Prorogatio imperii dell’amministratore – Nomina dichiarata invalida – Potere di rappresentanza fino alla sostituzione – Legittimità – sentenza 1386 del 24-01-2016 massima 1

In tema di condominio negli edifici, la prerogatio imperii dell’amministratore, trova fondamento nella presunzione di conformità alla
volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore, e, quindi, non solo nelle ipotesi di scadenza del
termine di cui all’art. 1129 cc o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della delibera di nomina. Ne
consegue che l’amministratore condominiale, la cui nomina sia stata dichiarata invalida, continua a esercitare legittimamente, fino
all’avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza, anche processuale, dei comproprietari cui, ratione temporis, deve farsi riferimento.

La quota del condomino per l’ascensore non aumenta solo perché il suo immobile è più frequentato

Annullate. Addio alle delibere con cui il condominio ha tentato di aumentare le spese per l’ascensore a carico agli appartamenti più abitati, o frequentati da esterni, nell’ambito dell’edificio. E ciò perché il criterio, che pure si ispira a una contribuzione per un presunto maggiore utilizzo dell’impianto, risulta arbitrario perché contrario alle disposizioni legislative in materia: bisogna applicare la norma ex articolo 1124 Cc. È quanto emerge dalla sentenza 11776/16, pubblicata dalla quinta sezione civile del tribunale di Roma
(giudice Antonella Zanchetta), con una pronuncia che può essere utile agli studi professionali e alle altre attività lavorative svolte nei condomini con civili abitazioni laddove l’ente di gestione può provare a penalizzarli per il più intenso uso dei servizi comuni dell’edificio.

Diritto compresso

Accolta l’opposizione proposta da una giovane donna cinese: “a essere annullati sono il preventivo e il consuntivo del bilancio adottato da un condominio della Capitale dalle parti dell’Esquilino, la chinatown locale. E lo stop non scatta solo perché il riparto delle spese era previsto «per ciascun piano in relazione al numero delle persone che abitano in ciascun appartamento» ma anche perché aumentare gli oneri condominiali per la manutenzione dell’impianto in relazione «all’affluenza del numero dei soggetti» presso l’appartamento della ragazza compromette il suo diritto di condomina. Non pesa soltanto l’inosservanza dei criteri ex articolo 1124 Cc ma anche il contrasto con lo stesso regolamento condominiale depositato in giudizio: deve valere la regola secondo cui la spesa è ripartita, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo“.

Senza testimoni

Non trova ingresso la domanda di prova orale del condominio, probabilmente per dimostrare per testi l’andirivieni nell’appartamento “incriminato”. Né può essere accolta l’eccezione di decadenza dell’impugnazione proposta dall’ente di gestione: “in materia, conclude il giudice, occorre ribadire le distinzioni svolte dalla giurisprudenza di legittimità sulle circa le delibere nulle – quelle che hanno un oggetto impossibile, illecito, contrario a norme imperative e tale da comprimere in modo negativo incidendo sul diritto individuale del singolo condomino – da quelle annullabili, per le quali effettivamente esiste il termine decadenziale ex articolo 1137 Cc. Al condominio non resta che pagare le spese di giudizio“.

LAVORI DI APPALTO – VIZI – OBBLIGHI – RISTORO – sentenza 12098 del 14-06-2016 massima 1

Laddove vi sia riscontrata una cattiva esecuzione dei lavori di appalto, va ritenuta responsabile, in forza degli obblighi nascenti dal
contratto di appalto, la stessa ditta esecutrice dei lavori, dunque il direttore dei lavori per conto del committente, a capo di quest’ultima.
L’amministratore, stante l’esecuzione dell’opera non a regola d’arte, deve convocare la ditta appaltatrice e pretendere dalla stessa
l’eliminazione dei vizi.

Non si modificano le tabelle millesimali solo perché il locale è divenuto inservibile come deposito

Il singolo condomino non può ottenere la revisione delle tabelle millesimali soltanto perché il suo seminterrato è divenuto inservibile come magazzino a causa delle infiltrazioni d’acqua. E ciò perché il valore proporzionale di ciascuna porzione dell’edificio è calcolato sulla base delle caratteristiche proprie degli immobili e non anche rispetto alla loro destinazione d’uso. Ancora. Nelle tabelle c’è l’«errore essenziale» che ne consente la revisione soltanto quando l’inesattezza, di fatto o di diritto, riguarda gli elementi necessari per calcolare il valore delle singole porzioni: estensione, altezza, ubicazione ed esposizione. È quanto emerge dalla sentenza 19797/16, pubblicata il 4 ottobre dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Ha un bel dire, il proprietario esclusivo del magazzino: “l’umidità proveniente dal sottosuolo ha reso il locale completamente inutilizzabile e, dunque, le tabelle millesimali devono essere rifatte perché non rispecchiano più la vera ripartizione del valore fra le varie proprietà esclusive. È vero, le tabelle possono essere ricalcolate anche nell’interesse di un condomino solo, ma soltanto quando risultano modificate le condizioni di una parte dell’edificio, ad esempio in caso di sopraelevazioni, innovazioni di vasta portata o espropriazioni parziali: tutte circostanze, insomma, che alterano in modo significativo l’originario rapporto fra i valori delle singole porzioni; sono invece esigenze di certezza sui diritti e gli obblighi dei condomini che impongono di ritenere irrilevanti i successivi mutamenti dei criteri di stima per la proprietà immobiliare, anche quando le varie parti dell’edificio risultano rivalutate in modo non omogeneo: non può dunque incidere sull’assetto millesimale una diversa destinazione d’uso del locale, che risulta determinata essenzialmente da valutazioni di carattere soggettivo“.

Non giova infine al singolo condominio dedurre che le tabelle sarebbero affette da errore. L’errore di valutazione dell’immobile non può mai essere ritenuto essenziale: non riguarda infatti la qualità della cosa ex articolo 1429, n. 2, Cc. E lo stesso articolo 68, ultimo comma, disp. att. Cc stabilisce che nella valutazione «non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione».

Parabola e tettoia del condomino restano sul muro perimetrale perché sono discrete e non ledono il decoro

Il condominio non può ottenere che il proprietario esclusivo rimuova la pensilina e l’antenna satellitare installata sul muro perimetrale se i manufatti sono discreti e non si configura la lesione del decoro architettonico. Va detto poi che le disposizioni ex articolo 1117 Cc non si applicano alle villette bifamiliari a schiera ma soltanto agli edifici divisi in orizzontale per piani. E il regolamento condominiale ben può essere interpretato in modo elastico e dunque non deve ritenersi necessaria l’autorizzazione dell’assemblea per ogni minimo intervento eseguito dal singolo sulle pareti esterne alla villetta di proprietà esclusiva. È quanto emerge dalla sentenza 20248/16, pubblicata il 7 ottobre dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Dimensioni e colore

Diventa definitiva la decisione della Corte d’appello: “né la pensilina né la parabola alterano le linee architettoniche e la fisionomia estetica del complesso immobiliare“. Decisive le foto agli atti: “la tettoia è piccola, sobria e di colore neutro e s’inserisce in modo armonico nell’ambiente. E l’antenna satellitare, che pure ha dimensioni modeste, risulta piazzata sulla facciata posteriore della villetta, come d’altronde hanno già fatto altri condomini“. La valutazione in proposito compiuta dai giudici del merito è un tipico accertamento in fatto che risulta insindacabile in sede di legittimità se motivato in modo adeguato.

Funzioni inassimilabili

Inutile poi invocare la condominialità dei muri maestri ex articolo 1117 Cc ripresa dal regolamento perché i muri perimetrali sono invece di proprietà esclusiva e non sono quindi assimilabili ai primi: hanno soltanto la funzione di delimitare le varie porzioni e di sorreggere la copertura, anch’essa di proprietà esclusiva (o in comune fra le due villette affiancate). Il regolamento, in definitiva, vieta solo innovazioni e modificazioni senza il placet dell’assemblea e per contestare quest’interpretazione il condominio avrebbe dovuto prospettare la violazione delle norme di interpretazione del contratto ex articoli 1362 Cc e seguenti. Non l’ha fatto e dunque paga le spese di giudizio.

Usucapione di parti comuni condominiali – Sentenza Corte di Cassazione n. 20039 del 6/10/2016

La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza della II sezione civile del 6 ottobre 2016, n. 20039, conferma la possibilità per il condomino di usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso, essendo però necessario allegare e dimostrare di avere goduto del bene a titolo esclusivo.
Nel caso all’esame della Corte “alcuni condomini convenivano dinanzi al Tribunale di Salerno un altro condomino, e lamentando che il quest’ultimo, in occasione della ristrutturazione di alcuni suoi immobili, aveva chiuso con opere murarie e con una porta a battenti in ferro un porticato comune a tutti i condomini e, inoltre, si era impossessato di un forno e aveva demolito un pozzo comune e dei lavatoi, chiedendo la condanna alla demolizione delle opere illegittime e al ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento danni.
Il condomino convenuto, accusato di quanto sopra, affermava di essere proprietario dei beni in questione e di averli comunque acquisiti per usucapione“.
Il Tribunale di primo grado, accogliendo la domanda, dichiarava illegittime le opere di chiusura del porticato eseguite dal convenuto, condannando quest’ultimo al loro abbattimento e al ripristino dello stato dei luoghi. La Corte di Appello di Salerno ha seguito in sostanza la decisione del giudice di primo grado.
La Corte di Cassazione, nel caso di specie, dichiarava infondato il ricorso per una mancanza intrinseca del processo, a livello soprattutto probatorio, sia in primo che in secondo grado, ma afferma un principio da non sottovalutare. La Corte di Cassazione afferma che, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza, in tema di condominio, il condomino può usucapire la quota degli altri senza che sia necessaria una vera e propria interversione del possesso. A tal fine, però, non è sufficiente che gli altri condomini si siano astenuti dall’uso del bene comune, bensì occorre allegare e dimostrare di avere goduto del bene stesso attraverso un proprio possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus“, senza opposizione, per il tempo utile ad usucapire (richiamando Cass. 23­7/­2010 n. 17322).
Il condomino che deduce di avere usucapito la cosa comune, pertanto, deve provare di averla sottratta all’uso comune per il periodo utile all’usucapione, e cioè deve dimostrare una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univocamente rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile a costoro l’intenzione di non possedere più come semplice compossessore, non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, stante l’imprescrittibilità del diritto in comproprietà“.

Rimborso delle spese anticipate: amministratore uscente può agire verso i singoli condomini

Un società conveniva in giudizio un Condominio, chiedendo la condanna al pagamento di un credito, dalla stessa maturato a titolo di anticipazione spese, durante i servizi di gestione dalla stessa svolte.
Il convenuto restava contumace. Dalla documentazione prodotta emergeva che la società attrice aveva anticipato numerose spese per conto del Condominio. La circostanza veniva altresì confermata dall’accertamento svolto dal CTU. Per di più, il prospetto contabile era stato consegnato dall’attrice al nuovo amministratore in occasione del cd “passaggio di consegne”, e questi non aveva contestato alcunché, sottoscrivendo il documento per accettazione.
Il Giudice, nell’accogliere la domanda attorea, osserva che il credito per le somme anticipate nell’interesse del Condominio, da parte dell’amministratore, trae origine da un rapporto di “mandato” che intercorre con i condomini (ex multis Corte di Cassazione, Sezione II civile, 4 ottobre 2005 n. 19348). L’amministratore di condominio, per lo stesso Tribunale, configura un “ufficio di diritto privato” orientato alla tutela del complesso degli interessi dei condomini, singolarmente considerati, che è assimilabile, pur con taluni tratti distintivi, al “mandato con rappresentanza”.
Da tale considerazione consegue che nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condomini, trova applicazione l’art. 1720 comma I c.c., in conformità del quale il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nell’esecuzione dell’incarico.
Nascendo l’obbligazione restitutoria a carico dei singoli condomini nel momento stesso in cui avviene l’anticipazione, la situazione non muta neppure quando termina l’incarico, con la conseguenza che “la domanda dell’amministratore cessato dall’incarico, diretta ad ottenere il rimborso di somme anticipate nell’interesse della gestione condominiale, può essere proposta, oltre che nei confronti del Condominio, anche nei confronti del singolo condomino inadempiente all’obbligo di pagare la propria quota” (Corte di Cassazione, Sezione II civile, 12 febbraio 1997, n. 1286).
Il giudice conclude affermando che l’amministratore cessato dall’incarico risulta legittimato a chiedere il rimborso delle somme, dallo stesso anticipate per la gestione condominiale, sia nei confronti del Condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore sia, cumulativamente, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare all’amministratore, mandatario, le anticipazioni da questo operate nell’esecuzione dell’incarico, deve considerarsi sorta nel momento stesso in cui avviene l’anticipazione e per effetto di essa, e non può considerarsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

Lastrico solare ad uso esclusivo: le Sezioni Unite intervengono su responsabilità e ripartizione delle spese

Le Sezioni Unite intervengono sul tema mettendo fine ad una querelle giurisprudenziale relativa sia all’inquadramento della responsabilità, sia alla modalità di ripartizione delle spese.
La questione era già stata affrontata dalle sezioni unite nel 1997: in allora, la sentenza rinveniva la sussistenza di un obbligazione propter rem in capo sia al proprietario del lastrico ad uso esclusivo, sia al condomìnio in quanto tale lastrico fungesse anche da parziale copertura dell’edificio ed i danni lamentati fossero derivati da carenza di manutenzione di tale parte comune.
Si è ritenuta, pertanto, sussistente una responsabilità di natura contrattuale da ripartirsi tra i soggetti coinvolti in base all’art. 1126 secondo il seguente principio di diritto : “poiché il lastrico solare dell’edificio svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito ad uso esclusivo ad uno dei condòmini, all’obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condòmini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati all’appartamento sottostante per le infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dall’art. 1126 c.c.“.
In seguito si è sviluppata però una giurisprudenza di segno opposto, tendente a ravvisare una responsabilità extracontrattuale concorrente tra il proprietario ad uso esclusivo del lastrico e condominio ex art. 2051, cioè per danni da cosa in custodia.
Rilevata l’esistenza di un contrasto perdurante da circa 20 anni, la Seconda Sezione civile della suprema corte ha rimesso la questione alle sezioni unite con la ordinanza interlocutoria n. 13526 del 2014.
Le sezioni unite, in riscontro, hanno adottato un indirizzo mediano tra i due precedenti.
In particolare, precisato che il principio di diritto enunciato non troverà applicazione laddove si riesca a dimostrare che il danno ha avuto origine non già dalla mancata manutenzione della cosa comune, ma ad altre condotte ascrivibili in via esclusiva al proprietario del lastrico in uso esclusivo, hanno:
confermato la natura extracontrattuale della responsabilità gravante sul condòmino titolare del diritto d’uso esclusivo ex art 2051 c.c.;
dichiarato la responsabilità concorrente del condomìnio in base alla norma di norma di cui all’art 1130 nell’ipotesi in cui l’amministratore ometta di attivare gli obblighi conservativi delle cose comuni su di lui gravanti ai sensi dell’art. 1130, primo comma, n. 4, cod. civ., ovvero nel caso in cui l’assemblea non adotti le determinazioni di sua competenza in materia di opere di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 1135, primo comma, n. 4, cod. civ.; il parametro di divisione delle spese resta quello di cui all’art. 1126 c.c“.
Corollari diretti di questa impostazione sono principalmente due:
“’applicazione tutte le disposizioni che disciplinano la responsabilità extracontrattuale, prime fra tutte quelle relative alla prescrizione ( quinquennale) e all’imputazione della responsabilità, dovendosi escludere che l’acquirente di una porzione condominiale possa essere ritenuto gravato degli obblighi risarcitori sorti in conseguenza di un fatto dannoso verificatosi prima dell’acquisto, dovendo quindi dei detti danni rispondere il proprietario della unità immobiliare al momento del fatto;
applicazione dell’art. 2055 cod. civ., ben potendo il danneggiato agire nei confronti del singolo condomino, sia pure nei limiti della quota imputabile al condominio. In tal senso, del resto, si è già affermato che il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, primo comma, cod. civ., norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota
Questa nuovo approdo, si espone a qualche criticità nella pratica: sebbene non vengano espressamente richiamate, è lecito ritenere che troveranno applicazione anche le regole in materia di ripartizione dell’onere della prova in materia extracontrattuale, con l’effetto di gravare il danneggiato di un onere molto più pesante e scivoloso di quello esistente in base al precedente orientamento, quanto meno con riferimento al nesso causale.
Ciò stante è verosimile credere che il proprietario del lastrico in via esclusiva, preso atto che sarà molto più complesso dimostrare la sua responsabilità, potrebbe essere molto meno portato ad assumere un atteggiamento collaborativo o proattivo rispetto alla custodia del bene.
Il motivo per cui il danneggiato proprietario debba essere equiparato ad un comune terzo in questa vicenda resta, parimenti, poco chiaro: in ossequio al dovere di solidarietà sociale e buona fede, l’appartenenza alla medesima comunione condominiale, legittimerebbe il riconoscimento dell’esistenza di una posizione di tutela qualificata gli interessi del comunista danneggiato, che, pertanto, dovrebbe essere agevolato nella tutela dei suoi interessi, anziché processualmente equiparato al quidam de populo.

Condominio: divieto di animali domestici illegittimo anche se votato all’unanimità

Non si può impedire ai condomini di tenere animali domestici, anche se tale divieto è previsto nel regolamento condominiale approvato all’unanimità.
E’ quanto stabilito dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Cagliari, con l’ordinanza del 22 luglio 2016. La vicenda in esame riguardava un condomino che aveva proposto ricorso ex art. 702 c.p.c. affinchè venisse dichiarato nullo e/o annullato e/o comunque dichiarato privo di efficacia, l’art. 7 del regolamento condominiale, che vietava l’accesso al Condominio agli animali domestici. Si costituiva in giudizio il Condominio, sostenendo la legittimità del divieto stabilito nel regolamento.
Il Tribunale adìto ha ritenuto viziata da nullità sopravvenuta la disposizione di cui all’art. 7 del regolamento del condominio  impugnato in quanto, con la L. n. 220/2012, è stato introdotto il principio secondo cui: “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”, applicabile a tutte le disposizioni contenute sia nei regolamenti di tipo contrattuale che assembleare, precedenti o successivi alla riforma del 2012.
Inoltre, il regolamento condominiale che si discosti da tale disposizione è affetto da nullità anche perché contrario ai principi di ordine pubblico, individuabili nella necessità di valorizzare il rapporto uomo-animale e nell’affermazione di quest’ultimo principio anche a livello europeo. Tali concetti sono contemplati in particolare, nella Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13.11.1987, ratificata ed eseguita in Italia con la Legge 201/2010, nonchè nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, ratificato dalla Legge 130/2008, che all’articolo 13, prevede che l’Unione e gli Stati membri “tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”.
Secondo le prime interpretazioni, “occorreva che il divieto di accesso  e mantenimento degli animali domestici negli appartamenti fosse previsto nel regolamento condominiale votato all’unanimità dei condomini, in quanto andava ad incidere e limitare, facoltà comprese nel diritto di proprietà dei singoli, ovvero, in caso di regolamenti predisposti dall’originario unico proprietario, che fossero richiamati negli atti di acquisto, costituendosi con essi servitù reciproche“.
In realtà – argomenta il giudice de quo – occorre considerare un’altra interpretazione della norma, poiché il divieto indicato nell’art. 1138 c.c. rappresenta l’espressione dei principi di ordine pubblico, dalla cui violazione consegue la nullità insanabile della statuizione ad esso contraria. In effetti, le disposizioni contenute nei commi precedenti dell’art. 1138 c.c. stabiliscono regole circa l’adozione obbligatoria del regolamento ed al quorum necessario per la sua approvazione, facendo riferimento al c.d. regolamento assembleare, tuttavia, nessuna indicazione in merito alla natura del regolamento è indicata nella norma, in cui si parla genericamente di “regolamento di condominio”, e neppure nel comma contenente il divieto, in cui viene citato il “regolamento” senza altra specificazione. Dall’esame dell’art. 1138 c.c. e della norma contenente il divieto, non è possibile individuare a quale tipo di regolamento si faccia riferimento, per cui appare riduttivo applicare tale divieto al solo regolamento di tipo c.d. assembleare, ma va estesa a tutti i regolamenti di condominio, anche se approvati all’unanimità“.
Pertanto, il Tribunale adito ha concluso sostenendo che “la norma in esame non è strettamente connessa alle sole ipotesi di regolamento assembleare, ma costituisce un principio generale, valido per qualsiasi regolamento, per cui ha accolto la domanda proposta, dichiarando nullo l’art. 7 del regolamento del condominio“.

Parabola e tettoia del condomino restano sul muro perimetrale perché sono discrete e non ledono il decoro

Il condominio non può ottenere che il proprietario esclusivo rimuova la pensilina e l’antenna satellitare installata sul muro perimetrale se i manufatti sono discreti e non si configura la lesione del decoro architettonico. Va detto poi che le disposizioni ex articolo 1117 Cc non si applicano alle villette bifamiliari a schiera ma soltanto agli edifici divisi in orizzontale per piani. E il regolamento condominiale ben può essere interpretato in modo elastico e dunque non deve ritenersi necessaria l’autorizzazione dell’assemblea per ogni minimo intervento eseguito dal singolo sulle pareti esterne alla villetta di proprietà esclusiva. È quanto emerge dalla sentenza 20248/16, pubblicata il 7 ottobre dalla seconda sezione civile della Cassazione.

Dimensioni e colore

Diventa definitiva la decisione della Corte d’appello: né la pensilina né la parabola alterano le linee architettoniche e la fisionomia estetica del complesso immobiliare. Decisive le foto agli atti: “la tettoia è piccola, sobria e di colore neutro e s’inserisce in modo armonico nell’ambiente. E l’antenna satellitare, che pure ha dimensioni modeste, risulta piazzata sulla facciata posteriore della villetta, come d’altronde hanno già fatto altri condomini“. La valutazione in proposito compiuta dai giudici del merito è un tipico accertamento in fatto che risulta insindacabile in sede di legittimità se motivato in modo adeguato.

Funzioni inassimilabili

Inutile poi invocare la condominialità dei muri maestri ex articolo 1117 Cc ripresa dal regolamento perché i muri perimetrali sono invece di proprietà esclusiva e non sono quindi assimilabili ai primi: hanno soltanto la funzione di delimitare le varie porzioni e di sorreggere la copertura, anch’essa di proprietà esclusiva (o in comune fra le due villette affiancate). Il regolamento, in definitiva, vieta solo innovazioni e modificazioni senza il placet dell’assemblea e per contestare quest’interpretazione il condominio avrebbe dovuto prospettare la violazione delle norme di interpretazione del contratto ex articoli 1362 Cc e seguenti. Non l’ha fatto e dunque paga le spese di giudizio.