Reato di appropriazione indebita

E’ reato di appropriazione indebita depositare somme sul proprio conto corrente

Integra il reato di appropriazione indebita la condotta dell’amministratore di condominio che trasferisce sul proprio conto corrente le somme depositate dai condomini per ottenere un tasso di interesse migliore.

Lo precisa la Cassazione con Sentenza n. 3354/2016 che non accoglie il ricorso dell’amministratore secondo cui la somma era stata depositata su altro conto a titolo di investimento nell’interesse esclusivo del condominio amministrato, pur non essendo destinata a fare fronte a spese condominiali

Le novità del precompilato 2017

Con un apposito Decreto il Ministero Economia e Finanze ha disposto che entro il prossimo 28.2.2017 gli amministratori di condominio dovranno inviare all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle spese sostenute nel 2016 per interventi di recupero del patrimonio edilizio / riqualificazione energetica / acquisto di mobili e grandi elettrodomestici che hanno interessato parti comuni condominiali. Detto invio dovrà essere effettuato tramite Entratel o Fisconline, direttamente dall’amministratore ovvero da un intermediario abilitato. Sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate risultano ad oggi pubblicati, in bozza, il Provvedimento e le specifiche tecniche nonché alcune FAQ, che definiscono meglio il nuovo adempimento.

In particolare si evidenzia che l’amministratore di condominio è tenuto ad inviare per ciascun condominio un file contenente i dati relativi a tutti gli interventi che hanno interessato l’immobile, specificando per ciascun intervento l’importo complessivamente sostenuto nonché l’ammontare imputato a ciascun condòmino. Come noto, ai sensi dell’art. 1, D.Lgs. n. 175/2014, a partire dal 2015 l’Agenzia delle Entrate rende disponibile telematicamente il mod. 730 / UNICO PF precompilato ai titolari di redditi di lavoro dipendente / pensione e di taluni redditi assimilati entro il 15.4 di ciascun anno.

La precompilazione della dichiarazione dei redditi è effettuata dall’Agenzia delle Entrate sulla base dei dati alla stessa inviati dai soggetti “coinvolti”. L’art. 3, comma 4, D.Lgs. n. 175/2014 demanda al MEF l’individuazione dei termini e delle modalità per la trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate dei dati relativi alle spese che danno diritto a deduzioni / detrazioni diverse da quelle già individuate nei commi 1, 2 e 3 del citato art. 1 (interessi passivi e relativi oneri accessori per mutui, premi di assicurazione sulla vita, contributi previdenziali e assistenziali, spese sanitarie, ecc.). Con il recente DM 1.12.2016, pubblicato sulla G.U. 20.12.2016, n. 296, il MEF ha disposto che: “ai fini della elaborazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’Agenzia delle entrate, a partire dai dati relativi al 2016, gli amministratori di condominio trasmettono in via telematica all’Agenzia delle Entrate, entro il 28.2 di ciascun anno, una comunicazione contenente i dati relativi alle spese sostenute nell’anno precedente dal condominio, con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, nonché con riferimento all’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici finalizzati all’arredo delle parti comuni dell’immobile oggetto di ristrutturazione. Nella comunicazione devono essere indicate le quote di spesa imputate ai singoli condòmini”. A “completamento” di tale nuova disposizione, sul sito Internet dell’Agenzia delle Entrate sono disponibili le bozze del Provvedimento e delle specifiche tecniche nonché alcune FAQ, per l’individuazione dettagliata dei dati da inviare.

SOGGETTI OBBLIGATI

Il citato Provvedimento dispone che sono interessati all’adempimento in esame “gli amministratori di condominio in carica al 31 dicembre dell’anno di riferimento”. Per l’invio dei dati relativi al 2016, da effettuare entro il prossimo 28.2.2017, quindi, sono tenuti all’invio dei dati gli amministratori che risultano in carica al 31.12.2016. In merito ai soggetti obbligati, si evidenzia che l’Agenzia delle Entrate, con una delle FAQ disponibili sul sito Internet, ha chiarito che l’invio dei dati in esame riguarda anche l’amministratore di un c.d. “condominio minimo” (nominato per scelta dei condòmini e non per obbligo di legge). Restano invece esclusi da tale adempimento i condòmini del c.d. “condominio minimo” che non hanno nominato un amministratore, ancorché siano stati effettuati interventi “agevolabili” sulle parti comuni condominiali.

DATI DA COMUNICARE

Come sopra evidenziato in base all’art. 2 del citato Decreto, la comunicazione deve contenere a) l’ammontare complessivo della spesa sostenuta dal condominio per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, gli interventi di risparmio e riqualificazione energetica e per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di un edificio “ristrutturato” che hanno interessato parti comuni condominiali; b)l’ammontare della spesa imputata a ciascun condòmino. Gli importi vanno esposti all’unità di euro applicando le consuete modalità di arrotondamento. In particolare, dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate e dalle specifiche tecniche disponibili sul sito Internet dell’Agenzia (ad oggi ancora in bozza) risulta che l’amministratore deve inviare: a) un file per ogni condominio e in detto file devono essere indicati i dati relativi a tutti gli interventi effettuati sul medesimo condominio per i quali l’amministratore ha provveduto al pagamento nell’anno di riferimento; b) per ciascun intervento l’amministratore deve indicare, oltre alla spesa complessivamente sostenuta, la spesa attribuita a ciascun condòmino, indicando altresì se la stessa è stata pagata o meno entro il 31.12 dell’anno di riferimento. Nell’invio da effettuare entro il prossimo 28.2.2017, quindi, l’amministratore dovrà comunicare le spese relative agli interventi sulle parti comuni che lo stesso ha provveduto a pagare entro il 31.12.2016 e le relative quote di riparto tra i condòmini, indicando se questi ultimi hanno o meno versato detta quota entro il 31.12.2016.

MODALITÀ E TERMINI DI TRASMISSIONE DELLA COMUNICAZIONE RELATIVA AL 2016

La comunicazione relativa alle spese 2016 va presentata entro il 28.2.2017 o direttamente, mediante il servizio Entratel / Fisconline o tramite un intermediario abilitato (dottore commercialista, consulente del lavoro, CAF, ecc.). Nel caso in cui la comunicazione (inviata entro il termine) sia scartata è necessario provvedere ad un nuovo invio ordinario entro il 28.2 oppure entro i 5 giorni successivi la segnalazione (se più favorevole). In caso di trasmissione di una comunicazione (entro il termine ordinario) contenente “codici fiscali non validi” è necessario effettuare un ulteriore invio ordinario esclusivamente dei codici fiscali segnalati, entro il 28.2 oppure i 5 giorni successivi la segnalazione (se più favorevole). Il citato Provvedimento prevede che la correzione dei dati diversi da quelli di cui sopra, trasmessi nei termini ordinari, va eseguita entro i 5 giorni successivi al 28.2. I dati ricevuti saranno conservati fino al 31.12 del sesto anno successivo ad ogni periodo d’imposta e, oltre ad essere utilizzati per la predisposizione della dichiarazione dei redditi precompilata potranno essere utilizzati anche per le attività di controllo delle dichiarazioni ex art. 7, DPR n. 605/73. L’Amministratore di Condominio deve comunicare entro il 28/2 dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento – e quindi per le spese sostenute nell’anno 2016 entro il 28/2/2017 – il costo totale pagato ai fornitori come risultante dai bonifici effettuati, l’elenco delle unità immobiliari con l’indicazione dei codici fiscali dei possessori delle unità immobiliari o dei detentori, beneficiari della detrazione e la relativa quota di spesa attribuita. Inoltre andrà evidenziato se la quota è stata pagata in tutto o in parte. Per poter compilare correttamente quanto richiesto dalle norme, è indispensabile che venga comunicato all’amministratore chi tra gli aventi diritto detrae le spese eventualmente sostenute.

DATI DA RICHIEDERE AI SINGOLI CONDOMINI A CURA DELL’AMMINISTRATORE

Beneficiario della detrazione

Condominio:_____________________________________

Indirizzo unità immobiliare:_____________________________________

Cognome e nome beneficiario:_____________________________________

Codice fiscale e quota beneficiario:__________________________________

Cognome e Nome di altro beneficiario se presente:_____________________

Codice fiscale e quota altro beneficiario:______________________________

Telefonino per contatti urgenti:__________________

Email:__________________________________________

Data:________________ Firma: ______________

Valvole Termostatiche. E’ arrivata la proroga

Il termine ultimo è stato spostato a giungo 2017. Attenzione ai lavori effettivamente necessari

Era molto attesa e alla fine è arrivata. Sul fotofinish, il Consiglio dei ministri ha deciso la proroga di sei mesi, a giungo 2017, del termine ultimo per l’installazione delle valvole termostatiche (sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore). Per la gran parte dei condomini italiani significa un bel sospiro di sollievo. I lavori, complessi e in molti casi anche parecchio salati e difficili da decifrare, andavano fatti entro la fine di quest’anno, pena pesanti sanzioni (da 500 euro per appartamento). In realtà la data ultima per mettersi in regola era ottobre, mese in cui partono effettivamente gli impianti di riscaldamento nei condomini. Moltissime famiglie si erano ritrovate solo negli ultimi mesi dell’anno a capire che lavori fare e quali spese affrontare. Questo anche per una carenza di informazioni sulla materia che è molto complessa, tra il giuridico e il tecnico.

Senza risparmio energetico niente lavori  

Molti non sanno che la spesa si può evitare. Questo se i lavori risultano essere non efficienti in termini di costi e sproporzionati rispetto al risparmio energetico eventuale. Occorre informarsi bene prima di dare avvio ai lavori. I costi variano a seconda della ditta installatrice, del tipo di condominio e delle singole città. Si parla di una spesa media per singola valvola tra gli 80 e i 100 euro a radiatore ma arrivano segnalazioni che sul mercato ci sono preventivi complessivi anche da 3 mila euro ad appartamento, a cui tante volte si aggiungono altri lavori, riguardanti magari caldaie datate da sostituire. La cifra finale può addirittura lievitare verso i 10 mila euro ad appartamento.

Legge di Bilancio, cosa cambierà per il condominio

Relativamente agli interventi su parti comuni degli edifici condominiali la detrazione è stata estesa alle spese sostenute fino al 2021, per consentire agli amministratori di condominio di programmare questi grandi interventi nel modo migliore. La detrazione è riconosciuta nella misura maggiore (con un tetto di 40.00 euro per unità) del:

70% per gli interventi sull’involucro dell’edificio con un’incidenza superiore al 25% della superficie disperdente lorda;

75% se l’intervento è finalizzato a migliorare la prestazione energetica estiva e invernale della parte comune, conseguendo almeno la qualità media di cui al Dm del 26 giugno 2015.

La sussistenza delle condizioni deve essere asseverata da un tecnico abilitato, la cui non veridicità comporterà la decadenza del beneficio.

La legge di bilancio 2017 si prevede inoltre che per i condòmini anche non incapienti e per le spese suddette è possibile optare per la cessione del credito generato dalla detrazione, sia ai fornitori che hanno effettuato l’intervento che a soggetti privati. Stessa possibilità è stata prevista per le detrazioni maggiorate del 75% e dell’85% del sisma bonus.

Ritenute all’appaltatore

La legge di bilancio 2017 prevede che il condominio debba versare la ritenuta del 4% in qualità di sostituto di imposta nei confronti dell’appaltatore solo se la ritenuta stessa raggiunge la soglia minima di 500 Euro; in caso contrario il versamento deve essere eseguito entro il 30 giugno e il 20 dicembre di ogni anno.

Contabilizzatori di calore in attesa di proroga

Al Ministero dello Sviluppo economico è stato confermato Carlo Calenda, ed è proprio in questo dicastero che si discute la questione dell’obbligo di installare contabilizzatori di calore e termovalvole, entro il 31 dicembre 2016, in tutti gli impianti di riscaldamento centralizzato.

Come anticipato sul Sole 24 Ore del 24 novembre scorso, Confedilizia si era mostrata ottimista sulla possibilità di una riapertura dei termini per i numerosi condomìni che non ce l’hanno fatta a fare i lavori prima dell’accensione del riscaldamento (che, in quasi tutta Italia, è stata il 15 ottobre scorso). Proprio le difficoltà causate dai ritardi normativi (il decreto legislativo 141/2016 è uscito in Gazzetta a fine luglio) hanno reso impossibile o molto difficile l’installazione di contabilizzatori, ripartitori e termovalvole. Così, anche se in parecchi casi sono state convocate le assemblee e deliberate le relative spese, è risultato estremamente complicato affidare i lavori a un’impresa: il tempo era troppo poco e le imprese si sono trovate sovraccariche di lavoro.

Il nodo è rappresentato dalle sanzioni per il mancato adepimento: da 500 a 2.500 euro a cariroco di ogni condòmino. Ed è proprio su questo che potrebbe giocarsi la partita delle dilazioni, che troverebbero posto nel solito Dl «milleproroghe». Le soluzioni che si stanno facendo strada, adottabili senza urtare troppo la sensibilità dei funzionari di Bruxelles (l’obbligo di contabilizzatori è infatti in ossequio alla direttiva 2012/27/CE) sono, per ora, due:

1) una riduzione al 5% delle sanzioni minime sino ai primi mesi della primavera 2017;

2) un posticipo dell’applicazione delle sanzioni alla riapertura degli impianti di riscaldamento nel 2017 (15 ottobre in gran parte d’Italia).

In ogni caso l’irrogazione delle sanzioni è affidata alle Arpa, quindi, si prevede una larga la tolleranza.

Lastrico solare ad uso esclusivo: le Sezioni Unite intervengono su responsabilità e ripartizione delle spese

Le Sezioni Unite intervengono sul tema mettendo fine ad una querelle giurisprudenziale relativa sia all’inquadramento della responsabilità, sia alla modalità di ripartizione delle spese.
La questione era già stata affrontata dalle sezioni unite nel 1997: in allora, la sentenza rinveniva la sussistenza di un obbligazione propter rem in capo sia al proprietario del lastrico ad uso esclusivo, sia al condomìnio in quanto tale lastrico fungesse anche da parziale copertura dell’edificio ed i danni lamentati fossero derivati da carenza di manutenzione di tale parte comune.
Si è ritenuta, pertanto, sussistente una responsabilità di natura contrattuale da ripartirsi tra i soggetti coinvolti in base all’art. 1126 secondo il seguente principio di diritto : “poiché il lastrico solare dell’edificio svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito ad uso esclusivo ad uno dei condòmini, all’obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condòmini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati all’appartamento sottostante per le infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c.“.
In seguito si è sviluppata però una giurisprudenza di segno opposto, tendente a ravvisare una responsabilità extracontrattuale concorrente tra il proprietario ad uso esclusivo del lastrico e condominio ex art. 2051, cioè per danni da cosa in custodia.
Rilevata l’esistenza di un contrasto perdurante da circa 20 anni, la Seconda Sezione civile della suprema corte ha rimesso la questione alle sezioni unite con la ordinanza interlocutoria n. 13526 del 2014.
Le sezioni unite, in riscontro, hanno adottato un indirizzo mediano tra i due precedenti.
In particolare, precisato che il principio di diritto enunciato non troverà applicazione laddove si riesca a dimostrare che il danno ha avuto origine non già dalla mancata manutenzione della cosa comune, ma ad altre condotte ascrivibili in via esclusiva al proprietario del lastrico in uso esclusivo, hanno:
confermato la natura extracontrattuale della responsabilità gravante sul condòmino titolare del diritto d’uso esclusivo ex art 2051 c.c.;
dichiarato la responsabilità concorrente del condomìnio in base alla norma di norma di cui all’art 1130 nell’ipotesi in cui l’amministratore ometta di attivare gli obblighi conservativi delle cose comuni su di lui gravanti ai sensi dell’art. 1130, primo comma, n. 4, cod. civ., ovvero nel caso in cui l’assemblea non adotti le determinazioni di sua competenza in materia di opere di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 1135, primo comma, n. 4, cod. civ.; il parametro di divisione delle spese resta quello di cui all’art. 1126 c.c“.
Corollari diretti di questa impostazione sono principalmente due:
“’applicazione tutte le disposizioni che disciplinano la responsabilità extracontrattuale, prime fra tutte quelle relative alla prescrizione ( quinquennale) e all’imputazione della responsabilità, dovendosi escludere che l’acquirente di una porzione condominiale possa essere ritenuto gravato degli obblighi risarcitori sorti in conseguenza di un fatto dannoso verificatosi prima dell’acquisto, dovendo quindi dei detti danni rispondere il proprietario della unità immobiliare al momento del fatto;
applicazione dell’art. 2055 cod. civ., ben potendo il danneggiato agire nei confronti del singolo condomino, sia pure nei limiti della quota imputabile al condominio. In tal senso, del resto, si è già affermato che il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, primo comma, cod. civ., norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota
Questa nuovo approdo, si espone a qualche criticità nella pratica: sebbene non vengano espressamente richiamate, è lecito ritenere che troveranno applicazione anche le regole in materia di ripartizione dell’onere della prova in materia extracontrattuale, con l’effetto di gravare il danneggiato di un onere molto più pesante e scivoloso di quello esistente in base al precedente orientamento, quanto meno con riferimento al nesso causale.
Ciò stante è verosimile credere che il proprietario del lastrico in via esclusiva, preso atto che sarà molto più complesso dimostrare la sua responsabilità, potrebbe essere molto meno portato ad assumere un atteggiamento collaborativo o proattivo rispetto alla custodia del bene.
Il motivo per cui il danneggiato proprietario debba essere equiparato ad un comune terzo in questa vicenda resta, parimenti, poco chiaro: in ossequio al dovere di solidarietà sociale e buona fede, l’appartenenza alla medesima comunione condominiale, legittimerebbe il riconoscimento dell’esistenza di una posizione di tutela qualificata gli interessi del comunista danneggiato, che, pertanto, dovrebbe essere agevolato nella tutela dei suoi interessi, anziché processualmente equiparato al quidam de populo.

Condominio: divieto di animali domestici illegittimo anche se votato all’unanimità

Non si può impedire ai condomini di tenere animali domestici, anche se tale divieto è previsto nel regolamento condominiale approvato all’unanimità.
E’ quanto stabilito dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Cagliari, con l’ordinanza del 22 luglio 2016. La vicenda in esame riguardava un condomino che aveva proposto ricorso ex art. 702 c.p.c. affinchè venisse dichiarato nullo e/o annullato e/o comunque dichiarato privo di efficacia, l’art. 7 del regolamento condominiale, che vietava l’accesso al Condominio agli animali domestici. Si costituiva in giudizio il Condominio, sostenendo la legittimità del divieto stabilito nel regolamento.
Il Tribunale adìto ha ritenuto viziata da nullità sopravvenuta la disposizione di cui all’art. 7 del regolamento del condominio  impugnato in quanto, con la L. n. 220/2012, è stato introdotto il principio secondo cui: “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”, applicabile a tutte le disposizioni contenute sia nei regolamenti di tipo contrattuale che assembleare, precedenti o successivi alla riforma del 2012.
Inoltre, il regolamento condominiale che si discosti da tale disposizione è affetto da nullità anche perché contrario ai principi di ordine pubblico, individuabili nella necessità di valorizzare il rapporto uomo-animale e nell’affermazione di quest’ultimo principio anche a livello europeo. Tali concetti sono contemplati in particolare, nella Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13.11.1987, ratificata ed eseguita in Italia con la Legge 201/2010, nonchè nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ratificato dalla Legge 130/2008, che all’articolo 13, prevede che l’Unione e gli Stati membri “tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”.
Secondo le prime interpretazioni, “occorreva che il divieto di accesso  e mantenimento degli animali domestici negli appartamenti fosse previsto nel regolamento condominiale votato all’unanimità dei condomini, in quanto andava ad incidere e limitare, facoltà comprese nel diritto di proprietà dei singoli, ovvero, in caso di regolamenti predisposti dall’originario unico proprietario, che fossero richiamati negli atti di acquisto, costituendosi con essi servitù reciproche“.
In realtà – argomenta il giudice de quo – occorre considerare un’altra interpretazione della norma, poiché il divieto indicato nell’art. 1138 c.c. rappresenta l’espressione dei principi di ordine pubblico, dalla cui violazione consegue la nullità insanabile della statuizione ad esso contraria. In effetti, le disposizioni contenute nei commi precedenti dell’art. 1138 c.c. stabiliscono regole circa l’adozione obbligatoria del regolamento ed al quorum necessario per la sua approvazione, facendo riferimento al c.d. regolamento assembleare, tuttavia, nessuna indicazione in merito alla natura del regolamento è indicata nella norma, in cui si parla genericamente di “regolamento di condominio”, e neppure nel comma contenente il divieto, in cui viene citato il “regolamento” senza altra specificazione. Dall’esame dell’art. 1138 c.c. e della norma contenente il divieto, non è possibile individuare a quale tipo di regolamento si faccia riferimento, per cui appare riduttivo applicare tale divieto al solo regolamento di tipo c.d. assembleare, ma va estesa a tutti i regolamenti di condominio, anche se approvati all’unanimità“.
Pertanto, il Tribunale adito ha concluso sostenendo che “la norma in esame non è strettamente connessa alle sole ipotesi di regolamento assembleare, ma costituisce un principio generale, valido per qualsiasi regolamento, per cui ha accolto la domanda proposta, dichiarando nullo l’art. 7 del regolamento del condominio“.

Morosità: ecco come e quando difenderla!

Quando va difesa la morosità? “Alcune delle norme più efficaci della recente legge di riforma (220/2012) sono sostanzialmente dedicate a scongiurare il rischio per il condominio di trovarsi in difficoltà a causa della presenza di diversi condòmini morosi: si può anzi dire che in questo contesto il legislatore è intervenuto in modo appropriato, mentre molto peggio ha fatto nel regolare altri aspetti della vita condominiale, tipo il recupero crediti nei confronti del condominio da parte di terzi.
L’attività di controllo sullo stato dei pagamenti da parte dei condòmini può essere effettuata anzitutto dai maggiori interessati e cioè proprio gli stessi condòmini: l’articolo 1130 Codice civile, in particolare, prevede, nella sua nuova versione, per l’amministratore “l’obbligo di fornire al condòmino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso”.
Sempre l’articolo 1130 Codice civile, inoltre, ha introdotto (con la legge di riforma) “l’obbligo per l’amministratore di redigere annualmente il rendiconto condominiale della gestione: ovverosia un documento ufficiale decisamente più articolato di quanto accadeva in precedenza, il che dovrebbe permettere ai condòmini un maggior controllo, visto anche che la norma in questione prevede sia che i dati (contenuti nel rendiconto) debbano essere espressi chiaramente e “in modo da consentirne l’immediata verifica”, e sia la possibilità per l’assemblea condominiale un revisore che verifichi la contabilità del condominio“.

Difesa della morosità

Un ulteriore strumento utilissimo per seguire con attenzione l’andamento delle questioni condominiali, viene dato ai condòmini con la possibilità (ex articolo 71 Disposizioni attuative codice civile) di richiedere, sempre tramite delibera assembleare, all’amministratore “di attivare un sito internet del condominio, che consenta agli aventi diritto di consultare ed estrarre copia in formato digitale dei documenti previsti dalla delibera assembleare”.
Sul potere/dovere dell’amministratore di vigilare sui pagamenti puntuali delle spese condominiali, è intervenuta la legge 220/2012 che, all’articolo 1129 Codice civile, prevede che egli (a meno che l’assemblea non abbia deciso diversamente) debba necessariamente agire “per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio”. In questo modo, viene meno il rischio che l’amministratore eviti di riscuotere puntualmente i crediti per evitare di inimicarsi alcuni condòmini.
L’amministratore, inoltre, ai sensi dell’articolo 63 Disposizioni attuative codice civile, può ora sospendere il condòmino moroso per più di sei mesi dall’utilizzo dei servizi fruibili separatamente.
Si tratta, in realtà, di una norma spesso di non facile attuazione e che ha già dato adito a pronunce (dei tribunali) contrastanti, sopratutto quando a essere sospesi sono servizi essenziali quali riscaldamento e fornitura acqua. In questi casi i giudici (vedi ad esempio Tribunale Milano, ruolo generale 72656/2013) a volte ravvisano nella sospensione del servizio un attività vietata in quanto pone a repentaglio diritti fondamentali della persona, di rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute”.
A tale motivazione del Tribunale milanese, si potrebbe comunque obbiettare che spesso è proprio la morosità persistente di alcuni condòmini a mettere a repentaglio i diritti fondamentali degli altri (condòmini), come accade quando il condominio si trovi in difficoltà, e con il rischio di vedersi sospendere il servizio per tutto lo stabile da parte dell’ente fornitore, proprio a causa dei mancati pagamenti.

Difesa della morosità: quando la situazione diventa grave

All’amministratore in ogni caso, per non correre rischi personali anche di carattere penale, converrà agire sospendendo i servizi al condòmino solo nei casi di morosità grave ed acclarata e avendo anche magari cura di rivolgersi prudentemente prima al tribunale chiedendo di essere autorizzato in tal senso.
La legge 220/2012 ha inoltre previsto, per scoraggiare la morosità dei condòmini, l’obbligo per i creditori terzi di agire (previo elenco che deve obbligatoriamente essere fornito dall’amministratore) prima appunto contro i còndomini morosi e poi contro gli altri: sulla efficacia di tale intervento legislativo, soprattutto per quanto riguarda la possibilità per i terzi di effettivo recupero del credito, è tuttavia lecito mantenere più di un dubbio.
Vale poi ancora la pena di ricordare l’istituzione (articolo 1135 Codice civile n. 4) dell’obbligo di costituire “un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori” per quanto riguarda le opere di manutenzione straordinaria, ad evitare evidentemente che il condominio si indebiti ordinando dei lavori senza poi aver la possibilità di fare fronte all’impegno preso. 
Da ultimo, anche l’aver reso obbligatorio l’istituzione di un conto corrente “dedicato” al condominio dove devono transitare tutti i movimenti in entrata e uscita che lo riguardano, dovrebbe servire a fare chiarezza sulla buona amministrazione del condominio da parte dell’amministratore“.

Problematiche relative alla revisione delle tabelle millesimali

La revisione delle tabelle millesimali a maggioranza non cambia i criteri di stima.

L’articolo 69 delle Disposizioni di attuazione del codice civile, infatti, stabilisce che, in linea di principio, la rettifica o la modifica delle tabelle millesimali può essere fatta soltanto all’unanimità.

Questa regola, ritenuta inderogabile dal successivo art. 72, presenta due eccezioni:
– “quando risulta che i valori millesimali sono conseguenza di un errore“;
– “quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, risulta alterato per più di un quinto il valore proporzionale di almeno una unità immobiliare“.
Tuttavia, è necessario comprendere il significato tecnico di tale norma.

Revisione delle tabelle millesimali: la norma

Infatti, confondere il concetto di revisione delle tabelle millesimali in seguito ad un errore o una modifica con il redigerle ex novo, non è affatto raro.

Proprio guardando bene all’incipit dell’art. 69 possiamo comprendere la necessità di come l’attività di rettifica e di revisione indicati ai nn. 1) e 2) della norma debba risultare diversa poiché in difetto si andrebbe ad annullare la ratio che vuole l’unanimità per la modificazione in tutti gli altri casi.
L’attività tecnico-peritale di rettifica delle tabelle da deliberarsi a maggioranza deve, dunque, limitarsi alla mera individuazione dell’errore ed alla sua correzione, senza, per questo, mettere mano alla struttura di base delle stesse tabelle, ovvero, senza occuparsi del rilievo delle unità coinvolte e senza rivedere i coefficienti di riduzione che il tecnico del tempo ha ritenuto di adottare.
Quella di revisione a seguito di modificazione, dovrà tenere conto soltanto di quanto determini la modificazione stessa in termini di incidenza sull’elemento oggettivo prima e sulla superficie o volume convenzionale dopo, della sola unità interessata dalla modificazione, per poi ristabilire i rapporti di proporzione fra tutte le unità facenti parte del condominio, senza per questo intervenire sulla stima delle restanti unità o sulla valutazione dei coefficienti di riduzione da applicarsi, dovendosi rifare necessariamente a quanto ritenuto di dover applicare dal tecnico originario.
Il comma di chiusura prevede come le regole di rettifica e modificazione a maggioranza siano applicabili per la revisione delle tabelle per la ripartizione delle spese redatte sia in applicazione delle criteri di legge che convenzionali“.

Ciò rafforza la necessità di limitare “l’attività peritale”  alla correzione senza dover per forza entrare nei merito dei criteri di stima adottati dal tecnico che magari, a sua volta, avrebbe potuto scegliere questi in maniera del tutto convenzionale. Ma è proprio il criterio convenzionale che richiede una nuova unanimità affinché venga modificato e che suggerisce le considerazioni fatte finora.

Modifica delle tabelle millesimali: la revisione tecnica

Per quanto riguarda le tabelle convenzionali che stabiliscono, per esempio, “la ripartizione delle spese di manutenzione delle scale esclusivamente in base alla misura proporzionale all’altezza dei piani, si porcederà a rettifica della tabella perché, ad esempio, per errore non è stata compresa l’unità dell’ultimo piano o alla modificazione per sopraggiunta sopraelevazione, senza, però, che si metta mano al criterio stesso di ripartizione che resterà per il cento per cento sempre proporzionale all’altezza dei piani, continuando così a derogare al principio fissato dall’art. 1124 c.c., atteso che per tale ultima modificazione si renderebbe necessaria la sottoscrizione di una nuova convezione“.
Occorre però rilevare una circostanza sfuggita al Legislatore: “il tecnico incaricato a maggioranza di revisionare le tabelle per errore o modificazione per alterazione superiore ad un quinto del valore anche per una sola unità immobiliare, ha l’imprescindibile necessità di acquisire agli atti del suo lavoro la relazione accompagnatoria delle tabelle originali redatta dal collega del tempo. Purtroppo, questa relazione è spesso assente al fascicolo condominiale e questo determina l’impossibilità tecnica a procedersi con la perizia.
In questi casi, purtroppo molto frequenti, spetterà all’assemblea decidere di assumersi il rischio di deliberare la redazione ex novo delle tabelle anche senza unanimità, sperando che dalla relazione del tecnico emerga chiaramente un precedente errore o la necessaria modificazione per alterazione per più di un quinto del valore anche di una sola unità, senza per questo evitare in assoluto il richio che un Giudice dichiari comunque nulla la delibera per mancanza di unanimità dei consensi“.

L’ultimo tratto di scale che conduce al terrazzo di proprietà esclusiva non può essere chiuso dal singolo condomino

Lo ribadisce l’ex articolo 1117 del Codice Civile: “le rampe di scale costituiscono strumento indispensabile per fruire della copertura dell’edificio”.
Un singolo condomino, proprietario del terrazzo situato all’ultimo piano di un condominio, non può chiudere con una porta all’altezza del pianerottolo l’ultimo tratto di scale, anche e soprattutto se questo non conduce soltanto ai locali di sua esclusiva proprietà. Ciò per via di quanto stabilito dall’ex articolo 1117 Cc secondo il quale: “le strutture essenziali dell’edificio come le scale appartengano a tutti per quanto poste a servizio soltanto di alcune porzioni dello stabile: insomma, tutte le rampe sono condominiali in assenza di titolo contrario”. Questo è quanto emerge dalla sentenza 4664/16, pubblicata il 9 marzo dalla sesta sezione civile della Cassazione.

Presunzione fondata

In questo modo, viene confermata la sentenza d’appello che aveva rovesciato la precedente decisione del Tribunale. Nella fattispecie, la prima rampa di scale è comune ad entrambe le proprietà: “serve per accedere al terrazzo di X all’altezza del pianerottolo, ma anche a quello di Y che si trova al piano di sopra. Sbaglia il giudice di prime cure a rigettare la domanda proposta da X contro la porta installata da Y per chiudere l’accesso alla seconda rampa: non coglie nel segno il rilievo che la parte non avrebbe provato titoli di proprietà sull’ultimo tratto di scale. In realtà negli atti di acquisto degli immobili di ciascuno dei due proprietari non si coglie alcun riferimento in grado di escludere che la seconda rampa rientri nella comproprietà di X: l’intera scala va ritenuta un bene condominiale ex articolo 1117 Cc. Non conta che l’ultima rampa serva soprattutto a mettere in comunicazione con il terrazzo di proprietà esclusiva di Y: la scala in sé serve a tutti i condomini dello stabile come strumento indispensabile per esercitare il godimento della copertura dell’edificio benché non abbiano ordinariamente interesse a percorrere anche le rampe superiori. Al proprietario del terrazzo all’ultimo piano non resta che pagare le spese di giudizio più il contributo unificato aggiuntivo e rimuovere la porta”.