Il richiamo al regolamento condominiale nel rogito basta a limitare la destinazione d’uso dell’immobile

Chi compra l’appartamento accetta il regolamento condominiale di natura contrattuale richiamato nel rogito anche se esso non risulta trascritto nell’atto di acquisto: basta il semplice riferimento contenuto nel contratto per far ritenere approvate dall’acquirente le relative regole, comprese quelle che pongono limiti alla proprietà esclusiva, come ad esempio l’obbligo di adibire gli immobili dell’edificio soltanto allo svolgimento di libere attività professionali. È quanto emerge dalla sentenza 19212/16, pubblicata il 28 settembre dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Senza conflitto

Accolto il ricorso di alcuni avvocati contro la sentenza che ha ritenuto legittimo l’affitto di un appartamento a un centro estetico in barba al regolamento condominiale. E la presenza della beauty farm nell’edificio disturba gli uffici vicini anzitutto per la musica sparata a palla e poi per l’utilizzo «smodato» delle strutture dell’edificio. Sbaglia la Corte d’appello a concludere per l’inapplicabilità della clausola regolamentare sul rilievo che «non si può presumere l’avvenuta trascrizione del regolamento per essere un obbligo posto a carico del notaio rogante, in difetto di prova dell’avvenuta annotazione». In realtà non conta se il regolamento condominiale sia o meno materialmente inserito nell’atto di acquisto: è sufficiente richiamarlo nel rogito per porre limiti alla proprietà esclusiva di ciascun condomino, a patto che i paletti posti siano spiegati in modo chiaro ed esplicito dalle relative clausole. La trascrizione, salvo casi particolari, serve soprattutto per risolvere conflitti tra diritti reciprocamente incompatibili. E il conflitto non si verifica quando una proprietà risulta espressamente acquistata come limitata da diritti altrui: il bene non viene trasferito come libero né l’acquirente può pretendere che lo diventi a posteriori. Parola al giudice del rinvio.