Condominio parziale: ecco cosa accade quando il cancello è usato solo da alcuni

Le spese di manutenzione di un cancello devono essere ripartite solo tra i condomini (condominio parziale) comproprietari dell’area alla quale dà accesso il cancello stesso.

Questo è quanto ha ribadito la Cassazione civile (sentenza 4127/2016) nel corso di una decisione riguardante una causa di impugnazione assembleare di una delibera precedentemente emessa che aveva assegnato ai soli condomini comproprietari dell’area del cortile, le spese di manutenzione del cancello. In pratica, l’amministratore di condominio aveva deciso di ripartire le spese sulla base dell’esistenza di un “condominio parziale”, ovvero di alcuni beni che, a causa della propria struttura funzionale, possono essere utilizzati solo da alcuni condomini e non da tutti.
In poche parole, la Cassazione ha dichiarato legittima questa delibera poiché rispettosa di tutti quei principi espressi più volte dalla stessa Corte suprema.

La Sentenza

Nella fattispecie – osserva la Corte – si si deve ricordare che la natura condominiale (quindi non esclusiva) di un bene è accertata qualora il bene stesso sia destinato a servire non la proprietà di un solo condomino ma una parte del fabbricato (appunto il condominio parziale), riferibile ad un numero limitato di condòmini”.
Quindi, una volta appurato che il bene in questione (ovvero il cancello) serve alcuni e non tutti i condòmini, dovrà essere applicato il principio espresso dall’articolo 1123 del Codice civile: norma quest’ultima, che prevede che le spese, se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, sono ripartite in base all’uso che ciascuno può farne”.
La Corte, nel prendere questa decisione, ha richiamato un principio per via del quale “deve ritenersi legittimamente configurabile la fattispecie del condominio parziale ex lege tutte le volte in cui un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto dell’edificio in condominio, venendo meno in tal caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene”.

Il Caso

In questo modo, ovvero applicando questi principi di diritto, la Corte ha rilevato come, in questo caso, trattandosi di un cortile di proprietà solo di alcuni condòmini, ovvero di un condominio parziale, le spese riguardanti la manutenzione del cancello spettano solo ai comproprietari.

I comproprietari valgono per una sola «testa» ai fini del supercondominio

Un nostro lettore ci ha chiesto: “Amministro un supercondominio di 8 stabili per complessivi 120 enti, in quanto ogni edificio è costituito da 7 appartamenti ed otto cantine, per un totale di 56 appartamenti e 64 cantine. 51 appartamenti fruiscono di una cantina ciascuno, 4 appartamenti ne hanno 8, 1 appartamento è di proprietà dell’Ater unitamente a 5 cantine distribuite in 4 stabili.
Essendo quasi tutti gli appartamenti di proprietà di 2 o più persone, superando ampiamente il numero di 100, chiedo se a tale casistica vada applicato quanto previsto dal comma 3 art. 67 delle “Disposizioni di attuazione del codice civile”.”.

Conta il numero delle teste, non quello delle unità Immobiliari

Ecco la soluzione più adatta al suo problema: “Ciò che rileva al fine del conteggio del numero dei partecipanti al condominio è il numero delle così dette “teste” e non il numero delle unità immobiliari. Qualora una unità immobiliare appartenga a più persone, esse, ai fini del conteggio dei “partecipanti” al condominio, vengono considerate come “uno”. Se una persona è proprietaria di più unità immobiliari nello stesso condominio (o supercondominio come nel suo caso), essa verrà conteggiata come “uno”. Pertanto, se ho bene compreso, nel suo caso vi sono 56 partecipanti al condominio e, quindi, non trova applicazione l’articolo 67 commi III e IV delle disposizioni di attuazione del codice civile che prevedono una speciale forma di rappresentanza all’assemblea del supercondominio.

Se l’amministratore interno non emette fattura

Tra gli 8 proprietari di un condominio, uno è amministratore interno. Poniamo caso che il compenso fissato dall’assemblea sia di € 500,00 che vengono detratte dalle sue spese condominiali personali (quindi se le sue ammontassero a circa € 1800,00, verrebbe a pagare € 1300,00), come ci si comporta nei confronti del fisco? Si è in regola senza fattura, o è necessario emetterla?

La legge

La risposta a questa domanda è: “Dipende”. Se il condominio ha un codice fiscale, va necessariamente presentato il modello Cu (almeno per quanto riguarda le spese dovute nei confronti dell’amministratore, che sua volta dovrà presentare il quadro AC). Ovviamente la prima cosa da fare è mettersi in regola con l’anno fiscale appena trascorso, per quanto riguarda invece gli anni pregressi, per quanto la posizione possa o no essere regolarizzata, il rischio di sanzioni e interessi rimane comunque molto alto.
Se invece il condominio non avesse ancora richiesto il codice fiscale, deve affrettarsi a farlo immediatamente, in modo tale da poter ottenere fatture dai fornitori, oppure operare la ritenuta d’acconto del 4% sul compenso dell’amministratore. In questo caso, l’amministratore, visto che per lui si tratta solo di una collaborazione occasionale, è tenuto ad indicarla come tale nella propria dichiarazione dei redditi.
Il suggerimento comunque è quello di ottenere prima il codice fiscale condominiale e solo dopo provvedere a regolarizzare il pagamento e la ritenuta d’acconto per l’amministratore. In caso l’Agenzia delle Entrate si accorge dei “non pagamenti” pregressi (è difficile se il condominio non aveva il codice fiscale) scattano immediatamente sanzioni e interessi.

Le morosità nel condominio

Visto il continuo aumentare delle insolvenze da parte dei condomini, la questione della morosità in condominio è stata una volta e per tutte affrontata decisivamente dalla legge 220/2012 che di fatto ha conferito più poteri e responsabilità all’amministratore di condominio. Quest’ultimo, come stabilisce l’articolo 129 del Codice civilesalvo che sia stato espressamente dispensato dall’assemblea, è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso”. Quindi, ponendo il caso in cui un condomino non paga le spese comuni, tra cui quelle riguardanti le quote per il riscaldamento centralizzato, l’amministratore è obbligato, dalla legge, ad intervenire per via giudiziaria contro il condomino moroso. Per prima cosa può decidere se inviare al diretto interessato una lettera di sollecito per poi, senza che vi sia la necessaria autorizzazione dell’assemblea, ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. Spetterà poi al giudice, sulla base dei rendiconti presentati dall’amministratore, obbligare il condomino moroso a saldare i propri debiti entro e non oltre un determinato lasso di tempo, pena il pignoramento dei propri beni.

L’eventuale copertura

Visto però che le numerose pratiche che solitamente affollano gli uffici del tribunale rendono l’iter giudiziario lungo e non esattamente agevole, in attesa di recuperare quanto dovuto dal condominio moroso, l’amministratore ha la facoltà di chiedere ai condomini in regola con i pagamenti di coprire la parte mancante. In questo modo, ognuno andrebbe a coprire con una piccola percentuale, calcolata ai millesimi di proprietà, con l’esclusione del moroso, la spesa mancante. Certo, si tratta di un meccanismo poco, o per niente, giusto, ma necessario per evitare l’interruzione totale del servizio, come previsto dalla clausole inserite nei contratti di fornitura. In ogni caso, secondo quanto previsto dall’articolo 1565 del Codice Civile, è necessario che l’amministratore avverta i condomini di tale decisione con largo anticipo.
In effetti, pensandoci bene, al fornitore importa davvero poco se qualche condomino è o meno in regola con i pagamenti. Il suo interlocutore, di fatto, è l’amministratore che, come previsto dall’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice civile, “è peraltro tenuto a trasmettere ai creditori, che ne avanzino richiesta, i nominativi e le quote di debito dei morosi, affinché possano agire nei confronti di chi non ha pagato e, solo se il tentativo fallisce, verso l’intero condominio. Un’azione che si può definire “surrogatoria”, nel senso che si realizza soltanto in caso di mancato intervento dell’amministratore”.
Quest’ultima misura, però, se da un lato mira a tutelare i condomini virtuosi e sempre in regola con i pagamenti, dall’altro rende complicato il recuperare quanto dovuto dal condomino moroso. E così facendo, inoltre, nonostante le buone intenzioni della norma appena introdotta, nella maggior parte dei casi dopo il primo tentativo di recupero crediti, si finisce sempre con l’agire nei confronti dell’intero condominio.

La «cassa comune»

Proprio per questo motivo, all’interno di alcuni stabili, si è deciso di istituire uno speciale fondo cassa dal quale poter attingere nei casi in cui si presenti una necessità urgente come ad esempio questa appena citata.
Per la giurisprudenza (Cassazione 3463/1975), riguardo la costituzione di un fondo cassa utile a sopperire agli inadempimenti dei condomini morosi, “non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condòmini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi; invece, nell’ipotesi di effettiva, improrogabile urgenza di trarre aliunde somme, come nel caso di aggressione in executivis da parte di creditori del condominio, in danno di parti comuni dell’edificio, può ritenersi consentita una deliberazione assembleare, la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione di un fondo cassa ad hoc, tendente a evitare danni ben più gravi nei confronti dei condòmini tutti, esposti dal vincolo di solidarietà passiva, operante ab externo”.
Tale principio può valere anche dopo l’entrata in vigore dell’appena rinnovato articolo 63 del Codice civile, secondo il quale “i creditori possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”.

La sospensione

Inoltre, sempre il rinnovato articolo 63, prevede che “in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l’amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato”. Questo significa che se per esempio si intende bloccare l’erogazione del riscaldamento nell’appartamento del condomino moroso, lo si può fare, sempre a condizione che l’impianto di riscaldamento lo consenta. Tuttavia, ancora adesso, nonostante l’inserimento della nuova norma, quella della sospensione del servizio rimane una questione molto dibattuta, anche perché i giudici continuano ad esprimersi sempre in modo differente.

Solidarietà ed eredi

Inoltre, nel momento in cui il condomino moroso cede il suo immobile, il nuovo proprietario “il nuovo proprietario resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi relativi all’anno in corso e agli anni precedenti, e, comunque, per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”. Invece, in caso di morte del condomino moroso, toccherà agli eredi sanare i suoi debiti “in proporzione alla quota d’eredità attribuita a ciascuno di loro o, in mancanza di testamento, secondo le regole della successione legittima”.

Stop all’ingiunzione del condominio se i lavori coinvolgono i balconi senza placet del proprietario

Stop all’ingiunzione del condominio per recuperare le spese dei lavori se l’assemblea ha disposto la manutenzione straordinaria anche sui balconi di proprietà esclusiva senza chiedere l’autorizzazione al singolo condomino interessato. E ciò perché in sede di opposizione al provvedimento monitorio ben può il giudice rilevare d’ufficio la nullità della delibera che è posta a fondamento della richiesta di provvedimento monitorio laddove la validità della decisione rappresenta comunque un elemento costitutivo della domanda. È quanto emerge dalla sentenza 305/16, pubblicata il 12 gennaio dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Applicazione controversa
Accolto il ricorso del condomino che non risiede nell’edificio e non ha potuto partecipare all’assemblea nella quale si decide di realizzare lavori straordinari (in seguito l’interessato vota contro l’approvazione del consuntivo). Il proprietario esclusivo paga gli oneri relativi ai lavori sulle parti comuni ma non quelli per l’intervento sui balconi che egli non ha autorizzato. Sbaglia il Tribunale secondo cui cadrebbe in errore il giudice di pace quando accerta la nullità della delibera di approvazione delle spese anche se ai soli fini dell’accoglimento dell’opposizione. E ciò perché, sostiene la sentenza d’appello, manca ogni nesso processuale fra il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e quello di impugnazione della delibera posta a base del ricorso monitorio richiesto dal condominio (quanto ad esempio a continenza, pregiudizialità necessaria e così via). In realtà si controverte sull’applicazione di un atto, vale a dire la delibera dell’assemblea, che costituisce il fondamento in base al quale il condominio ha ottenuto il provvedimento monitorio. E la decisione non può non ritenersi nulla laddove l’assemblea vota a maggioranza i lavori di manutenzione straordinaria che coinvolgono anche i balconi di proprietà esclusiva del singolo condomino senza che quest’ultimo sia messo al corrente. Ecco allora che il Tribunale non ha fatto buon governo dei principi di legittimità in materia, che dovranno dunque essere applicati dal giudice del rinvio.

Il condominio paga l’auto danneggiata anche se chi faceva manovra sa che il cancello è a rischio

Il condominio risarcisce i danni all’auto del singolo proprietario esclusivo cagionati dal cancello carrabile con chiusura automatica posto all’ingresso del fabbricato. E ciò perché l’ente di gestione risulta responsabile in base agli articoli 2051 e 2043 Cc per avere mantenuto in servizio un impianto a rischio, nonostante il pericolo di danni fosse raro: il sinistro, per quanto improbabile, si è comunque verificato. Non conta che a fare la manovra in cortile ci sia comunque un condomino, vale a dire una persona che vive nel palazzo e quindi ben conosce la chiusura asimmetrica del cancello: la struttura è automatizzata e risulta dunque soggetta alla direttiva europea macchine mentre il proprietario esclusivo di un appartamento nell’edificio deve in ogni caso essere considerato un consumatore da tutelare. È quanto emerge dalla sentenza 316/15, pubblicata dalla sezione civile del giudice di pace di Trento (magistrato onorario Antonio Orpello).

Tutela inadeguata
L’ente di gestione paga al condomino 2.800 euro di danni per l’auto rimasta schiacciata nel cancello durante la retromarcia. Il punto è che la chiusura risulta asimmetrica perché la struttura presenta un’anta aperta e un’altra chiusa e lascia supporre erroneamente che sia aperta o chiusa laddove invece è ancora in movimento. Anche le fotocellule non hanno tutelato in modo adeguato il veicolo in transito. È allora inutile la delibera con cui l’assemblea decide di non indennizzare il condomino proprietario dell’auto: la decisione non impedisce certo al danneggiato di agire per far valere il diritto al risarcimento entro l’ordinario termine di prescrizione. In base al codice del consumo il singolo condominio ha diritto a un «elevato livello di tutela», mentre non risulta abnorme la condotta dell’automobilista che si risolve in una consentita manovra di retromarcia. Il fatto che al momento del sinistro ci sia una persona che conosce il cancello a rischio «denota ancor più – scrive il giudice – il potenziale pericolo tanto più per chi è del tutto estraneo allorché si ha una parziale visuale di esso». E il risarcimento sarebbe potuto essere più cospicuo se la parte avesse prodotto la fattura del carrozziere con il bonifico e foto più chiare sui danni patiti senza limitarsi alla valutazione di parte. L’assicurazione copre il condominio che paga le spese di giudizio.

Adeguamento dell’ascensore in base ai millesimi solo con delibera unanime

In assenza di un regolamento contrattuale o di approvazione all’unanimità dell’assemblea condominiale niente ripartizione solo per millesimi per le spese effettuate per abbassare di un piano l’ascensore. Nel caso di specie va infatti applicato l’art. 1124 Cc «che addossa sia la manutenzione sia la sostituzione delle scale (e degli ascensori) già esistenti ai (soli) proprietari delle unità immobiliari cui gli stessi servono, con ripartizione delle relative spese, per la metà, in ragione del valore delle singole unità e, per la restante metà, in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano del suolo». È quanto emerge dalla sentenza 6782/2015 della quinta sezione civile del Tribunale di Roma che ha accolto l’istanza di un condomino tesa ad annullare la delibera assembleare che, con voto contrario dell’attore, ha approvato la ripartizione delle spese in millesimi di proprietà per i lavori eseguiti per abbassare di un piano l’ascensore condominiale regolarizzando in tal modo l’impianto già presente. La sentenza, facendo riferimento anche alla giurisprudenza di legittimità (2833/1999, 5479/1991) spiega anche che differentemente, se si fosse trattato di un nuovo impianto, quindi della realizzazione ex novo dell’ascensore, avrebbe trovato applicazione l’art. 1123 Cc relativo alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalità al valore della proprietà di ciascun condomino). Non conta l’eventuale prassi condominiale, per quanto asseverata. Corretto quindi annullare la delibera assembleare impugnata dal condomino contrario alla ripartizione votata.

Il nuovo quadro K nel modello 730 dell’amministratore

Una delle novità principali della bozza di modello 730/2016 pubblicata dall’Agenzia delle Entrate riguarda proprio gli amministratori di condominio.

Con il modello 730/2016 viene infatti introdotto il nuovo quadro K che potrà essere utilizzato dagli amministratori di condominio, in luogo del quadro AC del modello UnicoPF, per comunicare all’Agenzia delle Entrate gli acquisti dell’anno ed i lavori edilizi detraibili al 50 per cento.

Con il quadro AC del modello UnicoPF l’amministratore di condominio:

  • comunica all’Agenzia delle Entrate gli importi annuali dei beni e servizi acquistati dal condominio nell’anno precedente, unitamente ai dati anagrafici dei fornitori del condominio medesimo;
  • comunica all’Agenzia delle Entrate i dati catastali dei condomini che sono stati interessati dagli interventi di recupero del patrimonio edilizio, le cui spese sono detraibili nella misura del 36/50% (con una ripartizione effettuata in base ai millesimi).

Qualora l’amministratore di condominio, negli anni passati, fosse stato esonerato dalla presentazione del proprio modello Unico, era prevista la possibilità di presentare solo il frontespizio della dichiarazione dei redditi, unitamente al quadro AC.

Dal 2016 questa presentazione potrà essere sostituita dalla compilazione del quadro K nel modello 730/2016.

Vediamo cosa cambia con la compilazione del nuovo quadro “K” del modello 730 denominato “Comunicazione dell’amministratore di condominio”. Ecco, in dettaglio, come è fatto il quadro K:

Sezione I: Dati identificativi del condominio (rigo K1);

Sezione II: dati catastali del condominio (intervento di recupero del patrimonio edilizio); dati catastali del condominio (rigo K2); domanda di accatastamento (rigo K3);

Sezione III: Dati relativi ai fornitori e agli acquisti di beni e servizi.

Le prime due sezioni sono dedicate ai dati identificativi del condominio e quelli catastali per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio (rigo K1), nonché quelli relativi alla domanda di accatastamento (rigo K3). La sezione terza è dedicata ai “dati relativi ai fornitori e agli acquisti di beni e servizi”. In questa sezione dovranno essere esposti, per ciascun fornitore o prestatore, il codice fiscale, la denominazione, il cognome, nome, data e luogo di nascita nel caso di sole persone fisiche (o solo lo stato estero nel caso di non residenti), nonché l’importo complessivo degli acquisti di beni e servizi. Il nuovo quadro offre la possibilità di un inserimento massimo di 6 fornitori superati i quali sarà necessario compilarne altri.

La novità introdotta dall’Agenzia delle Entrate non appare semplificativa degli adempimenti complessivamente gravanti sugli amministratori di condominio, che comunque continueranno, come per il passato, a comunicare pressoché gli stessi dati, sebbene con un altro modello dichiarativo. Occorrerà tuttavia aspettare ulteriori provvedimenti delle Entrate per vedere se la novità introdotta servirà a semplificare in concreto la compilazione del 770, come annunciato nel recente comunicato stampa dell’Agenzia stessa.

Sospensione di acqua, luce e gas a causa dei morosi

Chi paga rischia di non avere il servizio: il condomino puntuale nei pagamenti si potrebbe interrogare su quali rimedi esperire qualora si accorga che il condominio (a causa della morosità di altri condòmini) non paghi con regolarità le forniture essenziali (acqua luce e gas), con il rischio che le stesse vengano sospese dall’ente somministratore.

A tal proposito, è bene anzitutto ricordare che sussistono due differenti rapporti giuridici: uno che riguarda il terzo ed il condominio rappresentato (dall’amministratore) che hanno sottoscritto il contratto di fornitura, e un secondo che riguarda, viceversa il rapporto che lega tra loro i condomini ed il condominio.

Questa distinzione è essenziale per capire che i condomino “virtuoso” dovrà sempre muoversi nell’ambito di questo secondo rapporto, senza pensare di “scavalcare “ l’amministratore e rivolgersi egli stesso al somministratore: , o pagandogli direttamente la propria quota di fornitura, o con un ricorso al giudice che chieda la revoca della sospensione del servizio posta in essere dal fornitore.

Sul punto ha recentemente fatto chiarezza la Cassazione (sentenza 3636/2014) precisa che, pur non avendo il Condominio personalità giuridica, esso si pone nei confronti dei terzi “come soggetto di gestione dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini attinenti alle parti comuni”, per le quali “l’amministratore assume la qualità di necessario rappresentante della collettività dei condomini sia nella fase di assunzione degli obblighi verso terzi per la conservazione delle cose comuni, sia all’interno della collettività condominiale come unico referente dei pagamenti ad essa relativi”.

Conclude pertanto la Suprema Corte con la decisione in oggetto che “Il somministratore non ha alcun rapporto contrattuale con gli odierni resistenti, i quali fruiscono del servizio di erogazione dell’acqua in forza del contratto di erogazione stipulato dal Condominio”, e che pertanto “ il solo pagamento che costituisce corretto adempimento dell’obbligazione è quello proveniente dall’amministratore”.

In forza di tali princìpi, pertanto, il condòmino in regola con i pagamenti (come stabilito molto chiaramente da Tribunale di Alessandria, che ha respinto una richiesta in tal senso (ordinanza 17 luglio 2015) non potrà ricorrere ex art. 700 Cod. Proc. Civ. contro il provvedimento di sospensione disposto dall’ente erogatore sostenendo che tale provvedimento può essere applicato solo nei confronti dei condomini morosi. Il Tribunale di Alessandria, correttamente, infatti in questo caso aveva respinto la richiesta rilevando come per l’ente erogatore quello che conti sia esclusivamente l’inadempimento posto in essere dal Condominio, non potendosi certo pretendere che il fornitore si sobbarchi l’onere di individuare e colpire solo i condomini morosi.

Inoltre, come detto il condomino non potrebbe neppure tentare di evitare la sospensione delle forniture disposta nei confronti del condominio pagando direttamente la propria quota all’erogatore: pratica questa non consentita come precisato da cassazione 3636/2014 “… l’amministratore assume la qualità di necessario rappresentante della collettività dei condomini sia all’interno della collettività condominiale come unico referente dei pagamenti ad essi relativi”, il che significa che “…non è idoneo ad estinguere il debito pro quota del singolo condomino, il pagamento diretto eseguito a mani del creditore del Condominio, salvo le volte in cui il creditore dell’ente di gestione non sia a sua volta munito di titolo esecutivo nei confronti del Condominio”.

Al condòmino, pertanto, una volta allarmato dal mancato pagamento delle varie bollette di fornitura, non resterà che muoversi in ambito condominiale, pretendendo anzitutto (come del resto ora previsto dalla legge con la fissazione di un termine perentorio di 6 mesi ) che l’amministratore persegua puntualmente i condomini morosi, e soprattutto chiedendo all’amministratore stesso, nel caso di conclamate e perduranti morosità, di rivolgersi al Tribunale chiedendo autorizzarsi il distacco dall’impianto (ad esempio relativo alla fornitura idrica) dei condomini cattivi pagatori: questo in quanto (come affermato da Tribunale Brescia che ha ritenuto – con ordinanza 2014/427 perfettamente accoglibile tale richiesta) “la morosità dei resistenti comporta l’insolvenza del Condominio verso gli enti erogatori dei servizi comuni e conseguentemente la concreta possibilità di interruzione dei servizi, sussistendo cosi il periculum in mora necessario a che una richiesta di provvedimento di urgenza venga accolta.

A tale ultimo proposito, si rileva come l’art. 63 disp.att.cod.civ. consente all’amministratore condominiale in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per più di un semestre di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.”

Il ricorso al Tribunale perché autorizzi un tale distacco, tuttavia, potrebbe essere consigliabile per l’amministratore onde evitare di esporsi ad eventuali azioni di richieste di risarcimento da parte di condomini che si vedano privati di un servizio essenziale quel fornitura acqua o riscaldamento.”

Ingiunzione al condomino moroso e rendiconto non approvato

Spesso i condomini affermano di non dovere pagare le proprie quote condominiali perché il rendiconto è sbagliato o è stato approvato irritualmente. Non sempre però tale eccezione è in grado di cogliere nel segno; anzi, in alcuni casi è pienamente superabile, se non temeraria.

A norma dell’articolo 1130 nr 3 Codice Civile l’amministratore è tenuto a riscuotere i contributi dovuti pro quota dai condomini al fine di erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e garantire l’esercizio dei servizi di rilevanza condominiale.

Per potere curare tale incombenza egli è tenuto, a monte, a rendere il conto del propria gestione, e cioè a presentare all’assemblea dei condomini il Rendiconto condominiale di cui all’articolo 1130 bis Codice civile. Questo documento contabile, il quale deve essere espresso in modo tale da consentire “ai più” la immediata verifica delle risultanze, deve contenere le voci di entrata e di uscita e ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio.

Il Rendiconto, in particolare, deve comporsi di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti.

Una volta approvato dall’Assemblea con le maggioranze prescritte dalla legge, l’Amministratore, per ottenere il pagamento delle somme risultanti dal bilancio stesso, non è tenuto a sottoporre all’esame dei singoli condomini i documenti giustificativi delle spese effettuate (cosiddette “pezze di appoggio”), potendo fare esplicito riferimento al relativo contenuto e/o al piano di riparto delle spese.

Anzi, per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’Amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può’ ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, previo richiamo espresso di esso (cfr, articolo 63 delle Disposizioni di attuazione al Codice civile.

Ciò tuttavia, in caso di contestazione del debito (e non solo) da parte del compartecipe “moroso”, non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità necessaria tra il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo e il giudizio di impugnazione della delibera assembleare di cui all’articolo 1137 codice civile.

L’assioma è stato recentemente ribadito dal Tribunale di Verona – adito quale giudice del gravame (avverso sentenza emessa dal Giudice di Pace) – con la pronuncia pubblicata in data 03 giugno 2015

Succedeva che un condòmino, al fine di contestare la pretesa economica contenuta in seno ad un provvedimento monitorio, chiedeva, incidentalmente, al Giudice di Pace di pronunciarsi sulla “asserita” invalidità della delibera assembleare ad essa presupposta,laddove aveva disposto l’approvazione del rendiconto.

In accoglimento della pretesa, l’Autorità giudiziaria di primo grado revocava il Decreto ingiuntivo e poneva nel nulla la statuizione assembleare.

La Sentenza, ritualmente impugnata dal condominio ricorrente, è stata poi riformata dal Giudice d’appello, spiegando il seguente iter argomentativo.

Giova ricordare che per costante orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento degli oneri condominiali, non è ammesso invocare la revoca del decreto sulla scorta dell’asserita invalidità della delibera assembleare (Cass., sez. 2, 8 agosto 2000, n. 10427; Cass., sez. 2, 24 agosto 2005, n. 17206; Cass., sez. 2, 31 gennaio 2008, n. 2305; Cass., sez. 2, 20 luglio 2010, n. 17014; argomenti in tal senso anche da Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26629 e, in motivazione, da Cass., sez. un., 27febbraio 2007, n. 4421).

Il contenuto delle difese che è in grado di opporre il condòmino “moroso” avverso al decreto ingiuntivo ricevuto da parte del Condomino creditore può riguardare la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione, ovvero il verbale della delibera assembleare, ma non è in grado di estendersi alla nullità o annullabilità della delibera avente ad oggetto l’approvazione delle spese condominiali.

Questi ultimi vizi, che concernono un altro e differente atto giuridico, devono essere fatti valere in via separata con l’impugnazione di cui all’art. 1137 cod. civ..

In effetti, l’attualità del debito non è subordinata alla validità della delibera, ma solo alla sua perdurante efficacia.

Quindi, il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo deve rimanere confinato «all’accertamento dell’idoneità formale (validità del verbale) e sostanziale (pertinenza della pretesa azionata alla deliberazione allegata) della documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione e della persistenza o meno dell’obbligazione dedotta in giudizio (Cass. 8.8.2000 n. 10427 e 29.8. 1994 n. 7569)», in quanto: «il giudice deve limitarsi a verificare la perdurante esistenza ed efficacia delle relative delibere assembleari, senza poter sindacare, in via incidentale, la loro validità, essendo questa riservata al giudice davanti al quale dette delibere siano state impugnate». (Cass. SS.UU. 26629/2009).

Alla stregua di quanto sopra riportato: « …non avrebbe potuto l’opponente proporre dinanzi al giudice di pace la domanda di accertamento incidentale con efficacia di giudicato della nullità delle delibere assembleari asseritamente connesse al decreto ingiuntivo opposto e il giudice adito (cioè il Giudice di Pace), investito dell’impugnazione della sentenza di primo grado avrebbero dovuto dichiarare improponibile la domanda stessa, senza entrare nel merito della questione che essa poneva… ».

In conclusione, il Tribunale veronese ha, da una parte, riformato la sentenza di primo grado, stante il grossolano errore di diritto commesso dal Giudice e, dall’altra parte, ha condannato il condòmino opponente al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.