cosa succede, in concreto, molte volte? Nei condomìni minimi, dove non c’è né amministratore né conto o codice fiscale condominiali, i proprietari, quando effettuano i lavori sulle parti comuni si fanno intestare le fatture “pro quota” per poi detrarne il 50% dall’Irpef. Ignorando però che il diritto a questa detrazione spetta solo se il codice fiscale viene indicato nei bonifici di pagamento dei lavori e nella dichiarazione dei redditi dei singoli condòmini quando usano il bonus fiscale. Alcuni più astuti, per aggirare il problema, si fanno indicare sulle fatture che i lavori sono su parti private.

Il caso affrontato dalle Entrate era stato sollevato proprio da un “interpello” fatto da alcuni contribuenti, tutti condòmini di un piccolo condominio, che volevano evitare di fare errori. Invece, come hanno risposto le Entrate, l’errore era stato fatto: avevano pagato regolarmente con bonifico, come prescritto, le fatture, che però erano a loro intestate per importi pro quota, e in più avevano indicato il loro codice fiscale e non quello del condominio. Date queste premesse, la detrazione non spetta. Il pagamento può anche essere fatto da uno o più condòmini ma fatture e codice fiscale devono essere del condominio.

L’agenzia, però, ha anche indicato un rimedio, valevole per chi ha commesso l’errore nel 2014: occorre anzitutto chiedere il codice fiscale del condominio all’Ufficio territoriale delle Entrate(con il modello AA5/6, sul sito dell’agenzia), poi pagare la sanzione perché il codice fiscale non era stato chiesto in tempo (103,29 euro con modello F24, codice tributo 8912). Infine, va inviata allo stesso ufficio una comunicazione in carta libera dove indicare per ciascun condomino: le generalità e il codice fiscale; i dati catastali delle rispettive unità immobiliari; i dati dei bonifici; la richiesta di considerare il condominio quale soggetto che ha effettuato gli interventi; le fatture emesse dalle ditte nei confronti dei singoli condòmini, da intendersi riferite al condominio. Ma non basta: la dichiarazione dei redditi (730 o Unico), in caso sia già stata presentata, va rifatta in integrazione.

Insomma, una seccatura che si sarebbe potuta evitare. E che insegna a chi abita nei condomìni minimi ad attrezzarsi richiedendo subito il codice fiscale.

Revoca dell’amministratore condominio e sulla mediazione obbligatoria

Chiarimenti della Cassazione, con l’ordinanza 18/01/2018 n° 1237

L’art. 5, comma 4, lett. f, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, è inequivoco nel disporre che il meccanismo della condizione di procedibilità non si applica nei procedimenti in camera di consiglio, essendo proprio il giudizio di revoca dell’amministratore di condominio un procedimento camerale plurilaterale tipico.

Si spiega, tuttavia, come il procedimento di revoca giudiziale dell’amministratore di condominio: 

1) riveste un carattere eccezionale ed urgente, oltre che sostitutivo della volontà assembleare;

2) è ispirato dall’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore;

3) è perciò improntato a celerità, informalità ed ufficiosità;

4) non riveste, tuttavia, alcuna efficacia decisoria e lascia salva al mandatario revocato la facoltà di chiedere la tutela giurisdizionale del diritto provvisoriamente inciso, facendo valere le sue ragioni attraverso un processo a cognizione piena (pur non ponendosi questo come un riesame del decreto).

Pertanto, il decreto con cui la Corte d’Appello in sede di reclamo su provvedimento di revoca dell’amministratore di condominio, dichiari improcedibile la domanda per il mancato esperimento del procedimento di mediazione  comunque non costituisce “sentenza”. Essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi.

Pertanto, non pregiudica il diritto del condomino ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, nè il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico. Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato.

Detrazioni per ecobonus e lavori di ristrutturazione.

Devono essere rimborsati all’erario i bonus fiscali, detratti indebitamente, in dichiarazione dei redditi.

Con l’avvio delle dichiarazioni dei redditi, i contribuenti che hanno diritto alle detrazioni fiscali per l’edilizia (quali bonus ristrutturazioni, ecobonus, sismabonus) stanno controllando bonifici, certificazioni dell’amministratore, dati della precompilata ecc. Tali detrazioni, come è noto, spettano per le spese sostenute ed effettivamente rimaste a carico. Pertanto, se il singolo contribuente o il condominio hanno ricevuto contributi o sovvenzioni per l’esecuzione degli interventi (si pensi al rimborso o contributo erogato da un Comune in caso di calamità), la detrazione va calcolata sulla parte della spesa al netto del contributo o sovvenzione (Circ. n. 57 del 24.2.98; Circ. n. 121 del 11.5.98, nonché le recenti f.a.q. rese note dall’Agenzia delle Entrate con riguardo alla presentazione della comunicazione dell’amministratore di condominio con scadenza al 28 febbraio).

Peraltro, in altra circostanza – si veda il Sole24Ore del 17 aprile 2018 -, abbiamo espresso il parere per cui, se il rimborso deriva da assicurazione condominiale, i cui premi non sono deducibili per i condòmini, la spesa si considera effettivamente rimasta a carico e non subisce decurtazioni.

Le suddette circolari precisano che, qualora i contributi da terzi siano erogati in un periodo d’imposta successivo a quello in cui il contribuente fruisce della detrazione, si applica l’art. 17 (allora era l’art. 16), comma 1, lettera n-bis), del Tuir, che prevede l’assoggettamento a tassazione separata delle somme conseguite a titolo di rimborso di oneri per i quali si è fruito della detrazione in periodi d’imposta precedenti.

Pertanto il contribuente dovrà compilare il quadro RM sez. III (se presenta il Modello Redditi) ovvero il quadro D – Altri redditi – Redditi soggetti a tassazione separata (se presenta il Modello 730). Deve essere indicato, tra l’altro, l’anno di sostenimento della spesa (per verificare il numero delle rate, rispetto alle 5 o 10 rate annuali, in cui si è fruito della detrazione in misura superiore a quella spettante); deve inoltre essere riportato l’importo della somma rimborsata e non quello della detrazione goduta.

Le istruzioni al modello 730 riportano – salvo un piccolo refuso – il seguente esempio: se la spesa è stata sostenuta nel 2012 per 20.000,00 euro di cui 5.000,00 euro sono stati oggetto di rimborso nel 2017 e si è applicata la rateizzazione in dieci rate, la somma da indicare è data dal risultato della seguente operazione:

5.000 euro (somma rimborsata) diviso 10 (numero di rate annuali in cui è ripartita la detrazione) moltiplicato per 5 (numero di rate già detratte nel 2012, 2013, 2014, 2015 e 2016) = 2.500 euro. Per le restanti cinque rate il contribuente indicherà, a partire dalla “presente” dichiarazione (per il 2017), la spesa inizialmente sostenuta ridotta degli oneri rimborsati (nell’esempio 20.000 – 5.000 = 15.000 euro) e calcolerà la rata su tale importo.

In altri termini deve essere assoggettato a tassazione separata (o ordinaria, su opzione: si veda oltre) il maggior importo sul quale è stata calcolata la detrazione (2.500 euro), fermo restando che dalla rata relativa al 2017, la quota di detrazione sarà calcolata come se si fosse effettuato il conteggio corretto sin dal primo anno.

In relazione alle somme da assoggettare a tassazione separata infine il contribuente deve effettuare il versamento di un acconto nella misura del 20 per cento (art. 1, D.L. 31 dicembre 1996, n. 669) in sede di autoliquidazione delle imposte (insieme ad Irpef, addizionali, cedolare ecc.); in caso di assistenza fiscale la somma è trattenuta dal sostituto d’imposta. L’ufficio procederà quindi alla liquidazione delle imposte dovute in base ai criteri di tassazione separata, indicati nell’art. 21 del Tuir.

Si ricorda infine, per completezza, che il contribuente – per i redditi e le somme non conseguiti nell’esercizio di impresa commerciale – può optare per la tassazione ordinaria, in luogo della tassazione separata, barrando l’apposita casella nei citati quadri RM o D della dichiarazione dei redditi.