Termine per l’impugnativa di una delibera assembleare da parte di condomini assenti.

Nel caso in esame, una condomina impugnava avanti al Tribunale una delibera adottata dall’assemblea del Condominio, che nel costituirsi eccepiva la tardività dell’impugnazione, chiedendone comunque il rigetto nel merito.

Il Tribunale in prima battuta sospendeva l’esecuzione della delibera, ma tale sospensione veniva successivamente revocata dal Collegio, in accoglimento del reclamo proposto dal Condominio; il Tribunale poi con sentenza dichiarava la condomina decaduta dal diritto di impugnazione della delibera per tardiva proposizione.

Alla base della suddetta decisione, il Tribunale (richiamando l’ordinanza collegiale emessa in sede di reclamo) rilevava che

– il verbale della seduta era stato spedito all’indirizzo della ricorrente il 22 luglio 2010 con lettera raccomandata, di cui l’addetto postale aveva tentato il recapito il successivo 23 luglio 2010;

– ai sensi dell’art. 1335 c.c. la dichiarazione recettizia si presume conosciuta nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario e che pertanto in questo caso spettava alla ricorrente dimostrare di essersi trovata senza colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza dell’atto.

La Corte d’Appello dichiarava inammissibile il gravame, rilevando che, come già affermato dal tribunale,

– l’impugnazione della delibera era stata proposta oltre il termine di trenta giorni dalla data di rilascio dell’avviso di giacenza;

– non si poteva considerare, come dies a quo per l’impugnativa della deliberazione, il momento in cui il plico era stato ritirato in ufficio.

La condomina propone quindi ricorso per cassazione, lamentando la violazione ed erronea applicazione dell’art. 1137 c.c., in correlazione con gli artt. 1334 e 1335 c.c. e art. 66 disp. att. c.c.: per la ricorrente infatti, nella specie non è applicabile il principio della presunzione di conoscenza degli atti recettizi ex art. 1335 c.c, al fine di stabilire la data di comunicazione, nonchè, con essa, la decorrenza del dies a quo per l’impugnazione delle delibere condominiali: tale data deve viceversa farsi coincidere, nel caso di specie, col 27 luglio 2010, data in cui essa ha ritirato il plico presso l’Ufficio che lo aveva ricevuto in deposito dopo il tentativo di consegna.

La Suprema Corte, nel ritenere fondato il motivo di impugnazione, osserva quanto segue:

  1. a) a norma dell’art. 1137 c.c., il termine decadenziale di trenta giorni per impugnare le delibere dell’assemblea decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti e “dalla data di comunicazione per gli assenti”;
  2. b) la prova dell’avvenuto recapito della lettera raccomandata contenente il verbale dell’assemblea condominiale all’indirizzo del condomino assente comporta l’insorgenza della presunzione “iuris tantum” di conoscenza, in capo al destinatario, posta dall’art. 1335 c.c nonchè, con essa, la decorrenza del “dies a quo” per l’impugnazione della deliberazione, ai sensi dell’art. 1137 c.c.;
  3. c) il suddetto principio, di carattere generale, è condivisibile ove lo si colleghi effettivamente “all’avvenuto recapito dell’atto all’indirizzo del condomino assente”;
  4. d) nel caso di specie, è stato compiuto solo un tentativo di recapito stante l’assenza del destinatario o delle persone abilitate alla ricezione: all’indirizzo è stato lasciato solo l’avviso di tentativo di consegna, mentre il plico contenente il verbale è stato depositato nell’ufficio postale per mancato reperimento del destinatario;
  5. e) in tale ipotesi appare davvero arduo estendere la suddetta regola perchè il presupposto è ben diverso: manca il presupposto essenziale per l’applicabilità della presunzione di conoscenza posta dal’art. 1335 c.c, cioè l’arrivo dell’atto all’indirizzo del destinatario;
  6. f) per gli Ermellini – in caso di spedizione a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno e di mancato reperimento del destinatario da parte dell’agente postale – si deve fare applicazione analogica della regola dettata nella L. n. 890 del 2002, art. 8, comma 4, secondo cui:

“la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al comma 2, ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore”; peraltro, poichè il citato regolamento del servizio di recapito adottato non prevede la spedizione di una raccomandata contenente l’avviso di giacenza, ma soltanto, all’art. 25, il “rilascio dell’avviso di giacenza”, la regola da applicare per individuare la data di perfezionamento della comunicazione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, in caso di mancato recapito della raccomandata all’indirizzo del destinatario, è quella che la comunicazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore.”

Esito del ricorso: accoglimento con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello.

Sent. Cassazione civile n. 25791 del 14-12-2016

Decreto ingiuntivo nullo se non sono diffidati tutti i comproprietari

Il GdP di Taranto chiarisce che il nominativo indicato nelle tabelle millesimali vale solo sino al momento in cui i pagamenti avvengono bonariamente

Prima di procedere al recupero delle spese condominiali nei confronti di un condomino moroso, l’amministratore di condominio è tenuto a diffidare anche tutti i suoi eventuali comproprietari. Se non lo fa, il decreto ingiuntivo eventualmente ottenuto deve considerarsi nullo.

Così, con sentenza del 1° marzo 2016 (qui sotto allegata), il Giudice di Pace di Taranto ha accolto l’opposizione avverso un’ingiunzione di pagamento notificata unitamente al precetto, presentata dal comproprietario di un’unità immobiliare che contestava, tra le altre cose, l’avventatezza dell’azione giudiziale dell’amministratore, avviata senza essersi prima accertato dell’interessamento degli altri proprietari al pagamento delle quote richieste.

Per il giudicante, prima di procedere al recupero giudiziale, in presenza di più proprietari l’amministratore avrebbe dovuto dare prova di aver messo in mora tutti gli aventi diritto e comproprietari.

In assenza di tale adempimento, insomma, non è possibile chiedere validamente un decreto ingiuntivo nei confronti di uno solo di essi.

Il nominativo indicato nelle tabelle millesimali vale infatti solo sino al momento in cui i pagamenti avvengono bonariamente, mentre quando diviene necessario procedere coattivamente non può prescindersi dal tenere in debito conto gli atti di proprietà dei condomini e/o catastali.

Per evitare l’atto del tutto annullabile, sarebbe in altre parole bastato eseguire una visura degli atti catastali e acquisire in tal modo le intestazioni delle diverse unità immobiliari.

Senza considerare che l’amministratore ha anche un preciso dovere di istituire e aggiornare un’anagrafe condominiale in cui raccogliere le generalità dei proprietari e dei titolari dei diritti reali e personali di godimento sui beni in condominio.

Una leggerezza non da poco, insomma, che pone nel nulla il decreto ingiuntivo e il precetto.

Regolamento di condominio e casa famiglia

Nel caso in cui il regolamento condominiale preveda che un appartamento possa essere destinato esclusivamente ad abitazione, studio professionale o ufficio privato, non è possibile adibirlo ad altre destinazioni, neanche a una casa-famiglia.

Non importa che il proprietario, unico interessato, abbia già ottenuto tutte le autorizzazioni amministrative necessarie a tal fine: per il Tribunale di Catania la residenza per anziani può essere aperta solo con l’autorizzazione aggiuntiva dei condomini.

La casa-famiglia, del resto, non può essere in nessun modo paragonata a una civile abitazione: le sue caratteristiche e la necessità aggiuntiva di un ambulatorio specializzato incrementano, infatti, l’affluenza sia nell’edificio che, soprattutto, nei parcheggi.

A precisarlo è la sentenza numero 4976/2015 della terza sezione civile: l’attività del proprietario dell’appartamento deve essere necessariamente approvata dall’assemblea condominiale con la maggioranza di cui al secondo comma dell’articolo 1136 del codice civile, ovverosia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Il giudice siciliano, a sostegno delle sue conclusioni, sottolinea, peraltro, che il regolamento condominiale che dispone la limitazione della destinazione dell’edificio ha natura contrattuale in quanto è stato allegato al rogito e richiamato in esso.

Esso, poi, non può essere sottoposto ad alcuna interpretazione estensiva, nonostante non ponga alcun espresso divieto di casa-famiglia.

Insomma: il condomino deve rassegnarsi. La sua iniziativa non può proseguire se gli altri condomini non sono d’accordo.

Termine per impugnare la delibera condominiale

Il termine per impugnare la delibera scatta dopo dieci giorni dall’avviso di giacenza della raccomandata.

Deve ritenersi che la regola da applicare per individuare la data di perfezionamento della comunicazione a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, in caso di mancato recapito della raccomandata all’indirizzo del destinatario, sia che la comunicazione si deve considerare per eseguita decorsi dieci giorni dalla data del rilascio dell’avviso di giacenza ovvero dalla data del ritiro della raccomandata se anteriore.
Ne consegue che da tale data decorre il termine di decadenza di trenta giorni per proporre impugnazione contro la delibera condominiale da parte del singolo proprietario esclusivo.

Sentenza 25791 del 14-12-2016

Passaggio di consegne e risvolti di carattere penale

La Cassazione con sentenza n. 31192/14 ha condannato penalmente in primo grado ed in appello un amministratore di condominio per essersi rifiutato di restituire i documenti contabili inerenti all’amministrazione. La Cassazione II sez. penale con la sentenza sopra citata ha confermato la responsabilità dell’amministratore per entrambi i reati contestati, ossia appropriazione indebita aggravata (artt. 646 e 61 n. 7 cod. pen.) e mancata esecuzione di un provvedimento giurisdizionale (art. 388 co. 2 cod. pen.).

Innanzitutto appropriazione indebita, poiché la mancata restituzione dei documenti relativi all’amministrazione di un condominio, come più volte ricordato dai Giudici di Legittimità (su tutte Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 29451 del 10/07/2013 e Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 40906 del 18/10/2012), integra appunto gli estremi di tale reato. Per di più nella forma aggravata di cui all’art.61 cod. pen., perché commessa con “abuso di relazioni originate da prestazione d’opera” (Cass. Penale, Sez. VI, sent. n. 36022 del 05/10/2011).

Ma nel caso in questione al reato di cui all’art. 646 cod. pen. se ne aggiunge un’altro: quello previsto e punito con la reclusione fino a 3 anni dall’art. 388 co. 2 cod. pen.

Il Giudice civile aveva infatti ordinato in via di urgenza la restituzione dei documenti, ma tale ordine cautelare era stato volutamente disatteso, con la conseguente commissione di un reato. La Cassazione, infatti, ribadendo un orientamento costante e risalente sino al 1987, ha ricordato come “rientrano tra i provvedimenti cautelari del giudice civile la cui dolosa inottemperanza dà luogo a responsabilità penale tutti i provvedimenti cautelari previsti nel libro IV del codice di procedura civile, e quindi non soltanto quelli tipici, ma anche quello atipico adottato ex art. 700 c.p.c. (Case. Pen., Sez. II, sent. n. 31192 del 16/07/2014)”.

Disobbedire ad un provvedimento giurisdizionale è un reato, ma solo quando la mancata esecuzione spontanea renda ineseguibile quel provvedimento come nel caso di specie, dal momento che l’obbligo di restituzione dei documenti non poteva essere diversamente eseguito, neppure coattivamente, senza la spontanea collaborazione dell’ex amministratore (Cass. Pen., SS.UU., sent. n. 36692 del 27/09/2007).

Va ricordato che i documenti contabili sono indispensabili a tutelare la proprietà o il possesso di un condominio, “…pacifico essendo che l’ordine (non osservato) di consegna della documentazione Contabile inerente all’amministrazione di un condominio incide sulla proprietà condominiale, impedendone la corretta amministrazione (Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 31192 del 16/07/2014).

Reato di appropriazione indebita

E’ reato di appropriazione indebita depositare somme sul proprio conto corrente

Integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’amministratore di condominio che trasferisce sul proprio conto corrente le somme depositate dai condomini per ottenere un tasso di interesse migliore.

Lo precisa la Cassazione con Sentenza n. 3354/2016 che non accoglie il ricorso dell’amministratore secondo cui la somma era stata depositata su altro conto a titolo di investimento nell’interesse esclusivo del condominio amministrato, pur non essendo destinata a fare fronte a spese condominiali

Il condominio risarcisce condomini o terzi che cadono accidentalmente nel viale condominiale

L’utilizzo del viale condominiale da parte dei condòmini, ma anche dei terzi, non risulta affatto imprevedibile od eccezionale, gli stessi, pertanto, non possono non fare affidamento circa la transitabilità e la sicurezza dell’anzidetto camminamento in assenza di limitazioni di transito, o segnali di pericolo, che avvisano della pavimentazione scivolosa. In tali condizioni, nondimeno, non risulta possibile neppure ipotizzare la concorrente, o esclusiva, responsabilità del terzo, atteso l’intrinseco stato di pericolosità in cui versa il viale, altrimenti sicuro.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25483 pubblicata in data 13 dicembre 2016.

Il familiare di un condomino conveniva in giudizio il condominio per ottenere il risarcimento del danno subito a seguito di una caduta sul vialetto di accesso allo stabile in condominio, reso viscido dalla formazione di muschio creatosi per la presenza di alcune piante in vasi posti al lato del vialetto.

In primo, ma anche in secondo grado, il condominio veniva condannato al risarcimento del danno essendo stati accertati i presupposti di cui all’art. 2051 Cc, tanto perché, a seguito di consulenza tecnica d’ufficio, veniva evidenziata l’intrinseca pericolosità della cosa in dipendenza di formazioni muschiose sull’intero viale e, di converso, l’assenza di elementi tali da far ritenere una qualche (co)responsabilità nel sinistro da parte del danneggiato.

Propone ricorso per cassazione il condominio, che affida lo stesso a tre motivi implicanti vizi per errori di diritto e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, quest’ultimo teso a dimostrare che: «a) non tutto il vialetto era coperto dal muschio b) il fenomeno muschioso originava da alcune piante in vasi posti al lato del vialetto» e, conseguentemente, la condotta colposa del danneggiato nonché l’omesso avvertimento da parte del condomino familiare della vittima.

Premette la Suprema Corte, richiamando i noti principi giurisprudenziali, che la responsabilità per cose in custodia, ex art. 2051 Cc, impone all’attore l’onere di fornire la prova «del nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento lesivo nonché dell’esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa», viceversa, il convenuto, nel caso di specie il condominio, è tenuto a provare l’esistenza di un fattore esterno che abbia quei requisiti di imprevedibilità e di eccezionalità tali da interrompere il predetto nesso di causalità.

In altri termini, il condominio, per andare esente dalla responsabilità tipica del custode, deve dimostrare il caso fortuito o l’evento eccezionale ovvero la responsabilità concorrente o esclusiva del danneggiato che, nel primo caso, imporrebbe una riduzione del risarcimento.

A tale riguardo, una volta tenuto conto del fatto che l’utilizzo da parte dei condòmini, o di loro familiari, del viale di accesso allo stabile condominiale appare circostanza assolutamente normale e, quindi, di certo un evento niente affatto imprevedibile o eccezionale, gli stessi «non possono che fare affidamento sulla sicurezza dello stesso in assenza di specifiche limitazioni di transito o segnalazioni di pericolo od altri presidi diretti a limitarne l’uso dall’altro difetta la prova di quale fosse la effettiva dimensione della copertura muschiosa che rendeva viscido il vialetto; neppure è ipotizzabile il “fatto del terzo” così come prospettato dal ricorrente, in quanto, indipendentemente dal rinvenimento del fondamento giuridico dell’obbligo di preventiva informazione circa le condizioni del vialetto posto a carico dei familiari accompagnatori, è appena il caso di osservare come la condotta omissiva viene a collocarsi al di fuori della fattispecie illecita individuata dalla norma dell’art. 2051 c.c., nella quale il fatto del terzo -sempre che imprevedibile ed eccezionale- produce invece direttamente la pericolosità della res (altrimenti inerte) ipotesi che non ricorre nella specie».

La Corte, infine, prima di respingere il ricorso, non manca di sottolineare come nella vicenda giudiziaria non è stata posta all’attenzione dei giudici di merito – evenienza che precluderebbe qualsiasi statuizione sul punto da parte del Giudice di legittimità – una diversa e importante questione, quella relativa alla visibilità del pericolo.

In tali casi, infatti, allorquando il pericolo risulta visibile con l’ordinaria diligenza, l’utente, nell’usufruire del bene in custodia, deve prestare quel minimo di attenzione necessaria ad evitare il danno, in mancanza, il risarcimento potrebbe venire parzialmente o totalmente escluso in virtù del “fatto del terzo”.

Il cambio d’uso non incide sui millesimi

La revisione delle tabelle non è obbligatoria per il cambio di destinazione. Con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione (sentenza 19797/2016) torna sulle problematiche della revisione delle tabelle millesimali. Queste tabelle (differenziate per tipologia di spesa) rappresentano numericamente le quote in base alle quali ciascun condomino riceve l’attribuzione dei costi di gestione e quindi costituiscono uno strumento fondamentale per l’amministrazione del fabbricato.

La legge (articolo 69 dele Disposizioni di attuazione del Codice civile) prevede anche un sistema di «aggiornamento» delle stesse, denominato «revisione», che è finalizzato a far fronte alle eventuali modifiche della consistenza dell’edificio. Tuttavia, il codice circoscrive le ipotesi in cui la revisione è obbligatoria a casi limitati a eventuali errori nella redazione originaria e/o variazioni volumetriche delle unità immobiliari.

Nel caso della sentenza si è affermato che, considerate le condizioni poste dalla legge, e anche per ragioni di certezza dei diritti/obblighi dei singoli condòmini, una diversa destinazione d’uso di un locale/magazzino (originariamente commerciale) non può incidere sull’assetto millesimale che non dipende da tale aspetto puramente soggettivo. In definitiva, le variazioni dell’immobile che non riguardano la sua consistenza non danno luogo a necessaria revisione delle tabelle.

Valido il regolamento approvato dopo la vendita se l’acquirente dà mandato di deposito presso il notaio

È valido il regolamento approvato dopo la compravendita quando l’acquirente ha conferito al costruttore la delega di depositarlo presso un notaio. Il neo proprietario dovrà quindi rimuovere dal terrazzo le fioriere vietate dal regolamento stesso.
È quanto stabilito dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 23128 del 14 novembre 2016, ha respinto il ricorso dell’acquirente di un appartamento che aveva messo dei vasi che ostruivano la vista, sul mare, dei vicini di casa.
Per la seconda sezione civile, dunque, è indubbia la natura convenzionale del regolamento in questione, data dal fatto che l’acquirente non ha assunto il generico impegno a rispettare l’emanando regolamento, ma ha dato specifico incarico di predisporre tale regolamento in nome e per conto proprio, previsione che consente di superare l’obiezione della mancanza di regolamento al momento dell’acquisto dell’unità immobiliare, posto che tale regolamento deve ritenersi dal medesimo accettato nel rispetto delle forme obbligatoriamente prescritte. Inoltre, spiegano ancora gli Ermellini, dato che ai sensi dell’art. 1388 cod. civ. gli effetti del contratto concluso dal rappresentante si perfezionano direttamente nei confronti del rappresentato e preso atto che il neo proprietario non invoca la nullità di siffatta clausola contrattuale o la successiva revoca della procura o il suo superamento da parte del costruttore, il regolamento condominiale risulta opponibile all’appellante in quanto predisposto dall’originario venditore su suo specifico incarico contrattale. È dunque evidente che l’obbligatorietà del regolamento viene immediatamente ricollegata al potere rappresentativo concesso dall’uomo alla società, restando estranea alla dinamica dei rapporti prospettati dalla parte ricorrente
Nell’ipotesi in esame non ricorre, secondo la Corte suprema, un’ipotesi di regolamento che avrebbe dovuto essere approvato dall’assemblea condominiale o l’affidamento di un mandato alla società venditrice di predisporre il regolamento condominiale ma, semplicemente, l’attribuzione di un incarico alla società venditrice di predisporre il regolamento in nome e per conto proprio delimitando le materie sulle quali sarebbe dovuto intervenire. E, il divieto di formare fioriere mobili rientrava nella materia affidata al regolamento che sarebbe stato predisposto.

Chi si oppone all’ingiunzione del condominio può contestare debito e verbale ma non la delibera

Nel giudizio di opposizione all’ingiunzione ottenuta dal condominio il proprietario esclusivo non può contestare la validità della delibera che ripartisce le spese ma solo la sussistenza del debito, la documentazione posta a fondamento del provvedimento monitorio o il verbale dell’assemblea. E ciò perché la decisione assunta dall’adunanza prova di per sé l’esistenza del credito per l’ente di gestione e l’eventuale vizio della delibera per la mancata convocazione di un condomino deve essere fatto valere in altra sede da parte del singolo proprietario con l’impugnazione ex articolo 1137 Cc. È quanto emerge dalla sentenza 22452/16, pubblicata il 4 novembre dalla sesta sezione civile della Cassazione.

Attualità ed efficacia

Respinto il ricorso del condominio che contesta l’appartenenza al supercondominio. In generale, l’ambito del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio (nella specie “super”) è ristretto alla verifica dell’esistenza e dell’efficacia della delibera con cui l’assemblea ha approvato la spesa e la relativa ripartizione fra i condomini: la decisione costituisce titolo di credito per l’ente di gestione che lo legittima non solo a ottenere il provvedimento monitorio ma anche la condanna al pagamento delle somme nel giudizio di opposizione proposto contro il decreto ingiuntivo dal condomino moroso. Inutile dunque contestare la delibera laddove l’attualità del debito del proprietario esclusivo non sarebbe comunque subordinata alla validità della decisione ma soltanto alla sua perdurante efficacia.

Nullità e annullabilità

Va detto poi che l’eventuale omessa convocazione di un condomino costituisce motivo di annullamento e non di nullità della delibera approvata dall’assemblea. E quindi non si tratta di un vizio che può essere dedotto nella fase dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Va invero ricordato che sono nulle solo le delibere: prive degli elementi essenziali; con oggetto impossibile o illecito oppure che non rientra nella competenza dell’assemblea; che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini; comunque invalide in relazione all’oggetto. Non resta allora che pagare le spese di giudizio e il contributo unificato aggiuntivo