Prescrizione decennale per gli anticipi sostenuti dall’amministratore

La giurisprudenza registra indirizzi contrastanti riguardo al termine prescrizionale entro cui richiedere gli anticipi sostenuti dall’amministratore del condominio nel corso degli esercizi.

Ci sono tre orientamenti: il primo sostiene che tali crediti ricadano nella prescrizione ordinaria decennale disciplinata dall’articolo 2946 Codice civile, il secondo ribadisce l’applicazione della prescrizione quinquennale sancita dall’articolo 2948 Codice civile ritenendo che le spese anticipate siano soggette a pagamento periodico, il terzo afferma l’applicabilità del termine di cui all’articolo 2956, numero 2 del Codice civile laddove stabilisce che si prescrive in tre anni il diritto dei professionisti per il rimborso delle spese. L’interessante pronuncia del Tribunale di Torino (pubblicata il 26 maggio 2022, numero 2253) sposa la prima tesi.

L’amministratrice di un condominio aveva convenuto quest’ultimo dinnanzi al tribunale torinese per sentirlo condannare al rimborso delle anticipazioni sostenute nel corso di due esercizi gestionali. Per i giudici andava respinta l’eccezione di prescrizione del credito sollevata dal condominio.

Il fondamento del credito
Il credito dell’amministratore si fonda, per costante giurisprudenza, sull’articolo 1720 Codice civile, ovvero sul contratto di mandato con rappresentanza. Secondo tale disposto, «il mandante è tenuto a rimborsare al mandatario le anticipazioni con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte». L’obbligazione restitutoria sorge nel preciso istante in cui avviene l’anticipazione.

La cessazione dell’amministratore dall’ufficio gestorio non determina alcun mutamento della situazione: la domanda diretta a ottenere il rimborso di somme anticipate nell’interesse della gestione condominiale può essere proposta nei confronti del condominio o, eventualmente, contro i singoli condòmini inadempienti e la prescrizione è l’ordinaria decennale.

Esclusa la prescrizione breve
Il giudicante ha escluso l’applicabilità della prescrizione breve quinquennale sancita dall’articolo 2948, numero 4, Codice civile («in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi»). Infatti, ha precisato che il credito derivante dagli anticipi non è soggetto a pagamento periodico e non inerisce al contratto d’opera intellettuale.

Perciò è esclusa la prescrizione presuntiva disciplinata dall’articolo 2956, numero 2 del Codice civile («professionisti… per il rimborso delle spese»).

Terrazza abusiva da demolire? Non può opporsi il condomino che ne trae beneficio

Quando l’abuso giova a terzi più che al proprietario che lo ha commesso. È davvero singolare la storia su cui si è pronunciato il 3 maggio scorso il Tar toscano, sezione fiorentina, nella sentenza 606/2022.

I fatti di causa

A rivolgersi al tribunale amministrativo i condòmini di uno stabile che contestavano il diniego comunale alla loro richiesta di sanatoria di un abuso, commesso da terzi. Si trattava della società proprietaria dell’appartamento a piano terra occupato da un istituto bancario. Sulla chiostra interna, posta al livello del primo piano, utilizzata come locale macchine per il riscaldamento/raffreddamento degli uffici della banca, insisteva originariamente una copertura in lamiera, destinata a proteggere gli impianti dalla sporcizia e dalle intemperie. Nel 2001, in accordo con gli altri condòmini, ma senza acquisire alcun titolo abilitativo, la società proprietaria dell’immobile aveva effettuato lavori di consolidamento della copertura, rendendola praticabile, per poterla pulire e manutenere, mediante accesso dall’appartamento posto al piano secondo, acquisito poi da una famiglia.

Per quest’ultima quel solaio era diventato un terrazzo calpestabile a tutti gli effetti. Perciò si era opposta all’azione intentata da un altro proprietario che dall’abuso aveva invece subito un danno, perdendo aria e luce all’appartamento. E la società proprietaria? Favorevole all’abbattimento dell’abuso si era autodenunciata al Comune che aveva intimato la demolizione dell’opera. Tutto lineare? Niente affatto.

L’abuso e la proprietà dello stesso

La condomina proprietaria dell’appartamento che dava sul solaio abusivo e altri condomini avevano chiesto la sanatoria dell’abuso, dicendosi del tutto contrari alla demolizione. Sostenevano che il solaio fosse di proprietà condominiale poggiando sulle pareti interne perimetrali della chiostra, di proprietà condominiale. Censure infondate per il Tar fiorentino. Innanzitutto – scrivono – sfugge alla giurisdizione del giudice amministrativo l’accertamento della proprietà del solaio di cui il Comune ha ordinato la rimozione.

Il potere di verifica del titolo legittimante non impone all’amministrazione di svolgere complessi e laboriosi accertamenti, diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile considerato. Il Tribunale certifica solo la legittimità del provvedimento di diniego impugnato. Poiché nel caso in questione quel provvedimento è stato richiesto dallo stesso autore dell’abuso, la decisione comunale è più che legittima.

Appropriazione indebita, l’amministratore condannato va in carcere se non risarcisce il danno

L’articolo 47 del Dpr 354/1975 consente di espiare la pena detentiva inflitta, come misura alternativa al carcere, con l’affidamento in prova ai servizi sociali per un periodo uguale a quello da scontare. La misura consente al condannato di soggiornare nella sua abitazione, di solito dalle 21.00 fino alle 06,00, con alcune prescrizioni, e di svolgere l’attività lavorativa, sempre che la pena inflitta non superi i quattro anni e il reato non sia di particolare gravità. La concessione della misura non è automatica, ma viene concessa dal Tribunale di sorveglianza a seguito della richiesta del condannato e sulla base di un’approfondita istruttoria.

Il caso trattato

Un amministratore condominiale era stato condannato, in via definitiva, per il reato di appropriazione indebita aggravata e continuata perché, dal 2008 al 2011, si era impossessato di euro ottantamila, sottraendoli illecitamente ai condòmini. Il condannato chiedeva al Tribunale di sorveglianza l’affidamento in prova ai servizi sociali e tale richiesta veniva rigettata in quanto, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite ( procedimenti pendenti, informazioni di polizia giudiziaria , relazione Uepe , nota dell’Ispettorato del lavoro), risultavano problematicità relative alla disponibilità abitativa, alla relazione con la moglie, al mancato risarcimento del danno alle persone offese , se non attraverso offerte palesemente inadeguate, alla mancanza di una presa di coscienza delle sue responsabilità e di una rivisitazione critica delle sue condotte criminose, all’assenza di un’attività lavorativa.

Tale elementi non consentivano al Tribunale di sorveglianza di formulare, nei confronti del condannato, una ragionevole prognosi di mancata reiterazione dei reati. Il condannato ricorreva avverso la sentenza, lamentandone l’ingiustizia, in quanto il Tribunale aveva aderito acriticamente alla relazione Uepe, non aveva valutato la disponibilità del ricorrente a risarcire il danno attraverso importi proporzionati alla sua disponibilità economica e non avesse considerato che la mancata attività lavorativa derivava dalla sua età e che il giudizio prognostico negativo fosse infondato.

La decisione della Cassazione

La Suprema corte nella sentenza 20473/2022 dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente a pagare euro 3.000 alla Cassa delle ammende poiché:
– per formulare il giudizio prognostico favorevole il Tribunale deve valutare anche la condotta del condannato tenutasi successivamente al reato che è essenziale per accertare l’esistenza di un effettivo recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva (Cassazione 31420/2015);
– ai fini del diniego della concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali il Tribunale può legittimamente valutare l’ingiustificata indisponibilità del condannato a risarcire la vittima, non ostando a tale considerazione la mancata previsione del risarcimento del danno, quale condizione per la concessione del beneficio (Cassazione 39266/2017).

La Cassazione affermava che il Tribunale di sorveglianza aveva legittimamente negato il beneficio al condannato poiché, nell’ esercizio della sua discrezionalità e in modo non illogico, aveva attribuito valore preponderante alla mancanza di una revisione critica del passato deviante del condannato. Il ricorrente aveva dichiarato di avere fatto sempre del bene, nei colloqui intrattenuti con il personale Uepe, e non aveva adottato condotte riparatrici a favore delle vittime del reato, a fronte della rilevante entità delle somme (pari ad euro ottantamila) oggetto dell’indebita appropriazione indebita commessa in qualità di amministratore condominiale.

Conclusioni

Il ricorrente infatti non risarciva il danno, offriva a ciascuna delle parti offese 1.500 euro, somma notevolmente inferiore a quella sottratta, soltanto a seguito di plurime ed inutili richieste dilatorie di rinvio delle udienze del giudizio di cognizione. Le parti offese rifiutavano detta offerta ritenendola, giustamente, non congrua. Per la Cassazione, a fronte delle fondate argomentazioni del Tribunale di sorveglianza, il ricorso consisteva in una rilettura parcellizzata della motivazione e dei fatti già esaminati in primo grado e non consentita nel giudizio di legittimità.

L’amministratore condominiale era stato condannato per il reato di appropriazione indebita aggravata alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione e poiché la stessa è superiore al limite edittale di anni due di reclusione , previsto dall’articolo 163 Codice penale per ottenere la sospensione della pena , e in quanto l’istanza di affidamento è stata respinta, il procuratore deve emettere , nei suoi confronti, l’ordine di esecuzione per la carcerazione, ai sensi dell’articolo 656 Codice procedura penale.