Durante il passaggio di consegne emerge l’appropriazione indebita condominiale

Il passaggio di consegne è procedura molto delicata poiché l’amministratore uscente non solo deve consegnare la cassa, ma anche tutta la contabilità, comprensiva dei preventivi e dei consuntivi , del conto economico contenente i pagamenti effettuati e quelli da eseguire , la documentazione tecnica degli impianti e dei dipendenti del condominio.

Tutti i predetti documenti sono fondamentali per consentire il subentro e l’attività della nuova amministrazione e la consegna degli stessi è un preciso dovere dell’amministratore cessato. Il nuovo amministratore , di fronte al rifiuto del collega, può , autorizzato dall’assemblea, richiedere al giudice un provvedimento di urgenza e presentare al pubblico ministero una querela per il reato di appropriazione indebita aggravata . L’elemento oggettivo del reato può contemplare anche l’indebita percezione di somme del condominio da parte del cassato amministratore .

È il caso trattato dalla Corte di Cassazione (sent. n. 26599/2019) la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore di condominio nei confronti di una sentenza che lo aveva condannato, per il reato di appropriazione indebita aggravata dall’abuso di prestazione d’opera, in relazione ad una somma prelevata dal conto corrente intestato al condominio .

L’amministratore contestava la consulenza tecnica del consulente del pubblico ministero la quale, a suo dire, non forniva la prova che i prelievi effettuati dal ricorrente dal conto corrente del condominio fossero indebiti, poichè non era possibile risalire alla loro causale per difetto di una documentazione esplicativa. La Corte di Cassazione valorizzava quanto accertato dal giudice di appello che , sulla base della predetta consulenza, accertava la mancanza di causale per i prelievi del ricorrente pari ad euro 5.800,00 , non avendo fornito al suo successore nell’amministrazione alcuna giustificazione documentale , neppure fornita nel corso del giudizio. Inoltre la data di decorrenza del reato è quella al momento della dismissione dalla carica, quando il ricorrente non restituiva al condominio quanto da lui indebitamente prelevato. Inoltre il reato di appropriazione indebita è istantaneo e si consuma con la prima condotta appropriativa , ovvero quando l’agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria. A tal fine la Corte di Cassazione richiama il precedente giurisprudenziale (sent. n. 40870/2017) il quale ritiene consumato il delitto di appropriazione indebita delle somme relative al condominio , introitate a seguito di rendiconti , da parte di colui che ne era stato l’amministratore , all’atto della cassazione della carica , momento in cui , in mancanza di restituzione delle somme ricevute nel corso della gestione , si verifica con certezza l’interversione del possesso.

Bonus fiscali sui lavori edilizi: sette vie per cedere il credito

L’approvazione definitiva del decreto crescita ha aggiunto dal 30 giugno 2019 la possibilità di cedere ai «fornitori dei beni e servizi» (anche non alla pari) il credito d’imposta relativo alla detrazione sui lavori per il risparmio energetico «non qualificato» dell’articolo 16-bis, comma 1, lettera h) del Tuir.

Inoltre, per tutti gli interventi antisismici e di risparmio energetico «qualificato», ha introdotto dal 1° maggio 2019 la possibilità per il fornitore di scontare il prezzo dell’intervento per un importo «pari» alla detrazione spettante al contribuente, previo recupero in compensazione in F24 del corrispondente credito.

In questa maniera, sono state agevolate anche le misure antisismiche detraibili al 50-70-80% dell’articolo 16, commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, Dl 63/2013, che sono rimaste escluse dalle cessioni dei crediti.

Regole stratificate

Per ogni tipologia di interventi, c’è una norma per la detrazione e una per la cessione o lo sconto. Inoltre, ogni agevolazione e ogni trasferimento del credito hanno percentuali e condizioni oggettive e soggettive differenti. Per fare chiarezza, quindi, si riporta qui sotto una tabella riassuntiva, con alcune delle differenze. Il legislatore avrebbe potuto riassumere tutto ciò in due semplici articoli, uno per i bonus e l’altro per le cessioni e/o gli sconti. Invece, ha introdotto di anno in anno i bonus e o relativi trasferimenti, creando molta confusione, in una tematica fiscale, peraltro, rivolta soprattutto alle persone fisiche.

Come si nota nella tabella , di tutti i bonus sull’edilizia, non sono ancora trasferibili a terzi solo quelli detraibili dall’Irpef al 50% per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, quelli del 50% per il bonus mobili e grandi elettrodomestici e quelli del 36% per il bonus giardini.

Le modalità di cessione

Se la cessione del credito d’imposta viene effettuata al fornitore che ha effettuato i lavori, il punto 3.4 del provvedimento 18 aprile 2019, prot. 100372, applicabile alle cessioni dei crediti generati dagli interventi sul risparmio energetico «qualificato» sulle singole unità immobiliari, ha specificato che la fattura emessa dal fornitore deve essere «comprensiva dell’importo relativo alla detrazione ceduta sotto forma di credito d’imposta».

Questa precisazione è simile a quella già contenuta nel punto 3.4 dei provvedimenti 8 giugno 2017, prot. 108572 (sulle misure antisismiche, detraibili al 75% o 85%, dell’articolo 16, comma 1-quinquies, decreto legge 4 giugno 2013, n. 63) 28 agosto 2017, prot. 165110 (sul risparmio energetico «qualificato» sulle parti comuni condominiali) e sembra voler consentire che il bonifico “parlante” del contribuente al fornitore possa essere per un importo al netto del prezzo della cessione, presumendo quindi una compensazione parziale tra il debito del contribuente verso il fornitore (pari al totale della fattura) e il prezzo della cessione del credito.

I chiarimenti delle Entrate

La conferma è arrivata dall’agenzia delle Entrate, con la risposta relativa alle cessioni dei crediti per le parti comuni condominiali, ma applicabile per analogia anche alle cessioni di quelli sulle singole unità immobiliari, considerando la similitudine tra i punti 3.4 dei rispettivi provvedimenti attuativi, quello del 28 agosto 2017, prot. 165110 e quello del 18 aprile 2019, prot. 100372.

In particolare, è stato chiarito che «il pagamento della quota eccedente quella corrispondente al credito ceduto è effettuato, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera d) del decreto interministeriale 19 febbraio 2007, dall’amministratore del condominio o da un condomino incaricato, mediante bonifico bancario o postale dal quale risulti la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione ed il numero di partita Iva ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato»: cioè mediante un bonifico “parlante”.

Riducendo l’importo del bonifico parlante, anche la ritenuta d’acconto dell’8% trattenuta dalle banche sarà di importo minore. La fattura del fornitore, invece, sarà sempre pari al 100% del costo dell’intervento e su questo importo verrà calcolata la relativa Iva. Il bonifico al netto del prezzo, comunque, è solo una possibilità e non un obbligo, quindi, il contribuente poteva pagare il bonifico parlante per il totale della fattura, ricevendo invece il pagamento del prezzo di cessione dal fornitore.

Quando ci sono più fornitori

Se all’intervento hanno partecipato diversi fornitori, la detrazione che può essere oggetto di cessione è commisurata all’importo complessivo delle spese sostenute nel periodo d’imposta nei confronti di ciascun fornitore, quindi, è possibile scegliere di cedere solo la detrazione generata dai pagamenti effettuati solo a uno di essi e non quella generata anche dai pagamenti effettuati agli altri.

Ad esempio, in presenza di due fornitori è possibile anche cedere solo il credito corrispondente alla detrazione spettante per le spese sostenute nei confronti di uno dei due fornitori disposto ad acquisire il predetto credito (risposta 3 delle Entrate a «Dichiarazioni24» del 31 maggio 2019).

Si può pignorare il conto corrente del condominio?

La pignorabilità del conto corrente condominiale è stata ed è fonte di accesa discussione.

I Giudici che da ultimo si sono espressi su questo argomento paiono essere favorevoli all’esecuzione coatta. Il filone di pensiero che ritiene questa operazione possibile basa le sue osservazioni sul fatto che il condominio, pur essendo un ente di gestione senza personalità giuridica ha comunque una sorta di sua soggettività giuridica distinta, già anche solo in ambito di gestione del denaro.

Su questa base si ritiene che vi sia una separazione tra i patrimoni dei singoli condomini e il patrimonio affidato all’amministratore, concludendo per la legittimità del pignoramento di quanto risulta sul conto condominiale, a garanzia dei terzi creditori del condominio.

Nella gestione di questo conto, il condominio si qualifica come centro autonomo di imputazione di posizioni giuridiche.

In pratica vi è un vincolo di destinazione che, al pari delle parti comuni dell’edificio, determina la rottura del legame giuridico tra singoli condomini e Condominio.

Le somme versate formerebbero un “patrimonio condominiale” aggredibile dai creditori del condominio ex art. 2740 c.c. (Trib. Reggio Emilia, ordinanza 16 maggio 2017; Trib. Milano, ordinanza 27 maggio 2014; Trib. Ascoli Piceno, ordinanza 26 novembre 2015).

Chi esclude la pignorabilità del conto condominiale basa il suo ragionamento sul beneficio di escussione a favore dei condomini in regola con i pagamenti.

L’art. 63 disp. att. c.c., al secondo comma, prevede che “i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”.

Questa disposizione sembra incompatibile con la possibilità di pignorare il saldo presente sul conto corrente condominiale. La norma infatti obbliga il creditore ad escutere, in via preventiva, i condomini morosi (cioè non in regola con i pagamenti degli oneri condominiali, mentre, nell’ipotesi di pignoramento diretto del conto condominiale verrebbero pignorate le somme versate dai condomini “virtuosi”, contravvenendo alla norma).

In realtà, si ritiene che questa norma non esclude che i creditori, prim’ancora di agire contro i morosi, possano provare a soddisfare le proprie pretese creditorie direttamente contro il Condominio, il quale è soggetto diverso rispetto ai condomini diligenti e a quelli morosi.

Così ragionando, l’art. 63 disp. Att. C.c. riguarderebbe solo i rapporti tra i condomini, mentre l’apertura del conto corrente formerebbe una terza entità giuridica che garantisce con il proprio patrimonio (l’attivo presente sul conto corrente condominiale) i terzi creditori (Trib. Milano, 21 novembre 2017).

Di recente, il Tribunale di Teramo, in data 18 aprile 2019 ha evidenziato che il beneficio di escussione ex art. 63 disp. att c.c. contrasta decisamente la pignorabilità del conto condominiale.

Nomina dell’amministratore

Per la nomina dell’amministratore è necessaria la maggioranza qualificata

L’art. 1136 Cc rappresenta la norma cardine in materia di costituzione e validità dell’assemblea ed opera una prima distinzione a seconda che si tratti di prima o seconda convocazione ed una ulteriore differenziazione in relazione all’oggetto della delibera.

Pertanto, ai fini costitutivi dell’assemblea viene stabilito come la stessa in prima convocazione risulta regolarmente formata con l’intervento di tanti condòmini che rappresentino i due terzi del valore dell’intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio, mentre per quanto concerne la validità delle deliberazioni, le stesse devono essere approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Viceversa, l’assemblea in seconda convocazione risulta regolarmente costituita con l’intervento di tanti condòmini che rappresentino almeno un terzo del valore dell’intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio, mentre le deliberazioni risulteranno valide qualora approvate dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio.

Per quanto concerne le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell’amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore medesimo, le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità e le deliberazioni che incidono sulle destinazioni d’uso, alcune innovazioni, quelle sugli impianti di videosorveglianza, devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma del presente articolo.

A seguito della riforma apprestata dalla L. 220/2012 si è accesso un dibattito dottrinale in relazione alla maggioranza necessaria per la nomina dell’amministratore in seconda convocazione, laddove alcuni autori hanno sostenuto che con la predetta riforma il legislatore abbia inteso abbassare il quorum per la nomina, risultando bastevole – come per le altre comuni deliberazioni adottate in seconda convocazione – il 50% degli intervenuti ed un numero di voti pari ad 1/3 del valore dell’edificio.

Altra parte della dottrina ha invece ritenuto che per la nomina dell’amministratore, a prescindere se effettuata in prima o seconda convocazione, sarebbe sempre richiesta la maggioranza qualificata, vale a dire la metà più uno degli intervenuti e il 50% del valore dell’edificio.

Il Tribunale di Roma, V Sez. civile, nella sentenza pubblicata in data 3 Luglio 2019, afferma che è valida la tesi sopra esposta, ovvero, riguardo il quorum per la nomina dell’amministratore, osserva come in effetti « non è stato raggiunto il quorum di cui al secondo comma dell’art. 1136 cc previsto per delibere aventi ad oggetto la nomina dell’amministratore, ed in particolare non risulta raggiunta una maggioranza che abbia rappresentato almeno la metà del valore dell’edificio, ovvero i 500 millesimi.

Condominio: diritto visione documenti e nullità nomina dell’amministratore

La limitazione posta dall’assemblea alla visione della documentazione contabile comporta la violazione di legge della delibera restrittiva del diritto del condomino

A seguito della riforma del condominio (L. 220/2012) il legislatore, con la modifica delle disposizioni del Libro III (Della proprietà), Titolo VII (Della comunione), Capo II (Del condominio negli edifici), artt. 1117 – 1139 del codice civile e degli artt. 61 – 72 disp. att. Cc, ha espressamente previsto una serie di documenti che il condominio e, per esso, l’amministratore, è tenuto a redigere o conservare a disposizione della compagine condominiale.

Lo stesso, peraltro, è tenuto a comunicare, all’atto della nomina ovvero della conferma, i locali dove sono custoditi i registri condominiali obbligatori e, in particolare, con la riformulazione dell’art. 1130, n. 6) e 7), Cc, il registro di anagrafe condominiale, quello dei verbali delle assemblee, di nomina e revoca dell’amministratore e del registro di contabilità, nel quale è compreso l’estratto conto del C/C condominiale.

Tale obbligo di conservazione delle scritture e dei documenti giustificativi vige per dieci anni dalla data della relativa registrazione e l’amministratore, all’atto della cessazione dell’incarico, è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente il condominio ed i singoli condòmini.

Il diritto di visione dei documenti e di estrazione di copia

La vicenda giudiziaria

La giurisprudenza in materia

Il diritto di visione dei documenti e di estrazione di copia

La riforma del condominio è improntata alla massima trasparenza nella gestione condominiale e nei rapporti tra amministratore e condòmini, e ciò è emerso chiaramente fin dai lavori preparatori al progetto di legge di riforma del condominio e, in particolare, dal dossier (GI0507) predisposto dal Servizio Studi del Dipartimento Giustizia, laddove è dato leggere come la nuova disposizione (l’art. 1130 bis Cc, aggiunto dall’art. 11 della L. 220/2012) “mira ad assicurare maggiore trasparenza nella gestione contabile dell’amministratore”.

Conseguentemente, è stato previsto che l’amministratore è tenuto a fornire al condomino che ne faccia richiesta l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso.

Pertanto, con la riforma dell’art. 1129 Cc, il legislatore ha garantito un vero e proprio diritto di acceso e visione del singolo condomino ai “documenti” condominiali, anche con facoltà di estrarne copia.

Ecco che allora i condòmini hanno diritto, a semplice richiesta, ad ottenere la documentazione richiesta, tanto è vero che, ai sensi del predetto art. 1129, II co., Cc – norma espressamente ritenuta inderogabile dall’art. 1138 Cc – l’amministratore, deve indicare i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata.

Il libero accesso alla documentazione condominiale non può essere affatto precluso ovvero enormemente compresso da una delibera assembleare, in ragione del fatto che gli unici limiti cui è soggetto il potere di vigilanza e controllo di ogni singolo condomino, di stretta elaborazione giurisprudenziale, è quello per cui il diritto di accesso non può mai risolversi in un intralcio per l’amministrazione ovvero che le richieste di visione o copia dei documenti devono essere conformi con il principio della correttezza ex art. 1175 Cc (Cass. n. 12579/2017; Cass. n. 19799/2014).

A tal proposito, infatti, escluso l’obbligo di depositare integralmente la documentazione giustificativa del bilancio negli edifici, l’amministratore, tuttavia, “è tenuto a permettere ai condòmini che ne facciano richiesta di prendere visione ed estrarre copia, a loro spese, della documentazione contabile …” (Cass. n. 16677/2018).

Ciò è confermato anche dal chiaro disposto dell’art. 1130 bis Cc, laddove viene espressamente sancito che “i condomini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese.”.

Orbene, dalle norme richiamate, nonché dalla giurisprudenza in materia, emerge un vero e proprio diritto di accesso del condominio alla documentazione condominiale, tanto è vero che è stata ritenuta nulla la delibera di approvazione del bilancio atteso il rifiuto dell’amministratore di mostrare i documenti contabili (Trib. di Roma, 26.10.2015. Nello stesso senso: Cass. n. 19210/2011).

Di recente, sul punto, è nuovamente intervenuta la giurisprudenza di merito, in particolare, il Tribunale di Civitavecchia, con la sentenza n. 715/2019, pubblicata in data 23 Maggio 2019.

Condominio: il cortile sopra i box non è lastrico solare

La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere sull’applicabilità degli artt. 1123 e 1126 cod.civ. a seguito del giudizio originariamente intrapreso da un condòmino il quale, dopo aver ricevuto danni da fenomeni di infiltrazione ai suoi box sottostanti il cortile condominiale, aveva intrapreso il giudizio risarcitorio.

Nella vicenda processuale, il condominio – ritualmente costituitosi – aveva ritenuto l’area cortilizia assimilabile al lastrico solare, e pertanto aveva reclamato il pagamento dei lavori di ripristino in capo a tutti i proprietari, con le proporzioni richiamate dall’art. 1126 cod.civ.

La differenza è ben marcata e la S.C. lascia chiaramente intendere che – al riguardo – vi è una sola spiegazione.

l cortile è certamente cosa comune, e pertanto – indipendentemente dalla sua funzione di copertura ai box – obbliga tutti i condòmini a mantenerlo in buono stato con l’attribuzione dei relativi costi per millesimi di proprietà.

La superficie del lastrico solare con uso o proprietà esclusiva secondo l’art. 1126 cod.civ., invece, pur coprendo gli immobili sottostanti non offre la piena godibilità a tutti i comproprietari ed è perciò soggetta, per il suo ripristino, a un diverso criterio di addebito delle necessarie somme.

Del resto, già in passato, a fronte dell’usura della pavimentazione cortilizia dovuta all’utilizzo di tutta la collettività condominiale, si era richiamata l’esclusiva applicabilità dell’art. 1125 cod.civ. (Cass. 18194/2005), smentendo la posizione di quanti – ancora oggi – ritengono erroneamente che i costi per le coperture, qualsiasi esse siano, debbano riportarsi al dettame di cui all’art. 1126 cod.civ.

La decisione. La sentenza n. 14511/2019 resa nei giorni scorsi dalla Cassazione respinge dunque definitivamente il particolare principio – ancora oggi molto diffuso – in base al quale un condòmino danneggiato non ritiene di dover pagare alcunchè per il ripristino della cosa comune che ha prodotto il danneggiamento stesso.

La stessa pronuncia, inoltre, chiarisce che l’area del cortile non è in alcun modo assimilabile al lastrico solare, e ciò a causa della sostanziale differenza nel godimento della res da parte di tutti i comproprietari costituiti in condominio.

Per le spese pregresse di acqua e riscaldamento emerse dopo la compravendita risponde l’acquirente o il venditore?

Nel caso di compravendita di un immobile ubicato in condomino, è nulla la delibera che attribuisca al nuovo proprietario gli oneri relativi ai consumi pregressi. Di tali spese risponde il venditore. È parimenti nulla la delibera che ripartisca le suddette spese in base ai millesimi e non all’uso (Tribunale di Treviso 18 ottobre 2016).

Per quanto concerne poi le spese straordinarie deliberate prima della vendita di una unità immobiliare, sorge la questione su chi le dovrebbe pagare.

Il Tribunale di Mantova attraverso una sentenza ha effettuato un’articolata ricostruzione dei criteri che governano la riscossione dei contributi condominiali, ed aderendo ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha osservato che l’obbligo di contribuire alle spese comuni grava sul soggetto proprietario dell’immobile al momento dell’esecuzione dei lavori indipendentemente da chi fosse il proprietario al momento dell’adozione della delibera preparatoria che approva l’opera (Cass. 26.1.2000 n. 857; Cass.18.4.2003 n. 6223; Cass. 9.9.2008 n. 23345; Cass. 9.11.2009 n. 23686).

Un ulteriore contributo chiarificatore per stabilire il soggetto su cui grava l’onere di contribuire alle spese condominiali è stato fornito, nel corso degli ultimi anni, sempre dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale assume rilevanza anche la natura delle spese necessarie per la manutenzione delle parti comuni dell’edificio.

Infatti stando alle pronunce più recenti occorrerebbe fare distinzione fra spese ordinarie necessarie per la manutenzione, conservazione e godimento delle parti e dei servizi comuni, e spese straordinarie che comportino, ad esempio, un’innovazione oppure un onere particolarmente rilevante.

Per quanto riguarda le spese ordinarie l’obbligazione sorge al momento del compimento dell’intervento ritenuto necessario dall’amministratore, a prescindere dal momento in cui è stata adottata la delibera assembleare.

Mentre per le spese straordinarie solo la deliberazione dell’assemblea, chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell’intervento, assumerebbe altresì valore costitutivo della relativa obbligazione in capo a ciascun condomino. (Cass., 3 dicembre 2010, n. 24654; Cass., 11 novembre 2011, n. 23682; Cass., 2 maggio 2013, n. 10235)

In base a tale ragionamento non vi è alcun dubbio, quindi, che se occorre stabilire chi è il soggetto sul quale grava l’onere di partecipare alle spese straordinarie (venditore o acquirente) bisogna verificare chi è il proprietario al momento dell’adozione della delibera assembleare definitiva che conferisce l’incarico anche all’impresa appaltatrice che eseguirà i lavori.

Tanto è bastato al Tribunale di Modena per respingere l’appello e confermare la sentenza di primo grado condannando l’acquirente, già proprietario dell’immobile al momento dell’approvazione della delibera assembleare che ha approvato definitivamente i lavori straordinari (sostituzione dell’impianto di ascensore), a partecipare pro quota alla spesa.

Il Comune ed condominio sono corresponsabili per la caduta del pedone sulla grata inserita su un marciapiede

Comune e condominio corresponsabili per la caduta del pedone sulla grata inserita su un marciapiede a copertura di un cavedio condominiale. La Corte di cassazione con la sentenza 2328 mette la parola fine allo scaricabarile sugli oneri di manutenzione rispetto alla grata “killer” sulla quale era scivolati diversi passanti. Secondo il condominio essendo la grata posta sul marciapiede e dunque su suolo pubblico il controllo e il conseguente dovere di adottare dei sistemi per rimuovere i rischi spettavano certamente al Comune. Di parere, ovviamente, opposto il primo cittadino, secondo il quale la copertura serviva a coprire un cavedio di esclusiva proprietà del condominio: circostanza che avrebbe imposto a quest’ultimo un obbligo di controllo. A dirimere la querelle ci pensa la Cassazione. I giudici della terza sezione civile precisano che si può parlare di proprietà esclusiva del condominio solo per quanto riguarda il cavedio a copertura del quale era posta la grata, ma non per quest’ultima che era parte integrante del marciapiede: un bene che apparteneva al Comune come pertinenza di una strada pubblica. Per la Suprema corte basta ad affermare una responsabilità concorrente. Il Comune ha infatti conservato la proprietà della grata, come parte integrante del “suolo pubblico” . Ma la funzione svolta dalla copertura era quella di assicurare aria e luce al cavedio condominiale ed era dunque di utilità comune. La controprova che il condominio, e per lui i singoli condomini, abbia effettivamente utilizzato la grata sta nel fatto che la tassa per l’occupazione di suolo pubblico è stata regolarmente pagata: un tributo che ha come presupposto l’utilizzazione. Tuttavia proseguono i giudici quanto chiarito non vale ad affermare che l’utilizzatore della cosa sia anche il custode, ma a riconoscere che questa ipotesi si deve escludere quando “il potere di utilizzazione della cosa è derivato all’utilizzatore da chi ha l’effettivo potere di ingerenza, gestione e intervento sulla cosa (e cioè dal custode) e questi, per specifico accordo o per la natura del rapporto o anche più semplicemente per la situazione di fatto che si è determinata, ha conservato effettivamente la custodia”. Spetta al giudice di merito stabilire se, nel caso concreto l’utilizzatore, di un determinato bene sia divenuto anche il suo custode. Nello specifico non risulta affatto che il Comune abbia riservato a sé in via esclusiva la custodia della grata né risulta che il condominio, sia divenuto “concessionario” del diritto di apporre la copertura, come il Comune non ha provato di avere imposto al condominio di mettere in sicurezza la grata: accortezza che non aveva usato neppure l’ente locale. Ricorso respinto anche l’assicurazione del condominio che negava una copertura assicurativa che invece c’era.

Requisiti e limiti della delega condominiale

L’istituto della delega condominiale è disciplinato dall’articolo 67 delle “Disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie” (Regio Decreto n. 318/1942), profondamente modificato dalla legge 220/2012, meglio nota come la cosiddetta Riforma del condominio.
La norma sopracitata prevede che ogni condomino può intervenire all’assemblea e che il suo intervento può avvenire anche a mezzo di rappresentante, munito di delega scritta.
Ecco quindi indicato il primo requisito essenziale della delega: la forma obbligatoriamente scritta. Questo requisito è frutto della legge di riforma. In passato, infatti, la norma non specificava la forma della delega.
Il condomino, dunque, che non può o, e perché no, non vuole partecipare personalmente all’assemblea di condominio può conferire delega scritta a un altro soggetto, che può essere un altro condomino o un altro soggetto terzo, e sarà quest’ultimo che interverrà in suo nome e per suo conto in assemblea, esercitando il diritto di voto. Il condomino assente sarà così considerato “presente” ad ogni effetto anche al fine della regolare costituzione dell’assemblea.
Ai fini della consegna della delega al delegato, la legge, poi, non vieta di poter utilizzare strumenti come: pec, raccomandata, inoltro a mezzo fax o allegato contenuto nella email.
Al comma 2 dall’articolo 67 trova disciplina l’ipotesi di rappresentanza necessaria che si ha nel caso di unità immobiliare in proprietà indivisa a più persone: «qualora un’unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell’articolo 1106 del codice».
Proseguendo nella lettura dell’articolo si evincono, poi, una serie di “limite numerici”.
Innanzitutto, sulla possibilità di intervenire in assemblea a mezzo delega occorre ricordare che: «se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale». Appare chiaro che l’obiettivo prefissato del legislatore è quello di evitare di concentrare in capo ad un unico soggetto delegato il potere di condizionare le scelte da effettuare in assemblea.
Un ulteriore limite “numerico” è posto al terzo comma dell’articolo 67. Il nuovo comma, introdotto dalla riforma, disciplina in modo specifico le assemblee del supercondominio con più di 60 partecipanti: «nei casi di cui all’articolo 1117-bis del codice, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all’articolo 1136, comma 5, del codice, il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l’autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, l’autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine. La diffida ed il ricorso all’autorità giudiziaria sono notificati al condominio cui si riferiscono in persona dell’amministratore o, in mancanza, a tutti i condomini».
Occorre evidenziare, inoltre, che l’articolo 67 va letto in combinato disposto con il successivo articolo 72. Quest’ultimo dispone, infatti, che i regolamenti di condominio non possono derogare alle disposizioni del precedente articolo 67; ciò implica che i regolamenti condominiali non possono prevedere limiti maggiori rispetti a quelli già previsti dal legislatore circa la rappresentazione in assemblea. Questi limiti qualora apposti sono da considerare non più in vigore.
Infine, in merito alle deleghe si segnala un limite assoluto introdotto dalla riforma. L’articolo 67, al comma 5, stabilisce che: «all’amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea». In passato, infatti, in assenza di disposizioni specifiche, era ritenuta ammissibile la possibilità da parte di uno o più condòmini di delegare all’amministratore. Consentire il conferimento di deleghe all’amministratore implicava, però, l’insorgere di dubbi nei casi in cui l’assemblea era chiamata a deliberare in merito ad argomenti inerenti alla carica dell’amministratore stesso o al suo operato. Era evidente l’insorgenza, anche solo paventata, di un conflitto di interessi.
Dopo la riforma, dunque, la delega all’amministratore è sempre illegittima a prescindere dalla sussistenza o meno del conflitto d’interessi (Cass. sentenza n. 1662/2019)
Poi, anche se non vi è un’espressa disposizione normativa circa le conseguenze della violazione di tale divieto (nullità o annullabilità della delibera, nullità della riunione assembleare), è evidente che la relativa delibera dell’assemblea potrà essere impugnata dal condomino, che ne ha interesse, con i mezzi e nei termini dell’articolo 1137 cod.civ. ovverosia attraverso la richiesta di l’annullamento all’autorità giudiziaria.

CORNICIONE BALCONATO

Interpretazioni giurisprudenziali

Il lastrico in proprietà esclusiva vero e proprio segue la regola di 1/3 e 2/3 mentre il cornicione sporgente, facente parte del decoro architettonico dell’edificio, è a carico di tutto il condominio in base ai millesimi.
Il cornicione del lastrico solare, alla stregua del parapetto, viene considerato quale prolungamento dei muri perimetrali dell’’edificio, prolungamento che, pur garantendo protezione al lastrico solare di uso esclusivo, vale a completare strutturalmente lo stabile, contribuendo a definirne le linee architettoniche. Le spese ad esso relative, quindi andranno ripartite tra tutti i condòmini sulla base dei millesimi di proprietà.

La sovrastante ringhiera, che assolve una funzione protettiva, è invece esclusa dalla proprietà condominiale.