Spese condominiali e prescrizione

Spese condominiali e prescrizione: nel condominio degli edifici vige la regola generale, stabilita dal comma 1 dell’art. 1123 cod. civ., per cui le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione ovvero casi specifici, comunque dettagliatamente disciplinati, che attengono per lo più all’uso differenziato del bene comune e alla destinazione parziale o esclusiva degli anzidetti beni, opere e impianti.
Da ciò discende che, fatta eccezione per le particolarità sopra delineate, l’obbligo contributivo incombe su tutti i condòmini, in relazione alle rispettive quote millesimali.
A tal proposito può accadere che, stante magari l’inerzia dell’amministratore, i contributi condominiali vengano concretamente richiesti, quand’anche giudizialmente, a distanza di anni dall’insorgenza del credito, anche se con la riforma del condominio e, in particolare, con la nuova formulazione dell’art. 63 disp. att. cod. civ., il legislatore pare abbia voluto in qualche modo imporre una scadenza nella riscossione dei contributi, prevedendo la facoltà dello stesso amministratore di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, in caso di mora nei pagamenti protrattasi per oltre un semestre.
In questi casi occorre fare i conti con l’eventuale prescrizione del diritto al pagamento delle quote condominiali che, come è noto, rappresenta un modo di estinzione del diritto, quando il titolare non lo esercita per un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge.

Spese condominiali e prescrizione: Il caso

Per poter parlare di questo tema, facciamo riferimento ad una recente sentenza del Giudice di pace di Campobasso, pubblicata in data 5 Aprile 2016 .
In quel giudizio, afferente l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da un condomino avverso l’ingiunzione di pagamento chiesta e ottenuta dal condominio per il pagamento delle quote condominiali, l’opponente eccepiva tra l’altro la prescrizione del diritto di cui era portatore il condominio.
Nella sentenza si affronta innanzitutto la problematica relativa al periodo dell’insorgenza del credito, in altri termini, da quando inizia a decorrere il termine prescrizionale.
A tal proposito, la sentenza sembrerebbe porsi in contrasto con la giurisprudenza più recente formatasi sul punto.
Tanto è vero che nella stessa è dato leggere come: «l’obbligo del condomino di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge con la delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, che può peraltro anche mancare ove esistano le tabelle millesimali, strumento questo che permette di individuare con certezza, attraverso un semplice calcolo matematico, le somme concretamente dovute dai singoli condomini».
Continua il Giudice di pace sostenendo come il riferimento va alle spese di ordinaria gestione «per le quali neppure è indispensabile, se non per una doverosa trasparenza nella gestione stessa, una preventiva approvazione da parte dell’assemblea. Sono esborsi da effettuarsi a scadenze fisse e che parimenti devono essere anticipati dai condomini all’amministratore, il quale può provvedervi sulla base dei poteri attribuitigli dalla legge ed indipendentemente dal deliberato dell’assemblea».
Se da una parte lo stesso sembrerebbe sostenere, pertanto, che l’obbligo di contribuzione sorge nel momento dell’approvazione delle spese, termine pertanto dal quale iniziare a far decorrere la prescrizione, continua in maniera contraddittoria affermando come: «E’ in sede di consuntivo che le spese devono invece essere sottoposte all’approvazione dell’assemblea, unitamente al piano di riparto definitivo. Con l’approvazione del consuntivo l’amministratore adempie il proprio compito di rendere comunque conto ai condomini del proprio operato al termine della gestione; con quella del riparto egli ottiene invece la legittimazione di agire nei confronti dei condomini morosi per il recupero delle somme da loro con certezza dovute. Infatti l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera assembleare che approva le spese stesse» (Cassazione civile, Sezione II, sentenza 2 settembre 2008, n. 22024), con ciò spostando il tempo dell’insorgenza del credito al momento di approvazione della delibera di ripartizione delle spese, che può anche essere adottata in un momento successivo all’approvazione delle stesse.
La sentenza sicuramente non risulta di immediata intellegibilità e, come detto, sul punto appare oltre modo ambigua, e sembrerebbe sposare la tesi prospettata da una certa giurisprudenza che, tuttavia, specie dopo la riforma del condominio, non appare più condivisibile.
Ed invero, parte della giurisprudenza ha ritenuto che: «L’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente, e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l’individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini sia il frutto di una semplice operazione matematica» (Cassazione civile, Sezione II, sent. 21 luglio 2005, n. 15288), di contrario avviso, tuttavia, altra parte della giurisprudenza di legittimità, sia pure risalente, oltre che quella di merito, che sul punto hanno evidenziato come: «L’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con l’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1135 n. 3 c. c., sorge soltanto dal momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese; ne consegue che la prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della ripartizione delle spese e non dell’esercizio di bilancio» (Cassazione civile, Sezione II, sentenza 5 novembre 1992, n. 11981; Giudice di pace Palermo, 15 novembre 2011).
Orientamento ribadito tuttavia di recente dalla Suprema Corte nella sentenza della II Sezione civile del 25 febbraio 2014, n. 4489 che ha stabilito come la prescrizione: «decorre dalla delibera di approvazione del rendiconto e dello stato di riparto, costituente il titolo nei confronti del singolo condomino».
Tale ultima prospettazione appare senz’altro condivisibile, in considerazione del fatto che, se il momento dell’insorgenza dell’obbligazione condominiale venisse effettivamente anticipato a quello della delibera di approvazione delle spese, ciò contrasterebbe con il dettato del nuovo art. 63 disp. att. cod. civ., che appunto prevede come l’amministratore può ottenere, anche senza autorizzazione assembleare, ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva, ma solo sulla scorta dello stato di ripartizione approvato dall’assemblea, e non certo dalla mera approvazione delle spese.
Peraltro, diversamente opinando ci sarebbero evidenti problemi di liquidità ed esigibilità del credito, condizioni indispensabili per l’ottenimento dell’ingiunzione di pagamento.
Chiarito che appare preferibile considerare quale momento iniziale della decorrenza del termine della prescrizione la delibera di approvazione del piano di riparto, analizziamo la durata del predetto termine.

Spese condominiali e prescrizione: il perché della sentenza!

La sentenza in commento si pone in linea con il consolidato orientamento per cui: «In tema di spese condominiali, per loro natura periodiche, trova applicazione il disposto dell’articolo 2948 cod. civ., n. 4 in ordine alla prescrizione quinquennale dei relativi crediti” (Ex multis: Cassazione civile, Sezione II, sentenza 25 febbraio 2014, n. 4489), preceduta da analoga sentenza resa in materia di compenso dell’amministratore: «Poiché il credito per le somme anticipate nell’interesse del condominio dall’amministratore trae origine dal rapporto di mandato che intercorre con i condomini, non trova applicazione la prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2948 n.4 cod. civ., non trattandosi di obbligazione periodica; né tale carattere riveste l’obbligazione relativa al compenso dovuto all’amministratore, atteso che la durata annuale dell’incarico, comportando la cessazione “ex lege” del rapporto, determina l’obbligo dell’amministratore di rendere il conto alla fine di ciascun anno” (Cassazione civile, Sezione II, sentenza 4 ottobre 2005, n. 19348)
Tuttavia, il termine quinquennale della prescrizione viene espressamente riferito alle solo obbligazioni a carattere periodico, nel caso concreto alle ordinarie spese di gestione, la cui insorgenza infatti ha cadenza annuale ovvero più breve.
Per quanto concerne invece le spese per le quali appare esclusa l’incidenza periodica, il riferimento va alle spese straordinarie che, in quanto tali, sorgono una tantum, in mancanza di diversa disposizione legislativa il termine di prescrizione è quello ordinario, vale a dire decennale, in virtù del disposto di cui all’articolo 2946 cod. civ., per il quale: «Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni».
A tal proposito, la sentenza in commento, espressamente riferisce come: «Diverso discorso vale, invece, per le spese relative ai lavori di straordinaria manutenzione, per le quali il termine prescrizionale, in virtù del loro carattere occasionale, si amplia rimanendo normali crediti assoggettati all’ordinario regime di prescrizione di dieci anni. Infatti in un giudizio analogo con la recente sentenza 18826/2015, la quinta sezione civile del Tribunale di Roma ha rigettato un’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da alcuni condomini avverso l’atto notificatogli dal condominio al fine di recuperare alcune somme dovute in forza dei lavori di straordinaria manutenzione effettuati sul balcone di loro proprietà. Per il giudice, infatti, il termine breve ha senso solo con riferimento a spese periodiche, che si rinnovano annualmente».
Di talché, per tutte le spese straordinarie, si pensi ad esempio al rifacimento dei balconi, dei solai, delle terrazze o della facciata, fermo restando l’inizio del termine di decorrenza, la prescrizione del diritto al pagamento della quota posta a carico dei singoli condòmini si prescrive in dieci anni.

Confonde il conto corrente personale con quello del condominio?: L’amministratore può essere revocato

Confonde il conto corrente personale con quello del condominio? Allora l’amministratore può essere revocato. Ciò è quanto prevede la riscrittura dell’istituto condominiale da parte della legge n. 220/2012, che ha visto l’interesse del Legislatore per la tutela dei condòmini consumatori, introducendo, tra le altre cose, “il caso di revoca dell’Amministratore che attua una gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomìni“.
La rilevanza di questo caso, sta nel fatto che “sia ritenuto sufficiente una “potenziale” confusione patrimoniale, senza che se ne pretenda l’accertamento di tipo documentale o peritale. E’ evidente, dunque, come la ratio della norma sia quella di scongiurare dal principio modus operandi poco chiari e che possono dare adito a dubbi circa la buona fede dell’Amministratore. Tuttavia, risulta evidente come in un procedimento promosso in camera di consiglio per la revoca giudiziaria dell’Amministratore scatti comunque un profilo di “causa e contraddittorio” nell’attività giurisdizionale-amministartiva posta in essere dal Giudice che, tra le altre cose, a mente del nuovo art. 64 disp. att. c.c., ha l’obbligo proprio di sentire l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente“.

L’amministratore può essere revocato quando confonde il proprio conto corrente con quello del condominio

Ecco quindi il motivo della necessità impellente di giungere ad una forma di “accertamento” benché della sola possibilità di confusione patrimoniale, così come richiamata dall’art. 1129 codice civile, c. 11, n. 4. Pertanto, si tratterà di individuare la semplice modalità di gestione sufficiente a delineare lo scenario del mero pregiudizio della confusione patrimoniale. Tuttavia, un elenco, non certamente esaustivo della casistica, possiamo provare a redigerlo. Senza alcun dubbio, a creare confusione patrimoniale, potrebbe essere la presenza in contabilità e nelle rendicontazioni periodiche dei conti correnti, di banche e poste del condominio, di bonifici in entrata o in uscita da o verso altri condomìni amministrati dallo stesso Amministratore. Per questo motivo, a nulla varrà dimostrare che comunque tali operazioni possano essere compensate tra entrate ed uscite, e l’Amministratore può scongiurare la revoca soltanto nel caso in cui riuscirà a fornire convincenti spiegazioni al Giudice come per esempio nel caso di errore materiale nell’utilizzo dell’home banking. “E’ chiaro, però, che ripetute operazioni di questo tipo non potranno mai essere giustificate da alcuna distrazione di sorta atteso che, al contrario, una siffatta modalità di gestione tende verosimilmente a celare spostamenti di fondi da un condominio all’altro per coprire buchi di bilancio e ammanchi. Stessa cosa dicasi nel caso di versamenti in entrata e in uscita tra il conto corrente condominiale e quello personale dell’amministratore per quegli importi che andranno oltre la soglia del compenso giustificato.
Può certamente costituire motivo di confusione patrimoniale anche la presenza di versamenti in contanti da parte dell’Amministratore sul conto corrente del condominio senza che ciò sia possibile accompagnarlo con una specifica causale da riportarsi nella movimentazione bancaria, come ad esempio “4° rata ordinaria Sig. Rossi Mario”, in tutti quesi casi in cui l’Amministratore riscuote quote condominiali in contanti. In questi particolari circostanze, la possibilità di confusione patrimoniale nasce dalla soluzione di continuità nel percorso di tracciabilità che va dal versamento in contanti da parte del condòmino Mario Rossi al versamento fatto successivamente per contanti in banca dall’Amministratore e questo per due ordini di motivi. Il primo è che risulterebbe, da un punto di vista strettamente peritale non sostenibile la tesi secondo la quale sarebbe comunque la ricevuta rilasciata dall’Amministratore a documentare e provare la tracciabilità atteso che la ricevuta potrebbe andare smarrita o potrebbe risultare oggetto di contestazione di falso da parte dell’Amministratore, e il secondo perché in ogni caso l’amministratore potrebbe raccogliere quote in contanti in un dato periodo, utilizzarle a scopo personale e solo dopo diverso tempo versare suoi soldi sul conto condominiale a rimedio“.

Le spese personali non possono essere deliberate dall’assemblea

Le spese personali non possono essere deliberate dall’assemblea, e l’eventuale delibera già presa va annullata se l’avviso di convocazione dell’assemblea non è comunicato almeno cinque giorni prima rispetto alla data dall’adunata assembleare di prima convocazione. Allo stesso modo, l’assemblea condominiale si ritiene nulla nel caso in cui questa eserciti il potere di richiedere somme di denaro o altre prestazioni, violando così gli art. 1123 e 1135 c.c.

Perché le spese personali non possono essere deliberate dall’assemblea?

Questa decisione nasce in seguito all’impugnazione di una delibera assembleare ordinasi e straordinaria di un condominio, contestata dai condomini per:
1)” violazione degli artt. 1136 c.c. e 66 delle disposizioni di attuazioni al Codice civile per il fatto che l’avviso di convocazione dell’assemblea del condominio, tenutasi in prima convocazione in data 22 febbraio, è stato comunicato all’attrice, per il tramite del custode del condominio, solo in data 18 febbraio, senza quindi il rispetto del termine minimo di cinque giorni a far data dall’adunata assembleare di prima convocazione, con conseguente annullabilità dell’intero deliberato assembleare“;
2) “violazione dell’art. 1123 c.c. con riferimento al punto numero uno dell’ordine del giorno che ha approvato il consuntivo per l’esercizio di gestione 2012/2013, avendo addebitato a un condòmino spese personali per complessivi Euro 5.071,84, con conseguente nullità in parte qua della delibera stante il fatto che assemblea aveva esercitato un potere che non le spettava;
Il condominio resisteva. Ma il Tribunale di Milano, Sez. XIII^, nella Sentenza n. 5195/2016 pubblicata il 27/04/2016, accoglieva l’impugnazione della delibera“.

Del resto la persona che aveva impugnato la delibera assembleare, faceva presente proprio il fatto che risultava provato che aveva avuto in consegna dal custode l’avviso della convocazione dell’assemblea, prevista per le date del 22 e 24 febbraio,ed indicate rispettivamente per la prima e per la seconda convocazione, soltanto in data 18 febbraio 2014.

Ciò risultava in evidente violazione del combinato disposto degli artt. 1136 c.c. e 66 delle disposizioni di attuazioni al Codice civile, che richiedono che l’avviso di convocazione dell’assemblea debba essere comunicato al condomino, a pena di invalidità della delibera, almeno cinque giorni prima rispetto alla data dall’adunata assembleare di prima convocazione“.
Dal canto suo, invece, il condominio replicava che le convocazioni assembleari destinate ai condomini fossero già disponibili in data 16 febbraio, senza però avere dato la prova della suddetta circostanza.
Stante, pertanto, la natura di atto recettizio dell’avviso di convocazione assembleare e la mancata prova del fatto che la condòmina avesse ricevuto tale avviso, fissata l’assemblea, in prima convocazione, in data 22 febbraio, vale a dire almeno cinque giorni prima come richiesto dalla legge, conseguiva la declaratoria di annullabilità dell’intero deliberato assembleare assunto per violazione di legge.
Nonostante questo motivo fosse assorbente su tutti gli altri, il giudice si pronunciava su ulteriori profili di doglianza di parte attrice.
Si evidenziava, infatti, anche che nella parte della delibera in cui veniva approvato il consuntivo per l’esercizio di gestione 2012/2013 erano addebitate alla condòmina spese personali per complessivi Euro 5.071,84. L’assemblea aveva esercitato un potere che non le spettava ex art. 1135 c.c., non rientrando tra le prerogative assembleari quelle di addossare ai condomini, in violazione dell’art. 1123 c.c., fantomatiche spese di natura personale, posto che l’assemblea non è dotata di “autodichia”, cioè non può farsi giustizia da sé.
Tali deliberati, infatti, esulavano dalle attribuzioni dell’assemblea, che non aveva il potere di imputare al singolo condòmino una determinata spesa, al di fuori di quelle inerenti la gestione, manutenzione e conservazione dei beni comuni condominiali e solo per la quota di sua spettanza, senza che la stessa fosse accettata e riconosciuta espressamente dalla condomina”.

Le spese private non possono essere deliberate dall’assemblea: il caso

Queste stesse spese, inoltre, non erano state in precedenza oggetto di accertamento giudiziale (non c’era stata quindi alcuna condanna al pagamento), “laddove, invece, all’assemblea dei condomini non può essere riconosciuto, al di fuori delle proprie attribuzioni previste e regolate dalla normativa codicistica sopra richiamata, un potere di “autodichia” consistente nel farsi giustizia da sé e nel richiedere somme di danaro e/o altre prestazioni che non rientrino in quelle sopra richiamate, con conseguente nullità delle delibere che, invece, statuissero in tal senso (Cass. civ., Sez. II, 30/04/2013, n. 10196; Cass. civ. Sez. II, 21/05/2012, n. 8010; Cass. civ., Sez. II, 22/07/1999, n. 7890;Trib. Milano, Sez. XIII, 6/5/2004 n. 5717)”.
Ciò significa che la spesa in questione andava necessariamente ripartita tra tutti condòmini, in base ai millesimi di proprietà, ai sensi dell’art.1123 c.c., “quale criterio legale generale di ripartizione delle spese, esulando, quindi dalle attribuzioni dell’assemblea il potere di imputare, con l’efficacia vincolante propria della deliberazione assembleare, le spese in maniera difforme, in mancanza di diversi criteri convenzionali. (Cass. civ., Sez. II, 22/07/1999, n. 7890; Trib. Milano, Sez. XIII, 17/07/2012;Trib. Milano, Sez. XIII, 6/5/2004 n. 5717)“.
Inoltre per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali, queste sono affette da nullità, e la cosa può essere fatta valere anche da parte dello stesso condomino che le ha votate. Pertanto “le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario, per esse, il consenso unanime dei condomini.
In senso conforme si pone anche la recentissima Sentenza della Cassazione Civile sez. II del 23.03.2016 n. 5814 che afferma: «Le attribuzioni dell’assemblea condominiale, previste dall’art. 1135 cod. civ. sono circoscritte alla verificazione ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri legali di riparto delle spese».
Logica conseguenza di ciò è che deve ritenersi nulla e non meramente annullabile, anche se assunta all’unanimità, la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall’art. 1126 cod. civ., senza che tutti i condòmini abbiano manifestato l’espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso“.