Condominio: l’uso corretto del pianerottolo

Cosa è lecito e cosa non è lecito fare sul pianerottolo condominiale

l pianerottolo è una parte dell’edificio condominiale che si presume comune, salvo titolo contrario (cfr. Cass. n. 22330/2009). Ancorché non espressamente menzionato nell’elencazione di cui all’art. 1117 c.c., infatti, il pianerottolo, al pari delle scale, si trova in nesso di strumentalità con le parti di proprietà esclusiva (cfr. Cass. n. 11831/2011) e costituisce elemento necessario alla configurazione di un edificio suddiviso in piani (cfr. Cass. n. 15444/2007).

I principi generali

L’uso del pianerottolo comune è consentito a ciascun condomino purché, ai sensi dell’art. 1102 c.c., questi non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto. I rapporti condominiali, infatti, devono essere improntati al principio di solidarietà, che richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, cosicché la facoltà di ciascun condomino di trarre una più intensa utilizzazione dalla cosa comune deve risultare comunque compatibile con i diritti degli altri (cfr. Cass. n. 21256/2009). Di norma, il regolamento condominiale consente di collocare davanti all’uscio zerbini e tappeti, purché ciò non determini situazioni di pericolo per chi transiti sul pianerottolo o ne renda più incomodo il passaggio; del pari, può essere consentito il deposito della spazzatura, in attesa del conferimento nei cassonetti, purché momentaneo e non pregiudizievole della vivibilità e del decoro dell’edificio.

In applicazione ai principi generali, la giurisprudenza ha chiarito che “la collocazione sul pianerottolo […] di suppellettili determinanti l’ingombro al transito dei condomini […] comporta l’utilizzo illecito della superficie da parte del singolo condomino ex art. 1102 c.c., in danno degli altri comunisti per l’ingombro derivatone, seppur non assoluto, all’agevole e libero passaggio” (Trib. Cassino 01.06.2010).

Invero, in quanto funzionale al miglior godimento dell’immobile da parte di tutti i condomini, il pianerottolo non può essere trasformato dall’occupante l’unità abitativa che vi si affaccia in una pertinenza di fatto della medesima (cfr. Trib Modena 22.02.2007), a meno che la presunzione di comunione sia superata da titolo contrario, come nel caso in cui l’atto costitutivo del condominio abbia riservato, in tutto o in parte, il pianerottolo al dominio personale esclusivo di singoli proprietari (cfr. Cass. n. 1776/1994).

L’indagine sull’esistenza di un titolo idoneo ad escludere la condominialità del pianerottolo, in particolare, risulta rilevante ai fini della valutazione sulla legittimità dell’apertura di porte o dell’installazione di ringhiere e cancelletti da parte del proprietario dell’ultimo piano, innovazioni vietate se non effettuate nei limiti del decoro, della stabilità e della sicurezza dell’edificio condominiale, della medesima destinazione del bene e del pari uso dei condomini (cfr. App. Milano 22.07.1997). In assenza di volontà contraria dei proprietari o degli autori, inoltre, se dei manufatti di qualunque genere vengono realizzati su di un’area in comproprietà e servono all’uso comune, devono considerarsi comuni ai proprietari dei diversi piani o porzioni di piano di un edificio.

Condominio: è possibile portare animali in ascensore?

Molti condomini prevedono clausole che vietano agli animali domestici l’uso del’ascensore insieme ai padroni.

Di fronte alle sempre maggiori clausole regolamentari che proibiscono all’animale, nonostante in compagnia del padrone, di accedere all’ascensore, si è ingenerato un vivace dibattito con al centro la nuova normativa dettata dalla legge 220/12 e del disposto dell’ultimo comma dell’articolo 1138 del codice civile. In sostanza, la legge ha aggiunto al summenzionato articolo un ultimo comma il quale recita espressamente che le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. La normativa, tuttavia, riguarda il regolamento assembleare, il quale sia stato approvato in assemblea nel rispetto delle maggioranze previste dall’art. 1138 del codice civile.

Diverso il caso del regolamento contrattuale, che richiede l’approvazione di tutti i condomini e può, di fatto, andare a limitare i diritti dei singoli sulle parti comuni e di proprietà esclusiva, senza però derogare a quanto stabilito dal quarto comma dell’art. 1138. In pratica le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare a una serie di norme puntualmente elencate.

Tra queste non risulta menzionato l’art. 1102 del codice civile, che si occupa dell’uso della cosa comune, stabilendo che ciascun partecipante possa servirsene purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

In particolare, l’art. 17 d.p.r. n. 162/99, riguardante i divieti di utilizzazione dell’ascensore, vieta “l’uso degli ascensori e dei montacarichi ai minori di anni 12, non accompagnati da persone di età più elevata”, ma nulla stabilisce con riferimento agli animali.

È questo il quadro normativo, nella sua complessità, che ha indotto i proprietari di animali domestici a ritenere illegittime le clausole che impediscono l’uso dell’ascensore agli animali domestici, posto che il bene viene utilizzato in maniera conforme alla sua destinazione. Da qui l’impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria che in diverse occasioni ha ritenuto affetta da nullità la clausola regolamentare.

Ogni clausola, tuttavia, deve essere valutata caso per caso e in relazione al contesto. Il regolamento, ad esempio, può prevedere delle norme di condotta per disciplinare l’uso delle cose comuni: se, per legge, i cani devono essere dotati di microchip, iscritti all’anagrafe canina e sottoposti a controlli veterinari, per evitare che la presenza del peloso nello stabile arrechi pregiudizio agli altri inquilini, potrebbe, ad esempio, essere imposto che venga condotto al guinzaglio, che l’ascensore venga mantenuto pulito dal proprietario a seguito dell’utilizzo e così via.

Ciononostante, il dibattito non può dirsi affatto concluso, come dimostra una recente sentenza del Tribunale di Monza il 28 marzo 2017 a seguito dell’impugnazione per nullità di una clausola del regolamento del supercondominio che aveva previsto non solo il divieto dell’uso dell’ascensore ai proprietari accompagnati dal proprio animale domestico, ma anche sanzioni in caso di inosservanza. Il Tribunale, nonostante le rimostranze, si è espresso per la validità di tale clausola, dando ragione al supercondominio convenuto il quale aveva replicato che il regolamento non impediva agli inquilini di detenere animali domestici, ma unicamente di utilizzare l’ascensore, bene comune, per il loro trasporto.

Lastrico solare: è possibile ripartire le spese di riparazione fra tutti i condomini?

Cassazione Civile, sez. II, sentenza 16/02/2017 n° 4183

In tema di ripartizione delle spese di impermeabilizzazione e pavimentazione della terrazza a livello, di uso esclusivo di un solo condomino, non devono contribuire agli esborsi unicamente i proprietari delle unità immobiliari sottostanti – che fruiscono della copertura – ma tutti i condomini se il regolamento di natura contrattuale dispone in tal senso.

Così si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza del 16 febbraio 2017, n. 4183.

DIMISSIONI DELL’AMMINISTATORE

Anche l’amministratore, seppur non revocato dall’Assemblea, è libero di lasciare l’incarico in qualsiasi momento e senza preavviso, presentando le dimissioni. L’articolo 1722 prevede che il mandato possa estinguersi anche «per rinunzia del mandatario», che rimane in carica ad interim fino alla nomina del sostituto. In questi casi, in assenza di una giusta causa, venendo meno il rapporto di mandato, non è da escludere che l’amministratore dimissionario possa essere tenuto a risarcire il danno al condominio. L’iter per le dimissioni prevede che il professionista comunichi la decisione, per iscritto, a tutti i condomini e successivamente convochi l’assemblea, inserendo come punto all’ordine del giorno, oltre alle dimissioni, la nomina del nuovo amministratore. Se l’assemblea non riesce a raggiungere il quorum per la nomina del successore, come stabilito dall’articolo 1129, primo comma, del Codice civile, lo stesso professionista dimissionario può ricorrere all’autorità giudiziaria e chiedere la nomina giudiziale del nuovo amministratore.

Immissioni di fumi

Con la sentenza 14467/2017 la Corte di Cassazione si è occupatale «molestie olfattive», che sono inquadrate nel reato di «getto pericoloso di cose» (articolo 674 del Codice penale) a seguito di una bizzarra vicenda condominiale dove fumi, odori e rumori persistentemente molesti sono stati oggetto di dispute giudiziarie tra due vicini.

Entrando nel merito, i proprietari di un appartamento sono stati accusati dai condòmini di aver provocato continue immissioni di fumi, odori e rumori molesti dalla loro cucina. A nulla è valsa la considerazione dei primi per la quale la causa era da ricercarsi in emissioni di odori di cucina che, per loro natura, non avrebbero integrato i requisiti per la sussistenza del reato, oltre al fatto che tra le parti vi erano stati precedentemente contrasti di vicinato.

Confermando le decisioni dei primi due gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha condannato gli imputati, dichiarandoli colpevoli di «getto pericoloso di cose», respingendo l’argomentazione dei ricorrenti in base alla quale tale norma non sarebbe estensibile agli odori.

La Cassazione ha quindi deciso che, come precisato più volte dalla giurisprudenza, la contravvenzione prevista dall’articolo 674 del Codice penale «è configurabile anche nel caso di molestie olfattive a prescindere dal soggetto emittente con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, al criterio della normale tollerabilità di cui all’articolo 844 del Codice civile». Nel caso in esame, tale tollerabilità è stata ritenuta superata; di qui la decisione della Corte di respingere il ricorso presentato dai proprietari «olfattivamente molesti».

Il Giudice valuta la legittimità non il merito

L’autorità giudiziaria chiamata a esprimersi sulla validità di una delibera assembleare, impugnata da uno o più condomini, non può entrare nel merito della questione, ma soltanto limitarsi a riscontrarne la legittimità, ossia la conformità alle leggi o, se esistenti, al regolamento di condominio. È quanto stabilito dal Tribunale di Milano con la sentenza 435 del 16 gennaio 2017 che, per l’ennesima volta, accende il dibattito sull’eccesso di potere dell’assemblea condominiale e, in seconda battuta, sull’operato del sindacato di legittimità del giudice.

Non è possibile la revoca di un Amministratore se le iregolarità sono “formali” e non “sostanziali”

La legge 220/2012 ha posto particolare attenzione sulla figura dell’amministratore. A prescindere dai requisiti, personali e professionali, il legislatore ha voluto tutelare il più possibile l’interesse dei condòmini a non subire pregiudizi da gestioni poco attente e non trasparenti, stabilendo anche l’obbligo di rendere noti ai condòmini i propri dati anagrafici e professionali sia in sede di accettazione dell’incarico che di rinnovo. Proprio su questo aspetto il Tribunale di Milano con ordinanza del 1° giugno 2016, aveva revocato un amministratore che, all’atto del rinnovo dell’incarico, non aveva comunicato i propri dati anagrafici e professionali e che non aveva curato la tenuta del registro di anagrafe condominiale.

Di diverso avviso è stata la Corte d’appello, che ha respinto una valutazione formalistica dell’operato dell’amministratore (sentenza 3842/2016 del 19 luglio 2016) . La Corte, infatti, nel riformare il provvedimento, da un lato ha rilevato che, per quanto dal verbale dell’assemblea – nel corso della quale l’incarico era stato rinnovato – in effetti non figurassero indicati i dati anagrafici e professionali, essendo l’amministratore in carica da svariati anni tali dati dovevano ritenersi pacificamente noti ai condòmini oltre che desumibili dalle varie comunicazioni inviate (convocazioni, lettere eccetera); dall’altro lato, con riferimento al caso specifico, la Corte ha ritenuto che l’amministratore avesse soddisfatto l’interesse del ricorrente a conoscere i dati degli altri condomini, fornendo i nominativi in suo possesso pur in mancanza di un registro di anagrafe condominiale regolarmente tenuto(decreto 19 luglio 2016). Nella sostanza la Corte ha riaffermato un principio già noto e cioè che per la revoca giudiziale dell’amministratore è necessario che la condotta contestata sia almeno potenzialmente dannosa.

L’amministratore che non osserva gli obblighi imposti dalla legge incorre sì in inadempimento, ma non necessariamente nella revoca giudiziale. Stante la natura contrattuale del rapporto di mandato, l’inadempienza dell’amministratore autorizza i condomini, oltre che a procedere alla revoca con delibera assembleare, a sospendere legittimamente il pagamento del compenso in applicazione dei principi che regolano l’esecuzione dei contratti a prestazioni corrispettive. In tal senso diverse pronunce del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano che anche più di recente (sentenza 4038/16) ha respinto la domanda di pagamento dei compensi formulata dall’ex amministratore che non aveva presentato il rendiconto, non attribuendo alcuna rilevanza alla circostanza che gli atti della gestione nel loro complesso considerati fossero in sé regolari.

Sta al condominio provare che la spesa risale a meno di un anno prima dell’acquisto dell’appartamento

È il condominio che invoca la responsabilità solidale dell’acquirente per le spese di straordinaria manutenzione a essere gravato della prova dell’inerenza dell’esborso all’anno in corso o a quello precedente al subentro del nuovo proprietario. È quanto ha stabilito la sesta sezione civile della Cassazione con l’ordinanza 7395/17, pubblicata in questi giorni.
Il collegio rigetta il ricorso di un condominio contro i proprietari di un appartamento, chiamati a partecipare, per la quota di spettanza, alle spese di straordinaria manutenzione della facciata dell’edificio. I convenuti erano “freschi” acquirenti e si opponevano alla richiesta perché l’obbligo di spesa era insorto prima del loro subentro. Pertanto, secondo il tribunale che accoglieva la loro istanza, la spesa deliberata doveva rimanere estranea all’anno antecedente entro cui operava la corresponsabilità dell’acquirente, non avendo il condominio provato che l’anno di gestione coincidesse con l’anno solare. Dello stesso avviso è la Cassazione che respinge il ricorso dell’ente di gestione.
Per l’applicazione dell’articolo 63, comma 2, Cc al caso in esame, «quando sia insorto l’obbligo di partecipazione a spese condominiali per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni (in questo caso, la ristrutturazione della facciata dell’edificio condominiale), deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione di tale intervento avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione». Pertanto, il compratore risponde verso il venditore solo «per le spese condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui sia divenuto condomino, mentre ha diritto di rivalersi nei confronti del suo dante causa allorché sia stato chiamato dal condominio a rispondere di obbligazioni nate in epoca anteriore all’acquisto». Il ragionamento seguito dal tribunale risulta, perciò, corretto, in quanto è il condominio, «il quale invochi in giudizio la responsabilità solidale dell’acquirente di un’unità immobiliare per contributi relativi alla conservazione o al godimento delle parti comuni, ad essere gravato della prova dei fatti costitutivi del proprio credito, fra i quali è certamente compresa l’inerenza della spesa all’anno in corso o a quello precedente al subentro dell’acquirente». In base a tali motivazioni, la Suprema corte respinge il ricorso del condominio.