Le morosità nel condominio

Visto il continuo aumentare delle insolvenze da parte dei condomini, la questione della morosità in condominio è stata una volta e per tutte affrontata decisivamente dalla legge 220/2012 che di fatto ha conferito più poteri e responsabilità all’amministratore di condominio. Quest’ultimo, come stabilisce l’articolo 129 del Codice civilesalvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso”. Quindi, ponendo il caso in cui un condomino non paga le spese comuni, tra cui quelle riguardanti le quote per il riscaldamento centralizzato, l’amministratore è obbligato, dalla legge, ad intervenire per via giudiziaria contro il condomino moroso. Per prima cosa può decidere se inviare al diretto interessato una lettera di sollecito per poi, senza che vi sia la necessaria autorizzazione dell’assemblea, ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. Spetterà poi al giudice, sulla base dei rendiconti presentati dall’amministratore, obbligare il condomino moroso a saldare i propri debiti entro e non oltre un determinato lasso di tempo, pena il pignoramento dei propri beni.

L’eventuale copertura

Visto però che le numerose pratiche che solitamente affollano gli uffici del tribunale rendono l’iter giudiziario lungo e non esattamente agevole, in attesa di recuperare quanto dovuto dal condominio moroso, l’amministratore ha la facoltà di chiedere ai condomini in regola con i pagamenti di coprire la parte mancante. In questo modo, ognuno andrebbe a coprire con una piccola percentuale, calcolata ai millesimi di proprietà, con l’esclusione del moroso, la spesa mancante. Certo, si tratta di un meccanismo poco, o per niente, giusto, ma necessario per evitare l’interruzione totale del servizio, come previsto dalla clausole inserite nei contratti di fornitura. In ogni caso, secondo quanto previsto dall’articolo 1565 del Codice Civile, è necessario che l’amministratore avverta i condomini di tale decisione con largo anticipo.
In effetti, pensandoci bene, al fornitore importa davvero poco se qualche condomino è o meno in regola con i pagamenti. Il suo interlocutore, di fatto, è l’amministratore che, come previsto dall’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice civile, “è peraltro tenuto a trasmettere ai creditori, che ne avanzino richiesta, i nominativi e le quote di debito dei morosi, affinché possano agire nei confronti di chi non ha pagato e, solo se il tentativo fallisce, verso l’intero condominio. Un’azione che si può definire “surrogatoria”, nel senso che si realizza soltanto in caso di mancato intervento dell’amministratore”.
Quest’ultima misura, però, se da un lato mira a tutelare i condomini virtuosi e sempre in regola con i pagamenti, dall’altro rende complicato il recuperare quanto dovuto dal condomino moroso. E così facendo, inoltre, nonostante le buone intenzioni della norma appena introdotta, nella maggior parte dei casi dopo il primo tentativo di recupero crediti, si finisce sempre con l’agire nei confronti dell’intero condominio.

La «cassa comune»

Proprio per questo motivo, all’interno di alcuni stabili, si è deciso di istituire uno speciale fondo cassa dal quale poter attingere nei casi in cui si presenti una necessità urgente come ad esempio questa appena citata.
Per la giurisprudenza (Cassazione 3463/1975), riguardo la costituzione di un fondo cassa utile a sopperire agli inadempimenti dei condomini morosi, “non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condòmini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi; invece, nell’ipotesi di effettiva, improrogabile urgenza di trarre aliunde somme, come nel caso di aggressione in executivis da parte di creditori del condominio, in danno di parti comuni dell’edificio, può ritenersi consentita una deliberazione assembleare, la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione di un fondo cassa ad hoc, tendente a evitare danni ben più gravi nei confronti dei condòmini tutti, esposti dal vincolo di solidarietà passiva, operante ab externo”.
Tale principio può valere anche dopo l’entrata in vigore dell’appena rinnovato articolo 63 del Codice civile, secondo il quale “i creditori possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”.

La sospensione

Inoltre, sempre il rinnovato articolo 63, prevede che “in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l’amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato”. Questo significa che se per esempio si intende bloccare l’erogazione del riscaldamento nell’appartamento del condomino moroso, lo si può fare, sempre a condizione che l’impianto di riscaldamento lo consenta. Tuttavia, ancora adesso, nonostante l’inserimento della nuova norma, quella della sospensione del servizio rimane una questione molto dibattuta, anche perché i giudici continuano ad esprimersi sempre in modo differente.

Solidarietà ed eredi

Inoltre, nel momento in cui il condomino moroso cede il suo immobile, il nuovo proprietario “il nuovo proprietario resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi relativi all’anno in corso e agli anni precedenti, e, comunque, per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”. Invece, in caso di morte del condomino moroso, toccherà agli eredi sanare i suoi debiti “in proporzione alla quota d’eredità attribuita a ciascuno di loro o, in mancanza di testamento, secondo le regole della successione legittima”.

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