Secondo alcuni giudici è possibile sospendere il servizio idrico ai morosi

l nuovo art. 63 disp. att. c.c. permette all’amministratore di condominio, in via di autotutela e senza necessità di ricorrere previamente al giudice, di sospendere dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato il condomino moroso nel pagamento dei contributi condominiali per più di un semestre

Questo potere è da intendersi come un potere-dovere dell’amministratore: il relativo esercizio è legittimo ove la sospensione sia effettuata intervenendo esclusivamente sulle parti comuni dell’impianto, senza incidere sulle parti di proprietà esclusiva del condomino moroso.

Secondo il Tribunale di Modena, sentenza 5 giugno 2015, non merita accoglimento il ricorso d’urgenza presentato dal condomino per ottenere l’immediato ripristino dell’erogazione della fornitura d’acqua: il ricorso ex art. 700 c.p.c. deve essere rigettato, in quanto da ritenersi inammissibile

Il giudice sottolinea che il potere del condominio di sospensione della rete idrica rientra appieno nel potere-dovere riconosciuto dalla legge all’amministratore a seguito delle modifiche legislative intervenute: laddove si protragga la morosità del condomino per almeno sei mesi, l’amministratore procede autonomamente, senza alcuna autorizzazione giudiziale, alla sospensione della fruizione dei servizi comuni di cui è concesso il separato godimento.

Nel caso di specie, il ricorrente sarebbe anche stato privo di legittimazione attiva, in quanto occupava l’immobile senza titolo: a seguito di atto di pignoramento, l’uomo ne avrebbe perso il possesso anche per quanto riguarda le relative pertinenze e servizi. Il condomino così esecutato è un semplice custode dell’immobile del quale ha mantenuto la detenzione, immobile di cui è stata anche disposta la vendita forzata, con delega a professionista incaricato, a seguito della quale il debitore ha perso anche la detenzione dell’immobile di sua proprietà che spetta al custode nominato dal GdE.

Il Tribunale di Bologna con l’ordinanza del 3 aprile 2018, ha aderito all’orientamento giurisprudenziale che non ritiene «intangibili» i servizi di acqua e gas a fronte di una perdurante morosità del condomino: non si considera accettabile il generico riferimento all’articolo art. 32 della Costituzione («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ») operato da chi propende per l’opposta tesi, dato che nel nostro ordinamento non sussisterebbe un obbligo per i condòmini in regola con i pagamenti di assumersi personalmente, a fini solidaristici, l’obbligazione dei condòmini morosi. Ciò in quanto, alla luce del diritto alla salute, verrebbero sacrificati i diritti dei condòmini in regola con i pagamenti che, di fatto, resterebbero gravati di un obbligo di «solidarietà coattiva»

La vicenda del Tribunale di Bologna ha inizio con ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. sulla cui base veniva domandata al giudice l’autorizzazione alla sospensione dei servizi di riscaldamento, di acqua calda e fredda e al distacco dell’antenna televisiva centralizzata, in danno di un condòmino in ragione della sua conclamata e ingente morosità. Dopo un primo rigetto del ricorso d’urgenza, il Tribunale di Bologna ha ritenuto che si fosse in presenza dei requisiti previsti dall’articolo 63 disp. Att. c.c. la conclamata morosità del condomino per più di un semestre e l’esistenza di servizi in condominio suscettibili di godimento separato.

Si ricorda che, con specifico riferimento alla fornitura idrica, il Dpcm del 29 agosto 2016 è normativa posta a tutela degli utenti morosi, ai quali, una volta dimostrato lo «stato di disagio economico-sociale», deve essere comunque garantito un quantitativo minimo di erogazione del “bene acqua”.

Il Tribunale di Bologna del 3 aprile 2018 riteneva che mancava la prova dello stato di bisogno in cui si sarebbe trovato il condòmino, mentre per ciò che concerne il servizio di antenna centralizzato non ci sono dubbi sul fatto che lo stesso non rappresenti un servizio essenziale. Conseguentemente, in accoglimento del reclamo, il Tribunale ha autorizzato il condominio a sospendere i servizi di riscaldamento e acqua, nonché al distacco dell’antenna televisiva centralizzata in danno del proprietario dell’appartamento in condominio

Infiltrazioni, la colpa è sempre del giardino

Il condominio, proprietario del giardino, risponde delle infiltrazioni subite dal seminterrato del vicino anche se il muro di confine non è stato sufficientemente impermeabilizzato. Irrilevante il comportamento del danneggiato sia in ordine alle modalità costruttive che per la mancata manutenzione. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza del 27 luglio 2018, n. 15730 .

La vicenda nasce dalle lamentele di un confinante che subisce delle infiltrazioni provenienti dal giardino del condominio vicino. Le parti si rimpallano la responsabilità. Secondo il danneggiato, le infiltrazioni sarebbero addebitabili esclusivamente al condominio proprietario del giardino aderente al muro. Il condominio rifiuta ogni addebito in quanto la responsabilità sarebbe dello stesso danneggiato per un duplice motivo: non solo, nel realizzare il muro, non avrebbe provveduto ad una sufficiente impermeabilizzazione dello stesso, ma avrebbe omesso le necessarie opere di manutenzione. Non trovando una soluzione bonaria, la questione finisce nelle aule di giustizia.

Secondo il consulente tecnico d’ufficio (Ctu) l’umidità deriverebbe dal giardino realizzato dal condominio, dotato, tra l’altro, di un impianto di irrigazione. Le infiltrazioni sarebbero imputabili alla mancata impermeabilizzazione delle pareti controterra ed al decorso del tempo che avrebbe determinato il progressivo cedimento dell’intonaco e l’imbibimento delle murature.

Stabilita la causa del danno, sorge un dilemma: di chi è la responsabilità? Del proprietario del muro che ha mancato nel realizzare l’impermeabilizzazione delle pareti controterra e nell’effettuare le necessarie opere di manutenzione o del condominio proprietario del giardino?

I giudici di merito (confermato dalla Cassazione), richiamando l’articolo 2051 del Codice civile, che disciplina la responsabilità delle cose in custodia, sanciscono la responsabilità del possessore del giardino (quindi del condominio) individuato come fonte delle infiltrazioni. Poiché la responsabilità per i danni da cose in custodia ha carattere oggettivo, al danneggiato basta dimostrare il danno subito e il rapporto di causalità con il bene in custodia mentre il proprietario della cosa può evitare la responsabilità solo dimostrando il caso fortuito. Ma dato che il Ctu aveva già dimostrato l’esistenza del danno e la causa (le infiltrazioni provenienti dal giardino condominiale), il condominio non ha avuto scampo in quanto proprietario del terreno.

E, trattandosi di responsabilità oggettiva, anche la circostanza che il condominio fosse all’oscuro delle modalità costruttive del muro confinante, diventa un fatto irrilevante.

Secondo la Corte d’appello poi (e la Cassazione conferma) il condominio, nel momento in cui ha piantumato in prossimità del muro preesistente, avrebbe dovuto farsi carico della sua impermeabilizzazione.

Irregolarità contabili, pagano i danni gli amministratori incompetenti

Gli amministratori incompetenti pagano la differenza derivante dal disordine contabile e oltre i danni. Lo ha deciso il Tribunale di Roma (sentenza 13061/2018 in relazione alla vicenda di un condominio romano dove si erano avvicendati due amministratori, uno dal 2002 al 2010 e l’altro dal 2011 al 2012. Alla fine del loro incarico, la situazione contabile risulta talmente confusa che l’assemblea dei condòmini non solo si trova nell’impossibilità di approvare l’ultimo rendiconto, ma è anche costretta a costituire un fondo straordinario di circa 120mila euro per poter far fronte alle numerose richieste dei fornitori, sebbene le morosità fossero minime.

L’assemblea decide però di non farla passare liscia ai due e dà così mandato al nuovo amministratore di citarli entrambi in giudizio per farli condannare al risarcimento del danno da inadempimento al mandato.

Il Tribunale di Roma “bastona” pesantemente i due amministratori incompetenti e li condanna a versare al condominio sia gli importi che si erano indebitamente trattenuti (accertati dal consulente nominato dal giudice) sia l’ulteriore cifra di 5 mila euro a carico di ciascuno (in via equitativa) per il risarcimento del danno patrimoniale subìto dal condominio per le spese affrontate dai condòmini e riconducibili alle lacune dei bilanci, alla mancata tenuta delle scritture contabili previste dalla legge e alla confusione dei patrimoni fra mandante e mandatario.

In particolare, il Tribunale di Roma ha ribadito che l’amministratore-mandatario, come stabilito dall’articolo 1713 del Codice civile, ha l’obbligo di rimettere al condominio-mandante tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato, comprese le somme di danaro appartenenti a quest’ultimo e ricevute nel corso del mandato.