Non è legittima l’assemblea camuffata da riunione di fruitori di un servizio

I comproprietari e gli inquilini di uno stabile in Piemonte si riuniscono in assemblea, in qualità non di condòmini ma di fruitori del servizio, e decidono di affidare a una determinata ditta la fornitura di gasolio per il riscaldamento centralizzato e, nel contempo, incaricano l’amministratore dello stabile di firmare per conto loro il relativo contratto.
La ditta scelta, avendo effettuato la fornitura di combustibile e non essendo stata pagata, chiede e ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti del condominio. Quest’ultimo si ritiene però del tutto estraneo alla faccenda e inizia una causa di opposizione, sostenendo che l’assemblea che aveva deciso la conclusione del contratto di fornitura non avesse un carattere e una funzione condominiale.

Le pronunce di merito e quella di legittimità
La Corte d’Appello di Torino, riformando la sentenza di primo grado, accoglie la tesi difensiva del condominio, in ragione della circostanza che i partecipanti alla riunione si erano qualificati come utenti del servizio e non come condòmini. La Cassazione, sezione seconda civile, con la sentenza 13583 del 29 aprile 2022 ribalta di nuovo la decisione e annulla la sentenza della Corte d’appello, per la seguente spiegazione. L’articolo 10 della legge 392 del 1978 (cosiddetta legge dell’equo canone) attribuisce espressamente al conduttore dell’unità abitativa di partecipare alle assemblee condominiali relative alle spese ed alle modalità di gestione del servizio di riscaldamento.

Di conseguenza, la partecipazione in tale tipo di assemblee di soggetti non condòmini, ma titolari di diritto di godimento, costituisce una fattispecie tipica prevista dalla legge e non può pertanto considerarsi un dato eccentrico, tale da escludere la natura condominiale della riunione, che anzi è rimarcata dalla stessa disposizione normativa. Non ha perciò nessun rilievo che gli intervenuti si siano qualificati “utenti” e non condòmini o conduttori di unità abitative dello stabile, trattandosi di un dato nominale e formalistico, che non può alterare la sostanziale, e anche formale, natura condominiale dell’assemblea.

Il carattere vincolante delle disposizioni sul condominio
La Cassazione ha poi chiarito che le disposizioni in materia di condominio, che attribuiscono da un lato all’assemblea le decisioni sui beni comuni e dall’altro all’amministratore sia il compito di attuarle che l’attività di gestione dei beni stessi e di tenuta della contabilità delle spese comuni, hanno carattere vincolante, delineando un sistema di organizzazione rigida, che non derogabile se non nei limiti previsti espressamente dalla legge. Pertanto, nel caso di un condominio, non sono ammissibili né permesse forme alternative per la gestione e amministrazione dei beni comuni.

Maxi sanzione al condominio che non partecipa alla mediazione

Il Tribunale di Termini Imerese con la sentenza 312 del 19 aprile 2022, in tema di impugnazione di delibere assembleari, censura la condotta del condominio il quale omette di partecipare al procedimento di mediazione, seppure sia stato regolarmente inviato, ricavando da essa un comportamento concludente per supportare la tesi avversaria, passibile, inoltre, di tripla condanna pecuniaria, e cioè di quella afferente: 1) il pagamento del doppio del contributo unificato, 2) il risarcimento del danno da lite temeraria, e, infine, 3) la refusione delle spese di lite.

La vicenda
La causa era stata introdotta da un condòmino ed aveva ad oggetto l’impugnazione di una delibera assembleare con cui si disponeva l’approvazione di un fondo cassa per lo svolgimento delle azioni relative al recupero delle morosità, nonché l’approvazione di un rendiconto sprovvisto di nota sintetica esplicativa digestione da parte del suo estensore (l’amministratore).Il giudice, a fronte delle censure mosse, rilevava obiettivamente la fondatezza e dichiarava invalide entrambe le deliberazioni oggetto di gravame. La prima perché celava un fondo morosità in violazione della previsione dell’articolo 1123 Codice civile («salvo diversa convenzione»).

La seconda perché il rendiconto, siccome sprovvisto dei requisiti indicati dall’articolo 1130 bis Codice civile, non rispondeva ai principi della trasparenza e intelligibilità.L’attenzione del giudicante alla fattispecie è andata però oltre il merito della controversia ed è stata rimessa anche alla valutazione del comportamento tenuto dall’amministratore prima dell’incardinamento della lite giudiziale, con riguardo al procedimento di mediazione obbligatoria, previsto in materia dall’articolo 71 quater delle disposizioni di attuazione al Codice civile.

Mancata partecipazione alla mediazione come lite temeraria
In punto, avendo constatato l’omessa partecipazione del condominio alla fase endoprocedimentale e l’assenza di alcuna giustificazione di sorta offerta al riguardo, il Tribunale siciliano ha valutato tale condotta sufficiente a corroborare la fondatezza della pretesa di parte attrice, in forza del combinato disposto degli articoli 8 comma IV bis del decreto legislativo 28/2010 e articolo 116 Codice procedura civile. L’omessa e ingiustificata mancata partecipazione al procedimento di mediazione da parte del condominio è stata infine ritenuta dal giudicante degna di nota per essere censurata a norma dell’articolo 96 Codice procedura civile a titolo di “lite temeraria”.

La compagine condominiale convenuta è stata così condannata al versamento del doppio del contributo unificato presso le casse erariali ai sensi dell’articolo 8, comma 5, del decreto legislativo 28/2010, come modificato dalla legge 148/2011 e al pagamento della somma di euro duemila a titolo di risarcimento del danno in favore del condòmino che aveva impugnato la deliberazione in disamina. Da ultimo, il provvedimento giudiziale è stato concluso con la condanna alla refusione delle spese di lite secondo il tariffario forense.

Quali possono essere i motivi che non comportano l’annullamento della deliberazione assembleare?

Il caso affrontato dal Tribunale di Salerno n. 1324 del 19 aprile 2022.

La fattispecie

Una condomina impugna la deliberazione assunta dall’assemblea di condominio di cui fa parte sulla base di diverse argomentazioni: a) che la stessa non dava atto delle risultanze dell’assemblea svolta in prima convocazione; b) che ometteva di dare prova dell’avviso di convocazione a tutti i condomini; c) che ai rendiconti non risultavano allegati i registri di contabilità concernenti le rispettive annualità; d) che il verbale non riportava il dissenso espresso dall’attrice nonché dal Geometra Renato Puppo, per delega di alcuni condomini, in relazione al secondo punto all’ordine del giorno; e) che non erano sottoposti all’assemblea dei condomini i preventivi di spesa presentati dalla ditta degli Ascensori; f) che non era sottoposto alle decisioni dell’assemblea condominiale l’argomento concernente le dimissioni e la conferma o nomina dell’amministratore.

Il condominio si costituisce e contesta ogni asserzione avversaria.

Omessa indicazione prima convocazione

Seguendo l’ordine delle doglianze, il tribunale evidenzia in primo luogo che l’omessa menzione nel verbale delle risultanze dell’assemblea svolta in prima convocazione non ha alcuna conseguenza, avendo la giurisprudenza di legittimità escluso che l’omessa redazione del verbale che consacra la mancata riunione dell’assemblea in prima convocazione e la sua mancata menzione nel verbale dell’assemblea riunitasi in seconda convocazione inficino la validità di quest’ultima (cfr. Cass., 24 ottobre 1996, n. 3862; Cass., 13 novembre 2009, n. 24132; Cass., 24 ottobre 2014, n. 22685).

Invio a tutti i condomini dell’avviso di convocazione

Anche il tema della dimostrazione dell’invio alla collettività dei condomini della convocazione non merita pregio, dice il giudice. Ciò in quanto la legge n. 220 de 2012 – direttamente applicabile ratione temporis – ha previsto che, in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto la deliberazione assembleare è annullabile su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati (Cass. Civ., 18 aprile 2014, n. 9082).

Ne deriva che, nella fattispecie, il condomino che ha avuto l’avviso di convocazione non può dolersi dell’eventuale difetto di convocazione relativo agli altri condomini.

Viste queste questioni preliminari, si entra nel merito dell’oggetto della vertenza. Anche sotto questo profilo il giudice non da ragione alla condomina attrice, prendendo ogni singolo argomento e fornendone la relativa motivazione.

Omessa allegazione registri di contabilità

L’omessa allegazione ai rendiconti dei registri di contabilità concernenti le rispettive annualità non ha ragione di pregio.

Non è configurabile propriamente un obbligo per l’amministratore condominiale, qualora convochi l’assemblea anche per l’approvazione di delibere attinenti a bilanci preventivi e/o consuntivi, di allegare all’avviso di convocazione i documenti inerenti a detti bilanci da esaminarsi compiutamente in sede di celebrazione dell’assemblea.

È noto il principio sulla cui base ogni proprietario può chiedere di ottenere con un congruo anticipo tutta la documentazione che riguarda gli argomenti all’ordine del giorno in assemblea (Cass., 19 maggio 2008, n. 12650).

L’eventuale rifiuto dell’amministratore determina l’annullabilità delle delibere successivamente approvate sul punto, atteso che questo rifiuto incide sul procedimento di formazione delle maggioranze in assemblea.

Non è invece configurabile un obbligo, per l’amministratore condominiale, di allegare all’avviso di convocazione anche i documenti giustificativi o i bilanci da approvare, non venendo affatto pregiudicato il diritto alla preventiva informazione sui temi in discussione, fermo restando che ad ognuno dei condomini è riconosciuta la facoltà di richiedere, anticipatamente e senza interferire sull’attività condominiale, le copie dei documenti oggetto di (eventuale) approvazione (Cass. Civ., n. 19210/2011; Cass. Civ., n. 19799/2014).

Ove questa richiesta non sia stata avanzata, il singolo condomino non può invocare l’illegittimità della successiva delibera di approvazione per l’omessa allegazione dei documenti contabili all’avviso di convocazione dell’assemblea, ma può impugnarla per motivi che attengano esclusivamente alla modalità di approvazione o al contenuto delle decisioni assunte (Cass. n. 25693/2018; Cass. Civ. 5 ottobre 2020, n. 21271).

Omessa indicazione del dissenso a verbale

Per quanto concerne l’eccezione concernente l’omessa menzione nel verbale di assemblea del dissenso espresso dal rappresentante dell’attrice e di altri condomini, in relazione al secondo punto all’ordine del giorno, giova premettere che l’art. 1137, comma 2, c.c., ammette l’impugnazione della delibera assembleare soltanto da parte dell’assente, del dissenziente e dell’astenuto.

Il condòmino presente che abbia partecipato all’assemblea non può impugnare la deliberazione, se non è dissenziente (o non si sia astenuto) proprio in ordine alla deliberazione che impugna.

Il dissenso dell’impugnante rispetto alla deliberazione deve essere provato ed incombe sullo stesso l’onere della relativa prova (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 9 maggio 2017, n. 11375).

Dal verbale risulta che questo tema è stato approvato all’unanimità.

Ne deriva che l’affermazione dell’attrice concernente l’omessa menzione del dissenso, non sostenuta da alcuna prova, non può inficiare la validità del verbale.

Valore presuntivo del verbale

Infatti il verbale dell’assemblea offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati, per modo che spetta al condomino che impugna la deliberazione assembleare contestare la rispondenza a verità di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto (Cass., Sez. Il, 13 ottobre 1999, n. 11526; Cass. Civ., ord. 12 agosto 2015, n. 16774).

Asserita omessa presa visione di preventivi

Al pari è da rigettare l’eccezione concernente l’omessa presa visione, da parte dell’assemblea condominiale, dei preventivi dell’impresa degli ascensori approvati a maggioranza, atteso che non vi è prova che i condomini abbiano espresso il loro voto in assenza di contezza dei predetti preventivi posto che, diversamente opinando, non si spiegherebbe il voto contrario di altro condomino il quale ha espresso il proprio dissenso rispetto ai preventivi, evidentemente non condividendoli, ma non ne denunciava, come sarebbe stato logico, l’omessa allegazione e/o presa visione.

Mancata indicazione nell’avviso di convocazione del tema inerente il mandato, conferma – nomina – revoca, dell’amministratore di condominio

Da ultimo, non costituisce di per sé motivo di annullabilità della delibera condominiale la mancata previsione all’ordine del giorno dell’assemblea ordinaria del punto concernente la nomina, riconferma o revoca dell’amministratore.

In conclusione la domanda è stata integralmente rigettata.

Lavori straordinari in condominio, la diligenza dell’amministratore sulle detrazioni fiscali

La tracciabilità dei pagamenti all’appaltatore e la certificazione di versamento del contributo del singolo condomino rientrano fra i compiti dell’amministratore (Cassazione civile, ordinanza n. 6086/2020)

La tracciabilità dei pagamenti all’appaltatore e la certificazione di avvenuto versamento del contributo da parte del singolo condomino all’ente, rientrano tra i compiti spettanti all’amministratore che deve adempierli con diligenza. Con l’ordinanza n. 6086 del 4 marzo 2020 (testo in calce) la Suprema Corte di Cassazione affronta il tema dei doveri gravanti sull’amministratore di condominio in caso di lavori straordinari al fabbricato comune e dell’opportunità di detrazioni fiscali per i condomini. La Corte osserva che, malgrado non vi sia una espressa previsione di legge in tal senso, tra i compiti dell’amministratore in quanto mandatario cui è affidata la gestione del bene comune, rientra anche quello di curare tutti gli adempimenti previsti per legge e prodromici ad eventuali opportunità fiscali offerte ai condomini. L’esecuzione dei pagamenti all’impresa appaltatrice in maniera tracciabile, così come la certificazione dell’avvenuto versamento del contributo all’ente da parte del singolo condomino, rientrano pertanto tra i compiti dell’amministratore che deve adempiervi con diligenza.

I fatti di causa

La proprietaria di un immobile posto in condominio agiva in giudizio nei confronti dell’amministratore, riferendo che la condotta negligente di quest’ultimo le aveva precluso di usufruire della detrazione fiscale dal proprio reddito personale, correlata all’esecuzione di lavori edili di natura straordinaria al fabbricato comune. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo il diritto dell’attrice ad ottenere il ristoro della somma che non aveva potuto portare in detrazione. Malgrado il gravame proposto dall’amministratore, la pronuncia di primo grado veniva ribadita in appello rilevando che, nell’ipotesi di lavori eseguiti su uno stabile in proprietà comune, la certificazione dell’amministratore attestante l’eseguito versamento del contributo individuale è documentazione idonea al riconoscimento della detrazione secondo la normativa in materia. La vicenda giungeva quindi dinanzi la Suprema Corte di Cassazione.

Lavori in condominio e detrazioni fiscali: adempimenti e soggetti

I vari motivi di ricorso ruotano attorno all’asserzione che sarebbe stata la condomina, nell’effettuare i pagamenti dei contributi dovuti al condominio per l’esecuzione dei lavori, a dover rispettare le disposizioni circa la tracciabilità dei pagamenti effettuati all’appaltatore, così come stabilito nel D.M. n. 41/1998. Quest’ultimo dà attuazione a quanto previsto dalla L. n. 449/1997, che consente ai proprietari di immobili di godere di detrazioni fiscali sugli importi corrisposti per lavori straordinari di ristrutturazione edilizia. L’articolo 1, terzo comma del predetto D.M. prevede in particolare che “il pagamento delle spese detraibili è disposto mediante bonifico bancario dal quale risulti la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione ed il numero di partita IVA ovvero il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato”. Proprio muovendo dall’analisi del dato normativo, il Collegio osserva che il predetto art. 1, comma 1, lettera a) del D.M. prescrive che il condomino che intende avvalersi della detrazione fiscale in relazione ai contributi versati all’ente per l’esecuzione dei lavori, ha soltanto l’onere di trasmettere all’ufficio finanziario copia della delibera condominiale che ha approvato i lavori e della tabella millesimale per la ripartizione delle spese. La Corte aggiunge anche che, per poter fruire della detrazione fiscale, sarà poi necessaria l’attestazione con cui l’amministratore certifica che il condomino ha effettivamente versato all’ente il proprio contributo individuale alla spesa comune. Chiarito quindi il quadro degli adempimenti necessari ai sensi del D.M. n. 41/1998 – pagamenti effettuati dal condominio committente all’appaltatore e certificazione, rilasciata dall’amministratore ai singoli condomini richiedenti, di avvenuto versamento del contributo alla spesa comune, fissato nella delibera assembleare di approvazione lavori e corrispondente alla rispettiva quota millesimale di proprietà del bene comune interessato – le critiche sollevate dal ricorrente sono prive di fondamento. E’ infatti il soggetto che affida i lavori all’impresa appaltatrice – quindi il condominio a mezzo del proprio amministratore e non il singolo condomino – a dover osservare le disposizioni circa la tracciabilità dei pagamenti del compenso pattuito con l’appaltatore.

La posizione dell’amministratore di condominio

E’ quindi evidente che in caso di esecuzione di lavori straordinari al condominio, tra i doveri dell’amministratore rientra anche quello di portare ad esecuzione il compimento dei lavori a suo tempo deliberati, compresi ovviamente i pagamenti all’impresa appaltatrice prescelta. E sebbene non sia previsto espressamente, è evidente che all’amministratore spetta effettuare i pagamenti in modo tracciabile secondo le norme di cui al D.M. n. 41/1998. Ciò in ragione del fatto che egli è il mandatario dell’intera compagine condominiale e ha quindi l’obbligo di seguire tutto l’iter relativo alla manutenzione straordinaria, ivi compreso l’espletamento delle attività prodromiche ad eventuali agevolazioni fiscali offerte ai condomini, che potranno beneficiarne proprio in relazione alla tipologia di lavori eseguiti sul bene comune amministrato.

Conclusioni

Sulla scia delle riferite considerazioni i giudici di legittimità concludono quindi che rientra nel dovere di diligenza dell’amministratore condominiale effettuare i pagamenti in modo da conservare ai singoli condomini, che intendano usufruirne, la facoltà di godere della detrazione fiscale di cui alla L. n. 449/1997, trattandosi di un’attività (il pagamento del compenso all’appaltatore in maniera tracciabile) comunque compresa nella sua sfera di competenza. La Corte ha quindi rigettato il ricorso, condannando il ricorrente, a norma dell’art. 13 comma 1 bis del D.P.R. n. 115/2002, al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Condominio: chi paga le spese per la riparazione dei balconi?

I balconi aggettanti sono cose comuni?

I balconi aggettanti sono degli elementi dell’edificio che ne proiettano in avanti la facciata e contribuiscono al decoro del medesimo.

La questione delle spese per la loro riparazione è spesso oggetto di contrasti e ciò anche in ragione del fatto che, ai sensi dell’art. 1117 c.c., si considerano cose comuni tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all’uso comune ovvero quelle specificamente indicate nel disposto della predetta norma ai numeri 1, 2 e 3.

Come si vede, i balconi aggettanti non sono considerati cose comuni e di conseguenza sono esenti dall’applicazione della normativa de qua. La ragione precipua che giustifica detta previsione risiede nei loro caratteri strutturali, che fanno sì che i balconi non soddisfino alcuna utilità comune né svolgano alcuna funzione di vantaggio per condomini diversi dal proprietario.

Chi paga la riparazione dei balconi?

Come chiarito dalla Corte di cassazione già nel 2011, anche per la predetta ragione le spese per la riparazione dei balconi aggettanti sono a carico del condomino proprietario degli stessi.

I giudici hanno infatti affermato che “i balconi aggettanti, i quali sporgono dalla facciata dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell’edificio – come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio – non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani; pertanto ad essi non può applicarsi il disposto dell’articolo 1125 cod. civ.: i balconi aggettanti, pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono” (Corte di Cassazione Sezione 2 Civile Sentenza del 5 gennaio 2011, n. 218).

Anche prima, la Cassazione aveva affermato che “l’articolo 1125 c.c. non possa trovare applicazione nel caso dei balconi “aggettanti”, i quali sporgendo dalla facciata dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono; e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno, ne’ di necessaria copertura dell’edificio (come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio), non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani; ma rientrano nella proprietà’ esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono” (Corte di Cassazione civ Sezione 2 Civile Sentenza del 17 luglio 2007, n. 15913).

Balconi: chi paga per le decorazioni?

Se, come detto, i balconi aggettanti sono di proprietà esclusiva dei condomini proprietari dell’appartamento cui accedono e di conseguenza le spese di riparazione devono da questi essere sostenute, un discorso a parte va fatto per le decorazioni.

Infatti, come affermato dalla Corte di cassazione, ad esempio, nella sentenza n. 10209/2015, i rivestimenti dei balconi e gli elementi decorativi delle loro parti frontale e inferiore di un balcone vanno considerati beni comuni se si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a far sì che lo stesso sia esteticamente gradevole. Di conseguenza, in tali ipotesi, le spese per la riparazione delle decorazioni sono poste a carico di tutti i condomini.

Il condominio risarcisce le infiltrazioni nei box

Per la Corte d’appello di Genova, il condominio risarcisce il proprietario del box danneggiato dalle infiltrazioni se si è disinteressato di curare la copertura di proprietà condominiale

Danni da infiltrazioni in condominio

La Corte di Appello di Genova, con la sentenza n. 1057 del 19 ottobre 2021, ha stabilito che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno.

I fatti

La proprietaria di un box auto, citava in giudizio innanzi al Tribunale di Genova il proprio condominio, chiedendo il risarcimento dei danni subiti dalle infiltrazioni provenienti dalla copertura condominiale. La proprietaria del box chiedeva altresì che venissero effettuati lavori per prevenire il verificarsi di tali fenomeni.

Si costituiva in giudizio il condominio chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Genova condannava il condominio ad eseguire i lavori per porre fine alle infiltrazioni, nonché lo condannava a risarcire i danni subiti dalla proprietaria del box. Il condominio ricorreva in appello.

La responsabilità del condominio

Dalla CTU svolta nel giudizio di primo grado, risulta che il box di parte appellata è sovrastato da una copertura di proprietà condominiale.

Le infiltrazioni d’acqua nel box, derivano proprio da tale copertura.

La causa delle infiltrazioni è determinata dalla vetustà e dal degrado delle opere di impermeabilizzazione, sottostanti la pavimentazione.

Secondo il condominio, la responsabilità è da attribuire ad una società esterna che era tenuta alla manutenzione dell’area sovrastante la copertura condominiale. Difatti, nello stesso regolamento di condominio, richiamato anche nell’atto di compravendita della proprietaria del box, si fa riferimento alla manutenzione di questa società esterna.

Secondo la Corte, ciò non è sufficiente per esonerare il condominio dalla responsabilità. Infatti, come evidenziato dall’appellata, un conto è l’obbligo di manutenzione, altro è l’obbligo di custodia.

Il Ctu ha descritto uno stato di incuria della copertura che si trascina da anni e di cui il condominio proprietario, avrebbe dovuto rendersi conto. I comproprietari sarebbero dovuto intervenire, senza accettare passivamente l’inerzia della società di manutenzione.

Sussiste, quindi, comunque, una colpa a carico del condominio per essersi disinteressato delle condizioni della copertura, pur sapendo che chi aveva delegato a mantenere l’area era, a suo stesso giudizio, inaffidabile.

Responsabilità ex art. 2051 c.c.

La Corte di Appello di Genova, ha sostenuto che, il proprietario è custode di un bene e di conseguenza è responsabile per eventuali danni a terzi.

Inoltre, il Condominio è responsabile per i danni causati anche nel caso in cui abbia trasferito ad un terzo poteri di intervento. L’unica prova liberatoria ammessa dall’art. 2051 c.c. è la dimostrazione del caso fortuito, che nel caso di specie non si è verificato.

La Corte ha anche precisato che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno. L’ente di gestione, risponde “ex” art. 2051 c.c. dei danni cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, sebbene tali danni siano causalmente imputabili anche al concorso del fatto di un terzo.

Laddove vi sia una corresponsabilità in solido tra più soggetti, “ex” art. 2055 c.c., comporta che la domanda del condomino danneggiato vada intesa sempre come volta a conseguire per l’intero il risarcimento da ciascuno dei coobbligati.

Posti auto in condominio: no all’assegnazione esclusiva e definitiva

Per la Cassazione, i posti auto in condominio non possono essere assegnati in via esclusiva e per un tempo indefinito

Posti auto in condominio

Nè l’assemblea, nè il regolamento possono prevedere l’attribuzione esclusiva e definitiva dei posti auto in condominio. E’ quanto ha chiarito la Cassazione (con la sentenza n. 9069/2022 sotto allegata).

La vicenda

Un condomino proprietario di un locale commerciale impugnava innanzi al Tribunale di Teramo due delibere assembleari. L’ assemblea aveva stabilito l’assegnazione individuale e nominativa dei posti auto compresi nell’area del condominio adibita a parcheggio, alla stregua del regolamento condominiale, in favore dei soli trentacinque condòmini proprietari delle unità abitative dell’edificio, escludendo pertanto dal godimento dell’area i condòmini proprietari dei locali commerciali.

Il Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Atri, rigettò la domanda sul presupposto della carenza di legittimazione ed interesse ad agire in capo al condomino proprietario di locali commerciali.

La Corte d’appello di L’Aquila, pur condividendo la doglianza dell’appellante in merito alla sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire, ha comunque reputato infondata la domanda, ritenendo che, in esecuzione del regolamento condominiale, l’assemblea avesse soltanto disciplinato la ripartizione dello spazio da assegnare ai condòmini titolari di appartamento.

Il condomino proprietario del locale commerciale ricorre in cassazione.

Richiama l’orientamento giurisprudenziale sulla assegnazione nominativa di posti auto individuale da parte dell’assemblea, in relazione ad un’area comune.

Viene poi dedotto che l’articolo 5 del regolamento condominiale, nello stabilire che le autovetture, secondo le modalità individuate dall’assemblea “una per appartamento”, possono essere parcheggiate nel cortile, non avrebbe inteso assegnare ai condòmini proprietari degli appartamenti l’uso esclusivo ed a tempo indeterminato di determinate porzioni, ma si limitava a disciplinare la destinazione a parcheggio di parte del cortile condominiale ed a riconoscere il diritto dei condòmini di parcheggiarvi una propria autovettura. Si riafferma pertanto l’illegittimità delle deliberazioni assembleari impugnate, evidenziando che l’attribuzione dell’uso esclusivo ai 35 condòmini assegnatari del posto auto produrrebbe i presupposti dell’acquisto per usucapione della porzione.

La Cassazione con sentenza n. 9069/2022 accoglie il ricorso.

Uso della cosa comune

La regolamentazione dell’uso della cosa comune ai fini della individuazione dei posti auto, in assenza dell’unanimità, deve comunque seguire il principio della parità di godimento tra tutti i condomini stabilito dall’art.1102 c.c., il quale impedisce che possa essere riconosciuto soltanto ad alcuni il diritto di fare un determinato uso del bene.

La delibera non può invece validamente contemplare la definitiva assegnazione nominativa a favore di singoli condomini, in via esclusiva e per un tempo indefinito, di posti fissi nel cortile comune per il parcheggio delle autovetture.

Il principio di diritto

Né il regolamento di condominio, né una deliberazione organizzativa approvata dall’assemblea possono validamente disporre, come avvenuto nella specie, l’assegnazione nominativa, in via esclusiva e per un tempo indefinito, a favore di singoli condomini – nella specie, i soli proprietari degli appartamenti, con esclusione dei proprietari dei locali commerciali – di posti fissi nel cortile comune per il parcheggio della loro autovettura, in quanto tale assegnazione parziale, da un lato, sottrae ad alcuni condomini l’utilizzazione del bene a tutti comune, ex art. 1117 c.c., e, dall’altro, crea i presupposti per l’acquisto da parte del condomino, che usi la cosa comune “animo domini”, della relativa proprietà a titolo di usucapione, attraverso l’esercizio del possesso esclusivo dell’area.

Richiesta documentazione contabile all’amministratore

Capita spesso che il condomino richieda all’amministratore di visionare ed estrarre copia dei documenti condominiali. A volte, la predetta richiesta viene giustificata dal condomino richiedente, dalla necessità di poter valutare ed esprimere, in sede di assemblea, un voto consapevole. Il caso è stato, recentemente, trattato dal Tribunale di Roma, con la sentenza 3463 depositata il 3 marzo 2022.

La vicenda

L’attrice, a sostegno delle proprie ragioni, deduceva di aver inviato richiesta via pec all’amministrazione per ottenere alcuni documenti «necessari, a suo avviso, per la partecipazione all’assemblea indetta» e per richiedere delucidazioni sulla situazione contabile di alcune gestioni ma di non aver ricevuto da parte dell’amministratore i documenti giustificativi, ma «solo l’invito a consultare la documentazione presso il proprio studio». Di conseguenza, lamentava il fatto di non aver potuto «deliberare con cognizione di causa» sulle spese indicate in bilancio per mancanza della documentazione.

Il Tribunale di Roma, con un lungo excursus giurisprudenziale sul punto, ha ricordato che già nel 2003 la Cassazione (sentenza 11940/03 ) ha spiegato che il non rendere disponibile ai condòmini che lo richiedano la documentazione contabile in sede di approvazione del consuntivo comporta la violazione da parte dell’amministratore dell’obbligo di rendiconto e l’invalidità della delibera di approvazione e che, più di recente, la giurisprudenza di merito (Tribunale di Napoli sentenza 8259 del 13 settembre 2017), ha sottolineato il dovere dell’amministratore di esporre e documentare la verità ed entità dei costi sostenuti e del relativo riparto.

La fonte del diritto alla visione documentale

Ha però precisato alcuni punti essenziali. L’amministratore è legato al condominio da un contratto di mandato e che, dunque, nei rapporti tra condòmini e amministratore, sono applicabili, in quanto compatibili, le norme dettate dagli articoli 1703 e seguenti Codice civile. Tra queste norme vi è anche quella, contenuta nell’articolo 1713 Codice civile relativa all’obbligo gravante sul mandatario di rendere al mandante conto del suo operato. Ed è proprio sulla base di tale previsione, che si riscontrerebbe la fonte del diritto dei condòmini a prendere visione della documentazione condominiale, esercitando così anche quel potere di controllo che è proprio del mandante.

Ovviamente, si legge in sentenza, «il potere di controllo trova il suo limite nel principio di buon andamento dell’azione amministrativa», nel senso che la richiesta del condomino non può essere di ostacolo all’attività di amministrazione e non deve essere contraria ai principi di correttezza e non si deve risolvere in un onere economico per il condominio. Il condomino, quindi, ha diritto di prendere visione della documentazione gratuitamente ed estrarne copia a proprie spese. Gli unici costi da sostenere sono, però, quelli per le spese vive per le mere copie. «Non può considerarsi legittima, pertanto, l’eventuale richiesta da parte dell’amministratore di un compenso aggiuntivo o di un rimborso forfettario».

Nessun onere economico per il condominio

Anche su questo aspetto ha avuto modo di pronunciarsi la giurisprudenza di legittimità che ha chiarito (sentenza  4686/18 Cassazione civile, II sezione ), come l’esercizio della facoltà del singolo condomino di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili non debba risolversi in un onere economico per il condominio, sicché i costi relativi alle operazioni compiute devono gravare esclusivamente sui condòmini richiedenti a vantaggio della gestione condominiale  (in tal senso, già Cassazione 15159/2001), «e non invece costituire ragione di ulteriore compenso in favore dell’amministratore, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale».

Regolamento condominiale che esonera alcuni condomini dal pagamento delle spese

Secondo la Corte di Cassazione – VI sez. civ. – sentenza n. 993 del 14-01-2022 è legittima la clausola del regolamento che, indipendentemente dalla titolarità o meno di una parte comune, esonera alcuni condomini dal pagamento delle spese condominiali di detta parte condominiale.

La vicenda

Un condominio richiedeva ed otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti dei proprietari di un garage facente parte del caseggiato per spese relative alla manutenzione straordinaria di un impianto idraulico, delle scale e dell’androne dell’edificio, spese regolarmente approvate con apposita delibera. Gli opponenti sostenevano che, essendo proprietari di un garage ubicato nell’edificio condominiale, non erano tenuti a concorrere nella spesa per le scale e per l’androne, poiché il regolamento contrattuale e la conseguente Tabella II (scale ed androne) esonerava da tali esborsi i proprietari delle botteghe con accesso diretto dalla strada, ai quali dovevano equipararsi anche i titolari dei box. In ogni caso, con domanda riconvenzionale, richiedevano agli altri condomini il pagamento della quota del canone di locazione dell’alloggio adibito a portineria.  Il giudice di Pace dava torto ai titolari del garage. La Corte di Appello, invece, riteneva la predetta delibera assembleare affetta da nullità insanabile e rilevabile d’ufficio nel giudizio di opposizione; di conseguenza accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo. In particolare secondo i giudici di secondo grado la delibera era invalida perchè non aveva distinto le spese per l’impianto idraulico (che dovevano indistintamente gravare su tutti i condomini), da quelle per l’abbellimento di scale ed androne che – come prevedeva il regolamento e ai sensi di apposita conseguente tabella – non potevano gravare anche sui proprietari dei garage: infatti l’esonero previsto da detta tabella non si riferiva alle sole spese di pulizia e dell’energia elettrica. In ogni caso la Corte accoglieva pure la domanda riconvenzionale proposta dai titolari del box, in quanto si riconosceva la comproprietà in capo a tutti i condomini dell’alloggio portineria, quindi, il diritto comune e per quote al canone di locazione.

Il condominio ricorreva in cassazione sottolineando la natura condominiale di scale ed androne ed il conseguente obbligo di tutti i condomini (compresi quelli proprietari dei box e dei locali con accesso diretto dalla strada) a concorrere alle spese inerenti a tali beni comuni. Del resto il condominio faceva presente anche la circostanza secondo cui, anche i condomini opponenti, avevano sempre avuto accesso (proprio attraverso l’androne e le scale) ad un terrazzino ove risultavano collocate vasche per la raccolta delle acque.

La questione

È legittima la clausola del regolamento che esonera alcuni condomini dal pagamento delle spese condominiali relative ad androne e scale?

La soluzione

La Cassazione ha dato ragione ai titolari di box. I giudici supremi infatti hanno ricordano come la contitolarità delle parti comuni non comporti necessariamente l’obbligo di concorrere nelle spese, essendo legittime (a date condizioni) eventuali deroghe, in favore di singoli condomini, ai criteri fissati dall’art. 1123 c.c.; in altre parole secondo la Cassazione il fatto che le scale o l’androne appartengano anche ai titolari dei garage non rende inapplicabile o illegittima la previsione del regolamento adottato all’unanimità, nel punto in cui esclude dal concorso nelle spese per l’androne e le scale i proprietari dei garage aventi un accesso autonomo.

Le riflessioni conclusive

La sentenza conferma che i criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’art. 1123 c.c., possono essere oggetto di pattuizioni derogative posto che l’adozione di discipline convenzionali, che differenzino gli obblighi di concorrere alle spese di gestione del condominio, non è preclusa dalla natura degli artt. 1118, comma 1, e 1123 c.c. fino ad arrivare a prevedere, addirittura, l’esenzione totale o parziale per alcuni condomini dall’obbligo di partecipazione alle spese. Ne consegue che il riparto delle spese inerenti ai beni comuni, è suscettibile di deroga con atto negoziale, e quindi, anche con il regolamento condominiale che abbia natura contrattuale. Deve, pertanto, ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese di una parte o impianto comune. In quest’ultima ipotesi si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del fabbricato. Secondo alcune sentenze di merito però la diversa convenzione deve essere assistita da una causa che la giustifichi (vale a dire che giustifichi il diverso criterio di ripartizione delle spese). Secondo questa tesi, infatti, la derogabilità non può sottrarsi al controllo ed al giudizio di validità propri di qualsiasi atto convenzionale (Trib. Roma 16 febbraio 2021, n. 2786).

Condominio e comunione: disciplina differente tra rispettive delibere

La Corte di Cassazione, con la sentenza 26 gennaio 2022, n. 2299 (testo in calce), ha indicato chiaramente le differenze di disciplina intercorrenti tra le delibere condominiali e quelle assunte dall’assemblea dei comunisti.

Tali differenze scaturiscono dalla diversità tra condominio e comproprietà. A titolo di esempio, nel caso del condominio di edifici, v’è la coesistenza, nel medesimo bene, di enti in signoria esclusiva (i singoli appartamenti) e di beni comuni (scale, androni et cetera; mentre, nella comunione di diritti reali su immobili, il bene è in comproprietà pro indiviso tra tutti i titolari del diritto di proprietà secondo le rispettive quote.

Nel primo caso, i beni comuni sono indivisibili (art. 1119 c.c.) mentre, nel secondo, è ammissibile la divisione del bene comune (art. 1111 c.c.).

Nel condominio, la convocazione, lo svolgimento e la deliberazione sono regolate da norme specifiche e si applica la doppia maggioranza (per teste e per millesimi); nel caso della comproprietà, le delibere sono assunte secondo la maggioranza calcolata solo in base alle quote di comproprietà (art. 1105 c.c.) e la convocazione e lo svolgimento dell’assemblea dei comunisti sono regolate dal principio della libertà di forme.

Tutto ciò premesso, l’istituto dell’eccesso di potere assembleare – previsto in ambito societario (art. 2373 c.c.) – è applicabile solo in relazione alle deliberazioni dell’assemblea del condominio, mentre non opera per le delibere assunte dai comproprietari, stante «l’ontologica diversità delle situazioni afferenti alla comunione del diritto reale di proprietà su un bene immobile ed il condominio negli edifici».