Il condominio parziale non è legittimato a stare in giudizio

IL condominio parziale non è legittimato a stare in giudizio. Lo ha stabilito la seconda Sezione della Cassazione civile che, con la sentenza n. 12641 del 17 giugno 2016, ha “affermato la carenza di legittimazione sostanziale di un «condominio «parziale» convenuto in giudizio per il crollo di un muro“.

Secondo il danneggiato (titolare di un esercizio commerciale) il muro crollato costituiva un bene comune relativo a uno solo dei tre edifici posti orizzontalmente su più numeri civici, e per questo motivo, a suo avviso, poteva chiamare in giudizio il condominio parziale dell’edificio a cui apparteneva il muro in questione.
Il nesso di condominialità è ravvisabile in svariate tipologie costruttive purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni. Inoltre, la condominialità può ricorrere anche ove sia verificabile un insieme di edifici indipendenti, sempre ché restino in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell’articolo 1117 del Codice civile. Pertanto, si può ipotizzare la sussistenza, nell’ambito dell’edificio condominiale, di parti comuni, quali il tetto o l’area di sedime o i muri maestri o le scale o l’ascensore o il cortile, che risultino destinate al servizio o al godimento di una parte soltanto del fabbricato.
In queste ipotesi è automaticamente configurabile la fattispecie del «condominio parziale» (Cassazione, sentenza 23851/2010). Infatti, il condominio parziale non esige un fatto o atto costitutivo a sé, ma insorge in presenza della condizione materiale o funzionale giuridicamente rilevante“.

Il condominio parziale non è legittimato a stare in giudizio: la decisione della Suprema Corte

Quindi, secondo la Suprema Corte, “anche se il muro crollato avesse rappresentato un bene necessario all’uso comune soltanto di uno degli edifici di un unico condominio orizzontale, la domanda risarcitoria sarebbe stata inammissibile, poiché rivolta nei confronti di uno solo di tali edifici. Infatti, in tale situazione il condominio parziale non ha una propria autonoma legittimazione processuale passiva, tale da poter sostituire il condominio dell’intero edificio (Cassazione, sentenza 2363/2012). Inoltre, la sentenza ha chiarito che la circostanza relativa all’appartenenza del muro crollato, e dal quale era disceso il danno all’esercizio commerciale, a un unico condominio complesso costituito da tre fabbricati adiacenti, in quanto gruppo di edifici che, seppur indipendenti, abbia in comune alcuni dei beni di cui all’articolo 1117 del Codice civile, presuppone una valutazione di merito sottratta al giudizio di legittimità“.

L’Amministratore può essere rimborsato senza giustificativi per spese di stretta gestione condominiale

L’amministratore può essere rimborsato senza giustificativi per spese di stratta gestione condominiale. Per quanto assurda, una cosa del genere è assolutamente legittima, soprattutto se la delibera che approva il rendiconto e il preventivo decide di erogare il rimborso di una somma forfettaria per delle spese che risultano “legate a doppio filo” con la gestione condominiale, come per esempio fotocopie o spedizioni. Inoltre, l’assemblea ha anche il pieno potere di creare un fondo patrimoniale per pagare lavori non indicati nel preventivo e da svolgere in futuro.  Questo è ciò che stabilisce la sentenza 13183/16, pubblicata il 24 giugno dalla seconda sezione civile della Cassazione.

L’amministratore può essere rimborsato senza giustificativi: ecco perché

Per quanto contrario, il condomino deve rassegnarsi a quanto stabilito dai giudici della Suprema corte, secondo i quali “non è di per sé contra legem la delibera adottata dal condominio che approva il rendiconto riconoscendo all’amministratore a titolo di rimborso una somma, per quanto esigua, senza le cosiddette “pezze d’appoggio”. Anzitutto non risulta che il proprietario esclusivo, così attento alle finanze dell’ente di gestione, abbia chiesto che fossero esibiti i documenti giustificativi per poterli esaminare. Né trova ingresso la censura rivolta contro la sentenza impugnata laddove ha escluso che l’amministratore avesse l’obbligo di conservare gli scontrini: si sottrae infatti al sindacato di legittimità la delibera con cui l’assemblea ha ritenuto di liquidare a forfait in ragione della natura e della modesta entità delle spese per cui l’amministratore chiedeva il rimborso“.

Non ha neanche una miglior sorte l’altro motivo di ricorso, ovvero quello avverso alla costituzione di un fondo per la realizzazione di lavori futuri. Infatti, il tentativo di farlo rimuovere viene rigettato, oltre che in primo grado, anche in appello, poiché, anche se il condomino si era limitato a denunciarlo per la mancata inclusione dell’argomento all’ordine del giorno, il giudice aveva ritenuto chefosse sufficiente il solo aver fatto riferimento ai lavori del fabbricato. Pertanto, secondo l’assemblea, essendo lavori di manutenzione necessari, ma rinviabili all’anno successivo, ha la piena facoltà di decidere di costituire un fondo ad hoc. E tutto questo, secondo i giudici della Suprema corte, “rientra nell’ambito delle prerogative gestionali dell’assemblea, cui deve riconoscersi il potere di accantonare denaro in vista di lavori non indicati nel preventivo ma che comunque dovranno essere eseguiti in seguito. Al condomino non resta che pagare le spese di gestione“.

Appropriazione indebita dell’amministratore: scatta solo al passaggio delle consegne

L’appropriazione indebita dell’amministratore di condominio scatta solo al passaggio delle consegne. “Ai fini della prescrizione il momento in cui è integrato il delitto del professionista che opera sul conto è l’omesso trasferimento delle giacenze di cassa che determina l’interversione del possesso, va condannato per appropriazione indebita l’amministratore di condominio che, durante il suo incarico, si appropria di somme di pertinenza dell’ente ma in proposito vale la pena precisare che il possesso del denaro si manifesta e consuma soltanto al passaggio di consegne col nuovo amministratore, quindi quando le giacenze di cassa non vengono trasferite al nuovo responsabile“.

Quando scatta l’appropriazione indebita dell’Amministratore?

Nella fattispecie, “avendo l’amministratore la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica si può profilare il momento consumativo dell’appropriazione indebita poiché in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l’interversione nel possesso“.

Questo è quanto stabilito dalla sentenza 27363 del 4 luglio 2016 della seconda sezione penale della Cassazione, tramite la quale La Suprema corte ha deciso di rigettare il ricorso di un ex amministratore di condominio che, fra le altre cose, avrebbe voluto che il proprio reato venisse estinto per prescrizione, almeno per parte delle condotte. Infatti, secondo lui,  l’avvenuta appropriazione di 1.500 euro, non doveva riferirsi al passaggio delle consegne ma al momento dei singoli prelievi. Do avviso diverso era invece la Corte che a sua volta ha ritenuto “perfezionato il delitto non nel momento della sua revoca e nella nomina del successore, momento che avrebbe portato a prescrizione il reato, ma nel momento in cui egli, negando la restituzione della contabilità detenuta, si era comportato uti dominus rispetto alla res, quindi al momento del passaggio di consegne“.