Il condomino irregolarmente convocato via mail può sempre impugnare la delibera?

A tale proposito merita di essere ricordato che prima della riforma non era previsto alcun obbligo di forma, la comunicazione poteva avvenire anche in forma orale, proprio in base la principio di libertà delle forme, salvo che il regolamento non prescrivesse particolari forme di notifica dell’avviso.

Inoltre, l’eventuale previsione regolamentare in ordine alle modalità di convocazione dell’assemblea, poteva essere modificata anche per facta concludentia, quindi per prassi costante seguita dagli amministratori di condominio. Dopo la riforma del condominio, l’avviso di convocazione contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno 5 giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, indicando ora e luogo della riunione (art. 66 disp. att. c.c., comma 3). Tale modalità non cambia neppure se i condomini ricorrono all’assemblea in streaming: in tal caso però l’avviso deve contenere lo specifico strumento telematico che dovrà essere utilizzato, ossia la piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione – riportando anche il link per accedervi – nonchè l’ora e la data della stessa.

La convocazione via mail

Una recente decisione ha affermato che l’articolo 66, comma 3, delle disposizioni di attuazione del codice civile non prevede l’e-mail semplice come mezzo di convocazione dei condomini, ma che ciò non implica che l’uso della stessa sia vietato, sempreché la ricezione della comunicazione sia garantita e, soprattutto – in caso di contestazione – possa essere provata (Trib. Tivoli, 5 aprile 2022, n. 493). Il problema nasce se in giudizio il condomino convocato afferma di non aver ricevuto alcuna rituale convocazione dell’assemblea, nelle forme di legge e il condominio, gravato del relativo onere, non riesce a fornire alcuna valida prova del contrario.

Si ricorda che l’elenco delle modalità di trasmissione indicate nell’art. 66 disp. att. c.c. è da considerarsi tassativo poiché l’avviso di lettura dell’e-mail, a differenza della PEC, non ha alcun valore legale (Trib. Genova 23 ottobre 2014 n. 3350).

Lungo questa linea di pensiero è stata dichiarata irregolare la convocazione dell’assemblea trasmessa ad un indirizzo di e-mail ordinaria e non all’indirizzo PEC espressamente indicato dal condomino all’amministratore per l’invio delle comunicazioni (Trib. Sulmona 3 dicembre 2020, n. 243). Altra decisione ha affermato che è annullabile la delibera dell’assemblea se i condomini sono stati convocati con una mail ordinaria: lo strumento, infatti, non conferisce certezza della comunicazione perché a differenza della PEC non dimostra l’effettivo recapito del messaggio al destinatario (Trib. Roma, 23 luglio 2021).Secondo una decisione di merito però qualora sia stato lo stesso condomino a chiedere di essere informato circa la convocazione dell’assemblea condominiale a mezzo di mail ordinaria, poi non può appellarsi al fatto che l’avviso non gli sia stato inviato via PEC (App. Brescia 3 gennaio 2019 n. 4).

Convocazione invalida via mail

A parte casi particolari, la convocazione via mail dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, in quanto vizio procedimentale, comporta l’annullabilità della delibera condominiale. Si tratta di vizio formale inerente il procedimento di formazione della volontà dell’ente di gestione, costituente valido motivo di impugnazione, a prescindere da ogni ulteriore interesse del condomino che contesta la delibera. La conseguenza della qualificazione del vizio in termini di “annullabilità” comporta che, nel caso di decorrenza del termine di 30 giorni previsto dall’art. 1137 c.c. senza che sia proposta impugnazione, la delibera (in origine irregolare) non possa più essere contestata giudizialmente.

Il condomino irregolarmente convocato via mail può sempre impugnare la delibera?

L’irregolarità costituita dalla convocazione dell’assemblea a mezzo di semplice e-mail può essere eccepita, ai sensi dell’art. 66 disp. att. c.c., esclusivamente dai dissenzienti e/o dagli assenti non regolarmente convocati.

Attenzione però che l’annullabilità della delibera assembleare per mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea non può essere fatta valere allorché il condomino, nei cui confronti la comunicazione è stata omessa, sia presente in assemblea, dovendosi presumere che lo stesso ne abbia avuto comunque notizia, rimanendo l’eventuale irregolarità della sua convocazione conseguentemente sanata. Allo stesso modo l’illegittima convocazione per mezzo di semplice e-mail viene sanata dalla pacifica presenza in assemblea e dalla partecipazione al voto del condomino che non contesta la detta irregolarità (Trib. Roma 12 maggio 2023 n. 7545).

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Condominio: nulla la delibera sui lavori straordinari senza costituzione del fondo speciale

L’allestimento anticipato del fondo speciale è un’ulteriore condizione di validità della delibera di approvazione dei lavori di manutenzione straordinaria (Cassazione n. 9388/2023)

Il proprietario di un appartamento sito in Condominio riceve un decreto ingiuntivo relativo al pagamento delle spese di manutenzione straordinaria. L’uomo si oppone al provvedimento monitorio ed eccepisce la nullità della delibera. Infatti, la decisione assembleare riguarda una spesa cospicua (circa 487 mila euro) ma non prevede la costituzione del fondo speciale, indicata come obbligatoria dalla legge.

È valida la delibera sui lavori di manutenzione straordinaria che non preveda la costituzione del fondo speciale?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 5 aprile 2023, n. 9388, risponde negativamente. Infatti, il preventivo allestimento del fondo speciale è obbligatorio e costituisce una condizione di validità della delibera di approvazione delle opere.
La norma (ex art. 1135 c. 1 n. 4 c.c.) tutela l’interesse collettivo al corretto funzionamento della gestione del Condominio e l’interesse del singolo condomino ad evitare il rischio di dover garantire al terzo creditore il pagamento dovuto dai morosi.

Gli ermellini ricordano, altresì, che nell’opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione di contributi condominiali il giudice può sindacare sia la nullità (dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio) della delibera posta a fondamento dell’ingiunzione, sia l’annullabilità della stessa (a patto che venga dedotta con domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione (ex art. 1137 c.c.). La nullità della delibera impugnata può essere rilevata d’ufficio o esaminata su eccezione di parte anche dal giudice d’appello, come avvenuto nella fattispecie oggetto di scrutinio.

La vicenda

Il proprietario di un immobile sito in uno stabile condominiale riceve un decreto ingiuntivo per il pagamento di circa 2.600 euro a titolo di spese per la manutenzione straordinaria delle facciate e dei balconi, come deliberate dall’assemblea condominiale nel settembre del 2017. L’uomo propone opposizione e, per quanto qui di interesse, il giudice accoglie l’eccezione di nullità della delibera assembleare sollevata dal debitore-opponente. La delibera in questione, infatti, ha approvato i lavori straordinari per circa 490 mila euro ma non ha previsto la costituzione del fondo speciale (ex art. 1135 c. 1 n. 4 c.c.). Secondo il giudice del gravame, tale mancanza comporta la declaratoria di nullità della decisione assembleare.

Si giunge così in Cassazione.

Premessa: l’obbligatorietà del fondo speciale

L’art. 1135 c. 1 n. 4 c.c. dispone quanto segue: “l’assemblea dei condomini provvede […] alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale”.

Il suddetto fondo può avere:

  • un importo pari all’ammontare dei lavori;
  • oppure, può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti, se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne preveda il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento.

L’art. 1135 c. 1 n. 4 è stato modificato dalla legge di riforma del condominio (legge 220/2012). Il testo originario prevedeva la costituzione del fondo come facoltativa, infatti, l’espressione impiegata dal legislatore era “se occorre”. La modifica ha introdotto l’avverbio “obbligatoriamente” prevedendo, dunque, la necessità di allestire previamente il fondo. Successivamente, è intervenuta un’altra modifica ad opera del d.l. 145/2013 grazie alla quale il fondo speciale non deve necessariamente essere di importo equipollente al costo delle opere ma, se il contratto prevede un pagamento rateale, è possibile l’allestimento del fondo in relazione ai singoli pagamenti dovuti.

La delibera su spese per lavori di manutenzione straordinaria

Il Condominio, con la delibera del 2017, ha affidato i lavori per il rifacimento delle facciate ad una ditta ed ha conferito all’amministratore l’incarico di ottenere un finanziamento bancario, al fine di coprire la metà dell’esborso. La delibera ha previsto il frazionamento della riscossione delle spese in tre rate iniziali da 18 mila euro ciascuna e successive 57 rate da circa 7 mila euro l’una. Successivamente, la rateazione è stata confermata con la delibera del gennaio del 2018, in cui l’assemblea ha preso atto del fatto che l’istituto di credito interpellato ha rifiutato il finanziamento.

Secondo le difese svolte dal Condominio, il giudice di merito ha omesso di considerare che la delibera aveva disposto il pagamento rateale e che l’appaltatore aveva acconsentito. Inoltre, il ricorrente sostiene che la norma sul fondo speciale non vada interpretata restrittivamente come, invece, ha fatto il giudice di merito

La Suprema Corte considera infondate le doglianze: la sentenza gravata non ha omesso la disamina dei fatti né ha male interpretato l’art. 1135 c. 1 n. 4 c.c.

Prima di analizzare il decisum, ricordiamo che la delibera assembleare che approvi un intervento di ristrutturazione sulle parti comuni (come la facciata) reca un duplice oggetto:

  1. l’approvazione della spesa di manutenzione straordinaria, consistente nel fatto che l’assemblea riconosca la necessità di un intervento nella misura deliberata e avente valore costitutivo dell’obbligazione di contribuzione alle spese (Cass. 25839/2019);
  2. la ripartizione della spesa tra i condomini, che indica la misura del contributo dovuto da ciascuno in ragione del valore della proprietà e ha valore dichiarativo, «in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge» (Cass. 15696/2020).

Per completezza espositiva, si ricorda che la ripartizione della spesa (sub 2) rappresenta la condizione indispensabile ai fini della concessione dell’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi (ex art. 63 c. 1 disp. att. c.c.). Pertanto, nel caso in cui non sia stata approvata la ripartizione, l’amministratore, pur rimanendo dotato di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso (ex art. 1130 n. 2 c.c.), può:

 

  • agire in sede di ordinario processo di cognizione,
  • oppure ottenere un decreto ingiuntivo senza esecuzione provvisoria.

Torniamo, ora, alla decisione.

Opposizione a decreto ingiuntivo: il giudice può sindacare la validità della delibera

Nell’opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento delle spese condominiali, il creditore ingiungente – ossia il Condominio – soddisfa l’onere probatorio producendo il verbale dell’assemblea con cui le spese oggetto dell’ingiunzione sono state deliberate nonché i relativi documenti (Cass. 15696/2020; Cass. 7569/1994). Il giudice, pronunciando nel merito, emette una sentenza favorevole (o meno) a seconda che l’amministratore abbia dimostrato l’esistenza del credito, la sua esigibilità e la titolarità dello stesso in capo al Condominio. La delibera assembleare di approvazione della spesa:

  • costituisce titolo sufficiente del credito,
  • legittima la concessione del decreto ingiuntivo,
  • legittima, altresì, la condanna del condomino a pagare le somme nel processo di opposizione piena.

Nel giudizio di opposizione, il giudice deve verificare la perdurante esistenza ed efficacia della delibera di approvazione della spesa e di ripartizione dell’onere (Cass. SS. UU. 26629/2009; Cass. 4672/2017).

In quella sede, il giudice può sindacare:

  • la nullità della delibera – posta a fondamento dell’ingiunzione – dedotta dalla parte o rilevata d’ufficio,
  • l’annullabilità della delibera, purché sia dedotta con apposita domanda riconvenzionale di annullamento contenuta nell’atto di citazione ex art. 1137 c. 2 c.c. nel termine perentorio di 30 giorni ivi previsto, e non in via di eccezione (Cass. SS. UU. 9839/2021).

Infatti, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è un ordinario giudizio di cognizione, pertanto, il giudice dell’opposizione non può confermare il decreto ingiuntivo senza verificare la validità del titolo (nel nostro caso, il titolo è rappresentato dalla deliberazione assembleare posta a fondamento dell’ingiunzione).

Inoltre, la nullità della delibera impugnata può essere rilevata d’ufficio o esaminata su eccezione di parte anche dal giudice d’appello (Cass. 26243/2014).

Costituzione del fondo speciale come condizione di validità

Il previo allestimento del fondo speciale – «”di importo pari all’ammontare dei lavori”, ovvero la costituzione progressiva del medesimo fondo per i pagamenti man mano dovuti, “in base a un contratto”, correlati alla contabilizzazione dell’avanzamento dei lavori» – rappresenta una condizione di validità della delibera di approvazione delle opere, la cui sussistenza deve essere verificata dal giudice in sede di impugnazione ex art. 1137 c.c. La disposizione è posta a presidio:

  • sia dell’interesse collettivo al corretto funzionamento della gestione del Condominio,
  • sia dell’interesse del singolo condomino ad evitare «il proprio rischio di dover garantire al terzo creditore il pagamento dovuto dai morosi, secondo quanto ora dal comma 2 dell’art. 63 disp. att. c.c.» (si ricorda che i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini).

La delibera assunta a maggioranza non può avere un contenuto contrario alla disposizione in parola (art. 1135 c. 1 n. 4 c.c.) né può decidere di non provvedere alla costituzione del fondo o modificare le modalità di costituzione previste dalla legge. Ciò neppure nel caso in cui l’appaltatore vi consenta, in quanto una simile decisione risulta pregiudizievole per tutti i condomini e per le esigenze di gestione condominiale. Pertanto, una simile delibera è nulla.

Costituzione del fondo speciale come condizione di validità

Il previo allestimento del fondo speciale – «”di importo pari all’ammontare dei lavori”, ovvero la costituzione progressiva del medesimo fondo per i pagamenti man mano dovuti, “in base a un contratto”, correlati alla contabilizzazione dell’avanzamento dei lavori» – rappresenta una condizione di validità della delibera di approvazione delle opere, la cui sussistenza deve essere verificata dal giudice in sede di impugnazione ex art. 1137 c.c. La disposizione è posta a presidio:

  • sia dell’interesse collettivo al corretto funzionamento della gestione del Condominio,
  • sia dell’interesse del singolo condomino ad evitare «il proprio rischio di dover garantire al terzo creditore il pagamento dovuto dai morosi, secondo quanto ora dal comma 2 dell’art. 63 disp. att. c.c.» (si ricorda che i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini).

La delibera assunta a maggioranza non può avere un contenuto contrario alla disposizione in parola (art. 1135 c. 1 n. 4 c.c.) né può decidere di non provvedere alla costituzione del fondo o modificare le modalità di costituzione previste dalla legge. Ciò neppure nel caso in cui l’appaltatore vi consenta, in quanto una simile decisione risulta pregiudizievole per tutti i condomini e per le esigenze di gestione condominiale. Pertanto, una simile delibera è nulla.

Conclusioni: delibera nulla e ricorso rigettato

Gli ermellini rilevano come la delibera del 2017 approvata dai condomini, avente ad oggetto spese di manutenzione straordinaria per 487 mila euro (importo ripartito in tre rate da 18 mila e successive 57 rate da circa 7 mila), non indica:

  • né la costituzione del fondo speciale per l’intera somma,
  • né che il contratto di appalto preveda il pagamento graduale in relazione allo stato di avanzamento dei lavori e che il fondo sia stato costituito in relazione ai singoli pagamenti.

Pertanto, dal momento che le censure svolte dal Condominio non smentiscono l’invalidità della delibera, il ricorso viene rigettato con condanna al pagamento delle spese per il giudizio di legittimità.

Mediazione in condominio: le novità della riforma Cartabia

Con la recente riforma del processo civile (D.lgs 149/2022), il legislatore ha disposto l’abrogazione dei commi 2, 4, 5 e 6 del vigente articolo 71-quater disp. att. c.c. mantenendo in vigore il solo comma 1 che definisce l’ambito di applicabilità della condizione di procedibilità in materia condominiale e novellando il comma 3 con il rinvio all’articolo 5-ter Dlgs. n. 28/2010 (punto 2 dell’art. 2 del D.lgs 149/2022).

Questa norma (art. 5-ter Legittimazione in mediazione dell’amministratore di condominio) stabilisce quanto segue:

“l’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi. Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti    all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa”.

Il terzo comma è stato invece modificato nel seguente modo: al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore secondo quanto previsto dall’articolo 5-ter Dlgs. n. 28/2010.

Non vi è dubbio che la soluzione più logica e semplificante sarebbe stata quella di modificare solo l’articolo 71-quater disp. att. c.c., evitando il richiamo ad una norma esterna (l’articolo 5-ter Dlgs. n. 28/2010) e la conseguente necessità di considerare due disposizioni collocate in testi normativi differenti.

L’articolo 5-ter Dlgs. n. 28/2010 è destinato a creare diversi inconvenienti.

L’amministratore del condominio è legittimato senza delibera ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi: si tratta di una norma volta a snellire la procedura ma di difficile applicazione pratica atteso che il professionista incaricato dai condomini di gestire il caseggiato eviterà di assumere iniziative non concordate e magari ritenute inutili dalla collettività condominiali (assumerà solo le decisioni urgenti nell’interesse della sicurezza dei condomini e di terzi).

Estremamente generica appare poi la maggioranza con cui i condomini devono approvare l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore: il testo ambiguamente parla di “maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile”. Il vecchio testo precisava che per l’approvazione della proposta di mediazione era richiesta la maggioranza di cui all’articolo 1136 c.c., secondo comma (e cioè la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio). Non senza incertezze bisognerebbe continuare ad approvare l’accordo di mediazione con la stessa maggioranza.

Verifica qualità dell’acqua in condominio: nuovo decreto 18-2023, gli obblighi per gli amministratori

Gli obblighi previsti per l’amministratore di condominio dal nuovo decreto 18-2023 in materia di affidabilità degli impianti condominiali per la salubrità dell’acqua.

L’affidabilità degli impianti condominiali ha assunto notevole importanza, come si evince dall’art. 1120 c.c., in materia di innovazioni, che fa riferimento alla sicurezza e alla salubrità degli impianti.  Vediamo di seguito gli obblighi previsti per l’amministratore condominiale dalla normativa vigente, in particolare sulla distribuzione dell’acqua per il consumo umano, alla luce del nuovo decreto legislativo 18 2023.

La nuova normativa per la qualità delle acque destinate al consumo umano: Decreto 18/2023

Attualmente la situazione è cambiata in quanto, in attuazione della direttiva (UE) 2020/2184 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2020, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, è stato emanato il decreto legislativo n. 18 del 23 febbraio 2023.

Gli obiettivi del Decreto sono:

  • la protezione della salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano, assicurando che le acque siano salubri e pulite, nonché
  • il miglioramento dell’accesso alle acque destinate al consumo umano.

Nell’ambito della normativa si segnala il comma 4 dell’articolo 9 che prevede uno specifico obbligo di formazione a cura delle Regioni in coordinamento con il ministero per i gestori dei sistemi idrici interni, gli idraulici e per gli altri professionisti che operano nei settori dei sistemi di distribuzione idrici interni.

Le utili precisazioni del Decreto n. 18/2023 sulla verifica delle acque

L’articolo 4 del Decreto mette in evidenza che le acque destinate al consumo umano devono essere salubri e pulite, non devono contenere microrganismi, virus e parassiti, né altre sostanze in quantità tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana e devono soddisfare i requisiti minimi stabiliti dall’allegato I, parti A, B, C del Decreto. Quest’ultimo chiarisce che, salvo comprovate cause di forza maggiore, ivi inclusa la documentata impossibilità del di accedere o intervenire su tratti di rete idrica ricadenti in proprietà privata, la responsabilità del gestore idrico integrato si estende fino al punto di consegna, cioè il punto in cui la condotta di allacciamento idrico si collega all’impianto o agli impianti dell’utente finale (sistema di distribuzione interna), cioè in corrispondenza del misuratore dei volumi (contatore).

Acqua condominiale: responsabilità ed obblighi dell’amministratore

Il Decreto n. 18/2023 sottolinea che gestore della distribuzione idrica interna è l’amministratore di condominio, responsabile del sistema idro-potabile di distribuzione interno, collocato fra il punto di consegna e il punto d’uso dell’acqua, cioè il punto di uscita dell’acqua destinata al consumo umano, da cui si può attingere o utilizzare direttamente l’acqua, generalmente identificato nel rubinetto. L’amministratore deve effettuare una valutazione e gestione del rischio dei sistemi di distribuzione idrica interni alle strutture prioritarie (individuate all’allegato VIII, con particolare riferimento ai parametri elencati nell’allegato I, parte D). Inoltre è tenuto ad adottare le necessarie misure preventive e correttive, proporzionate al rischio, per ripristinare la qualità delle acque nei casi in cui si evidenzi un rischio per la salute umana derivante da questi sistemi.

Le sanzioni a carico dell’amministratore per la verifica dell’acqua condominiale

L’articolo 23 del Decreto prevede delle sanzioni amministrative a carico dell’amministratore. Se, nel sistema di distribuzione interno, non viene mantenuto il rispetto dei parametri elencati nell’allegato I, parti A e B è prevista una sanzione a carico dell’amministratore da euro 5.000 a euro 30.000. L’inosservanza dell’obbligo di implementazione di valutazione e gestione del rischio del sistema di fornitura idro-potabile imposti dalle competenti autorità è soggetto al pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 a 24.000 euro.

Inammissibile l’istanza di revoca giudiziale per l’amministratore in proroga post scadenza

L’amministratore che cessi dalle sue funzioni dopo un anno dalla nomina oltre un anno di prorogatio, non ha più obblighi gestori, né diritto a compensi, per cui non può esserne richiesta la revoca.

Il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza del 19 aprile 2023, pubblicata il 2 maggio 2023, torna ad affrontare la sempre delicata questione della possibilità di procedersi alla revoca giudiziale, nel caso di amministratore in prorogatio. Lo fa, confermando la tesi della inammissibilità dell’istanza di revoca giudiziale ex articolo 1129 Codice civile, nel caso in cui l’amministratore sia in prorogatio.
Il provvedimento in esame illustra in modo chiaro ed ampio, il quadro un cui si colloca la procedura azionata per ottenere la rimozione (revoca) dell’amministratore. L’ordinanza richiama la norma di riferimento, spiegando l’importanza della volontà assembleare, quale vera “dominus” nella decisione da assumere. Il regime di prorogatio, tuttavia, non è privo di conseguenze negative per lo stesso amministratore non ancora rimosso ed ancora, solo formalmente, in carica. Ne consegue, infatti, la perdita del diritto alla percezione del
compenso.

I fatti di causa
Il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza in commento, infine, si sofferma sulla natura del procedimento (volontaria giurisdizione), ricordando la possibilità, anche parallela se non addirittura autonoma, che innanzi al Tribunale, in un giudizio cosiddetto a cognizione piena, si chieda l’accertamento dell’inadempimento nell’operato dell’amministratore. Nel caso trattato dal Tribunale campano, un condomino chiedeva la revoca dell’amministratrice, lamentando molteplici inadempienze della stessa la quale, peraltro, si costituiva in
giudizio contestando quanto dedotto dal ricorrente. All’esito dell’udienza di comparizione delle parti, emergeva che l’amministratrice della quale era stata richiesta la revoca, operasse in regime di prorogatio. Richiamando l’orientamento della sezione del medesimo Tribunale, il collegio riteneva che dovesse «escludersi che sia consentito chiedere in via giudiziaria la revoca dell’amministratore giunto alla scadenza del mandato e operante in regime di mera prorogatio imperii».

La norma di riferimento
La norma di riferimento è certamente l’articolo 1129 comma 10 Codice civile, secondo cui «l’incarico di amministratore di condominio ha la durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata. L’assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore». Orbene, l’espressa indicazione del termine durante il quale l’incarico può essere rinnovato è stata introdotta dalla legge 220/2012 che ha riscritto il testo del previgente articolo 1129 Codice civile, il quale si limitava a stabilire la
durata annuale dell’incarico di amministratore di condominio. Tale previsione del termine di rinnovo, si legge nell’ordinanza, è evidentemente frutto della volontà del legislatore di considerare l’amministratore di condominio, in caso di sua mancata revoca, ancora in carica in regime di prorogatio per un solo anno durante il quale soltanto si ritiene, in virtù di una presunzione semplice, che l’amministratore – la cui nomina non sia stata confermata dall’assemblea – continui a porre in essere atti gestori in forza della volontà dei condòmini e nel loro interesse.

Cessazione incarico il secondo anno
«Decorso il secondo anno, invece, l’amministratore cessa dal suo incarico automaticamente, ossia senza la necessità di un’espressa manifestazione di volontà dell’assemblea, perdendo immediatamente i poteri rappresentativi dei condòmini e quelli gestori in precedenza a lui attribuiti». In tale situazione l’unico potere dovere che residua in capo all’amministratore è dunque quello, previsto dall’articolo 1129 comma 8 Codice civile, di compiere gli atti urgenti necessari ad evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto a compensi ulteriori.

La volontà assembleare
Per effetto di tali disposizioni il legislatore ha dunque valorizzato la volontà assembleare stabilendo che i condòmini, «quanto meno allo scadere di un biennio dalla nomina dell’amministratore, debbano necessariamente valutare se la gestione da lui posta in essere sia stata corretta e adottare una delibera con cui espressamente decidono se confermare o meno l’incarico al soggetto precedentemente nominato o nominare un nuovo amministratore». Solo in tal modo si possono infatti evitare situazioni di protrazione della gestione
condominiale da parte di un amministratore il quale continua ad agire in rappresentanza dei condòmini senza un’investitura assembleare.

Nessun obbligo, nessun compenso
Una volta cessato il rapporto contrattuale non sarà dunque più possibile richiedere, con una procedura di volontaria giurisdizione, la revoca dell’amministratore. Al ricorrere di una tale evenienza l’esigenza di sostituire l’amministratore, qualora il condominio abbia più di otto condòmini, dovrà invece essere soddisfatta attraverso la proposizione di un ricorso per la nomina di un amministratore giudiziario ex articolo 1129 comma 1 Codice civile, sempre che venga dimostrata l’inerzia dell’assemblea dei condòmini che, seppur
convocata a tal fine, non abbia raggiunto il previsto quorum costitutivo o deliberativo. In contrario non varrebbe obiettare che, aderendo a tale interpretazione del quadro normativo, non è più possibile valutare l’operato dell’amministratore cessato dall’incarico ed applicare la sanzione di cui all’articolo 1129 comma 13 Codice civile.

La natura del procedimento di revoca
Il procedimento di volontaria giurisdizione volto alla revoca giudiziale dell’amministratore mira infatti ad ottenere, in caso di accertate inadempienze, la risoluzione anticipata del rapporto di mandato ed è improntato a requisiti di rapidità, informalità ed ufficiosità dal momento che il decreto emesso al suo esito, ai sensi dell’articolo 64 comma 1 disposizioni attuative Codice civile, deve essere adottato omettendo ogni formalità, eccettuata quella di instaurare il contraddittorio con l’interessato, come si evince dalla sintetica formula
normativa «sentito l’amministratore».

Anche la giurisprudenza di legittimità ha del resto affermato che il procedimento in questione:

  • riveste un carattere eccezionale ed urgente nonché sostitutivo della volontà assembleare;
  • è ispirato all’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela del diritto ad una corretta gestione condominiale a
    fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore;
  • è di conseguenza improntato a celerità, informalità ed ufficiosità ma non riveste efficacia decisoria
    lasciando ferma la facoltà del mandatario revocato di chiedere la tutela del diritto provvisoriamente inciso dal
    decreto facendo valere le sue ragioni attraverso un processo a cognizione piena (1237/2018).

Quando l’interesse viene meno
Qualora non vi sia più interesse ad ottenere una pronuncia di carattere urgente, perché l’amministratore di cui è stata chiesta la revoca è già cessato dalla carica oppure perché nelle more del procedimento è stata adottata una delibera di nomina di un nuovo amministratore, la procedura di volontaria giurisdizione non può dunque essere più proposta o coltivata. Sempre possibile la devoluzione al Tribunale per la valutazione dell’inadempimento. «Nulla però osta a che venga attivato un giudizio a cognizione piena diretto a valutare le pregresse inadempienze poste in essere dall’amministratore nell’espletamento dell’incarico, con conseguente operatività della sanzione di cui all’articolo 1129 comma 13 Codice civile, oppure la correttezza della sua condotta ed il pregiudizio conseguito all’erronea attivazione del procedimento di volontaria giurisdizione». Alla luce di quanto emerso e, quindi, in considerazione del regime di prorogatio in cui operava l’amministratrice, il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso, contenendo la richiesta di revoca di un amministratore che, per stessa ammissione del ricorrente, era già cessato dalla carica.

Il controllo sulla salubrità dell’acqua potabile e obbligo di verifica

L’amministratore è obbligato a sottoporre l’acqua a controlli periodici?

Il controllo sulla salubrità dell’acqua potabile deve essere effettuato dall’ente erogatore oppure insiste un obbligo di verifica anche in capo all’amministratore, in qualità di supervisore degli impianti condominiali? La legge al riguardo non è chiara, cerchiamo di fare il punto della situazione.

Acqua potabile: definizione normativa.
Si intende per acqua potabile quella destinata al consumo umano, quella trattata o non trattata, destinata ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dall’origine, sia essa fornita tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori (art. 1 lett. a) n. 1 d. lgs. 31/2001).

Contratto di fornitura del condominio.
Il negozio di erogazione dell’acqua potabile è un contratto di somministrazione di natura privata pur avendo ad oggetto l’esercizio di un servizio pubblico (Cass. SU. 8103/2004).

Proprio in ragione della sua peculiare natura, il regolamento contrattuale ha delle particolarità, come il prezzo, definito da disposizioni regolamentari. Inoltre, l’ente erogatore deve rispettare la carta dei servizi. Il controllo circa il rispetto degli standard qualitativi dei servizi idrici è rimesso all’Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico (AEEGSI)

Gli impianti condominiali.
L’art. 1120 c.c., in materia di innovazioni, fa riferimento alla sicurezza e alla salubrità degli impianti. La norma risulta fortemente innovativa; infatti, in passato, si poneva rilievo unicamente alla sicurezza della struttura dell’edificio, mentre adesso assume importanza anche l’affidabilità degli impianti.

L’impianto idrico e i relativi collegamenti sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche (art. 1117 n. 3 c.c.). Il d. lgs. 31/2001 offre delle definizioni molto precise in materia di distribuzione dell’acqua.

Analizziamole e poi valutiamo il ruolo dell’amministratore.
Le condutture, i raccordi, le apparecchiature installati tra i rubinetti normalmente utilizzati per l’erogazione dell’acqua destinata al consumo umano e la rete di distribuzione esterna rappresentano l’impianto di distribuzione domestico (art. 1 lett. b) n. 1 d. lgs. 31/2001).

La delimitazione tra impianto di distribuzione domestico e rete di distribuzione esterna, denominata punto di consegna, è costituita dal contatore, salva diversa indicazione del contratto di somministrazione. L’acqua viene distribuita dal gestore del servizio idrico, ossia colui che fornisce acqua a terzi attraverso impianti idrici autonomi o cisterne, fisse o mobili (art. 1 lett. c) n. 1 d. lgs. 31/2001).

Controlli: deve farli l’ente erogatore o l’amministratore?
L’art. 5 del d. lgs. 31/2001 dispone che per gli edifici e le strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico, come i condomini, il titolare ed il titolare della gestione dell’edificio o della struttura devono assicurare che i valori di parametro fissati dalla legge, rispettati nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto. Il dettato normativo pare suggerire quanto segue:

  • il gestore (vale a dire chi somministra l’acqua) deve verificare la salubrità dell’acqua sino al punto di consegna (ossia il contatore);
  • l’amministratore (il titolare della gestione dell’edificio secondo la lettera della legge) deve verificare la sussistenza dei valori di legge dal punto di consegna sino al rubinetto.

Parere del Ministero della Salute: nessun obbligo per l’amministratore.
La norma così interpretata (art. 5 d. lgs. 31/2001) porrebbe un compito assai gravoso in capo all’amministratore. Sul punto è intervenuto un parere del Ministero della Salute che chiarisce la corretta interpretazione della disposizione. Il parere del 10 giugno 2004 sull’articolo 5 del d. lgs. 31/2001 statuisce che per gli edifici ad uso esclusivamente abitativo, “l’amministratore del condominio ovvero, in assenza di questo, i proprietari non hanno l’obbligo di effettuare le attività e i controlli previsti dagli artt. 7 e 8 del decreto in oggetto, bensì quello derivante dall’attività di controllo dello stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto”.

In buona sostanza, l’amministratore ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità dell’acqua non vengano alterati per cause imputabili all’impianto idrico del condominio.

Il parere del Ministero, infatti, dispone che se vi sia motivo di ritenere che nella fase di trasporto dal contatore all’utenza le caratteristiche dell’acqua possano essere alterate, “l’amministratore non solo è tenuto a fare le verifiche del caso, ma soprattutto è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità”.

I controlli che deve fare l’amministratore di condominio.
Come si è visto, spetta all’amministratore il controllo sullo stato degli impianti, compreso quello idrico. Ad avviso di chi scrive, l’amministratore, inoltre, in base allo stato della rete idrica condominiale, dovrebbe farsi carico di un controllo sulla salubrità dell’acqua.
Infatti, certune tipologie di impianti, a causa dell’usura o per i materiali utilizzati nella realizzazione delle tubature di adduzione, potrebbero esporre i condomini a dei rischi; pertanto un controllo periodico, in quelle circostanze, sarebbe quantomeno opportuno.
L’acqua, infatti, può essere portatrice di batteri letali, si pensi alla legionella, questo impone un’attenzione ancora maggiore quando si tratta di controlli.

Sanzioni penali in caso di acqua contaminata.
L’importanza di effettuare dei controlli sulla salubrità dell’acqua emerge anche dalla circostanza che il d.lgs n.31/2001 preveda sanzioni molto elevate; in particolare dispone il pagamento della somma:

  • da euro 10.329 a euro 61.974 per chi fornisca acqua che contenga microrganismi o parassiti o altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana (art. 19 comma 1);
  • da euro 5.164 a euro 30.987 quando i valori di parametri fissati dalla legge, rispettati nel punto di consegna, non siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto (art. 19 comma 2).

Qualora l’amministratore, conoscendo il cattivo stato delle condutture ovvero la presenza di perdite o di cattivi odori lamentati dai condomini, non abbia preso provvedimenti ed assunto le verifiche necessarie, si presentano profili di responsabilità e può essere soggetto alle sanzioni di cui sopra. Egli, infatti, in qualità di mandatario dei condomini, deve agire con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 c.c.) e compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio (art. 1130 n. 4 c.c.)

La normativa comunitaria: la direttiva acque potabili.
L’Unione Europea è sempre in prima linea nella tutela dell’ambiente. Attualmente si applica la direttiva 2015/1787/UE in materia di controlli e analisi delle acque potabili, recepita con D.M. 14 giugno 2017.

La citata direttiva ha modificato la precedente 98/83/CE del Consiglio, attuata con d. lgs. 31/2001 sopra citato come modificato dal d. lgs. 27/2002. La normativa ha lo scopo di tutelare la salute pubblica dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano, garantendone la salubrità e la pulizia; mira, inoltre a verificare che le misure previste per contenere i rischi perla salute umana, in tutta la filiera idro-potabile, siano efficaci e che le acque siano salubri e pulite nel punto in cui i valori devono essere rispettati. Si segnala che allo studio della Commissione v’è una nuova direttiva che “prevede un monitoraggio sulle microplastiche nei bacini idrici e misure per migliorare l’accesso all’acqua potabile degli europei nelle aree svantaggiate”

Conclusioni.
L’amministratore non è tenuto per legge ad effettuare controlli capillari sulla salubrità dell’acqua; tuttavia su di lui grava l’obbligo di verifica sullo stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto. In altre parole, l’amministratore ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità dell’acqua non vengano alterati per cause imputabili alla rete idrica condominiale. Qualora le condizioni dell’impianto (vetustà, usura, tipologia di materiali impiegati) possano cagionare un’alterazione della qualità dell’acqua, l’amministratore non solo è tenuto a fare le verifiche del caso, ma soprattutto è obbligato ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità. In difetto, è passibile delle sanzioni previste dall’art. 19 d. lgs. 31/2001.

Necessaria l’unanimità di tutti i condomini per la rimozione di una siepe su area condominiale

E’ nulla la delibera condominiale che approva a maggioranza la rimozione di una siepe situata in area condominiale. In tal senso ha deciso il Tribunale di Tivoli con la sentenza n. 1513 del 2 novembre 2022.

Il caso: Mevia, nel chiedere la nullità e/o annullamento di una delibera condominiale, deduceva che:

  • di essere proprietaria di una villa facente parte del condominio convenuto;
  • l’assemblea condominiale convocata in data 17.1.2019 aveva deliberato positivamente per la rimozione, per ragioni di sicurezza, di una siepe situata nella zona inferiore del condominio, di fronte ad alcune ville, tra le quali la sua;
  • di essersi già in precedenza opposta a tale ipotizzato lavoro evidenziando il grave pericolo che sarebbe derivato dalla suddetta rimozione (abbassamento livello terreno, importante fuoriuscita di acqua, difficoltà di drenaggio della stessa, cedimento terreno, ecc);
  • riguardando l’eliminazione di un bene comune, avrebbe dovuto essere assunta all’unanimità.

Si costituiva il Condominio, il quale, nel chiedere il rigetto della domanda, eccepiva, tra l’altro, che:

  • l’abbattimento della siepe non poteva essere considerata come innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c.
  • in ogni caso, la delibera era stata adottata con la maggioranza qualificata di cui al quinto comma dell’art. 1136 c.c. che consente di disporre ogni innovazione diretta al miglioramento o all’uso più comodo dei beni comuni.

Per il Tribunale la domanda deve essere accolta, sulla base della seguente motivazione:

  1. la Corte d’Appello di Roma con sentenza 478/2008,ha avuto modo di affermare che: “L’abbattimento di alberi, comportando la distruzione di un bene comune, deve considerarsi un’innovazione vietata e, in quanto tale, richiede l’unanime consenso di tutti i partecipanti al condominio; né può ritenersi che la delibera di approvazione, a maggioranza, della spesa relativa all’abbattimento, possa costituire valida ratifica dell’opera fatta eseguire di propria iniziativa dall’amministratore”;
  2. va quindi preliminarmente verificato se all’abbattimento dell’albero di cui si parla nella suddetta sentenza possa essere validamente assimilato l’abbattimento della siepe, elementi, entrambi, certamente rientranti nella categoria delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c.;
  3. si ritiene che tale assimilazione sia possibile, non rinvenendosi alcun motivo di regolamentare in modo diverso il destino di beni che, sia pur nella diversità di funzioni e di incidenza rispetto alle proprietà dei singoli, debbono incontestabilmente considerarsi comuni a tutti i condomini.
Installazione di pannelli in lamiera per delimitare proprietà in condominio

Posso installare pannelli in lamiera per delimitare il confine tra il mio giardino e quello del condomino vicino?

Secondo l’articolo 833 c.c. il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.

Per parlare di atto emulativo previsto dall’art. 833 c.c. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie ed abbia lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri.

In particolare, perché si possa parlare di “atti emulativi” in senso proprio, la giurisprudenza, sulla base di un’interpretazione letterale della norma, richiede il concorso di due elementi indefettibili: uno di tipo oggettivo, che consiste nella mancanza di utilità per chi compie l’attività, e uno di tipo soggettivo (c.d. animus nocendi), che è rappresentato dalla consapevolezza e volontà di nuocere o arrecare molestie ad altri (Cass. civ., Sez. II, 27/06/2005, n. 13732).

La norma ha la finalità di assicurare che l’esercizio del diritto di proprietà risponda alla funzione riconosciuta al titolare dall’ordinamento, impedendo che i poteri e le facoltà dal medesimo esercitate si traducano in atti privi di alcun interesse per il proprietario ma che, per le modalità con cui sono posti in essere, abbiano l’effetto di recare pregiudizio ad altri.

Si noti che la previsione ex art. 833 c.c. ha carattere residuale di vera e propria norma di chiusura ed è invocabile se dovessero mancare specifiche violazioni di altre disposizioni.

Alla luce di quanto sopra costituisce atto emulativo il comportamento del condomino che erige un muro di confine tra la parte di lastrico solare di sua proprietà esclusiva e la restante parte degli altri condomini, al sol fine di far perdere a questi la vista panoramica.

Non costituisce invece atto emulativo, vietato ai sensi dell’art. 833 c.c., la sostituzione di una siepe con un muro in cemento, volto a precludere ai vicini l'”inspectio” nel proprio fondo, in quanto, rimanendo la funzione del manufatto identica a quella della siepe, tale sostituzione non può dirsi manifestamente priva di utilità.

E se un condomino decide di installare pannelli in lamiera per delimitare il confine tra il mio giardino e quello del condomino vicino si può parlare di atto emulativo?

La risposta è contenuta nella motivazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 17680 del 30 novembre 2022.

Atto emulativo e installazione da parte del condomino di pannelli in lamiera per demarcazione del confine del giardino: la vicenda

Due condomini, per separare il proprio giardino da quello del vicino, innalzavano una struttura divisoria con pannelli riflettenti in aderenza alla rete metallica di recinzione.

I vicini si rivolgevano al Tribunale per richiedere la demolizione della nuova struttura divisoria.

Secondo gli attori detta struttura toglieva notevolmente luce ed aria al loro immobile ed era stata realizzata senza autorizzazione alcuna da parte del Condominio.

In particolare ritenevano che l’opera, realizzata sul confine dai convenuti, costituisse tipico atto emulativo ai sensi dell’art. 833 c.c., essendo evidente come il materiale utilizzato (lamiera bianca grecata) fosse inutile e inadatto ad una recinzione e, dunque, avesse il solo scopo di arrecare danno alla proprietà dell’attrice.

In ogni caso gli stessi attori lamentavano la violazione da parte dei convenuti di una norma del regolamento di condominio che vietava espressamente la realizzazione su aree private o condominiali di “costruzioni accessorie di qualsiasi tipo o materiale”.

L’assemblea non si era voluta pronunciare sulla questione; di conseguenza veniva citato in giudizio anche il condominio, considerato corresponsabile per non essersi adoperato a far rispettare il divieto previsto nel regolamento condominiale

La decisione

Il Tribunale ha dato torto agli attori. Lo stesso giudice ha sottolineato che, ad avviso del CTU, la parete divisoria in pannelli isolanti prefabbricati opachi, installata dai convenuti lungo il confine del proprio giardino, ha comportato una limitazione di aria e luce al giardino di proprietà degli attori.

Quest’ultimi, però, hanno agito sostenendo che la realizzazione del manufatto posto sul confine costituiva un tipico atto emulativo integrante la fattispecie prevista dall’articolo 833 c.c.; di conseguenza – come ha osservato il Tribunale, gli stessi attori, in applicazione del principio sancito dall’art. 2697 c.c., avrebbero dovuto provare la mancanza di utilità dei pannelli, nonché l’animus nocendi, identificabile con il dolo, ovvero con l’intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri.

I vicini, però, non hanno provato l’esistenza dei presupposti richiesti dal citato articolo 833 c.c.

Il Tribunale ha quindi escluso l’intento emulativo dei convenuti e, conseguentemente, la domanda degli attori volta ad ottenere la demolizione del manufatto per violazione del disposto di cui all’art. 833 c.c. è stata rigettata. In ogni caso la clausola del regolamento menzionata dagli attori non è risultata opponibile ai convenuti.

Infine il Tribunale ha evidenziato che non vi è legittimazione passiva del condominio in ordine alla pretesa del singolo rivolta ad accertare le violazioni regolamentari perpetrate da altri partecipanti e ad ottenere una conseguente condanna risarcitoria del condominio stesso.

Nuovi poteri amministratore di condominio e perdita decisionale dell’assemblea con nuove leggi

Quali sono i poteri decisionali di un amministratore di condominio, cosa prevedono le novità 2023 e cosa cambia per assemblea

Quali sono i nuovi poteri amministratore di condominio e perdita decisionale dell’assemblea con nuove leggi 2023? 
L’amministratore di condominio al momento della sua nomina assume diverse responsabilità per garantire la corretta gestione di un condominio nei confronti dei quali assume diversi obblighi ma oggi anche poter maggiori. Vediamo cosa cambia per i poteri di un amministratore di condominio nel 2023.

Stando, infatti, a quanto previsto, se oggi spetta all’assemblea di condominio decidere se intraprendere o aderire ad una procedura di mediazione, e l’amministratore di condominio, una volta ricevuta la notifica dell’invito ad aderire una procedura di mediazione, deve convocare l’assemblea, con l’approvazione della nuova legge avrà pieno potere di aderire alla mediazione senza obbligo di convocazione dell’assemblea.

Ciò significa che la decisione autonoma che può essere presa dall’amministratore di condominio riduce contestualmente il potere decisione dell’assemblea. Dunque, con l’approvazione della nuova legge, l’amministratore di condominio può da solo decidere di attivare un procedimento di mediazione, aderirvi e parteciparvi, informando di tale decisione l’assemblea solo nella fase conclusiva della mediazione stessa.

La nuova legge cambia le norme in vigore che, come stabilito dalla Corte di Cassazione, individuano nel condominio come organo principale depositario del potere decisionale l’assemblea di condominio, mentre spetta all’amministratore di condominio eseguire le delibere dell’assemblea dei condomini. Ed è, inoltre, di competenza dell’assemblea decidere sulla partecipazione alle liti attive e passive.

Nuovi poteri possono essere esercitati dall’amministratore di condominio anche per quanto riguarda decisione di accensione e spegnimento dei termosifoni centralizzati: in tal caso, infatti, l’amministratore di condominio ha il potere decisionale di modificare orari e tempi di accensione dei riscaldamenti centralizzati in condominio, sempre alla luce di quanto stabilito dalle leggi nazionali in merito. Le leggi in vigore prevedono, infatti, specifici periodi e tempi di accensione dei riscaldamenti in Italia in base alle diverse zone. Considerando, dunque, ciò che prevedono le leggi nazionali sui tempi in cui accendere i termosifoni in condominio, nell’ambito delle stesse, l’amministratore di condominio può decidere per eventuali modifiche di accensione dei riscaldamenti.

Un amministratore di condominio ha, inoltre, il potere di decidere in piena autonomia e senza necessità di consultare l’assemblea l’attuazione di lavori urgenti in condominio.

I lavori urgenti in condominio possono essere decisi singolarmente dall’amministratore di condominio, perché quest’ultimo ha la responsabilità di tutelare i condomini e di evitare problemi che potrebbero nuocere al loro benessere e alla loro incolumità.
Dunque, per lavori urgenti in condominio l’amministratore ha pieno potere decisionale e non ha obbligo di convocare l’assemblea che li approvi.