L’amministratore ritarda nel pagare la ditta che esegue i lavori? Spetta al condominio versare gli interessi di mora

L’amministratore ritarda nel pagare la ditta che esegue i lavori nello stabile? Allora il condominio è tenuto a versare gli interessi di mora. Questo è quanto ha stabilito il Tribunale di Roma con la sentenza n.225 dell’11 gennaio 2016 in tema di responsabilità dell’amministratore di condominio nel contratto di appalto.

Si è giunti a questa sentenza dopo che una ditta di pulizie aveva fatto ricorso al Tribunale chiedendo un decreto ingiuntivo nei confronti del condominio per il pagamento di una somma dovuta dopo che la stessa ditta aveva prestato un servizio di pulizia in uno stabile. Questa somma, ovviamente, comprendeva, oltre a quanto dovuto per il servizio, gli interessi di mora maturati fino a quel periodo.

Il condominio, dal canto suo, si opponeva a tale decreto e richiedeva un compenso per le maggiorazioni rispetto al prezzo d’appalto inizialmente concordato.

Se l’amministratore ritarda nel pagare la ditta che esegue i lavori, paga il condominio?

Nei poteri attribuiti all’amministratore di condominio dall’articolo 1130 c.c. rientra quello di stipulare contratti necessari per provvedere, nei limiti della spesa approvata dall’Assemblea, tanto all’ordinaria manutenzione quanto alla prestazione dei servizi comuni, contratti, pertanto, vincolanti per tutti i condomini ai sensi dell’articolo 1131 cc.

Anzi, se l’amministratore di un condominio autorizzato dall’assemblea dei condomini senza riserva di approvazione di talune clausole, alla stipula di un contratto di appalto per provvedere alla manutenzione di parti comuni dell’edificio, validamente può pattuire, per il caso di ritardo nel pagamento del corrispettivo all’appaltatore, interessi moratori superiore al tasso legale e il condominio è obbligato l’adempimento del debito derivante da tale clausola né comunque il preteso credito per pagamenti indebiti opposto in compensazione si rivelerebbe di facile e pronta liquidazione“.

L’amministratore ritarda nel pagare la ditta che esegue i lavori? Il condominio non deve nulla se l’assemblea prima lo approva all’unanimità

Secondo il giudice del Tribunale di Roma, una volta accertati i fatti, è emerso chiaramente che vi era un accordo contrattuale tra le due parti (condominio e ditta di pulizie) che prevedeva il versamento degli interessi di mora alla ditta nel caso in cui ci fosse stato un ritardo nel pagamento da parte dell’amministratore.

Chiarito ciò, “nella vicenda in esame, conformemente a quanto precisato dalla giurisprudenza di legittimità, il giudice romano ha avuto modo di precisare che l’amministratore condominiale ha il potere, ai sensi degli articoli 1130, 1131, numero 3, e 1135, numero 4, del c.c., di stipulare, vincolando i condomini, i contratti necessari per provvedere alla manutenzione ordinaria dei beni comuni nonché alla loro manutenzione straordinaria, la quale sia stata deliberata dall’assemblea dei condomini – salva l’ipotesi in cui quest’ultima, nel deliberare l’esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione, abbia riservato a sé l’approvazione delle singole clausole di quella stipulazione – con eccezione per le opere urgenti, in relazione alle quali può provvedere immediatamente, riferendone alla prima adunanza“.

Ne consegue che, se l’amministratore di un condominio è autorizzato dall’assemblea dei condomini, alla stipula di un contratto d’appalto che prevede il versamento degli interessi di mora in caso di ritardo dei pagamenti alla ditta che esegue i lavori in una parte comune del condominio, il condominio, a sua volta, è obbligato all’adempimento del debito derivante da questa clausola. (In tal senso Cass. 1640/1997 e Cass.3159/1993).

Per questo motivo, il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso del condominio che, pertanto, dovrà versare alla ditta di pulizie l’intera cifra pattuita più gli interessi di mora.

Cosa accade se un Amministratore non ha i requisiti?

Quella dell’amministratore di condominio è una figura molto complessa che ha oggi connotazioni normative del tutto nuove, sconosciute al codice del 1942.
“Un ruolo che allora era indefinito, quanto a forma e caratteristiche, è stato oggi disegnato dalla L. 220/12 e dalla L. 4/2013, che hanno profondamente inciso sulle caratteristiche necessarie per svolgere l’incarico.
L’art. 71 bis disp.att. cod.civ., introdotto dalla legge 220/2012 disciplina i requisiti per lo svolgimento dell’incarico, mentre la L. 4/2013 prevede quelli richiesti per esercitare in forma professionale l’attività”. Ma cosa accade se un Amministratore non ha i requisiti?
Innanzitutto, c’è da dire che entrambe le normative non si coordinano affatto tra di loro a lasciano parecchio perplessi, poiché introducono aspetti simili ma non del tutto e non sempre coincidenti fra di loro.

Se l’amministratore non ha i requisiti la sua nomina è nulla?

Senza dubbio il legislatore di questi anni ha inteso riconoscere all’amministratore una valenza sociale e una rilevanza significativa quale strumento di tutela di interessi diffusi, pretendendo che la figura destinata al compito delicatissimo e complesso di gestire una rilevante componente del patrimonio immobiliare nazionale possieda parametri di affidabilità e professionalità, così come delineati dalle nuove norme che travalicano il mero rapporto privatistico che intercorre con i condomini che conferiscono l’incarico. 
Vi è quindi chi ha letto nella normativa in vigore la caratteristica di norma imperativa, estendendo tale natura non solo alle previsioni con più certa valenza pubblicistica che regolano lo svolgimento della professione ma anche alle disposizioni contenute nell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., così che per alcuni interpreti la mancanza dei requisiti dettati dal codice civile comporterebbe nullità della nomina per contrarietà a norme imperative e – per alcuni lettori estremi – anche nullità di tutti gli atti compiuti dall’amministratore che dovesse trovarsi a svolgere l’incarico in assenza di tali requisiti. 
Taluno ha richiamato anche la c.d. nullità di protezione, che deriverebbe dall’art. 36 del c.d. codice del consumo, tesi che avrebbe peraltro possibile applicazione solo ove il l’amministratore abbia dolosamente occultato l’assenza dei requisiti e non ove l’assemblea abbia deliberatamente accettato quella assenza“.
Queste posizioni, che non sono per nulla prive di suggestioni, rischiano però di assumere una connotazione estrema nonché di apparire poco legate al dato testuale; soprattutto il richiamo ad un vizio grave e radicale come la nullità della nomina, introduce delle conseguenze molto gravi dagli esiti imprevedibili: per questo motivo si rende del tutto necessaria  una disamina diversa e più ponderata, soprattutto da chi pretende di porsi dalla parte dell’amministratore, che ha di recente e finalmente “trovato una disciplina che – seppur assai perfettibile – finalmente ne riconosce il ruolo e la professionalità“.
Appare quindi del tutto plausibile “che l’amministratore di condominio debba rispondere a parametri che – travalicando il mero interesse civilistico – assicurino alla collettività che quella figura sia rivestita da un soggetto che garantisce affidabilità professionale, patrimoniale e personale. L’intero impianto della L. 4/2013 modula la figura dell’amministratore professionista su parametri astrattamente riconducibili alle professioni ordinistiche, con controlli a natura pubblicistica su formazione, onorabilità, tutela del consumatore, aggiornamento, ovvero tutti quei requisiti che paiono idonei a soddisfare quegli interessi pubblici e diffusi che il legislatore mostra di voler tutelare. Si può discutere se il metodo scelto sia idoneo allo scopo, ma è indubitabile che la legge sulle professioni non ordinistiche sia volta a garantire erga omnes la qualità del professionista.
Tale normativa viene emanata nel gennaio 2013, a pochi mesi di distanza dalla legge 220/2012 che prescrive a sua volta parametri assai vincolanti anche per lo svolgimento dell’incarico; appare improbabile che il legislatore abbia manifestato così tanta schizofrenia – sovrapponendo normative inconciliabili – così che assimilare i due testi in una unica lettura a carattere pubblicistico potrebbe essere fuorviante: in realtà l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. prevede alcuni requisiti di onorabilità e alcuni requisiti culturali per svolgere l’incarico. L’uso del termine “svolgere” e non di quello “assumere” sembra spostare l’attenzione del legislatore civile sul momento di esecuzione della prestazione e non su quello genetico della stessa. 
A ciò si aggiunga che la stessa norma prevede – per il solo venir meno dei requisiti soggettivi di onorabilità – il rimedio espresso della cessazione dall’incarico, mentre nulla prevede ove non sussistano quelli relativi alla formazione.
Se il rimedio della cessazione appare di lineare applicabilità ove i requisiti vengano meno durante lo svolgimento dell’incarico (condanna passata in giudicato, protesto cambiario, etc.) ci si chiede quali conseguenze comporti l’assenza di tali presupposti sin dal momento della nomina, ovvero in quei casi in cui l’assemblea intenda coscientemente nominare amministratore un soggetto che non risponde a tutti i parametri della norma“.

Ecco cosa accade se l’amministratore non ha i requisiti

In tal senso, viene in aiuto un’ autorevolissima dottrina che afferma “che la previsione contrattuale che violi norme imperative (ammesso che all’art. 71 bis disp.att. cod.civ. debba riconoscersi tale natura) non riconduce necessariamente all’applicazione rigida dell’art. 1418 cod.civ. in tema di nullità del contratto, poiché la stessa norma nullità prevede che tale gravissimo vizio colpisca il contratto solo ove espressamente la legge lo preveda. Nello stesso solco interpretativo si pone un rilevante orientamento giurisprudenziale che ascrive alla categoria alla c.d. nullità virtuale tale ipotesi: “in difetto di espressa previsione in tal senso (cd. “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità” Cass. 2394/2015.
Il tema è complesso e richiede un approfondimento che travalica i limiti di queste riflessioni, tuttavia appare assai plausibile – alla luce degli orientamenti appena rammentati – una lettura che si discosti dalla tesi della nullità e si arresti al dato testuale della cessazione dall’incarico, tenuto conto che la stessa norma non ascrive la necessaria presenza di quei requisiti al momento genetico del rapporto ma al suo svolgimento, con il prodursi degli effetti della loro mancanza nel momento dell’adempimento e sul piano dell’efficacia e della responsabilità fra contraenti, categorie che anche sotto il profilo sistematico appaiono più pertinenti alla collocazione e connotazione civilistica della norma di attuazione“.
Ne consegue che, se l’amministratore non ha i requisiti, l’Assemblea può ricorrere al giudice per far dichiarare inefficace la sua nomina, e pertanto far cessare immediatamente la sua attività. ricorrendo all’art. 1105 cod. civ. nel caso in cui non si riuscisse a nominarne subito un altro.
Va ancor più sottolineato che la sola assenza dei requisiti culturali, che il legislatore mostra di considerare di minor rilievo non ancorando alla loro mancanza alcuna sanzione diretta e addirittura considerandoli superflui per il soggetto che amministri uno stabile in cui ha una proprietà, non è munita di sanzione diretta. A tal proposito va sottolineato che per taluni interpreti la mancanza di queli requisiti darebbe luogo a mera revoca ai sensi dell’art. 1129 cod.civ. con facoltà del giudice di apprezzare di volta in volta la gravità della violazione) mentre per una recentissima pronuncia, alla luce del ero dato testuale dell’art. 71 bis disp.att. cod.civ. – l’assenza dei requisiti rimarrebbe addirittura senza sanzione (Trib. Genova 3.6.2016)“.

Il condominio parziale non è legittimato a stare in giudizio

IL condominio parziale non è legittimato a stare in giudizio. Lo ha stabilito la seconda Sezione della Cassazione civile che, con la sentenza n. 12641 del 17 giugno 2016, ha “affermato la carenza di legittimazione sostanziale di un «condominio «parziale» convenuto in giudizio per il crollo di un muro“.

Secondo il danneggiato (titolare di un esercizio commerciale) il muro crollato costituiva un bene comune relativo a uno solo dei tre edifici posti orizzontalmente su più numeri civici, e per questo motivo, a suo avviso, poteva chiamare in giudizio il condominio parziale dell’edificio a cui apparteneva il muro in questione.
Il nesso di condominialità è ravvisabile in svariate tipologie costruttive purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni. Inoltre, la condominialità può ricorrere anche ove sia verificabile un insieme di edifici indipendenti, sempre ché restino in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell’articolo 1117 del Codice civile. Pertanto, si può ipotizzare la sussistenza, nell’ambito dell’edificio condominiale, di parti comuni, quali il tetto o l’area di sedime o i muri maestri o le scale o l’ascensore o il cortile, che risultino destinate al servizio o al godimento di una parte soltanto del fabbricato.
In queste ipotesi è automaticamente configurabile la fattispecie del «condominio parziale» (Cassazione, sentenza 23851/2010). Infatti, il condominio parziale non esige un fatto o atto costitutivo a sé, ma insorge in presenza della condizione materiale o funzionale giuridicamente rilevante“.

Il condominio parziale non è legittimato a stare in giudizio: la decisione della Suprema Corte

Quindi, secondo la Suprema Corte, “anche se il muro crollato avesse rappresentato un bene necessario all’uso comune soltanto di uno degli edifici di un unico condominio orizzontale, la domanda risarcitoria sarebbe stata inammissibile, poiché rivolta nei confronti di uno solo di tali edifici. Infatti, in tale situazione il condominio parziale non ha una propria autonoma legittimazione processuale passiva, tale da poter sostituire il condominio dell’intero edificio (Cassazione, sentenza 2363/2012). Inoltre, la sentenza ha chiarito che la circostanza relativa all’appartenenza del muro crollato, e dal quale era disceso il danno all’esercizio commerciale, a un unico condominio complesso costituito da tre fabbricati adiacenti, in quanto gruppo di edifici che, seppur indipendenti, abbia in comune alcuni dei beni di cui all’articolo 1117 del Codice civile, presuppone una valutazione di merito sottratta al giudizio di legittimità“.

L’Amministratore può essere rimborsato senza giustificativi per spese di stretta gestione condominiale

L’amministratore può essere rimborsato senza giustificativi per spese di stratta gestione condominiale. Per quanto assurda, una cosa del genere è assolutamente legittima, soprattutto se la delibera che approva il rendiconto e il preventivo decide di erogare il rimborso di una somma forfettaria per delle spese che risultano “legate a doppio filo” con la gestione condominiale, come per esempio fotocopie o spedizioni. Inoltre, l’assemblea ha anche il pieno potere di creare un fondo patrimoniale per pagare lavori non indicati nel preventivo e da svolgere in futuro.  Questo è ciò che stabilisce la sentenza 13183/16, pubblicata il 24 giugno dalla seconda sezione civile della Cassazione.

L’amministratore può essere rimborsato senza giustificativi: ecco perché

Per quanto contrario, il condomino deve rassegnarsi a quanto stabilito dai giudici della Suprema corte, secondo i quali “non è di per sé contra legem la delibera adottata dal condominio che approva il rendiconto riconoscendo all’amministratore a titolo di rimborso una somma, per quanto esigua, senza le cosiddette “pezze d’appoggio”. Anzitutto non risulta che il proprietario esclusivo, così attento alle finanze dell’ente di gestione, abbia chiesto che fossero esibiti i documenti giustificativi per poterli esaminare. Né trova ingresso la censura rivolta contro la sentenza impugnata laddove ha escluso che l’amministratore avesse l’obbligo di conservare gli scontrini: si sottrae infatti al sindacato di legittimità la delibera con cui l’assemblea ha ritenuto di liquidare a forfait in ragione della natura e della modesta entità delle spese per cui l’amministratore chiedeva il rimborso“.

Non ha neanche una miglior sorte l’altro motivo di ricorso, ovvero quello avverso alla costituzione di un fondo per la realizzazione di lavori futuri. Infatti, il tentativo di farlo rimuovere viene rigettato, oltre che in primo grado, anche in appello, poiché, anche se il condomino si era limitato a denunciarlo per la mancata inclusione dell’argomento all’ordine del giorno, il giudice aveva ritenuto chefosse sufficiente il solo aver fatto riferimento ai lavori del fabbricato. Pertanto, secondo l’assemblea, essendo lavori di manutenzione necessari, ma rinviabili all’anno successivo, ha la piena facoltà di decidere di costituire un fondo ad hoc. E tutto questo, secondo i giudici della Suprema corte, “rientra nell’ambito delle prerogative gestionali dell’assemblea, cui deve riconoscersi il potere di accantonare denaro in vista di lavori non indicati nel preventivo ma che comunque dovranno essere eseguiti in seguito. Al condomino non resta che pagare le spese di gestione“.

Appropriazione indebita dell’amministratore: scatta solo al passaggio delle consegne

L’appropriazione indebita dell’amministratore di condominio scatta solo al passaggio delle consegne. “Ai fini della prescrizione il momento in cui è integrato il delitto del professionista che opera sul conto è l’omesso trasferimento delle giacenze di cassa che determina l’interversione del possesso, va condannato per appropriazione indebita l’amministratore di condominio che, durante il suo incarico, si appropria di somme di pertinenza dell’ente ma in proposito vale la pena precisare che il possesso del denaro si manifesta e consuma soltanto al passaggio di consegne col nuovo amministratore, quindi quando le giacenze di cassa non vengono trasferite al nuovo responsabile“.

Quando scatta l’appropriazione indebita dell’Amministratore?

Nella fattispecie, “avendo l’amministratore la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica si può profilare il momento consumativo dell’appropriazione indebita poiché in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l’interversione nel possesso“.

Questo è quanto stabilito dalla sentenza 27363 del 4 luglio 2016 della seconda sezione penale della Cassazione, tramite la quale La Suprema corte ha deciso di rigettare il ricorso di un ex amministratore di condominio che, fra le altre cose, avrebbe voluto che il proprio reato venisse estinto per prescrizione, almeno per parte delle condotte. Infatti, secondo lui,  l’avvenuta appropriazione di 1.500 euro, non doveva riferirsi al passaggio delle consegne ma al momento dei singoli prelievi. Do avviso diverso era invece la Corte che a sua volta ha ritenuto “perfezionato il delitto non nel momento della sua revoca e nella nomina del successore, momento che avrebbe portato a prescrizione il reato, ma nel momento in cui egli, negando la restituzione della contabilità detenuta, si era comportato uti dominus rispetto alla res, quindi al momento del passaggio di consegne“.

La Revoca giudiziale dell’amministratore non scatta automaticamente

Al fine di ottenere una pronuncia giudiziale di revoca dell’amministratore, deve essere a questo addebitato un fatto tale da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di mandato, anche a prescindere dall’inquadramento della condotta nell’elenco esemplificativo fornito dal legislatore della riforma l. 220/2012. Ne consegue che, anche solo in presenza di una delle ipotesi di gravi irregolarità previste dall’art. 1129 c.c., la revoca dell’amministratore non scatta automaticamente, ma può essere disposta dal giudice solo se venga ravvisato in concreto un comportamento contrario ai doveri imposti dalla legge”.

Questo è quanto ha stabilito il Tribunale di Treviso con la sentenza del 21 aprile 2016, in materia di revoca giudiziale dell’amministratore.

Revoca giudiziale dell’amministratore: il caso in esame

Analizziamo i fatti. Quanto espresso dal Tribunale si riferisce al caso in cui una condomina (proprietaria) di uno stabile si era rivolta al giudice competente, richiedendo la revoca giudiziale dell’amministratore di condominio, poiché questi, a suo avviso, aveva commesso delle gravi irregolarità gestionali (art. 1129, comma 12, n.2, c.c.) per non aver dato attuazione alla delibera assembleare.

Nella fattispecie, secondo la condomina, l’amministratore avrebbe dovuto informare il condominio del fatto che le tende installate da alcuni di loro, non erano state autorizzate dall’assemblea e che pertanto, secondo quanto disposto dal regolamento condominiale (che in questo caso vieta l’installazione di tende, tendaggi e addobbi esterni senza previa autorizzazione dell’assemblea nella sua totalità), i condomini che avevano violato il regolamento avrebbero dovuto provvedere alla rimozione delle tende entro e non oltre 60 giorni.

Per questo motivo, la donna avrebbe richiesto al Tribunale di Treviso di dispensare l’amministratore dal suo incarico. Mentre per quanto riguarda quest’ultimo, si è immediatamente costituito in giudizio contestando in toto le ragioni esposte dalla condomina. Nella fattispecie, l’amministratore di condominio sosteneva che le tende di cui parlava la donna, sarebbero state installate circa cinque anni prima, durante il mandato del precedente amministratore il quale, a sua volta, avrebbe ottenuto allora l’apposita autorizzazione dell’intera assemblea.

Revoca giudiziale dell’amministratore: cosa si intende per gravi irregolarità?

Secondo il nuovo art. 1129del c.c., la revoca giudiziale dell’amministratore può avvenire soltanto per gravi irregolarità. Scopriamo, prendendo in esame suddetto articolo, scopriamo insieme in quali casi un amministratore può essere dispensato dal proprio incarico.

In primo luogo può essere revocato, l’ipotesi non contenziosa, per volontà dell’assemblea, in qualsiasi momento e con le maggioranze previste per la sua nomina (quando viene meno l’apprezzamento da parte dei condòmini). Quelle successive risultano invece ipotesi giudiziali, in quanto prevedono l’intervento dell’autorità giudiziaria, tant’è vero che, è previsto il ricorso al Tribunale da parte di ciascun condomino, allorquando l’amministratore non comunica all’assemblea i provvedimenti dell’autorità amministrativa o citazioni che esulano dalle sue attribuzioni (art. 1131 c.c.) ovvero in caso di omessa rendicontazione o gravi irregolarità. In particolare, la norma di cui all’art. 1129 c.c., viene riconosciuta come ad una tipica norma a fattispecie aperta che, appunto, non esaurisce tutte le possibili ipotesi di gravi irregolarità, ed è in tal senso che appare pienamente operante il principio della cd. mala gestio, mutuato appunto dalle norme sul mandato che, come abbiamo avuto modo di verificare, risultano applicabili anche alla figura dell’amministratore di condominio“.

Revoca giudiziale dell’amministratore: la decisione del Tribunale di Treviso

Pertanto, in seguito al dibattimento tra le due parti, il Tribunale di Treviso ha evidenziato che l’amministratore aveva invitato i condomini interessati a rimuovere le tende precedentemente installate: fatto questo che esclude la mancata attuazione della delibera assembleare da parte dell’amministratore. In tal caso, la giurisprudenza di legittimità è chiara, e infatti “l’amministratore non necessita di alcuna previa delibera assembleare per agire in giudizio nei confronti dei condomini responsabili di violazione al regolamento di condominio” (Cass. civ. Sez. II Sent., 26/06/2006, n. 14735 e, analogamente, in Cass. civ. Sez. II, 25/10/2010, n. 21841). Per quanto riguarda invece il caso in esame è stato ritenuto che l’installazione delle suddette tende era stato il “frutto di una ampia discussione in riunione condominiale e che la decisione era stata presa precedentemente con il consenso di tutti i condomini riuniti in assemblea”.

Pertanto, alla luce di quanto emerso, e soprattutto in virtù del fatto che non è stata riscontrata alcuna violazione dell’art. 1130 comma 1, n.1 c.c., il Tribunale di Treviso ha deciso di rigettare il ricorso della condomina.

 

Rimborso delle spese sostenute dal precedente amministratore: quando spetta e come ottenerlo?

L’ex amministratore che ha anticipato delle spese può richiedere soltanto la restituzione della somma approvata dalla delibera condominiale.

Questo è quanto ha stabilito il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, con la sentenza del 4 aprile 2016, in merito al tema del rimborso delle spese sostenute dal precedente amministratore, ha sancito che: “In tema di condominio, l’amministratore cessato dall’incarico che sostiene di aver anticipato delle spese, non è legittimato a richiedere l’intero credito ma solo quello risultante dal suo estratto conto approvato con la delibera condominiale. Ne consegue che, in assenza di delegazione di pagamento precisa, deve essere revocato il decreto ingiuntivo proposto dall’ex amministratore pur in presenza di una delibera che approva il debito del condominio”.

Rimborso delle spese sostenute dal precedente amministratore: Il caso e la sentenza

Ma entriamo nello specifico, cercando di capire cosa era successo prima che si arrivasse alla sentenza del Tribunale: un ex amministratore di condominio aveva richiesto al giudice il pagamento, in suo favore, di una somma che riteneva di aver anticipato nel corso della sua precedente attività di amministrazione condominiale. Tale somma, inoltre, era comprovata da una delibera che aveva accettato il rendiconto. Dello stesso avviso, però, non era il condominio, che pertanto ha deciso di opporsi a tale richiesta di risarcimento.

Per questo motivo il condominio si è appellato alle leggi sul potere di spesa dell’amministratore che, salvo quanto previsto dagli articoli 1130 e 1135 del c.c., in tema di lavori urgenti egli non quasi alcun potere di spesa, “in quanto spetta all’assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l’opportunità delle spese sostenute dall’amministratore; ne consegue che, in assenza di una deliberazione dell’assemblea, l’amministratore non può esigere il rimborso delle anticipazioni da lui sostenute, perché, pur essendo il rapporto tra l’amministratore e i condomini inquadrabile nella figura del mandato, il principio dell’articolo 1720 del c.c., secondo cui il mandante è tenuto a rimborsare le spese anticipate dal mandatario, deve essere coordinato con quelli in materia di condominio, secondo i quali il credito dell’amministratore non può considerarsi liquido né esigibile senza un preventivo controllo da parte dell’assemblea. Quindi, Per poter richiedere il rimborso delle anticipazioni sostenute per l’amministrazione di un fabbricato è necessario, in primo luogo, farsi legittimare dall’assemblea nella carica di amministratore; in secondo luogo, sottoporre all’approvazione dei condomini il regolamento e le tabelle millesimali; infine, far approvare dall’assemblea le voci di spesa. (Cass. Sentenza 20 agosto 2014, n. 18084Cass. Sentenza 27 gennaio 2012, n. 1224)“.

Rimborso delle spese sostenute dal precedente amministratore: può essere restituito soltanto quanto approvato dall’assemblea

Ciò è avvenuto perché l’assemblea dei condomini ha il potere di approvare l’operato dell’amministratore che abbia effettuato spese di manutenzione ordinaria o straordinaria sulle parti comuni senza la preventiva approvazione, anche dopo che questi ha cessato il suo mandato; in questo modo, non basta assolutamente che dal rendiconto approvato emerga un disavanzo tale da far risultare il condominio debitore nei confronti dell’ex amministratore, a meno che questi non riesca a provare in maniera inequivocabile che quanto ha anticipato è più di quanto il condominio voglia far credere (Tribunale di Roma del 17 aprile 2014Cassazione Civ. n. 10253/2011).

Infatti, “in materia di deliberazione assembleare condominiale, l’approvazione di un rendiconto, ha valore di riconoscimento di debito solo in relazione alle sole poste passive specificamente indicate (entrate, uscite e saldo finale); quindi, poiché il credito per recupero delle somme, si fonda sull’articolo 1720 c.c., sul contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini, come chiarito dalla citata giurisprudenza, il professionista deve fornire la prova degli esborsi mediante un rendiconto del proprio operato”.

Rimborso delle spese sostenute dall’amministratore precedente: la delibera assembleare non discute

Cerchiamo quindi di capire qual è stato il ragionamento che ha portato il giudice del del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ad emettere questa sentenza

Dalla documentazione ufficiale dei fatti, è risultato che l’assemblea aveva approvato il rendiconto presentato dal precedente amministratore; inoltre, veniva anche provato che il rendiconto (non impugnato) rendeva incontestabile la registrazione tra i debiti del bilancio della voce relativa alle somme indicate a titolo di restituzione delle anticipazioni eseguite dall’ex amministratore. Perché allora, secondo il giudice, l’amministratore non poteva e non doveva pretendere il risarcimento di determinate somme?

Secondo il Tribunale, dalle dichiarazioni prese in esame, non emergeva alcun obbligo di risarcimento risultante dal rendiconto approvato.  Inoltre, sempre secondo il parere del giudice, tale mandato non si evinceva né dal verbale né dalla dichiarazione presentata dal condominio. Inoltre, dagli atti presentati, non emergeva alcuna espromissione (non c’era intervento spontaneo di un debito altrui), né tanto meno alcuna delegazione di pagamento.  Per questi motivi, il giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha stabilito che: “l’approvazione di un rendiconto di gestione condominiale col quale i condomini riconoscono il credito dell’amministratore rende sicuramente incontestabile la registrazione tra i debiti di bilancio della voce relativa alle somme eventualmente indicate a titolo di restituzione delle anticipazioni eseguite dall’amministratore del condominio ma, in assenza di delegazione di pagamento precisa, non impone il pagamento della somma riconosciuta nei confronti di un determinato soggetto. Quindi l’amministratore uscente, che sostiene di aver anticipato delle spese, non è legittimato a richiedere l’intero credito ma solo quello risultante dal suo estratto conto approvato con la delibera condominiale”.

Pertanto, per quanto riguardo il rimborso delle spese sostenute dall’ex amministratore, spetta soltanto il pagamento delle somme risultanti dall’estratto conto approvato col rendiconto.

Conferma del condominio parziale

Si parla di condominio parziale, disciplinato dall’art. 1123 c.c., comma 3, quando un bene è in comune solo tra alcuni condomini. Cosa che accade, per esempio, quando solo alcuni condomini hanno “la proprietà esclusiva dei posti auto ovvero nell’ipotesi in cui alcune tubazioni siano a servizio solo di alcuni immobili” (Cass. n. 10483, depositata il 21 maggio 2015).
Ovviamente, quando arriva il momento di eseguire dei lavori su tali beni comuni, sorge spontaneamente alcuni problemi. Per esempio, come vengono ripartite le spese?

Condominio parziale: come ripartire le spese?

Per ciò che riguarda la deliberazione vi è da dire che all’assemblea possono partecipare solo i condomini interessati e le relative maggioranze saranno formate prendendo in considerazione i loro millesimi di partecipazione al condominio parziale.
Con la logica conseguenza che in caso di diversa composizione, ad esempio delibera assunta in sede di assemblea generale invece che parziale, la stessa sarà da ritenersi del tutto nulla per incompetenza assoluta dell’assemblea”.
Passando in rassegna la sentenza, la Suprema Corte ha voluto esaminare la questione in ordine alla “configurabilità della comunione o del condominio parziale” riferendosi ad un cancello che serviva un’area che era in comproprietà solo per alcuni condomini, risolvendola in favore di questo ultimo istituto.

Condominio parziale: ecco cosa stabilisce la sentenza della Cassazione

Infatti, la Cassazione con la sentenza n. 4127 del 02.03.2016 ha confermato che “deve ritenersi legittimamente configurabile la fattispecie del condominio parziale tutte le volte in cui un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto dell’edificio, parte oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass. 24 novembre 2010, n. 23851; Cass. 28 aprile 2004, n. 8136).
Per tale motivo, dovendo dare risposta al secondo quesito in ordine al corretto riparto delle spese, occorre ritenere che nel caso del condominio parziale trova applicazione l’art. 1123 c.c. 3 comma, che ripartisce le spese relative alla conservazione e godimento in proporzione dell’uso che ciascuno può farne o meglio, o meglio in relazione all’utilità’ che ciascun condomino trae dal bene comune (Cass. n. 6359/1996): così, per esempio, le spese per l’installazione delle porte tagliafuoco necessarie a garantire un sufficiente livello di sicurezza delle autorimesse, viene ripartita esclusivamente tra i proprietari dei box auto (Cass. n. 7077/1995; Cass. n. 5179/1992)“.

Risarcimento per danno emergente e lucro cessante

La mancata locazione di un immobile per cause imputabili al condominio (infiltrazioni di acqua nell’appartamento, proveniente dalle coperture condominiali) ne comporta il mancato godimento per colpa altrui e, pertanto, non comporta alcun risarcimento per danno emergente.
Questa è la sintesi della sentenza (la 10870/2016) emessa dalla Corte di cassazione, che ha dato ragione ad un condòmino “che aveva citato in giudizio il condominio per sentirlo condannare al rifacimento dei lavori di alcune coperture condominiali e al risarcimento dei danni derivanti dalle infiltrazioni presenti all’interno di un suo immobile di proprietà che non aveva potuto locare, causandogli un notevole pregiudizio economico“.

Quando il condomino non deve alcun risarcimento per danno emergente

Pertanto, in primo grado, il condominio è stato condannato al rifacimento dei lavori indicati dalla Ctu nonché al pagamento dei danni in favore del condomino, mentre è stato chiamato in causa anche il terzo attore, ovvero la ditta che aveva eseguito i lavori, in base all’articolo 1667 del Codice civile, pertanto anche la Corte di appello rigettava la domanda di risarcimento danni in quanto, “pur essendo un danno derivante dal mancato godimento di un diritto reale , l’attore non aveva fornito alcun elemento per la sua quantificazione.
La ditta appaltatrice veniva così obbligata al risarcimento, al posto del condominio, delle spese che avrebbe dovuto affrontare per il rifacimento delle opere ordinate dai giudici. E veniva confermata la legittimazione passiva del condominio in quanto l’attore non aveva agito in giudizio per far valere i diritti derivanti dal contratto di appalto ma in qualità di condòmino per la realizzazione dei lavori necessari alla tutela delle parti comuni dell’edificio e per il risarcimento dei danni derivanti dalle parti comuni stesse“.

Il risarcimento per danno emergente lo deve il condominio!

Per quanto riguarda il risarcimento del danno emergente, i giudici della Corte di Cassazione hanno ribaltato però la sentenza della Corte di appello. “Appurato che le infiltrazioni lamentate avevano impedito al condòmino danneggiato – che non si era disinteressato all’utilizzo del bene – di locare l’immobile, per i giudici di legittimità il pregiudizio andava risarcito mediante ricorso ad elementi di carattere presuntivo, tra i quali quelli che emergevano dalla Ctu , con i quali poter procedere al calcolo, a sua volta presuntivo, del valore locativo dell’immobile.
Riguardo, invece, al difetto di legittimità passiva del condominio, osservava la Corte che, dagli atti di causa, si evinceva che il danneggiato non aveva inteso far valere in giudizio le garanzie e le azioni discendenti dal contratto di appalto, bensì aveva agito in qualità di condòmino per ottenere l’esecuzione dei lavori per la tutela delle parti comuni, nonché per il risarcimento dei danni derivati dalle stesse parti. Per queste motivazioni la Cassazione rigettava il ricorso incidentale del condominio e dava pienamente ragione al condòmino danneggiato“.

Mancata consegna della documentazione? L’amministratore non viene revocato!

Anche se non consegna la documentazione contabile, a meno che non lo faccia con delle modalità contrarie alla buona fede, e anche se non ottiene il consenso dell’assemblea alla modifica delle tabelle millesimali, l’amministratore non viene revocato.
Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Avellino con la sentenza del 22 marzo 2016 al termine di una causa in cui alcuni condomini avevano chiesto che l’amministratore del proprio stabile venisse revocato per via di alcune gravi irregolarità ai sensi dell’art. 1129 c.c., nonché di nominare di un amministratore giudiziario in attesa che l’assemblea provvedesse a nominare un nuovo amministratore.

Anche se non presenta la documentazione contabile, l’amministratore non viene revocato

In primo luogo, c’è da dire che suddetti condomini “hanno chiesto la revoca dell’amministratore, in quanto, benché l’assemblea condominiale gli avesse dato incarico di ottenere dai condomini il consenso alla modifica delle tabelle millesimali vigenti, egli non vi aveva provveduto, non avendo l’assemblea mai modificato le tabelle in vigore. Sotto altro profilo, i condomini hanno lamentato che, nonostante fosse stata avanzata formale richiesta di avere copia della documentazione contabile del condominio, l’amministratore non vi aveva provveduto, essendosi limitato a invitare i condomini a fissare un appuntamento presso lo studio per l’estrazione delle copie“.
Pertanto, il Tribunale di Avellino ha deciso di respingere le domande dei condomini, e, con l’occasione, ha ribadito le cause che possono condurre alla revoca per gravi irregolarità dell’amministratore di condominio.
Ai sensi dell’art. 1129, undicesimo comma c.c., infatti, l’amministratore condominiale può essere revocato, oltre che in forza di delibera assembleare, anche su ricorso di ciascun condomino se non informa (“senza indugio”) l’assemblea circa i giudizi instaurati contro il condominio, se non rende il conto della gestione, ovvero nel caso in cui commetta gravi irregolarità. Costituiscono gravi irregolarità, inter alia, la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e delle deliberazioni dell’assemblea e la mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale“.

Perché se non presenta la documentazione contabile, l’amministratore non viene revocato?

Per quanto riguarda invece il caso in esame, il Giudice irpino ha spiegato che tra i doveri dell’amministratore non rientra anche quello di ottenere delle specifiche deliberazioni da parte dell’assemblea, e pertanto, come ciò, a suo avviso, non rappresenta affatto una grave irregolarità, o per lo meno non così grave da giustificare addirittura la revoca dell’amministratore.
Inoltre, per quanto riguarda il secondo profilo, anche se ai sensi dell’art. 1130 bis, primo comma, c.c., “i condomini abbaino diritto di prendere visione ed estrarre copia dei giustificativi di spesa del condominio e, in forza dell’art. 1129, secondo comma, c.c., possano richiedere anche di prendere visione ed estrarre copia dei registri condominiali (registro dell’anagrafe condominiale, dei verbali assembleari, della nomina e revoca degli amministratori, e della contabilità), il Tribunale ha evidenziato che, poiché la richiesta era stata avanzata nel mese di agosto (mese tipicamente di vacanza) e con un termine per l’adempimento dell’amministratore di soli cinque giorni, e visto che all’invito dell’amministratore a presentarsi presso l’ufficio per l’estrazione delle copie non era seguita risposta da parte degli interessati, la richiesta doveva ritenersi contraria a buona fede e non poteva dunque sussistere alcuna grave irregolarità“.