La maggioranza per la nomina dell’amministratore è ancora in discussione

La maggioranza per la nomina dell’amministratore è ancora in discussione. Recentemente è tornata sulla questione una Corte di merito che intende far adottare quella delibera assembleare che “dovendosi occupare annualmente di detto incarico, procede nominando (di nuovo) il soggetto già in carica nell’esercizio precedente“.
La pronuncia è del Tribunale di Palermo (23/29 gennaio 2015) , e si inserisce in un filone giurisprudenziale già percorso da altri conformi precedenti di merito (nonostante il solco interpretativo più profondo sia, come si vedrà, quello contrario, e per di più di legittimità).
Nel concreto, i giudici, investiti della valutazione della validità di una delibera assembleare, hanno precisato che, per l’adozione di una decisione di conferma dell’amministratore di condominio, la normativa di riferimento è rinvenibile, quanto alla regolarità della costituzione e della votazione, nel combinato disposto degli articoli 1135 e 1136 del codice civile, e, per quanto riguarda l’individuazione quantitativa dei quorum deliberativi nel comma 3 del citato articolo 1136.
Come si vede, viene operato uno spostamento dell’individuazione della disciplina dal comma 4 (ovvero, dal richiamato comma 2) al comma 3 di tale ultima norma fondando l’operazione ermeneutica, quanto a motivazione, sul collegamento con l’articolo 1135 del codice“.

E’ ancora necessaria la maggioranza per la nomina dell’amministratore?

Cercando di interpretare le assai sintetiche affermazioni della Corte siciliana (non più ampie di quanto pocanzi riferito), può essere osservato che: a) l’articolo 1135 ricomprende tra le facoltà discrezionali dell’assemblea anche quella relativa alla “alla conferma dell’amministratore e all’eventuale sua retribuzione”; b) l’articolo 1136, quando al comma 4 individua le materie per le quali prevedere la necessità di una maggioranza “qualificata”, cita espressamente “la nomina e la revoca” senza in alcun modo ricomprendere in detto insieme anche, appunto, la “conferma”. Da ciò non può che implicitamente derivare che i quorum maggiori non possono estendersi ad una fattispecie non citata (considerando, peraltro, la specialità della norma)”.

Pertanto, l’argomento utilizzato dalla recente pronuncia è meramente testuale, senza che ciò, tuttavia, gli abbia impedito di trovare un qualche riscontro in altri precedenti conformi provvedimenti.
Infatti, secondo il Tribunale di Roma (15 maggio 2009, n. 10701), “siccome l’articolo 1135 c.c. prevede, tra le attribuzioni dell’assemblea dei condomini, la conferma dell’amministratore in carica, ne deriva che per tale ultima ipotesi appare sufficiente la maggioranza ordinaria di un terzo dei partecipanti al condominio che rappresentino un terzo dei millesimi di proprietà e non la maggioranza qualificata di almeno 500 millesimi prescritta per la nomina“.
Invece, secondo il Tribunale di Bologna (17 settembre 2009), “considerato che la distinzione tra il concetto di conferma e di nomina dell’amministratore non è puramente nominalistica, il primo presupponendo una continuità nel rapporto fiduciario che non si riscontra nel secondo, che si costituisce ex novo; la maggioranza per la conferma dell’amministratore è perciò quella semplice dell’articolo 1136 comma secondo e terzo (vale a dire, quella per convocazione)“.
A queste argomentazioni, infine, va aggiunto che “l’ulteriore considerazione secondo cui se è vero che nel sistema condominiale è pacifica l’operatività del principio della cosiddetta “prorogatio” (in virtù del quale, l’amministratore permane nella pienezza dei suoi poteri anche dopo la scadenza del mandato, a condizione – ovviamente – che non sia sostituito da altro incaricato, cioè, in assenza di decisione assembleare), per la delibera di conferma (che, invero, produce proprio i medesimi effetti giuridici) non può ritenersi sia necessaria una maggioranza “qualificata” (qual è quella rappresentata dai quorum previsti dal comma 2 dell’articolo 1136, come richiamato dal comma 4).
Tale soluzione, peraltro, potrebbe consentire anche il superamento di situazioni di stallo in quei condomìni dove l’insufficiente presenza dei partecipanti alle riunioni impedisce il raggiungimento dei quorum minimi previsti dal codice (anche per la semplice delibera di approvazione di rendiconto finale, che sovente è abbinata a quella di nomina dell’amministratore).
In ogni caso, non può ignorarsi la rilevante quantità di pronunce contrarie (di legittimità e di merito) che fronteggiano tale ultimo orientamento maggiormente liberale e che si pongono come un serio ostacolo all’adozione spensierata dell’ultima ribadita interpretazione che certamente è di più agevole gestione pratica“.

Morosità: ecco come e quando difenderla!

Quando va difesa la morosità? “Alcune delle norme più efficaci della recente legge di riforma (220/2012) sono sostanzialmente dedicate a scongiurare il rischio per il condominio di trovarsi in difficoltà a causa della presenza di diversi condòmini morosi: si può anzi dire che in questo contesto il legislatore è intervenuto in modo appropriato, mentre molto peggio ha fatto nel regolare altri aspetti della vita condominiale, tipo il recupero crediti nei confronti del condominio da parte di terzi.
L’attività di controllo sullo stato dei pagamenti da parte dei condòmini può essere effettuata anzitutto dai maggiori interessati e cioè proprio gli stessi condòmini: l’articolo 1130 Codice civile, in particolare, prevede, nella sua nuova versione, per l’amministratore “l’obbligo di fornire al condòmino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso”.
Sempre l’articolo 1130 Codice civile, inoltre, ha introdotto (con la legge di riforma) “l’obbligo per l’amministratore di redigere annualmente il rendiconto condominiale della gestione: ovverosia un documento ufficiale decisamente più articolato di quanto accadeva in precedenza, il che dovrebbe permettere ai condòmini un maggior controllo, visto anche che la norma in questione prevede sia che i dati (contenuti nel rendiconto) debbano essere espressi chiaramente e “in modo da consentirne l’immediata verifica”, e sia la possibilità per l’assemblea condominiale un revisore che verifichi la contabilità del condominio“.

Difesa della morosità

Un ulteriore strumento utilissimo per seguire con attenzione l’andamento delle questioni condominiali, viene dato ai condòmini con la possibilità (ex articolo 71 Disposizioni attuative codice civile) di richiedere, sempre tramite delibera assembleare, all’amministratore “di attivare un sito internet del condominio, che consenta agli aventi diritto di consultare ed estrarre copia in formato digitale dei documenti previsti dalla delibera assembleare”.
Sul potere/dovere dell’amministratore di vigilare sui pagamenti puntuali delle spese condominiali, è intervenuta la legge 220/2012 che, all’articolo 1129 Codice civile, prevede che egli (a meno che l’assemblea non abbia deciso diversamente) debba necessariamente agire “per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio”. In questo modo, viene meno il rischio che l’amministratore eviti di riscuotere puntualmente i crediti per evitare di inimicarsi alcuni condòmini.
L’amministratore, inoltre, ai sensi dell’articolo 63 Disposizioni attuative codice civile, può ora sospendere il condòmino moroso per più di sei mesi dall’utilizzo dei servizi fruibili separatamente.
Si tratta, in realtà, di una norma spesso di non facile attuazione e che ha già dato adito a pronunce (dei tribunali) contrastanti, sopratutto quando a essere sospesi sono servizi essenziali quali riscaldamento e fornitura acqua. In questi casi i giudici (vedi ad esempio Tribunale Milano, ruolo generale 72656/2013) a volte ravvisano nella sospensione del servizio un attività vietata in quanto pone a repentaglio diritti fondamentali della persona, di rilevanza costituzionale, quale il diritto alla salute”.
A tale motivazione del Tribunale milanese, si potrebbe comunque obbiettare che spesso è proprio la morosità persistente di alcuni condòmini a mettere a repentaglio i diritti fondamentali degli altri (condòmini), come accade quando il condominio si trovi in difficoltà, e con il rischio di vedersi sospendere il servizio per tutto lo stabile da parte dell’ente fornitore, proprio a causa dei mancati pagamenti.

Difesa della morosità: quando la situazione diventa grave

All’amministratore in ogni caso, per non correre rischi personali anche di carattere penale, converrà agire sospendendo i servizi al condòmino solo nei casi di morosità grave ed acclarata e avendo anche magari cura di rivolgersi prudentemente prima al tribunale chiedendo di essere autorizzato in tal senso.
La legge 220/2012 ha inoltre previsto, per scoraggiare la morosità dei condòmini, l’obbligo per i creditori terzi di agire (previo elenco che deve obbligatoriamente essere fornito dall’amministratore) prima appunto contro i còndomini morosi e poi contro gli altri: sulla efficacia di tale intervento legislativo, soprattutto per quanto riguarda la possibilità per i terzi di effettivo recupero del credito, è tuttavia lecito mantenere più di un dubbio.
Vale poi ancora la pena di ricordare l’istituzione (articolo 1135 Codice civile n. 4) dell’obbligo di costituire “un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori” per quanto riguarda le opere di manutenzione straordinaria, ad evitare evidentemente che il condominio si indebiti ordinando dei lavori senza poi aver la possibilità di fare fronte all’impegno preso. 
Da ultimo, anche l’aver reso obbligatorio l’istituzione di un conto corrente “dedicato” al condominio dove devono transitare tutti i movimenti in entrata e uscita che lo riguardano, dovrebbe servire a fare chiarezza sulla buona amministrazione del condominio da parte dell’amministratore“.

Se l’amministratore non diffida il comproprietario, il decreto ingiuntivo è nullo!

Se l’amministratore non diffida il comproprietario dell’appartamento al quale di riferiscono gli oneri da pagare, il decreto ingiuntivo è nullo. Questo è quanto ha stabilito il Giudice di Pace di Taranto con la sentenza dell’1 marzo 2016.
Ne ha richiesto l’intervento il comproprietario di un’unità immobiliare, che precedentemente era stato raggiunto da un decreto ingiuntivo emesso per quote e competenze condominiali non versate. Questi si è opposto precisando che: “l’atto non era stato preceduto da alcuna intimazione e messa in mora. A mancare, dunque, una formale diffida di pagamento. Circostanza, questa, che, peraltro, rendeva inopportuno il conteggio, in ingiunzione, delle spese e competenze di precetto. Non solo. Inesigibile, secondo la difesa, era anche l’importo preteso a titolo di spese di recupero insoluti, laddove – come ben puntualizza la Cassazione, con pronuncia 15718/2001 – «qualora all’attività stragiudiziale segua quella giudiziale i compensi per la prima sono assorbiti da quelli previsti per la seconda e quindi, di fatto, non possono essere richiesti né tantomeno essere inseriti in un ricorso per decreto ingiuntivo ai fini della determinazione della sorte capitale». Ancora, andava considerato il fatto che l’opponente era comproprietario, insieme ad altri eredi, dell’unità immobiliare in questione, motivo per cui era da ritenersi quanto meno avventata un’azione giudiziale avviata senza un preliminare accertamento dell’interessamento degli altri partecipanti al pagamento delle quote richieste“.

Il decreto ingiuntivo è nullo se il comproprietario non viene diffidato

Il Giudice di Pace, che abbraccia in pieno questa tesi, ha pertanto deciso di accogliere l’opposizione al precetto con annesso decreto Ingiuntivo. “Intanto, spiega, il decreto non può essere confermato perché emesso da soggetto irregolarmente costituito contro l’odierno opponente, vista l’irregolarità della costituzione del condominio avvenuta tramite un avvocato diverso da quello munito del mandato a difendere il condominio stesso. In secondo luogo, non essendo l’opponente proprietario esclusivo del bene cui si riferiscono le spese reclamate, il condominio avrebbe dovuto fornire la prova documentale – non essendo ammessa, in tale evenienza, quella per testi – di aver eseguito la messa in mora nei confronti di tutti gli aventi diritti e comproprietari dell’unità immobiliare. Ciò, prima di chiedere il decreto ingiuntivo e notificare il precetto ad uno solo degli intestatari. Del resto, non si sarebbe neppure trattato di un’incombenza particolarmente complicata, bastando all’amministratore una semplice visura degli atti catastali per acquisire le intestazioni delle varie unità. Adempimento, che gli avrebbe evitato di «produrre atti del tutto annullabili». Per agire coattivamente, allora, era imprescindibile attingere elementi certi dagli atti catastali o di proprietà dei condomini, che è opportuno se non obbligatorio tenere sempre aggiornati tramite l’anagrafe condominiale. Di qui, la revoca, per irregolarità, del decreto ingiuntivo emesso dal condominio senza una previa diffida stragiudiziale“.

Scale e corridori d’accesso alle cantine

“In un edificio condominiale, scale e corridoi di accesso alle cantine, quali elementi essenziali per raggiungere le singole proprietà esclusive, sono per presunzione di legge incluse tra le parti comuni ex art. 1117 n. 1 c.c. e quindi in comproprietà fra tutti i condomini, salvo diverso titolo. La presunzione di comproprietà fra i componenti della collettività condomini delle parti in condominio elencate nell’art. citato ed, in genere, di tutte le cose destinate all’uso comune opera solo nella inesistenza di un titolo che detta presunzione escluda; incombe a chi rivendichi l’acquisto uti singuli di dette porzioni di immobili l’onere di provare che queste ultime furono avocate a se dal venditore col primo atto di frazionamento (Cass., n. 9523/2014)”.

Decoro architettonico dell’edificio

“Il decoro architettonico è costituito dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante e imprimono alle varie parti dell’edificio, e all’edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armonia fisionomica; a tal fine non è necessario che si tratti di un edificio di particolare pregio artistico. Per decidere sull’incidenza di un’opera sul decoro architettonico, si devono adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente, e in quale misura, un’unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all’innovazione dedotta in giudizio, oltre all’eventuale compromissione di essa dovuta a precedenti diverse modifiche operate da altri condomini. Inoltre, si deve accertare se le modifiche apportate siano tali da provocare un pregiudizio estetico dell’insieme suscettibile di un’apprezzabile valutazione economica”.

Natura condominiale di alcuni beni

“L’azione di rivendica può essere esercitata anche nei confronti di alcuni o di tutti i condomini qualora la loro condotta comporti una lesione dell’esercizio del diritto del proprietario, non solo sul bene di proprietà individuale, ma anche sul bene comune e, in sostanza, un vero e proprio spossessamento da questo subito circa lo ius utendi del bene medesimo; in questo caso il condomino può far valere in via petitoria il suo diritto al compossesso, anche limitatamente alla propria quota in quanto il fine sarà quello di conseguire l’accertamento del diritto di comproprietà, nonché l’uso e il godimento della cosa comune nei limiti della sua quota”.

Obblighi e potere di rappresentanza dell’amministratore

“Il condominio, nella persona dell’amministratore è rappresentante di tutti i condomini tenuti ad effettuare la manutenzione di una parte comune, ivi compreso il condomino che di una parte comune abbia eventualmente l’uso esclusivo, compresa l’ipotesi in cui una parte dell’edificio condominiale sia comune soltanto ad alcuni dei condomini. I criteri di ripartizione delle spese necessarie per provvedere alla manutenzione di tutte le parti comuni dell’edificio condominiale non incidono sulla legittimazione del condominio nella sua interezza e del suo amministratore, comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1130 c.c.“.

Cosa accade quando non si usufruisce dell’impianto di riscaldamento?

“Il proprietario di appartamenti o locali di un edificio condominiale, ancorché questi non usufruiscano del servizio prodotto dall’impianto di riscaldamento centrale, che sia però potenzialmente idoneo a riscaldarli, è comproprietario di tale impianto a norma dell’art. 1117, n. 3 c.c., qualora tale impianto sia già stato installato nell’immobile prima della formazione del condominio, ed è quindi obbligato a contribuire al pagamento delle spese necessarie per la sua manutenzione”.

Dimensioni e caratteristiche strutturali del sottotetto

“Se il sottotetto ha dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’uso come vano autonomo e se esso risulta in concreto, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, va annoverato tra le parti comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma di cui all’art. 1117 c.c., la quale si ritiene operi ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi”.

Impugnazione della deliberazione dell’assemblea condominiale

“L’art. 1136, co. 2, 3, 4 e 5 Cc, afferma che le deliberazioni de quibus devono essere approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza, semplice o qualificata, dei partecipanti alla riunione e del valore dell’edificio e che sebbene tale disposto normativo non contempli altrettanto espressamente l’individuazione e la verbalizzazione dei nominativi dei partecipanti alla votazione, dissenzienti e astenuti, né l’indicazione dei valori delle rispettive quote millesimali, ciononostante siffatte indicazioni risultano essere essenziali al fine non solo di permettere la verifica dell’avvenuto raggiungimento della maggioranza prescritta per la validità della deliberazione, ma anche allo scopo di consentire la chiara individuazione dei votanti favorevoli e contrari sia per far emergere ipotesi di conflitto di interessi, sia per individuare i condomini legittimati ad impugnare la stessa deliberazione. Per l’effetto, l’omessa verbalizzazione dell’indicazione nominatim dei singoli condomini favorevoli e contrari e delle loro quote di partecipazione al condominio viola la disciplina dettata nell’art. 1136 Cc, impedendo il controllo sulla sussistenza delle specifiche maggioranze richieste dalla stessa norma in ordine alle singole questioni”.