Parcheggio condominiale: se vengono assegnati a maggioranza posti auto solo ad alcuni condomini senza indicare i turni, la delibera è nulla

Parcheggio condominiale: è nulla, e non soltanto annullabile, la delibera dell’assemblea che assegna in via esclusiva posti auto ad alcuni condomini, al di fuori di ogni logica di turnazione, “magari per compensare qualcuno di loro di qualche vecchia pendenza verso il Condominio“. La maggioranza semplice basta soltanto quando si tratta di destinare il cortile comune al parcheggio dei veicoli. Ma, stando all’attuale comma quarto dell’articolo 1120 Cc. sono vietate le innovazioni che si risolvono rendendo la parte comune del comprensorio residenziale inservibile all’uso o al godimento anche di un solo condomino. Ecco dunque la necessità di far scattare d lo stop per questa delibera che introduce “un utilizzo particolare di un bene comune che finisce per invadere i diritti degli altri condomini”.

Parcheggio condominiale: assegnazione dei posti auto

Questo è quanto ha stabilito la Cassazione che, con la sentenza 11034/16, pubblicata il 27 maggio dalla seconda sezione civile, ha
accolto il ricorso di alcuni condomini contro il privilegio riconosciuto ad altri da una delibera che risaliva addirittura ad oltre trentacinque anni prima, e che autorizzava alcuni residenti a parcheggiare l’auto in delle piazzole diverse da quelle stabilite nell’atto di compravendita. Pertanto, la Suprema corte ha deciso nel merito ponendo nel nulla la decisione dell’assemblea dichiarando che “sbaglia la Corte d’appello a ritenere legittima la delibera perché assunta per compensare uno dei residenti della perdita di un’area di proprietà esclusiva dopo la scissione dell’originario condominio: la maggioranza semplice risulta infatti sufficiente quando la delibera introduce un’innovazione che consente un uso più comodo o proficuo della cosa comune; mentre il divieto ex articolo 1120, quarto comma, C.c serve proprio a evitare che il singolo proprietario veda contrarsi il suo diritto di godere entro la sua quota delle parti comuni del condominio. Ecco allora perché è illegittima la delibera che senza stabilire turni fra i proprietari assegna in via esclusiva e a tempo indeterminato i posti macchina nel complesso residenziale: finisce col limitare l’uso e il godimento che compete agli altri condomini sul bene comune, la cui compressione non può essere giustificata da alcuna esigenza di compensazione. Spese di giudizio compensate“.

Gli effetti della nomina dell’amministratore cessano dopo due anni

Con una pronuncia del 15 Aprile 2016 il Tribunale di Brescia (R.G. 5103/2015) conferma che gli effetti della nomina dell’amministratore cessando dopo due anni, pertanto il rinnovo dell’amministratore deve avvenire “dopo il primo anno, a pieni poteri, senza il raggiungimento del quorum dei 500 millesimi e metà più uno degli intervenuti

Tutto ciò, per via dell’orientamento delle recenti sentenze dei vari Tribunali nei quali si dà ormai per assodata la durata biennale dell’incarico senza dover necessariamente inserire “il punto all’ordine del giorno alla scadenza del primo anno di mandato“. Inoltre,in questo modo si rafforza anche la tesi accolta nella sentenza della Corte d’Appello di Venezia, seconda sezione, pubblicata il 14/1/15 R.G. 364/2014 V.G..
La pronuncia bresciana specifica poi che “l’intervento del Tribunale in volontaria giurisdizione è possibile solo quando l’amministratore sia dimissionario o revocato in carica o per uno dei motivi di cui al comma 11 dell’articolo 1129 e l’assemblea non provveda alla nomina; e chiarisce che gli effetti della nomina cessano comunque alla fine dei 730 giorni, legittimando l’amministratore al compimento delle sole attività di cui al comma 8 dell’articolo 1129 del Codice civile“.

Stop agli abusi dell’area destinata al parcheggio!

Stop agli abusi dell’area destinata a parcheggio: il comproprietario di un’area di parcheggio che blocca l’accesso o l’uscita alle altre automobili commette una «molestia possessoria», anche se questi lascia sempre le chiavi nel cruscotto per consentire agli altri di spostare tranquillamente la sua macchina. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 10624/2016 , respingendo il ricorso di una condòmina che, da più di un anno, era solita lasciare la sua macchina parcheggiata in modo da impedire le manovre ad un’altra comproprietaria che precedentemente aveva costruito nell’area comune una tettoia sotto la quale lasciava l’auto.

Stop agli abusi dell’area destinata al parcheggio: Il caso

Inizialmente, la signora che era solita abusare dello spazio destinato al parcheggio, aveva avuto partita vinta. Infatti, il Tribunale aveva respinto la richiesta di una delle due contendenti di “essere reintegrata nel possesso dei due posti auto sotto la pensilina“, ritenendo “non provato il possesso esclusivo dello spazio posto nell’area comune“. Per la Corte d’Appello, invece, il punto centrale non era tanto il possesso dei posti sotto la tettoia, bensì il parcheggio “selvaggio” che impediva le manovre a chiunque volesse parcheggiare la propria auto sotto la tettoia, e dello stesso avviso sono stati i giudici della Cassazione. Nella fattispecie, secondo i giudici della seconda sezione “la molestia possessoria era nell’impedire l’entrata e l’uscita da parte degli altri comproprietari. L’aver disposto la cessazione della turbativa anziché la reintegrazione del possesso rientra – sottolinea la Suprema corte – nell’esercizio del potere di interpretazione della domanda che spetta al giudice. La mera turbativa costituisce, infatti, un minus rispetto allo spoglio e nella domanda di reintegrazione del possesso è ricompresa o implicita quella di manutenzione dello stesso”. I giudici ricordano che in base all’articolo 1102, comma 2 il partecipante alla comunione non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri. Il comune possesso trova dunque una tutela contro tutte le attività con le quali “uno dei compossessori comproprietari, introduca una modificazione che sopprima o turbi il compossesso degli altri”. Invece, è del tutto ininfluente la giustificazione della signora di lasciare le chiavi nel cruscotto.

Inviare una lettera offensiva all’amministratore è diffamazione

Inviare una lettera offensiva all’amministratore è diffamazione. Inutili tutti i tentavi dell’imputato per far dichiarare questo comportamento un reato di ingiuria, sperando, fra le altre cose, di poter godere della depenalizzazione che ha avuto questo reato, a seguito dell’entrata in vigore del Dlgs 7 /2016 che ha cancellato questo reato penale, trasformandolo in un illecito civile.
Ma procediamo con ordine. Tutto è iniziato con una lettera che un tecnico (l’imputato) aveva scritto, dando del “mentecatto” all’amministratore di una multiproprietà, anche la sua intenzione era quella di fare delle precisazioni in ordine al pagamento dei suoi onorari e in risposta ad una lettera della persona offesa (amministratore) che ne pretendeva la gratuità. Inoltre, la missiva era stata inviata, non solo all’amministratore, ma anche ad altri soggetti residenti nel condominio.
Per questo motivo, sia i giudici di primo che quelli di secondo grado hanno dichiarato l’imputato colpevole di diffamazione ai danni dell’amministratore, e pertanto lo hanno condannato al pagamento di una multa nonché al risarcimento dei danni causati alla parte civile.
Ritenendo ingiusta la condanna, però, l’imputato ha deciso di  inoltrare ricorso per cassazione, invitando i giudici a pensare che potesse trattarsi di  ingiuria aggravata in quanto lo scritto, contente l’offesa alla reputazione dell’amministratore, era stato indirizzato anche,e non soltanto, al medesimo.

Inviare una lettera offensiva all’amministratore costituisce diffamazione: anche la Corte di cassazione lo conferma

Anche i supremi giudici, richiamando precedenti pronunce, con la sentenza n. 18919/2016 che nel caso «l’offesa sia contenuta in una missiva diretta ad una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non può considerarsi concretata la fattispecie dell’ingiuria aggravata dalla presenza di altre persone, proprio per la non contestualità del recepimento delle offese medesime per la conseguente maggiore diffusione delle stesse».
Nella fattispecie in esame, non sussiste. a loro avviso,  “il delitto di ingiuria ma quello di diffamazione in quanto la lettera era stata indirizzata ad altri due condomini ed era stata letta anche da altre persone che facevano parte dell’amministrazione in quanto la lettera era stata inviata impersonalmente all’amministratore di condomino (senza aver precisato riservata-personale) e, quindi, nella piena consapevolezza che la stessa poteva essere posta a conoscenza anche di altre persone e che comunque sarebbe stata protocollata agli atti dell’amministrazione a disposizione di chiunque vi potesse accedere» (Cassazione, sentenza 18919/2016 ).
Così è stato condannato per il reato di diffamazione l’amministratore che, in una lettera inviata a tutto il condominio, riportava le espressioni ingiuriose pronunciate durante l’assemblea nei confronti di due condomini.
Secondo i giudici di legittimità «il diritto-dovere dell’amministratore di informare il Condominio dei fatti avvenuti nel corso dell’assemblea deve accordarsi con l’interesse delle persone offese a che le frasi contro la propria reputazione non vengano ulteriormente diffuse” (Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n 44387/2015).
Inoltre, sempre secondo i Supremi Giudici, anche affiggere nel portone del condominio i nominativi dei morosi è diffamazione poiché, si legge in sentenza, “non vi è alcun interesse da parte di terzi alla conoscenza di quei fatti, anche se veri” (Cassazione, sentenza 39986/2014).

Spese condominiali e prescrizione

Spese condominiali e prescrizione: nel condominio degli edifici vige la regola generale, stabilita dal comma 1 dell’art. 1123 cod. civ., per cui le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione ovvero casi specifici, comunque dettagliatamente disciplinati, che attengono per lo più all’uso differenziato del bene comune e alla destinazione parziale o esclusiva degli anzidetti beni, opere e impianti.
Da ciò discende che, fatta eccezione per le particolarità sopra delineate, l’obbligo contributivo incombe su tutti i condòmini, in relazione alle rispettive quote millesimali.
A tal proposito può accadere che, stante magari l’inerzia dell’amministratore, i contributi condominiali vengano concretamente richiesti, quand’anche giudizialmente, a distanza di anni dall’insorgenza del credito, anche se con la riforma del condominio e, in particolare, con la nuova formulazione dell’art. 63 disp. att. cod. civ., il legislatore pare abbia voluto in qualche modo imporre una scadenza nella riscossione dei contributi, prevedendo la facoltà dello stesso amministratore di sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, in caso di mora nei pagamenti protrattasi per oltre un semestre.
In questi casi occorre fare i conti con l’eventuale prescrizione del diritto al pagamento delle quote condominiali che, come è noto, rappresenta un modo di estinzione del diritto, quando il titolare non lo esercita per un determinato periodo di tempo stabilito dalla legge.

Spese condominiali e prescrizione: Il caso

Per poter parlare di questo tema, facciamo riferimento ad una recente sentenza del Giudice di pace di Campobasso, pubblicata in data 5 Aprile 2016 .
In quel giudizio, afferente l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da un condomino avverso l’ingiunzione di pagamento chiesta e ottenuta dal condominio per il pagamento delle quote condominiali, l’opponente eccepiva tra l’altro la prescrizione del diritto di cui era portatore il condominio.
Nella sentenza si affronta innanzitutto la problematica relativa al periodo dell’insorgenza del credito, in altri termini, da quando inizia a decorrere il termine prescrizionale.
A tal proposito, la sentenza sembrerebbe porsi in contrasto con la giurisprudenza più recente formatasi sul punto.
Tanto è vero che nella stessa è dato leggere come: «l’obbligo del condomino di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge con la delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, che può peraltro anche mancare ove esistano le tabelle millesimali, strumento questo che permette di individuare con certezza, attraverso un semplice calcolo matematico, le somme concretamente dovute dai singoli condomini».
Continua il Giudice di pace sostenendo come il riferimento va alle spese di ordinaria gestione «per le quali neppure è indispensabile, se non per una doverosa trasparenza nella gestione stessa, una preventiva approvazione da parte dell’assemblea. Sono esborsi da effettuarsi a scadenze fisse e che parimenti devono essere anticipati dai condomini all’amministratore, il quale può provvedervi sulla base dei poteri attribuitigli dalla legge ed indipendentemente dal deliberato dell’assemblea».
Se da una parte lo stesso sembrerebbe sostenere, pertanto, che l’obbligo di contribuzione sorge nel momento dell’approvazione delle spese, termine pertanto dal quale iniziare a far decorrere la prescrizione, continua in maniera contraddittoria affermando come: «E’ in sede di consuntivo che le spese devono invece essere sottoposte all’approvazione dell’assemblea, unitamente al piano di riparto definitivo. Con l’approvazione del consuntivo l’amministratore adempie il proprio compito di rendere comunque conto ai condomini del proprio operato al termine della gestione; con quella del riparto egli ottiene invece la legittimazione di agire nei confronti dei condomini morosi per il recupero delle somme da loro con certezza dovute. Infatti l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera assembleare che approva le spese stesse» (Cassazione civile, Sezione II, sentenza 2 settembre 2008, n. 22024), con ciò spostando il tempo dell’insorgenza del credito al momento di approvazione della delibera di ripartizione delle spese, che può anche essere adottata in un momento successivo all’approvazione delle stesse.
La sentenza sicuramente non risulta di immediata intellegibilità e, come detto, sul punto appare oltre modo ambigua, e sembrerebbe sposare la tesi prospettata da una certa giurisprudenza che, tuttavia, specie dopo la riforma del condominio, non appare più condivisibile.
Ed invero, parte della giurisprudenza ha ritenuto che: «L’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente, e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l’individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini sia il frutto di una semplice operazione matematica» (Cassazione civile, Sezione II, sent. 21 luglio 2005, n. 15288), di contrario avviso, tuttavia, altra parte della giurisprudenza di legittimità, sia pure risalente, oltre che quella di merito, che sul punto hanno evidenziato come: «L’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con l’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1135 n. 3 c. c., sorge soltanto dal momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese; ne consegue che la prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della ripartizione delle spese e non dell’esercizio di bilancio» (Cassazione civile, Sezione II, sentenza 5 novembre 1992, n. 11981; Giudice di pace Palermo, 15 novembre 2011).
Orientamento ribadito tuttavia di recente dalla Suprema Corte nella sentenza della II Sezione civile del 25 febbraio 2014, n. 4489 che ha stabilito come la prescrizione: «decorre dalla delibera di approvazione del rendiconto e dello stato di riparto, costituente il titolo nei confronti del singolo condomino».
Tale ultima prospettazione appare senz’altro condivisibile, in considerazione del fatto che, se il momento dell’insorgenza dell’obbligazione condominiale venisse effettivamente anticipato a quello della delibera di approvazione delle spese, ciò contrasterebbe con il dettato del nuovo art. 63 disp. att. cod. civ., che appunto prevede come l’amministratore può ottenere, anche senza autorizzazione assembleare, ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva, ma solo sulla scorta dello stato di ripartizione approvato dall’assemblea, e non certo dalla mera approvazione delle spese.
Peraltro, diversamente opinando ci sarebbero evidenti problemi di liquidità ed esigibilità del credito, condizioni indispensabili per l’ottenimento dell’ingiunzione di pagamento.
Chiarito che appare preferibile considerare quale momento iniziale della decorrenza del termine della prescrizione la delibera di approvazione del piano di riparto, analizziamo la durata del predetto termine.

Spese condominiali e prescrizione: il perché della sentenza!

La sentenza in commento si pone in linea con il consolidato orientamento per cui: «In tema di spese condominiali, per loro natura periodiche, trova applicazione il disposto dell’articolo 2948 cod. civ., n. 4 in ordine alla prescrizione quinquennale dei relativi crediti” (Ex multis: Cassazione civile, Sezione II, sentenza 25 febbraio 2014, n. 4489), preceduta da analoga sentenza resa in materia di compenso dell’amministratore: «Poiché il credito per le somme anticipate nell’interesse del condominio dall’amministratore trae origine dal rapporto di mandato che intercorre con i condomini, non trova applicazione la prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2948 n.4 cod. civ., non trattandosi di obbligazione periodica; né tale carattere riveste l’obbligazione relativa al compenso dovuto all’amministratore, atteso che la durata annuale dell’incarico, comportando la cessazione “ex lege” del rapporto, determina l’obbligo dell’amministratore di rendere il conto alla fine di ciascun anno” (Cassazione civile, Sezione II, sentenza 4 ottobre 2005, n. 19348)
Tuttavia, il termine quinquennale della prescrizione viene espressamente riferito alle solo obbligazioni a carattere periodico, nel caso concreto alle ordinarie spese di gestione, la cui insorgenza infatti ha cadenza annuale ovvero più breve.
Per quanto concerne invece le spese per le quali appare esclusa l’incidenza periodica, il riferimento va alle spese straordinarie che, in quanto tali, sorgono una tantum, in mancanza di diversa disposizione legislativa il termine di prescrizione è quello ordinario, vale a dire decennale, in virtù del disposto di cui all’articolo 2946 cod. civ., per il quale: «Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni».
A tal proposito, la sentenza in commento, espressamente riferisce come: «Diverso discorso vale, invece, per le spese relative ai lavori di straordinaria manutenzione, per le quali il termine prescrizionale, in virtù del loro carattere occasionale, si amplia rimanendo normali crediti assoggettati all’ordinario regime di prescrizione di dieci anni. Infatti in un giudizio analogo con la recente sentenza 18826/2015, la quinta sezione civile del Tribunale di Roma ha rigettato un’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da alcuni condomini avverso l’atto notificatogli dal condominio al fine di recuperare alcune somme dovute in forza dei lavori di straordinaria manutenzione effettuati sul balcone di loro proprietà. Per il giudice, infatti, il termine breve ha senso solo con riferimento a spese periodiche, che si rinnovano annualmente».
Di talché, per tutte le spese straordinarie, si pensi ad esempio al rifacimento dei balconi, dei solai, delle terrazze o della facciata, fermo restando l’inizio del termine di decorrenza, la prescrizione del diritto al pagamento della quota posta a carico dei singoli condòmini si prescrive in dieci anni.

Confonde il conto corrente personale con quello del condominio?: L’amministratore può essere revocato

Confonde il conto corrente personale con quello del condominio? Allora l’amministratore può essere revocato. Ciò è quanto prevede la riscrittura dell’istituto condominiale da parte della legge n. 220/2012, che ha visto l’interesse del Legislatore per la tutela dei condòmini consumatori, introducendo, tra le altre cose, “il caso di revoca dell’Amministratore che attua una gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomìni“.
La rilevanza di questo caso, sta nel fatto che “sia ritenuto sufficiente una “potenziale” confusione patrimoniale, senza che se ne pretenda l’accertamento di tipo documentale o peritale. E’ evidente, dunque, come la ratio della norma sia quella di scongiurare dal principio modus operandi poco chiari e che possono dare adito a dubbi circa la buona fede dell’Amministratore. Tuttavia, risulta evidente come in un procedimento promosso in camera di consiglio per la revoca giudiziaria dell’Amministratore scatti comunque un profilo di “causa e contraddittorio” nell’attività giurisdizionale-amministartiva posta in essere dal Giudice che, tra le altre cose, a mente del nuovo art. 64 disp. att. c.c., ha l’obbligo proprio di sentire l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente“.

L’amministratore può essere revocato quando confonde il proprio conto corrente con quello del condominio

Ecco quindi il motivo della necessità impellente di giungere ad una forma di “accertamento” benché della sola possibilità di confusione patrimoniale, così come richiamata dall’art. 1129 codice civile, c. 11, n. 4. Pertanto, si tratterà di individuare la semplice modalità di gestione sufficiente a delineare lo scenario del mero pregiudizio della confusione patrimoniale. Tuttavia, un elenco, non certamente esaustivo della casistica, possiamo provare a redigerlo. Senza alcun dubbio, a creare confusione patrimoniale, potrebbe essere la presenza in contabilità e nelle rendicontazioni periodiche dei conti correnti, di banche e poste del condominio, di bonifici in entrata o in uscita da o verso altri condomìni amministrati dallo stesso Amministratore. Per questo motivo, a nulla varrà dimostrare che comunque tali operazioni possano essere compensate tra entrate ed uscite, e l’Amministratore può scongiurare la revoca soltanto nel caso in cui riuscirà a fornire convincenti spiegazioni al Giudice come per esempio nel caso di errore materiale nell’utilizzo dell’home banking. “E’ chiaro, però, che ripetute operazioni di questo tipo non potranno mai essere giustificate da alcuna distrazione di sorta atteso che, al contrario, una siffatta modalità di gestione tende verosimilmente a celare spostamenti di fondi da un condominio all’altro per coprire buchi di bilancio e ammanchi. Stessa cosa dicasi nel caso di versamenti in entrata e in uscita tra il conto corrente condominiale e quello personale dell’amministratore per quegli importi che andranno oltre la soglia del compenso giustificato.
Può certamente costituire motivo di confusione patrimoniale anche la presenza di versamenti in contanti da parte dell’Amministratore sul conto corrente del condominio senza che ciò sia possibile accompagnarlo con una specifica causale da riportarsi nella movimentazione bancaria, come ad esempio “4° rata ordinaria Sig. Rossi Mario”, in tutti quesi casi in cui l’Amministratore riscuote quote condominiali in contanti. In questi particolari circostanze, la possibilità di confusione patrimoniale nasce dalla soluzione di continuità nel percorso di tracciabilità che va dal versamento in contanti da parte del condòmino Mario Rossi al versamento fatto successivamente per contanti in banca dall’Amministratore e questo per due ordini di motivi. Il primo è che risulterebbe, da un punto di vista strettamente peritale non sostenibile la tesi secondo la quale sarebbe comunque la ricevuta rilasciata dall’Amministratore a documentare e provare la tracciabilità atteso che la ricevuta potrebbe andare smarrita o potrebbe risultare oggetto di contestazione di falso da parte dell’Amministratore, e il secondo perché in ogni caso l’amministratore potrebbe raccogliere quote in contanti in un dato periodo, utilizzarle a scopo personale e solo dopo diverso tempo versare suoi soldi sul conto condominiale a rimedio“.

Le spese personali non possono essere deliberate dall’assemblea

Le spese personali non possono essere deliberate dall’assemblea, e l’eventuale delibera già presa va annullata se l’avviso di convocazione dell’assemblea non è comunicato almeno cinque giorni prima rispetto alla data dall’adunata assembleare di prima convocazione. Allo stesso modo, l’assemblea condominiale si ritiene nulla nel caso in cui questa eserciti il potere di richiedere somme di denaro o altre prestazioni, violando così gli art. 1123 e 1135 c.c.

Perché le spese personali non possono essere deliberate dall’assemblea?

Questa decisione nasce in seguito all’impugnazione di una delibera assembleare ordinasi e straordinaria di un condominio, contestata dai condomini per:
1)” violazione degli artt. 1136 c.c. e 66 delle disposizioni di attuazioni al Codice civile per il fatto che l’avviso di convocazione dell’assemblea del condominio, tenutasi in prima convocazione in data 22 febbraio, è stato comunicato all’attrice, per il tramite del custode del condominio, solo in data 18 febbraio, senza quindi il rispetto del termine minimo di cinque giorni a far data dall’adunata assembleare di prima convocazione, con conseguente annullabilità dell’intero deliberato assembleare“;
2) “violazione dell’art. 1123 c.c. con riferimento al punto numero uno dell’ordine del giorno che ha approvato il consuntivo per l’esercizio di gestione 2012/2013, avendo addebitato a un condòmino spese personali per complessivi Euro 5.071,84, con conseguente nullità in parte qua della delibera stante il fatto che assemblea aveva esercitato un potere che non le spettava;
Il condominio resisteva. Ma il Tribunale di Milano, Sez. XIII^, nella Sentenza n. 5195/2016 pubblicata il 27/04/2016, accoglieva l’impugnazione della delibera“.

Del resto la persona che aveva impugnato la delibera assembleare, faceva presente proprio il fatto che risultava provato che aveva avuto in consegna dal custode l’avviso della convocazione dell’assemblea, prevista per le date del 22 e 24 febbraio,ed indicate rispettivamente per la prima e per la seconda convocazione, soltanto in data 18 febbraio 2014.

Ciò risultava in evidente violazione del combinato disposto degli artt. 1136 c.c. e 66 delle disposizioni di attuazioni al Codice civile, che richiedono che l’avviso di convocazione dell’assemblea debba essere comunicato al condomino, a pena di invalidità della delibera, almeno cinque giorni prima rispetto alla data dall’adunata assembleare di prima convocazione“.
Dal canto suo, invece, il condominio replicava che le convocazioni assembleari destinate ai condomini fossero già disponibili in data 16 febbraio, senza però avere dato la prova della suddetta circostanza.
Stante, pertanto, la natura di atto recettizio dell’avviso di convocazione assembleare e la mancata prova del fatto che la condòmina avesse ricevuto tale avviso, fissata l’assemblea, in prima convocazione, in data 22 febbraio, vale a dire almeno cinque giorni prima come richiesto dalla legge, conseguiva la declaratoria di annullabilità dell’intero deliberato assembleare assunto per violazione di legge.
Nonostante questo motivo fosse assorbente su tutti gli altri, il giudice si pronunciava su ulteriori profili di doglianza di parte attrice.
Si evidenziava, infatti, anche che nella parte della delibera in cui veniva approvato il consuntivo per l’esercizio di gestione 2012/2013 erano addebitate alla condòmina spese personali per complessivi Euro 5.071,84. L’assemblea aveva esercitato un potere che non le spettava ex art. 1135 c.c., non rientrando tra le prerogative assembleari quelle di addossare ai condomini, in violazione dell’art. 1123 c.c., fantomatiche spese di natura personale, posto che l’assemblea non è dotata di “autodichia”, cioè non può farsi giustizia da sé.
Tali deliberati, infatti, esulavano dalle attribuzioni dell’assemblea, che non aveva il potere di imputare al singolo condòmino una determinata spesa, al di fuori di quelle inerenti la gestione, manutenzione e conservazione dei beni comuni condominiali e solo per la quota di sua spettanza, senza che la stessa fosse accettata e riconosciuta espressamente dalla condomina”.

Le spese private non possono essere deliberate dall’assemblea: il caso

Queste stesse spese, inoltre, non erano state in precedenza oggetto di accertamento giudiziale (non c’era stata quindi alcuna condanna al pagamento), “laddove, invece, all’assemblea dei condomini non può essere riconosciuto, al di fuori delle proprie attribuzioni previste e regolate dalla normativa codicistica sopra richiamata, un potere di “autodichia” consistente nel farsi giustizia da sé e nel richiedere somme di danaro e/o altre prestazioni che non rientrino in quelle sopra richiamate, con conseguente nullità delle delibere che, invece, statuissero in tal senso (Cass. civ., Sez. II, 30/04/2013, n. 10196; Cass. civ. Sez. II, 21/05/2012, n. 8010; Cass. civ., Sez. II, 22/07/1999, n. 7890;Trib. Milano, Sez. XIII, 6/5/2004 n. 5717)”.
Ciò significa che la spesa in questione andava necessariamente ripartita tra tutti condòmini, in base ai millesimi di proprietà, ai sensi dell’art.1123 c.c., “quale criterio legale generale di ripartizione delle spese, esulando, quindi dalle attribuzioni dell’assemblea il potere di imputare, con l’efficacia vincolante propria della deliberazione assembleare, le spese in maniera difforme, in mancanza di diversi criteri convenzionali. (Cass. civ., Sez. II, 22/07/1999, n. 7890; Trib. Milano, Sez. XIII, 17/07/2012;Trib. Milano, Sez. XIII, 6/5/2004 n. 5717)“.
Inoltre per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali, queste sono affette da nullità, e la cosa può essere fatta valere anche da parte dello stesso condomino che le ha votate. Pertanto “le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario, per esse, il consenso unanime dei condomini.
In senso conforme si pone anche la recentissima Sentenza della Cassazione Civile sez. II del 23.03.2016 n. 5814 che afferma: «Le attribuzioni dell’assemblea condominiale, previste dall’art. 1135 cod. civ. sono circoscritte alla verificazione ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri legali di riparto delle spese».
Logica conseguenza di ciò è che deve ritenersi nulla e non meramente annullabile, anche se assunta all’unanimità, la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall’art. 1126 cod. civ., senza che tutti i condòmini abbiano manifestato l’espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso“.

Seminario di Aggiornamento – 7 Maggio 2016

Sabato 7 Maggio  dalle ore 9.30 alle 13presso l’Astoria Palace Hotel di Palermo, si svolgerà un
Seminario di aggiornamento ARAI per Amministratori Immobiliari

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Programma:

Per scaricare il programma del seminario in formato PDF cliccare sul seguente collegamento: Scarica Programma

Relatori: Dr. Graspein, Dr. La Scala, Geom. Ferro

Rilascio attestato valido per il riconoscimento di 5 crediti formativi

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA

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Le spese per i lavori di impermealizzazione vanno ripartite in parti uguali tra i proprietari

Secondo l’articolo 1125 Cc, “la pavimentazione non funge da copertura solo per box privati, ma anche per aree condominiali“. Pertanto le spese per i lavori di impermealizzazione vanno ripartite in parti uguali  tra i proprietari dei box sottostanti o soprastanti l’area interessata. Lo ha stabilito la sentenza 24432/13 della quinta sezione del Tribunale di Roma.

La sentenza: le spese per i lavori di impermealizzazione  vanno ripartite in parti uguali tra i proprietari

Pronunciandosi in questo modo, il giudice ha rigettato la domanda di un alcuni proprietari che avevano chiamato in causa il condominio. Oggetto della controversia, in questo caso, era la ripartizione delle spese per i lavori straordinari riguardanti la copertura del piano “piloty”. Nella fattispecie, con una precedente delibera, il condominio stabiliva una divisione equa tra i proprietari degli appartamenti sovrastanti e sottostanti degli oneri per gli interventi di impermealizzazione. Tale criterio, secondo i ricorrenti, “poteva trovare applicazione solo nel caso di rifacimento dei lastrici solari cui non poteva essere assimilato quello della pavimentazione“. Per il tribunale di Roma, invece, “la domanda è infondata nel merito, perché il piano in questione non fungeva da copertura solo per unità private, ma anche per parti comuni, come ad esempio, l’area di manovra d’accesso ai singoli box. Il condominio, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, ha correttamente applicato il criterio di ripartizione previsto dall’articolo 1125 Cc“.
Inoltre, nell’emettere la sentenza, il giudice ha ricordato che “in materia di condominio qualora si debba procedere alla ripartizione del cortile o viale di accesso all’edificio condominiale che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condominio, ai fini della ripartizione delle relative spese non si può ricorrere ai criteri previsti dall’articolo 1126 Cc ma si deve, invece, procedere a un applicazione analogica dell’articolo 1125 Cc il quale accolla per intero le spese relative alla manutenzione della parte della struttura complessa identificati con il pavimento del piano superiore a chi con l’uso esclusivo della stessa determina la necessità della inerente manutenzione, in tal senso verificandosi un’applicazione particolare del principio generale dettata dall’articolo 1123 Cc“.

Pertanto, il condominio ha fatto una più che corretta applicazione del criterio di riparto degli oneri, e di conseguenza la domanda dei proprietari è stata respinta.

impossibile bocciare la proposta di fare i turni se il parcheggio condominiale non è sufficiente per tutti

Il garage condominiale non è una proprietà esclusiva ma collettiva e no, non conta se all’atto della compravendita siano stati o meno indicati i singoli posti auto. In questo modo viene annullata la delibera adottata in violazione dell’articolo 1102 Cc. Per cui adesso è legittimo stabilire dei turni per l’utilizzo del parcheggio condominiale in assenza di spazio sufficiente a soddisfare le esigenze dei singoli condomini. In sintesi, se il parcheggio condominiale non basta per tutti, meglio ricorrere ai turni.

Se il parcheggio condominiale non è sufficiente per tutti, meglio ricorrere ai turni

Infatti, in assenza di prova di diverso titolo esclusivo, l’area garage di un condominio va comunque considerata area comune ed è pertanto oggetto di uso paritario da parte di tutti i condomini. Ciò è quanto disposto dall’articolo 1102 Cc. Al riguardo, invece, la Suprema Corte ha affermato che «l’uso diretto del bene può essere frazionato laddove vi siano i presupposti di fatto per un godimento separato senza alterazione della destinazione della cosa oppure turnato laddove sia impossibile l’uso simultaneo di un res communis ed allora si determina un avvicendamento dei singoli condomini nel godimento del bene».

La sentenza: se il parcheggio condominiale non è sufficiente per tutti, meglio ricorrere ai turni!

Questo è quanto affermato dalla sentenza 309/16 della quinta sezione civile del tribunale di Roma che ha deciso di accogliere il ricorso di una condomina e di annullare la precedente delibera dell’assemblea con la quale era stata rigettata la sua proposta di «una sostituzione dell’assegnazione temporanea o in subordine della turnazione» dei posti auto. Tale delibera, quindi, “violava il suo diritto al pari uso dei beni comuni ai sensi dell’articolo 1102 Cc. Pertanto a nulla valeva quanto eccepito dagli altri condomini circa il fatto che il contratto di compravendita indicasse l’uso di un determinato posto auto visto che l’area è comune e divisa per quote. Nel caso specifico i condomini erano nove, tutti con diritto al pari uso dell’autorimessa che però non aveva gli spazi necessari. Inutile invocare un diritto di usucapione“. Pertanto, secondo quanto stabilito dalla sentenza del tribunale di Roma, la ricorrente ha lo stesso diritto degli altri e quindi da ora in poi, in quel condominio,  bisognerà parcheggiare a turno. in modo che tutti i condomini possono utilizzare il garage allo stesso modo.