Supercondominio, è un diritto conoscere la ripartizione globale delle spese

Tribunale Ordinario di Torino, Sezione 8 Civile, Sentenza del 17 aprile 2023, n. 1637

Condominio – Parti e servizi in supercondominio – Diritto di ogni partecipante a conoscere la ripartizione globale delle spese -Rendiconto dettagliato – Scopo – Soddisfare un’esigenza di trasparenza nella gestione – Ciascun condomino deve conoscere la propria e l’altrui situazione

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Marco Ciccarelli ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 18482/2021 promossa da:

CONDOMINIO (…) MONCALIERI (C.F. (…))

(…) (C.F. (…))

(…) (C.F. (…))

(…) (C.F. (…))

(…) (C.F. (…))

(…) (C.F. (…))

tutti rappresentati dall’avv. (…), in forza di procura allegata all’atto di citazione

ATTORI

SUPERCONDOMINIO (…) (C.F. (…)), rappresentato dall’avv. (…), in forza di procura allegata alla comparsa di risposta

CONVENUTO

Oggetto: impugnazione di delibera condominiale

CONCLUSIONI

CONDOMINIO (…) MONCALIERI

“In via istruttoria

– Ammettere, in quanto tempestivi e rilevanti, tutti i documenti già versati a margine del presente giudizio, con ciò intendendosi anche quelli acclusi al presente scritto, quali documenti formatisi successivamente allo spirare delle preclusioni istruttorie;

– Con ogni più ampia riserva in materia istruttoria che si dovesse rendere necessaria a seguito delle eventuali istanze istruttorie avversarie;

In via principale nel merito

– Accertare e dichiarare la nullità e/o l’annullabilità delle delibere tutte assunte dall’assemblea ordinaria del Superconduzione (…) in data 5.5.2021 e di cui ai punti n. 1, 2 e 3 dell’ordine del giorno, così come inseriti a margine della convocazione del 9.4.2021; il tutto, sulla scorta delle argomentazioni di cui alla narrativa del presente atto;

– Conseguentemente e, per l’effetto, dichiarare nulle e/o annullate le delibere impugnate, con l’ulteriore conseguenza di statuire la totale inefficacia delle stesse;

– Si dichiara di non accettare alcun contraddittorio su eventuali domande nuove che dovessero essere interposte da parte convenuta all’atto della propria precisazione delle conclusioni.

In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari, oneri fiscali, rimborso forfetario nella misura del 15 % ed eventuali spese di C.T.U. e C.T.P.”

SUPERCONDOMINIO (…)

“In via pregiudiziale: accertarsi e dichiararsi, per i motivi di cui in narrativa la carenza di legittimazione attiva in capo al geom. (…), amministratore pro tempore del Condominio (…) di Moncalieri e per l’effetto ordinarsi l’estromissione di questi dal presente procedimento.

Sempre in via pregiudiziale: accertarsi e dichiararsi per i motivi di cui in narrativa la carenza di legittimazione attiva di tutti gli odierni attori in relazione alle delibere assunte nell’Assemblea del Supercondominio (…) del 05.05.2021 con il voto favorevole del loro rappresentante sig.ra (…) e per l’effetto respingere le domande formulate e formulande dagli odierni attori e confermare la nomina del sig. (…) quale amministratore del Supercondominio (…).

In via preliminare: esperire il tentativo di conciliazione fra le parti.

In via principale: per tutti i motivi, difese ed eccezioni in atti, respingere le domande tutte formulate e formulande dagli odierni attori, con l’atto di citazione de quo e conseguentemente assolvere il Supercondominio (…), c.f. (…), in persona dell’amministratore pro tempore sig. (…), da ogni e qualsiasi pretesa ex adverso.

In ogni caso: con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa, oltre indennità forfetaria nella misura del 15% degli imponibili ed oltre oneri fiscali C.P.A. ed I.V.A. come per legge”.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Allegazioni e domande delle parti

I signori (…), (…), (…), (…) e (…), tutti condomini del CONDOMINIO di (…) in MONCALIERI, nonché lo stesso Condominio di Corso (…), impugnano la delibera assunta in data 5 maggio 2021 dall’assemblea del Supercondominio (…) convenuto, limitatamente ai punti 1, 2 e 3 dell’ordine del giorno.

Gli attori allegano:

  1. a) che il condominio di corso (…) e i condomìni di via (…), di via (…) fanno parte del Supercondominio (…), condividendo i servizi di acqua, riscaldamento, energia elettrica delle corsie box e manutenzione cancelli carrai;
  2. b) che tutti i quattro condomìni sono stati amministrati per lunghissimo tempo (circa 50 anni) e fino al 2019 dal geom. (…) il quale, pur non essendo mai stato formalmente nominato amministratore del Supercondominio (…), ha di fatto e con modalità informali amministrato anche quest’ultimo;
  3. c) che il geom. (…) era solito ripartire “per edificio” le spese relative ai servizi condivisi, senza dettagliare i consumi e le quote di ciascuna unità immobiliare e comunicando al subcondominio attore ((…)) unicamente la somma da esso dovuta su ciascuna bolletta del supercondominio;
  4. d) che il geom. (…), con comunicazione del 9 aprile 2021, convocava l’assemblea ordinaria del Supercondominio per il giorno 5.5.21 per deliberare sui seguenti punti: 1) rendiconto spese gestione 2019/2020; 2) preventivo spese gestione 2020/2021; 3) nomina del nuovo amministratore; 4) varie ed eventuali;
  5. e) che la convocazione “perveniva in modo differente per ognuno dei singoli condomìni facenti parte del supercondominio”: mentre infatti le convocazioni inviate ai condòmini degli edifici di corso (…) e a quelli di via (…) contenevano il riparto delle spese relative alle unità abitative del condominio di appartenenza (ma non quello afferente le unità degli altri condomìni), le convocazioni inviate ai condòmini degli altri due edifici (via (…) e via (…)) contenevano soltanto la complessiva somma dovuta dall’intero sub-condominio;
  6. f) che il 28 aprile 2021 si teneva l’assemblea del sub-condominio di corso (…) nel corso della quale:

– era conferito alla sig.ra (…) il mandato di rappresentare il condominio all’assemblea del Supercondominio (…) del 5.5.21;

– si deliberava di non approvare il rendiconto e il preventivo oggetto di tale assemblea e si incaricava pertanto la sig.ra (…) di esprimere voto contrario all’approvazione;

– si dava mandato alla sig.ra (…) di votare, quale amministratore del Supercondominio, il geom. (…) (amministratore del Condominio di corso (…));

  1. g) che, all’assemblea del supercondominio la sig.ra (…), agendo in difformità rispetto al mandato ricevuto, si asteneva sull’approvazione del consuntivo e del preventivo (che venivano così approvati grazie al voto favorevole degli altri partecipanti) e votava per la nomina ad amministratore di (…) (che veniva così nominato amministratore del Supercondominio (…)).

Sulla scorta di queste premesse, gli attori deducono i seguenti motivi di invalidità della delibera:

– nullità della convocazione assembleare, in quanto effettuata da soggetto (il geom. (…)) che non era stato mai nominato amministratore del Supercondominio (…);

– violazione del mandato di voto da parte della sig.ra (…), rappresentante del condominio (…), all’assemblea del Supercondominio (…); violazione da apprezzarsi anche in relazione alla situazione di conflitto di interessi in cui versava la (…) rispetto al condominio di appartenenza, essendo morosa nel pagamento delle quote condominiali;

– impossibilità di verifica dei conti posti alla base del consuntivo e del preventivo votati in assemblea, a causa delle modalità di gestione non trasparente tenuta negli anni dall’amministratore geom. (…);

– mancata prova del potere rappresentativo in capo ai rappresentanti dei condomìni di via (…) e di via (…) che hanno preso parte all’assemblea supercondominiale del 5.5.21;

– diversità dei documenti votati in assemblea dai rappresentanti dei quattro sub-condomìni, poiché i bilanci allegati alle convocazioni erano predisposti in modo diverso per i condòmini di ciascun sub-condominio (nei termini chiariti al punto e);

– errori nelle modalità di calcolo e nei riparti.

Il SUPERCONDOMINIO (…):

– rileva che la presente impugnazione di delibera è fondata su circostanze nuove e motivi ulteriori rispetto a quelli prospettati dal condominio (…) in sede di mediazione, con conseguente improcedibilità della domanda;

– eccepisce preliminarmente la carenza di legittimazione attiva dell’amministratore del condominio di corso (…), che non può impugnare le delibere del supercondominio;

– non contesta specificamente le circostanze di fatto esposte alle lettere a) – g);

– rileva che legittimato all’impugnazione è solo il condòmino assente o dissenziente e, pertanto, il condominio di corso (…) non può impugnare le delibere assunte con il suo voto favorevole (segnatamente quella di nomina dell’amministratore (…), votato in assemblea anche dalla sig.ra (…), rappresentante del condominio di corso (…));

– sostiene che il rappresentante del singolo condominio all’assemblea del supercondominio ha “pieni poteri” e ogni limite al suo potere di rappresentanza si considera come “non apposto”, ai sensi dell’art. 67, comma 4, disp. att. c.c.; la condotta tenuta dalla sig.ra (…) potrà quindi avere rilevanza soltanto nei rapporti interni fra lei e il condominio di corso (…);

– eccepisce la genericità del motivo di impugnazione fondato sull’impossibilità del controllo dei conti, che si riduce a una generica critica all’operato del geom. (…), ma non puntualizza né prova i vizi che inficiano il consuntivo e il preventivo approvati in assemblea;

– eccepisce la carenza di legittimazione dell’attore a far valere vizi di rappresentanza in capo ai rappresentanti degli altri sub-condomìni; produce, in ogni caso, i verbali delle assemblee condominiali che hanno nominato rappresentati i sig.ri (…).

Conclude per il rigetto delle domande.

Esame delle domande

  1. Va esaminata, in primo luogo, l’eccezione con cui il Supercondominio (…) deduce la violazione del divieto di mutatio libelli. Il convenuto infatti, attraverso questa eccezione, intende denunciare il difetto della condizione di procedibilità della mediazione, per avere gli attori introdotto una domanda diversa da quella oggetto del procedimento di mediazione. Sostiene al riguardo che “ad una sintetica (poche righe) descrizione dei motivi della controversia contenuta nella domanda di mediazione segue un atto di citazione di ben 51 pagine e 125 capi nel quale vengono riportate circostanze nuove e soprattutto vengono addotti motivi ulteriori e nuovi a fondamento dell’impugnazione della delibera assembleare”.

L’eccezione è infondata, poiché l’esame della domanda di mediazione (doc. 3 convenuto, p. 27) consente di apprezzare l’identità fra la controversia oggetto del presente procedimento e quella deferita in mediazione. In particolare, identico è il petitum, consistente nella richiesta di accertare l’invalidità della delibera assunta il 5.5.21; identiche sono le ragioni a fondamento della domanda, consistenti nelle violazioni che si sono sopra descritte. La maggior ampiezza della trattazione contenuta nell’atto di citazione, così come l’introduzione di nuove argomentazioni a supporto della dedotta invalidità, non determinano alcuna diversità fra le domande oggetto dei due procedimenti. La descrizione della domanda contenuta nell’istanza di mediazione permetteva infatti alla controparte di comprendere con chiarezza e univocità l’oggetto della lite e di difendersi adeguatamente nel procedimento.

Deve concludersi che la condizione di procedibilità è stata rispettata.

  1. Sempre in via preliminare, il convenuto eccepisce la carenza di legittimazione attiva dell’amministratore, che non avrebbe titolo per impugnare la delibera del supercondominio. L’eccezione è inconferente: in primo luogo perché il geom. (…) non agisce personalmente ma quale amministratore del condominio di via (…). E’ pacifico che l’amministratore non possa impugnare le delibere del condominio da lui amministrato, né quelle del supercondominio di cui quest’ultimo fa parte, poiché il diritto di impugnazione è attribuito dall’art. 1137 c.c.a “ogni condomino”. Tuttavia, l’amministratore agisce qui in rappresentanza dell’intero condominio di corso (…), che – nell’assemblea del 31.5.21 – ha “approvato all’unanimità l’impugnativa in sede giudiziale di tutte e tre le delibere assunte dal supercondominio (…) in occasione dell’assemblea del 5/5/2021” e, all’uopo, ha conferito incarico all’avv. (…) (doc. 53 attore). L’eccezione avrebbe potuto semmai essere posta con riferimento alla legittimazione del condominio (inteso come collettività di tutti i condòmini, rappresentati in giudizio dall’amministratore) a impugnare la delibera del supercondominio. Ma sotto questo profilo l’eccezione non è stata formulata.

In secondo luogo, l’eccezione è inconferente perché accanto al condominio di corso (…), rappresentato dall’amministratore, hanno personalmente agito (proponendo identica domanda di annullamento delle delibere) anche 5 condomini del medesimo condominio di corso (…). L’eventuale carenza di legittimazione del Condominio non avrebbe dunque alcuna conseguenza sull’esito della domanda; neppure in punto spese di lite, poiché il condominio e i condomini hanno agito congiuntamente, con unici atti difensivi e avvalendosi della medesima difesa tecnica.

  1. Va esaminato per primo, in ordine logico, il motivo di impugnazione con cui gli attori fanno valere un vizio del procedimento di convocazione dell’assemblea del Supercondominio (…), poiché l’assemblea del 5.5.21 sarebbe stata convocata da un soggetto, il geom. (…), mai formalmente nominato amministratore del supercondominio.

Il motivo è infondato per plurime ragioni:

– perché il procedimento di convocazione è stato svolto e ha portato al regolare (sotto il profilo formale) svolgimento dell’assemblea del supercondominio, a cui hanno preso parte tutti i rappresentanti di ciascun sub-condominio;

– perché gli attori non specificano sotto quale profilo la dedotta irregolarità della convocazione li avrebbe pregiudicati;

– perché, a seguito della convocazione del geom. (…) si sono svolte regolari assemblee in tutti i condomini in vista della partecipazione all’assemblea del supercondominio, e in nessuna di queste assemblee è stato lamentato il difetto di legittimazione del (…) a convocare l’assemblea del Supercondominio;

– perché il geom. (…) – come esplicitamente allegano gli stessi attori – ha svolto di fatto per anni (e svolgeva all’epoca della convocazione dell’assemblea di cui si discute) la funzione di amministratore del supercondominio;

– infine, perché la convocazione dell’assemblea da parte di soggetto non legittimato non comporta, di per sé, l’invalidità delle delibere assunte qualora non ricorrano altri vizi del procedimento di convocazione o delle delibere adottate.

  1. Gli attori impugnano tutte le delibere assunte dall’assemblea del supercondominio del 5.5.21:

1) approvazione del rendiconto 2019-2020

2) approvazione del preventivo 2020-2021

3) nomina di (…) quale nuovo amministratore del supercondominio.

Il primo motivo di impugnazione da essi fatto valere investe tutte e tre le delibere e riguarda l’eccesso di potere e il conflitto di interessi della rappresentante del Condominio (…) nell’assemblea del Supercondominio (…): la sig.ra (…), infatti, ha votato in modo difforme rispetto alle indicazioni espresse dall’assemblea condominiale, poiché si è astenuta sull’approvazione del preventivo e del consuntivo, anziché esprimere voto contrario come deliberato dall’assemblea del Condominio (…); ed ha votato per la nomina ad amministratore di (…) anziché di (…), come indicato dall’assemblea del Condominio (…).

E’ opportuno evidenziare che l’unico motivo di invalidità addotto nei confronti della delibera di nomina dell’amministratore è quello appena esposto. Mentre, nei confronti delle delibere di approvazione del rendiconto e del preventivo gli attori fanno valere ulteriori e autonomi motivi di impugnazione.

  1. La circostanza che la sig.ra (…) abbia tenuto, nell’assemblea del Supercondominio, una condotta in totale contrasto con le indicazioni ricevute dall’assemblea del Condominio (…), di cui era rappresentante, è pacifica ed emerge dal raffronto fra il verbale dell’assemblea del Condominio (…) in data 28.4.21 (doc. 39 attori) e il verbale dell’assemblea del Supercondominio (doc. 47 attori). Il Condominio (…), per le ragioni analiticamente indicate in tale verbale, aveva deliberato di non approvare il rendiconto 2019-2020 e la relativa tabella di riparto: “L’assemblea non approva il rendiconto spese del (…) gestione 1/5/2019 – 30/04/2020 e relativa tabella di riparto ad eccezione del Sig (…). Pertanto l’assemblea incarica la Signora (…) di non approvare il rendiconto spese (…)”. Per le medesime ragioni, l’assemblea aveva deliberato di “non approvare il preventivo 2020/2021 (…). Pertanto l’assemblea incarica la Sig.ra (…) di non approvare il preventivo 2020/2021 del (…)”. In merito alla nomina del nuovo amministratore del Supercondominio, “L’assemblea individua nel geom. (…) il nuovo amministratore”. La sig.ra (…), in chiara difformità dalle indicazioni ricevute, nell’assemblea del Supercondominio si è astenuta dal voto sull’approvazione di consuntivo e preventivo; ed ha votato quale amministratore (…).

Gli attori lamentano, sotto un primo profilo, la violazione degli obblighi del mandatario, il quale, ai sensi dell’art. 1711 c.c. “non può eccedere i limiti fissati nel mandato”. Questo motivo di impugnazione è però infondato perché l’art. 67, comma 4, disp. att. c.c., con specifico riferimento alla figura dei rappresentanti dei condomìni nell’assemblea del supercondominio, dispone che “ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto”. Trattasi di norma speciale che, in funzione dell’esigenza, ritenuta prevalente, di celere e agevole svolgimento delle assemblee supercondominiali, impedisce che le assemblee dei sub-condomìni possano condizionare, con rilevanza esterna, il potere del loro rappresentante. E’ una previsione coerente con il carattere unitario del voto del rappresentante, che esprime in maniera sintetica un unico voto (il cui peso è rapportato all’intera caratura millesimale del condominio rappresentato) senza possibilità di esprimere voti plurimi e contrastanti (corrispondenti a quelli dei singoli condòmini che hanno votato a favore o contro una determinata delibera).

E’ indubbio che nei rapporti fra il rappresentante e il condominio che l’ha nominato trovino piena applicazione le norme sulla responsabilità del mandatario, a cui rinvia lo stesso art. 67 disp. att. Tuttavia, la generale previsione dell’art. 1711 c.c. trova una deroga nella norma speciale sopra esaminata, la quale impedisce che i vincoli e le condizioni indicate dal condominio mandante, in essi comprese le indicazioni di voto, possano limitare il potere del rappresentante nell’assemblea del supercondominio.

Per queste ragioni la circostanza che la sig.ra (…) abbia votato in modo difforme dalle indicazioni ricevute dall’assemblea del “suo” condominio non costituisce, di per sé, ragione di invalidità della delibera assunta dal supercondominio.

  1. Gli attori sostengono tuttavia che l’espressione di voto da parte della sig.ra (…) in contrasto con le indicazioni ricevute dal suo condominio sia la manifestazione di un conflitto di interessi con il condominio mandante, che trova causa nella situazione di morosità in cui essa versava per il pagamento delle spese condominiali. Si riportano di seguito le difese degli attori: “Abbiamo già dedotto (quale circostanza mai specificatamente contestata da parte convenuta e, invero, anche abbondantemente dimostrata per tabulas) che la Sig.ra (…) risultava essere soggetto moroso nei confronti del condominio di Corso (…), essendosi verificato che l’amministratore di tale condominio, in corsa per la nomina di superamministratore in occasione dell’assemblea del 5.5.2021, le aveva già intimato il pagamento delle spese di gestione del riscaldamento. Si è, quindi, verificato che la (…), in sede di assemblea base, pur a fronte della propria posizione di soggetto moroso (e nella totale buona fede della compagine, la quale, a conferma dell’insussistenza di qualsivoglia pregiudizio le conferiva tale mandato), ha solo lasciato credere di poter assolvere il ruolo di rappresentante di Corso (…) in sede di superassemblea ordinaria, con, a questo punto, la riserva mentale di stravolgere tutte le indicazioni di voto ricevute, per il proprio tornaconto personale. Non è un caso, infatti, che in relazione ai conteggi che avrebbero dovuto essere approvati dai rappresentanti in occasione dell’assemblea del 5.5.2021, la Sig.ra (…) si sia astenuta, ben sapendo che la sua astensione avrebbe favorito, agevolandola, l’approvazione di tali conteggi, alla stessa favorevoli (proprio perché promananti da un soggetto che non le aveva mai chiesto il giusto in sede di gestione del riscaldamento, anzi, addirittura, attribuendole dei pagamenti, laddove la sua era una situazione di morosità conclamata). In relazione al punto dell’ordine del giorno afferente la nomina dell’amministratore, al contrario, la (…) non poteva permettersi di correre il rischio della nomina del Geom. (…), per le motivazioni già ampiamente dedotte in precedenza, motivo per cui quest’ultima si è fatta “parte diligente”, votando Milano, delfino del Geom. (…)” (comparsa conclusionale p. 13).

Si osserva, anzitutto, che le circostanze da cui si dovrebbe desumere il conflitto di interessi non trovano riscontro e sono del tutto ipotetiche. Gli attori riconoscono che, alla data dell’assemblea del 29.4.21, la sig.ra (…) era morosa nei confronti del condominio e che l’amministratore (…) ne era perfettamente al corrente. Affermano che “la (…), in sede di assemblea base,… ha solo lasciato credere di poter assolvere il ruolo di rappresentante di Corso (…) in sede di superassemblea ordinaria, con, a questo punto, la riserva mentale di stravolgere tutte le indicazioni di voto ricevute”. Tuttavia, dal verbale assembleare non si evince alcuna condotta decettiva della (…), né alcun elemento da cui desumere che essa abbia assunto l’incarico con la riserva mentale di contravvenire alle indicazioni di voto. Dunque, il condominio (…) ha valutato e ritenuto che la situazione di morosità in cui versava la (…) non fosse di impedimento alla sua nomina a rappresentante nell’assemblea del supercondominio.

In secondo luogo, la situazione di conflitto di interessi del rappresentante è contemplata dall’art. 1394 c.c., che prevede l’annullabilità del contratto concluso dal rappresentante “se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”. Ora, a prescindere dalla dubbia applicabilità di questa norma al caso che ci occupa – in cui non si discute della validità di un contratto concluso dal rappresentante, ma della sua espressione di voto in una assemblea di condominio – resta il fatto che gli attori non hanno allegato né provato alcun elemento per dimostrare che “il terzo” fosse a conoscenza del conflitto di interessi fra la (…) e il condominio (…). Anche perché, in questo caso, il terzo è un supercondominio, una entità rispetto alla quale è quantomai arduo ricondurre stati soggettivi quali la “conoscenza” o la “riconoscibilità”.

Infine, per invalidare il voto espresso dalla (…) nell’assemblea del supercondominio occorrerebbe, semmai, dimostrare l’esistenza di un conflitto di interesse fra la (…) e il supercondominio; dedurre, cioè, che essa ha votato per soddisfare un interesse proprio, del tutto estraneo alla sua condizione di partecipante al supercondominio. Questo profilo di conflitto non è stato mai allegato. Secondo la prospettazione degli attori, infatti, il conflitto sussiste fra la (…) e il sub-condominio (…) che l’ha nominata sua rappresentante. Questo conflitto, ove dimostrato, potrebbe comportare l’invalidità della delibera dell’assemblea del Condominio (…) del 28.4.21, che ha nominato la (…) rappresentante (delibera mai impugnata), non della delibera dell’assemblea supercondominiale in cui il rappresentante ha espresso il proprio voto.

In definitiva, si ritiene che il dedotto conflitto di interessi, oltre a non essere dimostrato, sia irrilevante al fine della chiesta pronuncia di invalidità della delibera assunta dal Supercondominio.

  1. Le considerazioni esposte inducono il rigetto della impugnazione della delibera di nomina di (…) quale amministratore del Supercondominio, impugnazione fondata – come già detto – unicamente sulla violazione del mandato da parte della sig.ra (…) e sul suo conflitto di interessi. Resta dunque assorbita la questione, sollevata dal supercondominio convenuto, della legittimazione dei condomini attori a impugnare la delibera approvata col voto favorevole del loro rappresentante.
  2. Occorre ora esaminare i motivi di invalidità – per così dire “intrinseca” – della delibera impugnata; che riguardano i punti 1 e 2 dell’o.d.g., cioè l’approvazione del rendiconto di gestione 1.5.2019 – 30.4.2020 con il relativo riparto; e l’approvazione del preventivo spese per la gestione 1.5.2020 – 30.4.2021.

Gli attori sostengono che i bilanci del Supercondominio predisposti dal geom. (…) (amministratore di fatto del supercondominio Centro (…) fino alla delibera di nomina di nuovo amministratore del 5.5.21) e approvati dall’assemblea non permettono il controllo della contabilità condominiale, anche perché limitati a una ripartizione “per edificio” dei complessivi costi, senza dettaglio per singole unità abitative. Deducono, inoltre, che i piani di riparto allegati al rendiconto fossero stati (dal geom. (…)) predisposti in modo differente per i condòmini facenti parte degli edifici di (…) e di via (…), e per quelli facenti parte degli edifici di via (…). Infatti, il primo gruppo di condòmini ha ricevuto, unitamente alla convocazione per l’assemblea del 5.5.21, il rendiconto e il riparto relativo alle singole unità abitative del proprio condominio; mentre il secondo gruppo di condòmini ha ricevuto soltanto il rendiconto e il riparto delle spese per edifici. Questo divergente contenuto della convocazione è – secondo gli attori – di per sé causa di invalidità della delibera, poiché non vi è coincidenza fra l’oggetto della delibera sottoposto a ciascuno dei condomìni facenti parte del Supercondominio Centro (…).

Questi motivi di impugnazione sono fondati.

L’art. 1130-bis c.c., applicabile anche ai supercondomini in virtù del rinvio di cui all’art. 1117-bis c.c., prevede che il rendiconto condominiale debba contenere le voci di entrata e di uscita e ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili e alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentirne l’immediata verifica. Prevede altresì che il rendiconto sia composto dal registro di contabilità, dal riepilogo finanziario e da una nota sintetica esplicativa. La spesa risultante dal rendiconto “è ripartita fra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà”. La previsione è diretta a soddisfare un’esigenza di trasparenza nella gestione, che permetta a ogni condomino di conoscere, non soltanto la propria situazione, ma anche quella degli altri partecipanti.

E’ onere del condominio, in persona dell’amministratore, dare la prova che il bilancio risponde alle prescrizioni dell’art. 1130-bis. Nel caso in esame:

– il Supercondominio Centro (…) non ha dato la prova che il rendiconto 2019-2020 approvato nell’assemblea si componesse dei documenti prescritti; il verbale di assemblea da esso prodotto (doc. 2) non contiene allegati; il verbale prodotto dagli attori (doc. 47) reca in allegato soltanto una ripartizione delle spese fra i 4 condomìni che costituiscono il Supercondominio Centro Sangone;

– non è contestato dal supercondominio convenuto che le convocazioni per l’assemblea del 5.5.21 non contenessero il riparto delle spese fra tutti i condòmini del Supercondominio Centro (…); né è contestato che le sole convocazioni indirizzate ai condòmini facenti parte degli edifici di corso (…) e di via (…) contenessero il riparto delle spese fra i soli condòmini di questi edifici; è quindi pacifico che i rendiconti, sulla cui base le assemblee dei singoli sub-condomìni hanno valutato se approvare o non approvare i bilanci, fossero stati redatti in modo diverso in relazione al condominio destinatario.

E’ opportuno chiarire che i partecipanti al supercondominio non sono i singoli condomìni, bensì i proprietari delle unità immobiliari facenti parte di ciascun sub-condominio. Rispetto alle “parti” o ai “servizi” condivisi fra più edifici o condomìni – condivisione che determina ipso facto l’esistenza del supercondominio – i proprietari delle singole unità immobiliari si atteggiano in modo del tutto uguale a quello dei condòmini di un singolo edificio. Le specificità previste dall’art. 67 disp. att. riguardano unicamente il funzionamento di alcune assemblee del supercondominio (quelle per la gestione ordinaria e per la nomina dell’amministratore nei supercondomini con più di 60 partecipanti) e non determinano uno stravolgimento dell’assetto proprietario né delle regole che presidiano il funzionamento del condominio. Ciò significa che rispetto alle parti e ai servizi “in supercondominio” (e come tali gestiti dal supercondominio) ogni singolo partecipante ha diritto di conoscere la ripartizione globale delle spese, cioè fra tutti i partecipanti al supercondominio, e non soltanto quella relativa all’unità immobiliare (sub-condominio) di cui fa parte. Una simile, parziale, rappresentazione delle spese sarebbe inevitabilmente monca, lo priverebbe della visione di insieme e della possibilità di verificare la correttezza del riparto.

Per questa ragione le doglianze degli attori in merito all’irregolarità del rendiconto 2019-20 e, conseguentemente, del preventivo 2020-21, approvati dall’assemblea del 5.5.21, sono fondate. I documenti esaminati e approvati non rendono intellegibile e verificabile il riparto applicato, violando i principi di trasparenza previsti dall’art. 1130-bis c.c. Tanto più questi principi risultano violati in quanto i documenti di bilancio inviati ai condòmini sono stati redatti in modo diverso a seconda dell’edificio di appartenenza. Ma – va detto – la violazione del principio di verificabilità sussiste anche per quei partecipanti che hanno ricevuto il riparto delle spese relative al proprio edificio. Perché, si ribadisce, il riparto avrebbe dovuto riguardare ogni unità immobiliare facente parte del supercondominio.

In definitiva, le delibere di approvazione dei bilanci consuntivo e preventivo vanno annullate poiché i documenti approvati sono redatti in modo non conforme alle prescrizioni dell’art. 1130-bis c.c. e, non contenendo il riparto completo delle spese addebitate, violano i principi di trasparenza e verificabilità del rendiconto.

  1. Va da ultimo esaminato il motivo di impugnazione con cui gli attori deducono la carenza di potere rappresentativo nell’assemblea del Supercondominio dei rappresentanti dei sub-condomini di via (…). Sul punto va rilevata, in primo, luogo, la carenza di legittimazione a far valere un vizio che soltanto i rappresentati (cioè i condomìni ora citati) avrebbero potuto rilevare. In secondo luogo, il Supercondominio convenuto ha prodotto i verbali di nomina di (…), rappresentante del Condominio di via (…) (doc. 5); e di (…), rappresentante del Condominio di (…) (doc. 6).
  2. Alla luce delle considerazioni che precedono, la domanda va accolta limitatamente all’impugnazione dei punti 1 e 2 dell’o.d.g. (approvazione consuntivo 2019-2020 e preventivo 20202021), che vanno annullate. Va invece respinta la domanda di nullità o annullamento della delibera di nomina dell’amministratore (…).
  3. Tenuto conto dell’accoglimento parziale (limitatamente a due punti sui tre impugnati), si ravvisano i presupposti per compensare le spese del giudizio in misura di un quarto (1/4). La restante parte delle spese va posta a carico del Supercondominio convenuto.

Le spese vengono liquidate come segue, sulla base dei parametri di cui alla Tabella A allegata al D.M. Giustizia n. 55/2014 (come aggiornato con DM 147/2022). Ai fini della liquidazione fra il minimo e il massimo previsti dallo scaglione di riferimento, si tiene conto dell’importanza del procedimento, della complessità e del numero delle questioni trattate, nonché del pregio dell’attività difensiva, desunto anche dalle tecniche redazionali degli atti difensivi

– fase di studio Euro 1.701

– fase introduttiva Euro 1.204

– fase decisoria Euro 2.905

E dunque in totale Euro 5.810, oltre Euro 585,74 per spese; spese generali, IVA e CPA come per legge. Oltre alle spese del procedimento di mediazione (sola fase di attivazione) pari a Euro 536. Non si ravvisano i presupposti per l’applicazione dell’art. 4 comma 2 DM 55/2014 (possibilità di aumento in caso di difesa di più soggetti), considerata l’identica posizione delle parti attrici e l’assenza di difese differenziate in relazione a ciascun soggetto.

P.Q.M.

Il Tribunale di Torino, definitivamente pronunciando sulla domanda come sopra proposta, così provvede:

annulla la delibera assunta in data 5.5.2021 dall’assemblea del SUPERCONDOMINIO (…), limitatamente ai punti 1 (approvazione consuntivo 2019-20 e relativo riparto) e 2 (approvazione preventivo 2020-2021) dell’o.d.g. rigetta ogni altra domanda delle parti;

compensa le spese del giudizio in misura di un quarto (1/4) e condanna il SUPERCONDOMINIO (…) al rimborso della restante parte (3/4) di dette spese favore degli attori, liquidandole, per il loro intero ammontare, in Euro 5.810, oltre Euro 585,74 per spese vive; spese generali, IVA e CPA come per legge; oltre Euro 536 per il procedimento di mediazione.

La delibera condominiale di approvazione bilancio costituisce titolo sufficiente del credito vantato dal condominio

Tribunale Ordinario di Trapani, Sezione Civile, Sentenza 21 marzo 2022 n. 280

Il Giudice, nella persona della Dott.ssa Daniela Galazzi ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 733/2019 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente

TRA

(…) S.R.L. IN AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA nella persona degli Amministratori p.t. Avv. Gr.Fi. e Avv. St.Ma., elettivamente domiciliata in Palermo, nella Via (…), presso lo studio dell’Avv. Fl.Bl. che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce all’atto di citazione;

CONTRO

CONDOMINIO (…), in persona dell’Amministratore p.t. Na.In., elettivamente domiciliato in Misilmeri (PA), in Cors (…), n. 498, presso lo studio dell’Avv. Be.Sp. che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce alla comparsa di risposta

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’opposizione proposta dall’Amministrazione giudiziaria della s.r.l. (…) nei confronti del decreto ingiuntivo n. 66/2019 emesso da questo Tribunale in data 5/2/2019 è fondata e va accolta.

Con il predetto decreto monitorio, il Condominio (…) ha chiesto all’opponente il pagamento delle quote accessorie ordinarie e del consumo di acqua per le annualità comprese tra il 2015 e il 2018, relative a due magazzini facenti parte del magazzino, di proprietà della società sottoposto a misura di prevenzione. L’opponente ha eccepito la mancanza di prova dell’importo richiesto, allegando l’omessa delibera di approvazione della ripartizione degli oneri condominiali di cui ai bilanci consuntivi approvati per gli anni 2015,2016,2017 e 2018, nonché la propria carenza di legittimazione passiva, avendo concesso in locazione l’immobile facente parte del Condominio ingiungente alla società (…) s.r.l. unipersonale, oggi denominata (…) S.r.l..

Ha infine concluso chiedendo al Tribunale di “nel merito, ed in accoglimento della spiegata opposizione, ritenere e dichiarare illegittimo ed inammissibile il D.I. n. 66/19 emesso in data 5 febbraio 2019 dal G.U. Dott.ssa (…), del Tribunale di Trapani, in mancanza delle prescrizioni di cui all’art. 63 disp. Att. C.C. e per tutti i motivi spiegati; e perciò stesso revocare il decreto ingiuntivo opposto dichiarandone la assoluta inefficacia; in via subordinata, ritenere e dichiarare che di nessuna somma risulta debitrice nei confronti del Condominio (…) la S.r.l. (…) in Amministrazione Giudiziaria, per i motivi tutti superiormente spiegati; qualora dovesse invece risultare corretta e dovuta la sorte ingiunta, trattandosi di quote ordinarie, ritenere e dichiarare la (…) r.l. (già (…) srl), in persona dell’Amministratore pro tempore, con sede in (…), via (…) n.6, al relativo pagamento e quindi, condannare la detta Società, in persona dell’Amministratore pro tempore, al pagamento in favore del Condominio (…) della sorte e delle spese del procedimento di cui al D.I. n. 66/19 emesso il 5 febbraio 2019 dal G.U. del Tribunale di Trapani. E perciò stesso revocare il decreto ingiuntivo opposto dichiarandone la assoluta inefficacia. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del giudizio”. Costituitosi in giudizio, il Condominio ha contestato le domande attoree ed ha chiesto al Tribunale di “nel merito, ritenere e dichiarare fondato il credito di Euro 14.077,31 vantato dal “Condominio (…)” nei confronti della società “(…) S.r.l. in Amministrazione Giudiziaria” e, conseguentemente, confermare il decreto ingiuntivo n. 66/2019 emesso in data 05 febbraio 2019 e notificato in data 11 febbraio 2019; – Con vittoria di spese e onorari del procedimento monitorio e del presente”.

In via preliminare, deve rilevarsi che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel sistema delineato dal codice di procedura civile, si atteggia come un procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all’accertamento, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione (cfr. ex multis Cass. n. 5186/2003). Ne consegue che il giudice dell’opposizione è investito del potere – dovere di pronunciare sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione e sulle eccezioni proposte ex adverso ancorché il decreto ingiuntivo sia stato emesso fuori delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio e non può limitarsi ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso all’esito dello stesso (cfr. ex multis Cass. N. 7188/2003). Di conseguenza, il presente giudizio di opposizione, non essendo mera impugnazione del decreto, volta a farne valere vizi ovvero originarie ragioni di invalidità, ma costituendo un ordinario giudizio di cognizione di merito, teso all’accertamento dell’esistenza del diritto di credito azionato dal creditore con il ricorso ex artt. 633 cod. proc. civ. (cfr. Cass. N. 6421/2003) deve procedere alla verifica della fondatezza o meno della pretesa sostanziale azionata dall’ingiungente in sede monitoria, ed ove il credito risulti fondato, deve accogliere la domanda indipendentemente dalla circostanza della regolarità, sufficienza e validità degli elementi probatori alla stregua dei quali l’ingiunzione fu emessa, rimanendo irrilevanti, ai fini di tale accertamento, eventuali vizi della procedura monitoria che non importino l’insussistenza del diritto fatto valere con tale procedura e che potrebbero valere soltanto ai fini di una diversa statuizione sulle spese della fase monitoria (Cass. N. 6663/2002).

Sempre in via preliminare, deve poi rigettarsi l’eccezione dell’opponente di improcedibilità della domanda per l’irregolarità del procedimento di mediazione obbligatorio introdotto, sul presupposto che l’amministratore del condominio, Natale Ingrassia, non abbia mai ricevuto specifica autorizzazione dell’assemblea a parteciparvi.

Ed infatti, pur essendo pacifico che, nella procedura di mediazione obbligatoria, l’amministratore del condominio può partecipare solo “previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136 c.c., comma 2” – delibera che nel caso di specie manca -, deve però rilevarsi che parte opponente ha eccepito l’improcedibilità soltanto in sede di comparsa conclusionale, non avendo spiegato nessuna contestazione sulla legittimazione dell’amministratore né in sede di mediazione – che si è svolta per due incontri attesa la richiesta di rinvio al primo incontro formulata proprio dal difensore dell’opponente – né tantomeno nel corso del giudizio, se non, appunto in sede di comparsa conclusionale. Ne consegue che l’eccezione è da reputarsi tardiva e va rigettata. E’ inoltre infondata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dall’Amministrazione Giudiziaria opponente.

Sul punto, deve rammentarsi che, ai sensi dell’art. 9 della L. 392/1978, espressamente richiamato dall’art. 41 della stessa legge per la locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, gli oneri accessori, tra i quali anche le spese relative alla fornitura dell’acqua, sono interamente a carico del conduttore, salvo patto contrario; pur tuttavia, in caso di concessione in locazione di unità immobiliare inserita in condominio, poiché il citato art. 9 è norma relativa ai soli rapporti tra locatore e conduttore, nell’ipotesi in cui il conduttore non adempia la propria prestazione, obbligato nei confronti del condominio sarà il proprietario dell’immobile (ossia il condomino), salva ovviamente la rivalsa sul conduttore. Ne consegue che correttamente il condominio ha formulato la domanda di adempimento nei confronti del proprietario dei locali (cfr. Cass. che ha stabilito che “tenuti a contribuire alle spese comuni, anche dopo l’entrata della legge sul cd. Equo canone, sono esclusivamente i proprietari delle varie porzioni di piano di un edificio, pur se locate, salvo il diritto ad esserne rimborsati (in parte) dai conduttori. Tra questi ultimi e il condominio, pertanto, non si instaura alcun rapporto, che legittimi l’esercizio di azioni dirette verso gli uni da parte dell’altro”). L’opposizione è, però, parzialmente fondata.

Deve invero premettersi che, secondo l’art. 1137 c.c., le delibere condominiali sono efficaci e obbligatorie per tutti i condomini fintanto che non vengano impugnate e annullate dall’autorità giudiziaria (salvo sospensione disposta dal Giudice), con la conseguenza che il singolo condomino che non impugni la delibera condominiale entro il termine di 30 giorni dalla deliberazione o comunicazione è vincolato alle decisioni nella stessa adottate: la mancata impugnazione determina l’inammissibilità di qualsiasi successiva contestazione su quanto approvato.

Inoltre, secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. sez. VI, 12.10.2021 n. 27849) “Il bilancio consuntivo che riporti nei conti individuali del singolo condomino tutte le somme dovute al Condominio, comprese le morosità relative ad annualità precedenti, dopo la rituale approvazione da parte dell’assemblea, qualora non venga impugnato ex art. 1137 c.c., costituisce un titolo idoneo al fine di ottenere il decreto ingiuntivo per l’intero importo posto a carico del predetto condomino. Infatti, la delibera condominiale di approvazione del bilancio costituisce titolo sufficiente del credito vantato dal Condominio e legittima, non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme dovute”.

Orbene, nel caso di specie, con il verbale del 25.3.2017, sono stati approvati il bilancio consuntivo al 2015 ed il bilancio consuntivo al 2016, mentre non è stato approvato il bilancio consuntivo al 2017: ne consegue che l’opponente è tenuta versare i soli importi approvati, pari a complessivi Euro 9.573,65.

In ultima analisi, l’opposizione va accolta ed il decreto ingiuntivo revocato, ma l’opponente va condannata a pagare al Condominio (…) il minor importo di Euro 9.573,65, oltre agli interessi legali dalla data di messa in mora al soddisfo. La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale di Trapani, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così provvede:

in accoglimento dell’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo n. 66/2019 reso dal Tribunale di Trapani in data 5.2.2019;

condanna (…) S.R.L. in Amministrazione Giudiziaria al pagamento, in favore del Condominio (…), del complessivo importo di Euro 9.573,65, oltre agli interessi legali dalla data di messa in mora al soddisfo; compensa integralmente le spese del giudizio.

Caduta dalle Scale e Prova del Nesso di Causa per Riconoscere la Responsabilità del Condominio

Le cadute dalle scale rappresentano una delle cause più frequenti di infortuni negli edifici condominiali. La questione della responsabilità del condominio in questi casi è complessa e richiede un’attenta analisi delle circostanze specifiche e dei riferimenti normativi. Questo articolo esplora i principali aspetti giuridici e normativi relativi alla caduta dalle scale e alla prova del nesso di causa per riconoscere la responsabilità del condominio.

Normativa di Riferimento

La responsabilità del condominio in caso di caduta dalle scale può essere analizzata attraverso vari articoli del Codice Civile, in particolare:

  1. Articolo 2051: “Danno cagionato da cosa in custodia”
    “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.”
  2. Articolo 2043: “Risarcimento per fatto illecito”
    “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”
  3. Articolo 1117: “Parti comuni dell’edificio”
    Questo articolo definisce le parti comuni dell’edificio, includendo le scale, che rientrano nella custodia e nella responsabilità del condominio.
  4. Articolo 1125: “Manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai”
    Questo articolo stabilisce la responsabilità della manutenzione delle scale come parte comune dell’edificio condominiale.

Prova del Nesso di Causa

Per riconoscere la responsabilità del condominio in caso di caduta dalle scale, è fondamentale stabilire il nesso di causa tra il danno subito e la condizione delle scale. Questo implica dimostrare che la caduta è stata provocata da un difetto o da una carenza nella manutenzione delle scale.

Elementi Fondamentali per la Prova del Nesso di Causa:

  1. Stato delle Scale:
    • Documentare lo stato delle scale al momento dell’incidente. Fotografie, testimonianze e relazioni tecniche possono essere utili per dimostrare la presenza di difetti come scalini rotti, illuminazione insufficiente o assenza di corrimano.
  2. Manutenzione Ordinaria e Straordinaria:
    • Verificare se il condominio ha effettuato regolarmente la manutenzione delle scale. La mancata esecuzione della manutenzione ordinaria o straordinaria può costituire un elemento di prova a carico del condominio.
  3. Comportamento del Conduttore:
    • Considerare il comportamento della persona che è caduta. Se l’incidente è avvenuto a causa di una disattenzione o di un comportamento imprudente della vittima, potrebbe essere più difficile stabilire la responsabilità del condominio.
  4. Caso Fortuito:
    • Il condominio può esonerarsi dalla responsabilità dimostrando che la caduta è avvenuta per caso fortuito, cioè per un evento imprevedibile e inevitabile.

Giurisprudenza Rilevante

La giurisprudenza ha affrontato numerosi casi di cadute dalle scale, fornendo chiarimenti sui criteri di responsabilità del condominio. Alcuni casi rilevanti includono:

  • Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza n. 20408 del 2017: La Corte di Cassazione ha ribadito che il condominio è responsabile per i danni causati dalle parti comuni, salvo prova del caso fortuito. In questo caso, la mancata manutenzione delle scale è stata considerata una colpa del condominio.
  • Cassazione Civile, Sez. III, Sentenza n. 27300 del 2018: Questa sentenza ha sottolineato l’importanza della prova del nesso di causalità, specificando che la vittima deve dimostrare che la caduta è stata causata da un difetto delle scale e non da un comportamento imprudente.

Conclusioni

La caduta dalle scale in un condominio può comportare una responsabilità del condominio stesso, ma è necessario stabilire con precisione il nesso di causa tra il danno e la condizione delle scale. La normativa, supportata dalla giurisprudenza, fornisce un quadro chiaro ma complesso per determinare tali responsabilità. La prova del nesso causale è fondamentale e richiede una documentazione accurata e una valutazione attenta delle circostanze specifiche dell’incidente.

Installazione del condizionatore sul lastrico solare

È lecita l’installazione del condizionatore sul lastrico solare se dal regolamento emerge l’obbligo per il condomino di installarlo sul suo balcone?

Il fatto che il regolamento condominiale obblighi il singolo condomino a installare l’impianto di climatizzazione sul proprio balcone non ne impedisce l’installazione sulle parti comuni dell’edificio, come, ad esempio, il lastrico solare.

Ciò è quanto ha stabilito la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 4099/2023.

Tizia, proprietaria di alcune unità immobiliari site nel condominio Alfa, citava in giudizio, innanzi al Giudice di Pace, l’ente di gestione per sentir dichiarare l’annullamento della delibera assunta dall’assemblea con riferimento al punto n. 3 dell’ordine del giorno che le imponeva l’immediata rimozione dei motori per il condizionamento dei suoi locali che aveva installato sul lastrico solare, nonché il ripristino dello stato dei luoghi.

L’attrice asseriva di essere legittimata all’installazione in questione, rientrando ciò nelle facoltà concesse al condomino dall’art. 1102 c.c. Resisteva il Condominio che eccepiva l’incompetenza per materia del Giudice di Pace adito e, nel merito, ne chiedeva il rigetto. Il Giudice di Pace dichiarava la propria incompetenza; la causa veniva riassunta da Tizia innanzi al Tribunale, che rigettava la domanda e condannava l’attrice al pagamento delle spese processuali.

Tizia proponeva appello asserendo la legittimità dell’installazione dei motori di condizionamento sul lastrico solare, essendo ciò perfettamente in linea con il disposto dell’art. 1102 c.c., secondo cui “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”. I giudici del gravame davano ragione a Tizia accogliendo l’appello. La Corte territoriale precisava quanto segue:

• l’art. 5 del regolamento condominiale prevede che sulle proprietà private dei condòmini è consentita l’installazione di motori per la climatizzazione esclusivamente all’interno dei balconi di proprietà a distanza di almeno cm 150 dal parapetto;

• non è contestato fra le parti che i locali di proprietà dell’appellante, ubicati al quarto piano dello stabile, siano privi di balconi, dotati esclusivamente di finestre insistenti sulla facciata;

• ai sensi dell’art. 1102 c.c., ciascun partecipante può servirsi della cosa comune a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto;

• il posizionamento di un impianto di condizionamento sul lastrico solare, in particolare, non esclude il pari godimento della cosa da parte degli altri condòmini e non costituisce alterazione della destinazione del bene (Cass. 10968/2014);

• l’utilizzo di una singola porzione di un bene in comproprietà fra i condòmini (ad esempio di una piccola porzione sul lastrico per installare l’impianto di condizionamento), non può considerarsi “sottrazione” di spazi comuni. Pertanto, secondo la Corte capitolina, l’intervento in questione, tenuto anche conto della esiguità dell’area occupata, doveva considerarsi legittimo e non poteva essere impedito.

Il condominio è tenuto a risarcire chi cade nel cortile a causa di una pavimentazione viscida e scivolosa

Errato parlare di imprudenza della parte lesa perché l’attore, seppur al corrente del rischio di cadere, non poteva scongiurarlo in alcun modo

Il figlio di un condomino, nel percorrere nel tardo pomeriggio con estrema cautela il cortile condominiale per fare rientro a casa, scivolava e a seguito della caduta riportava gravi lesioni personali. Per tale motivo citava in giudizio il condominio chiedendo che venisse accertata la responsabilità dello stesso in ordine all’infortunio patito con contestuale richiesta di risarcimento danni.

Un pericolo segnalato più volte

Il condominio in questione è composto da più scale, alle quali si accede esclusivamente da un cortile condominiale all’aperto pavimentato con un mattonato che, in occasione delle precipitazioni atmosferiche, diventava estremamente viscido e scivoloso costituendo, quindi, un serio pericolo. La problematica era stata segnalata più volte all’amministratore, sia per le vie brevi che in occasione delle assemblee, ma senza avere un seguito. Solo successivamente all’incidente, l’assemblea condominiale ha deliberato i lavori di manutenzione da eseguire nel cortile condominiale riguardanti la rimozione della vecchia pavimentazione. Il fatto che la scivolosità dipendesse dalla pioggia non giova al condominio, perché il problema di questo tipo di scivolosità era già noto, come chiaramente dimostrato dai verbali di assemblea. Né può giovare il fatto che, come eccepito dal condominio, la pavimentazione non idonea fosse stata scelta dai condòmini, tra cui il padre dell’infortunato.

Non si tratta di imprudenza del condomino

Resta da valutare, anche a fronte della specifica eccezione difensiva dello stabile, l’eventuale rilevanza – a sfavore del lesionato e in favore dell’ente di gestione – della conoscenza dei luoghi da parte dell’infortunato, essendo egli residente, almeno all’epoca, nel complesso immobiliare ove è caduto. L’attore, dunque, nonostante il pericolo di cadere fosse per lui prevedibile, in quanto residente nel condominio, non aveva concreta possibilità di evitare e scongiurare il rischio della caduta. Si aveva, quindi, una situazione di prevedibilità ma altresì di effettiva imprevedibilità/inevitabilità dell’evento, che esclude la ravvisabilità di un difetto di cautela e, dunque, di incidenza causale giuridicamente rilevante in capo all’attore, che si è limitato ad utilizzare il tratto di cortile condominiale secondo la sua destinazione d’uso di area per il transito pedonale.

Il condominio, durante il procedimento, chiedeva che venisse ascoltato il lesionato per capire se il tratto di pavimentazione in cui sarebbe avvenuto il sinistro fosse munito di muro laterale idoneo a proteggere l’utente e a consentirgli, se necessario, di appoggiarsi per sostenersi. La risposta dell’attore non ha confermato l’assunto, avendo egli precisato, sostanzialmente, che il muro è privo di corrimano e che il tratto di pavimentazione in cui è avvenuta la caduta è immediatamente oltre un angolo formato dal muro in questione (quindi, fuori dal possibile utilizzo del muro come appoggio). Il condominio, del resto, nella sua comparsa di costituzione ha attribuito al danneggiato una condotta imprudente e distratta, ma senza specificarla e senza offrirne alcuna prova, compromettendo la propria difesa. Pertanto, il Tribunale di Roma con sentenza 16591/2022 ha ritenuto responsabile il condominio condannandolo a pagare le lesioni subite dalla parte lesa.

Il marciapiede esterno del condominio: aspetti critici

Una decisione della Corte d’Appello di Milano

Secondo una pronuncia della Corte d’Appello di Milano – che ha confermato la sentenza di primo grado – un condominio è tenuto al risarcimento dei danni patiti da un passante caduto su una lastra di ghiaccio presente sul marciapiede antistante l’ingresso condominiale. I giudici milanesi, però, non hanno affermato che i condomini sono custodi del marciapiede ma si sono limitati a considerare che, secondo il regolamento di Polizia Urbana i condomini erano tenuti a provvedere alla pulizia dei marciapiedi. Del resto – come sottolineano i giudici milanesi – nel mansionario della Portineria del condominio si precisava che giornalmente il portiere avrebbe dovuto provvedere alla pulizia del marciapiede, mentre durante le nevicate avrebbe dovuto sgomberare la neve dallo stesso, spargendo il sale, come da regolamento comunale (App. Milano 10 gennaio 2020 n. 73). In altre parole, la Corte d’Appello sembra basarsi sulle disposizioni del regolamento comunale che (discutibilmente) hanno imposto obblighi ai condomini su uno spazio pubblico.

Una tesi contraria

Secondo il Tribunale di Torino, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 14 C.d.S., della pulizia del marciapiede, quale pertinenza della strada, deve occuparsi l’ente pubblico proprietario di quest’ultima. Conseguentemente, dei danni derivati da una caduta provocata dalla presenza di ghiaccio sul marciapiede antistante un edificio condominiale, non può esserne chiamato a risponderne ex art. 2051 c.c. il condominio frontista, in assenza di prova a carico dello stesso circa la qualità di custode o la sussistenza di obblighi di natura manutentiva o di gestione svincolati dalla titolarità del bene (Trib. Torino 5 dicembre 2012). Nel caso di specie, un passante era scivolato a causa della neve accumulatasi sul marciapiede. Successivamente si rivolgeva al Tribunale per richiedere al caseggiato antistante un risarcimento; secondo l’attore il marciapiede era di proprietà dei condomini e, quindi, gli stessi erano obbligati a spargere del sale sul camminamento davanti al palazzo.

Il condominio, però, contestava la propria legittimazione a stare in giudizio, rilevando come il marciapiede, in quanto parte della strada, appartenesse al demanio comunale. Di conseguenza, per i condomini, a prescindere da eventuali ordinanze comunali di senso contrario, era lo stesso Comune a doversi occupare della manutenzione della carreggiata, compreso lo spargimento di sale in periodo invernale. Queste considerazioni sono state pienamente condivise dal giudice torinese. In ogni caso – più recentemente – si è ribadito che gli obblighi di manutenzione dell’ente pubblico proprietario di una strada aperta al pubblico transito, al fine di evitare l’esistenza di pericoli occulti, si estendono ai marciapiedi laterali, i quali fanno parte della struttura della strada, essendo destinati al transito dei pedoni; di conseguenza si è precisato che del danno cagionato da buche sussistenti sul marciapiede non risponde il condominio dell’antistante stabile, il quale non è pertanto passivamente legittimato nel giudizio promosso ai fini del relativo risarcimento (Trib. Catania 3 marzo 2020, n.850).

Una recentissima sentenza della Cassazione

Merita di essere ricordato che secondo una recente sentenza della Cassazione penale, in linea generale, i condomini non hanno, in mancanza di una convenzione con il Comune, l’obbligo di manutenzione del suolo pubblico. Due condomini, però, sono stati condannati per il reato di lesioni colpose commesse ai danni di una passante che, transitando sul marciapiede pubblico, era caduta inciampando su un rialzo realizzato dagli stessi. Il problema era che i condomini avevano eseguito dei lavori di manutenzione dei loro box, siti al piano sottostante; in particolare avevano aggiunto, al piano stradale, cemento dello stesso colore della pavimentazione che determinava un pericoloso dislivello di 3 cm. Secondo i giudici supremi era quindi irrilevante che l’assemblea del condominio (che non era tenuto alla manutenzione del suolo pubblico) avesse deliberato di realizzare i lavori di ristrutturazione del marciapiede e l’amministratore avesse ottenuto l’autorizzazione ad eseguire opere di ripristino del suolo pubblico, opere, però, mai eseguite (Cass. civ., sez. II, 12/08/2021, n. 32905).

Sopraelevazioni in condominio

I vani ricavati sul terrazzo vanno abbattuti se violano condizioni statiche e aspetto architettonico

La realizzazione di una tettoia sul terrazzo, poi trasformata in soggiorno e cucina, è illegittima se non rispetta i limiti dell’art. 1127 c.c. (Tribunale Velletri n. 512/2024)

I vani ricavati sul terrazzo condominiale, se violano le norme statiche e architettoniche, vanno abbattuti. Necessaria la prova che il progetto rispetti la normativa antisismica: questo è quanto stabilito dalla sentenza 4 marzo 2024, n. 512 del Tribunale di Velletri.

Il caso

Un condomino, residente all’ultimo piano di un edificio, aveva inizialmente costruito una tettoia “ad elle” sul proprio terrazzo, trasformandola successivamente in due distinti vani: un soggiorno con annessa cucina e un ripostiglio.

Tali modifiche avevano portato, secondo la valutazione effettuata dal consulente tecnico d’ufficio incaricato di valutare la situazione, ad un incremento del peso sostenuto dal fabbricato, quantificato in circa 100 chili per metro quadrato.

Alla luce di tale intervento, veniva chiesta la demolizione e/o rimozione delle opere realizzate con il contestuale ripristino dei luoghi in quanto in contrasto con il regolamento condominiale e l’art. 1127 del Codice civile.

L’art. 1127 del Codice civile e i limiti sottesi

L’art 1127 del Codice civile dispone che il diritto di sopraelevazione del proprietario dell’ultimo piano non è assoluto ma incontra alcune limitazioni. Il primo limite è che la facoltà di sopraelevazione può essere esclusa per effetto di un titolo contrario.

Il secondo limite è subordinato alla circostanza dell’idoneità statica del fabbricato a sopportare la nuova costruzione.

Infine, l’ultimo limite prescritto si concretizza nel pregiudizio all’aspetto architettonico dell’edificio e della notevole diminuzione dell’aria e/o della luce derivanti dalla sopraelevazione.

Il caso di specie, analizzato dal Tribunale di Velletri con sentenza n. 512, del 04-03-2024, si sofferma espressamente su due limiti:

  • la condizione statica dell’edificio in cui viene realizzata la sopraelevazione;
  • turbamento delle linee architettoniche.

Le condizioni statiche dell’edificio

Le condizioni statiche dell’edificio rappresentano un ostacolo al sorgere ed all’esistenza stessa del diritto di soprelevazione.

Il limite delle condizioni statiche si sostanzia nel potenziale pericolo per la stabilità del fabbricato derivante dalla sopraelevazione.

L’accertamento di tale pericolo costituisce poi oggetto di un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Corte di Cassazione sentenza del  30 novembre 2012, n. 21491)

La stessa Cassazione precisa che la norma non fa riferimento ad un accertamento delle condizioni statiche, né ad opere di consolidamento, vietando pertanto la sopraelevazione quando la statica risulti inadeguata a sostenerla (Corte di Cassazione sentenza del 29.1.2020, n. 2000).

In un’ottica ancor più restrittiva rientra la sopraelevazione realizzata in violazione delle specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche: tale divieto va interpretato nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia inidonea a fronteggiare il rischio sismico (Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza del 12.2.1987, n. 1541Corte di Cassazione sentenza del 15.11.2016, n. 23256).

In tali casi i condomini possono opporsi alle nuove opere, incompatibili con le condizioni statiche dell’edificio, a prescindere da ogni rafforzamento o consolidamento che il sopraelevante fosse disposto ad eseguire, così rafforzando la natura di limite assoluto alla stessa esistenza del diritto riconosciuto al proprietario dell’ultimo piano (Corte di Appello Napoli, 9.3.2006).

Nel caso di specie, il Tribunale di Velletri, dando per scontato che l’intervento debba essere qualificato come sopraelevazione, evidenzia come la realizzazione dei due vani abbia incrementato il peso sul fabbricato per circa 100 chili al metro quadrato (secondo quanto riportato dalla perizia).

Il Tribunale, nel valutare la condotta della parte convenuta, sottolinea l’importanza della dimostrazione della sicurezza antisismica dell’opera eseguita e dell’edificio nel suo complesso. Tale dimostrazione avviene tipicamente attraverso la presentazione di una progettazione antisismica specifica che includa un’analisi dettagliata della struttura complessiva e delle fondamenta del fabbricato.

In questo caso, però, tale prova non è stata fornita dalla parte convenuta (come evidenziato anche dalle osservazioni del Consulente Tecnico d’Ufficio).

Il Tribunale, richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali, pone l’accento sulla necessità di una rigorosa aderenza alle normative di sicurezza, specialmente in contesti condominiali.

L’intervento di sopraelevazione, nel caso di specie, è stato realizzato senza una corretta progettazione antisismica e senza le dovute verifiche tecniche pregiudica la sicurezza strutturale dell’edificio, violando la normativa antisismica.

L’aspetto architettonico del fabbricato

La questione dell’impatto estetico e architettonico è il secondo limite richiamato dall’art. 1127 cod. civ. ed è stato oggetto di specifica attenzione da parte della giurisprudenza.

La sentenza del Tribunale di Velletri offre un’importante interpretazione in merito alla distinzione e al contempo alla relazione esistente tra la nozione di “aspetto architettonico” e quella di “decoro architettonico“, così come delineate all’articolo 1120 del Codice Civile italiano.

Il Tribunale chiarifica che, benché le due nozioni siano distinte, esse non possono essere considerate in modo completamente separato l’una dall’altra quando si tratta di interventi edificatori, in particolare le sopraelevazioni.

In realtà già la Corte di Cassazione con sentenza del 24 aprile 2013, n. 10048, aveva delineato la distinzione tra le nozioni di “decoro” e “aspetto architettonico“, sottolineando come il limite estetico sia rappresentato non dal mancato abbellimento, ma piuttosto dall’alterazione o dal pregiudizio arrecato al decoro e all’aspetto architettonico dell’edificio, precisando che l’analisi dell’impatto architettonico di una sopraelevazione debba concentrarsi sulle caratteristiche estetiche visivamente percepibili dell’edificio, considerato nella sua autonomia stilistica (Corte di Cassazione sentenza del 23 luglio 2020, n. 15675).

Delibera condominiale annullabile per abuso del diritto

Una delibera condominiale può essere annullata quando è stata assunta violando norme di legge o di un regolamento, questo quello che stabilisce l’art. 1137, dal marzo del 205, anche secondo quanto deliberato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sent. n. 4806. Altre delibere possono, tra l’altro, anche essere considerate nulle secondo quanto previsto dall’ art. 1117 – ter. del codice civile.

Entrando nel merito dell’ impugnazione di delibere condominiali, infatti, è opportuno precisare, che è  precluso all’Autorità Giudiziaria di sindacare sulle scelte operate dall’assemblea nelle delibere oggetto d’impugnazione, poiché il suo potere di intervento è limitato alla sola violazione della legge o del regolamento condominiale in quanto non è previsto dalle norme alcun riesame riguardante l’oggetto delle delibere, sulle opportunità delle decisioni e sulle ragioni che le hanno determinate. Ne consegue che Il giudice adito per risolvere una controversia relativa all’impugnazione di una delibera non può andare oltre ai vizi di annullabilità che riguardano gli aspetti formali delle procedure relative a convocazione, verbalizzazione e deliberazione e la nullità che riguarda quelle delibere che agiscono sui diritti dei singoli sulle parti comuni, o sulle parti di proprietà esclusiva. Questi principi sostenuti fermamente in sede giudiziaria, aprono di fatto la questione sull’eccesso di potere ed all’abuso del diritto.

Proviamo quindi a specificare cosa intendiamo per abuso del diritto

Quando parliamo di abuso comunemente intendiamo ogni forma anormale di esercizio di un diritto che, senza realizzare alcun interesse per il suo titolare, provoca un danno o un pericolo di danno per altri soggetti.  Ci si potrebbe a questo punto domandare se si possa parlare di abuso del diritto  anche in ambito condominiale e sicuramente potremmo affermare di si, almeno secondo quanto asserito sull’argomento, con una sentenza dalla Corte d’appello di Firenze in materia di abuso del diritto da parte di un condòmino, infatti, in quell’occasione i giudici fiorentini affermarono che rappresenta un abuso del diritto l’impugnazione di una delibera da parte di un condòmino non convocato correttamente, anche se presente in assemblea. (App. Firenze 19 settembre 2012 n. 1186).

Abuso del diritto e invalidazione della delibera

Secondo quanto detto sino ad ora, potrebbe sorgere spontanea una domanda, ovvero,  ma se fosse l’assemblea, cioè la maggioranza deliberante ad abusare del proprio diritto, cosa accadrebbe?

Si questo tema si è espressa la giurisprudenza (Trib. Roma 17 aprile 2019 n. 8479) che si è pronunciata sull’argomento affermando che un abuso del diritto condominiale può verificarsi quando la causa della deliberazione sia deviata dalla funzione tipica.

In questi casi,  i giudici,  in derogando al generale divieto di sindacato dell’Autorità Giudiziaria sul merito delle delibere, possono valutare le decisioni dell’assemblea,  per capire se l’esercizio del diritto è stato conforme alla legge, o se vi è stato un abuso.

In questi casi, chi ritiene una decisione un abuso del diritto può contestarlo in giudizio, ma, chiaramente, portando davanti al giudice  elementi utili a dimostrare le proprie tesi.

Rumori in condominio: quando si è assolti

Rumori durante le ristrutturazioni: quando sono reato e quando si può essere condannati penalmente.

Nel contesto condominiale, il tema dei rumori genera immancabilmente incertezze. Si può denunciare chi fa chiasso, ad esempio perché sta facendo lavori di ristrutturazione o perché la notte lascia la televisione ad alto volume? E la vicina che fa esercizi col pianoforte o quello che invece sposta i mobili proprio quando gli altri dormono?

Una recente pronuncia della Cassazione (sent. n. 7717/24) chiarisce quando, per i rumori in condomino, si è assolti dal reato di “disturbo alla quiete pubblica”. La pronuncia non fa altro che individuare la sottile linea di confine tra illecito civile e penale, Ma procediamo con ordine.

Quando i rumori molesti non comportano responsabilità penale?

Per aversi reato di disturbo alla quiete pubblica, l’articolo 659 del codice penale richiede che il rumore possa arrecare molestia a un numero indeterminato di persone e non solo a uno o a pochi vicini. Secondo la sentenza in questione, un condomino può essere assolto dalla responsabilità per i rumori generati da lavori di ristrutturazione se tali rumori disturbano esclusivamente i vicini più prossimi, senza impattare significativamente sull’intera comunità condominiale. La Corte di Cassazione ha chiarito che, affinché vi sia punibilità, è necessario che i rumori arrechino disturbo non solo agli occupanti degli appartamenti adiacenti alla fonte di emissione, ma anche a una parte considerevole dei condomini. Il fatto però che il rumore non integri il reato non significa che non possa essere punibile. Esso, se superiore alla «normale tollerabilità» costituirà un illecito civile che potrà dar vita a un giudizio per il risarcimento e per l’ottenimento di una “interdittiva” (ossia l’ordine di cessazione del rumore o di insonorizzazione dei locali).

Cosa si considera normale tollerabilità?

Come anticipato il rumore diventa reato quando arriva a un numero indeterminato di persone. Ma basta che sia semplicemente intollerabile per essere già vietato dal codice civile (art. 844 cod. civ.). Ma quando possiamo considerare che un rumore supera la “normale tollerabilità”?

La legge si riferisce unicamente a un criterio: quello geografico. In altri termini, in un contesto residenziale caratterizzato da un minore rumore di fondo, è più facile che il rumore diventi intollerabile e quindi illecito. Al contrario, in una via molto trafficata, caratterizzata dal chiasso proveniente dall’esterno del fabbricato, il rumore del vicino sarà più difficilmente distinguibile. La legge italiana non fornisce una definizione precisa di “rumore molesto”. Tuttavia, la Cassazione ha stabilito che il rumore è considerato molesto se supera la normale tollerabilità, avuto riguardo:

alla natura del rumore: rumori occasionali e di breve durata sono generalmente tollerati, mentre quelli continui e persistenti non lo sono;

all’orario in cui il rumore si verifica: la legge prevede fasce orarie di silenzio durante le quali i rumori devono essere contenuti;

alla zona in cui si trova il condominio: in zone rurali la tollerabilità è maggiore rispetto a zone urbane;

alla intensità.

Poiché i criteri appena indicati risultano molto generici, i giudici hanno provato a darsi un criterio empirico per valutare la tollerabilità dei rumori in decibel (dB). Le sentenze così prevedono dei limiti di emissione sonora differenziati per le diverse fasce orarie:

se si superano di oltre 5 decibel i rumori di fondo dalle 06:00 del mattino alle 22:00 o di oltre 3 decibel nelle ore notturne, il rumore si considera illegale;

se invece si rimane al di sotto di tali soglie di decibel, si rispettano i limiti di tollerabilità e quindi il rumore deve considerarsi consentito. Inviare una lettera di diffida al condomino responsabile dei rumori.

È rilevante il rispetto delle fasce orarie?

Un aspetto interessante emerso dalla sentenza è che il rispetto delle fasce orarie eventualmente (ma non obbligatoriamente) stabilite dal regolamento condominiale non è determinante ai fini della responsabilità penale ma solo civile. Ciò significa che, anche se i lavori vengono effettuati in orari teoricamente non consentiti, ciò non implica automaticamente la commissione del reato per il disturbo causato, a meno che non venga disturbata una consistente parte dei condomini.

Quando scatta il reato di disturbo della quiete pubblica?

Relativamente ad attività svolte in condominio, per far scattare il reato previsto dall’articolo 659 cod. pen. è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio; l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia.

Per l’articolo 659 cod. pen., non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio.

L’amministratore è responsabile se non procede al recupero forzoso dei crediti condominiali

Il decreto ingiuntivo nei confronti dei morosi è uno strumento imprescindibile di riferimento per evitare danni ai condomini in regola con i pagamenti.

Lo stato di morosità nel pagamento degli oneri condominiali è all’ordine del giorno. I condomini inadempienti non possono e non devono dormire sonni tranquilli, perché l’amministratore, che sia diligente nell’espletamento del proprio mandato, è obbligato al
recupero, senza indugio, delle somme dovute.

Questo è un punto di forza, insito nelle attribuzioni affidate al rappresentante condominiale, che è sempre stato sancito dalla normativa di settore. Ieri come oggi. I giudici di legittimità hanno ribadito questo principio, evidenziando come l’inerzia dell’amministratore potrebbe determinare un grave danno alla compagine condominiale.

Condannato l’amministratore che non abbia promosso azione ingiuntiva per riscuotere i contributi non versati.

Fatto e decisione
La Corte di cassazione, con ordinanza n.  36277 del 28 dicembre 2023 , ha dichiarato infondato il ricorso promosso dall’ex amministratore di un condominio avverso la sentenza di secondo grado, che lo aveva condannato a versare al convenuto una somma a
titolo di risarcimento dei danni conseguenti al mancato esperimento di azione ingiuntiva di pagamento nei confronti di un condomino moroso.

La controversia prendeva le mosse da un’azione intentata dall’attuale ricorrente nei confronti del condominio già amministrato ed avente ad oggetto il pagamento di compensi e rimborsi spese. Il convenuto condominio aveva proposto, a sua volta, domanda riconvenzionale, finalizzata ad ottenere il  risarcimento dei danni  per il motivo di cui sopra.

Il Tribunale accoglieva la domanda principale in minima parte, mentre rigettava quella riconvenzionale.

La revoca dell’amministratore di condominio

La decisione, ribaltata in sede di gravame con l’accoglimento dell’appello incidentale del condominio, riconosceva l'evidente  inadempimento dell’amministratore , inerte quanto ai propri doveri volti al recupero delle spese condominiali non versate dal condomino moroso, tanto più che la debitrice era stata cancellata definitivamente dal Registro delle Imprese rendendo impossibile il recupero del credito.

Il ricorso proposto dall’ex amministratore, per quanto concerne il merito della questione e per quanto di specifico interesse, si fondava, in particolare, sull’errata pronuncia della Corte di appello in ordine alla negligenza del soggetto, dal momento che la mancata iniziativa di riscossione coattiva dei crediti si fondava su di una normativa, la legge n. 220/2012, successiva ai fatti di causa.

La Corte di cassazione ha ritenuto infondato il motivo di impugnativa dal momento che l’obbligo dell’amministratore precede l’entrata in vigore della riforma del condominio e, nella fattispecie, il comportamento negligente del rappresentante condominiale aveva impedito in via definitiva il recupero del credito vantato dal condominio.

Considerazioni conclusive
Il provvedimento emesso dalla Corte Suprema è indenne da qualsivoglia incertezza e tentativo di critica, in quanto rispetta perfettamente sia il dettato legislativo, sia la ratio ad esso sottesa.

Innanzi tutto, va evidenziato che una delle  attribuzioni affidate all’amministratore  è quella di riscuotere i contributi  ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’esercizio e per l’esercizio dei servizi comuni.

In particolare, l’attività di riscossione, che chiaramente corrisponde ad incamerare le somme dovute dai condomini in ragione delle rispettive quote millesimali, si riferisce sia ai contributi ordinari che straordinari, mentre l’erogazione delle spese non comprende gli oneri di natura straordinaria sui quali l’amministratore non ha alcun potere.

Tanto è vero che l’art. 1135, co. 1, n. 4, c.c. pone il divieto per l’amministratore di ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo il carattere urgente, con l’ulteriore obbligo di riferirne nella prima assemblea.

La norma deve essere correlata all’art. 63 disp. att. c.c., che disciplina le modalità correlate alla riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea. Tale attività è totalmente affidata alla piena disponibilità dell’amministratore, il quale può
agire in giudizio senza bisogno di autorizzazione dell’assemblea ottenendo un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo.

Il motivo è presto detto: uno stato di morosità in ambito condominiale non è ammissibile, poiché la sofferenza della cassa comune impedisce la gestione finanziaria dell’ente amministrato.

Non si può, quindi, dubitare che la discrezionalità riconosciuta all’amministratore è che può, senza autorizzazione dell’assemblea, ottenere un decreto di ingiunzione.

Tutto ciò trova conferma nell’ art. 1129, co. 9, c.c., il quale stabilisce che l’ amministratore è tenuto ad agire per la  riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito è esigibile, salvo una espressa dispensa da parte dell’ assemblea.

Da ultimo, deve essere preso in considerazione l’art. 1131 c.c. che disciplina la rappresentanza in ambito condominiale e che detta i limiti della legittimazione attiva in capo all’ amministratore alle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c. o ai maggiori poteri a lui
conferiti dall’assemblea.

Il combinato disposto di tali norme costituisce il fondamento per l'azione ingiuntiva che l’amministratore deve promuovere per evitare che il condominio patisca danni in conseguenza della morosità dei condomini. Questo non è avvenuto nel caso portato all’esame dalla Corte di cassazione, in quanto per tabulas è emersa sia l’inerzia dell’amministratore in violazione degli obblighi posti dalla
legge a suo carico, sia del danno che il suo comportamento aveva procurato al condominio in seguito alla cancellazione del debitore dal Registro delle Imprese.

Al di là di questi fatti incontestabili va evidenziato che la precedente versione di alcune delle disposizioni richiamate e che, in alcuni casi, non sanciva espressamente l’obbligatorietà dell’azione monitoria da parte dell’amministratore, che è sempre stata uno dei pilastri che ha definito il rapporto condominio/condomino in relazione al pagamento degli oneri condominiali.

In effetti, se è vero che il testo originale  dell’art. 63 disp. att. c.c.  si era semplicemente limitato a stabilire che l’amministratore, per riscuotere i contributi condominiali, poteva ottenere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, facendo cadere nell’errore di ritenere che la scelta di agire in giudizio fosse lasciata alla mera discrezionalità dell’amministratore stesso, è altrettanto vero che la giurisprudenza, in passato, aveva già superato tale ostacolo.

In effetti era stato affermato che l’amministratore poteva agire per la  riscossione forzosa dei crediti condominiali  anche senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, trattandosi di atto finalizzato a realizzare un interesse comune (Cass. 05 gennaio 2000, n.
29; Cass. 29 dicembre 1999, n. 14665) e, più genericamente, che il rappresentante condominiale era pienamente legittimato a chiedere l’emissione del decreto ingiuntivo previsto dall’art. 63 disp. att. c.c. per il recupero degli oneri condominiali una volta che l’assemblea condominiale avesse deliberato sulla loro ripartizione (Cass. 9 dicembre 2005,n. 27292; 15 maggio 1998, n. 4900).

A ben vedere, quindi, nulla di nuovo in questo senso è avvenuto con la riforma del condominio, poiché il legislatore ha solamente provveduto a rendere più chiaro, avvalendosi anche dell’aiuto della giurisprudenza, il contenuto di alcune norme sul punto.

In questo senso si ritiene che la Corte di cassazione abbia correttamente posto in rilievo l’irrilevanza della nuova normativa in relazione ad un problema che, in realtà, non vi è mai stato.