L’ultimo tratto di scale che conduce al terrazzo di proprietà esclusiva non può essere chiuso dal singolo condomino

Lo ribadisce l’ex articolo 1117 del Codice Civile: “le rampe di scale costituiscono strumento indispensabile per fruire della copertura dell’edificio”.
Un singolo condomino, proprietario del terrazzo situato all’ultimo piano di un condominio, non può chiudere con una porta all’altezza del pianerottolo l’ultimo tratto di scale, anche e soprattutto se questo non conduce soltanto ai locali di sua esclusiva proprietà. Ciò per via di quanto stabilito dall’ex articolo 1117 Cc secondo il quale: “le strutture essenziali dell’edificio come le scale appartengano a tutti per quanto poste a servizio soltanto di alcune porzioni dello stabile: insomma, tutte le rampe sono condominiali in assenza di titolo contrario”. Questo è quanto emerge dalla sentenza 4664/16, pubblicata il 9 marzo dalla sesta sezione civile della Cassazione.

Presunzione fondata

In questo modo, viene confermata la sentenza d’appello che aveva rovesciato la precedente decisione del Tribunale. Nella fattispecie, la prima rampa di scale è comune ad entrambe le proprietà: “serve per accedere al terrazzo di X all’altezza del pianerottolo, ma anche a quello di Y che si trova al piano di sopra. Sbaglia il giudice di prime cure a rigettare la domanda proposta da X contro la porta installata da Y per chiudere l’accesso alla seconda rampa: non coglie nel segno il rilievo che la parte non avrebbe provato titoli di proprietà sull’ultimo tratto di scale. In realtà negli atti di acquisto degli immobili di ciascuno dei due proprietari non si coglie alcun riferimento in grado di escludere che la seconda rampa rientri nella comproprietà di X: l’intera scala va ritenuta un bene condominiale ex articolo 1117 Cc. Non conta che l’ultima rampa serva soprattutto a mettere in comunicazione con il terrazzo di proprietà esclusiva di Y: la scala in sé serve a tutti i condomini dello stabile come strumento indispensabile per esercitare il godimento della copertura dell’edificio benché non abbiano ordinariamente interesse a percorrere anche le rampe superiori. Al proprietario del terrazzo all’ultimo piano non resta che pagare le spese di giudizio più il contributo unificato aggiuntivo e rimuovere la porta”.

E’ valida la delibera per la quale si possono dividere le spese per millesimi in mancanza di tabelle approvate

Dividere le spese in millesimi anche in mancanza di tabelle millesimali e del regolamento? Da adesso si può. Non si tratta di un vizio di eccesso di potere in assenza di una motivazione circa l’affidamento dell’appalto alla ditta cui sono stati affidati i lavori e le cui spese, per l’appunto, sono state ripartite per millesimi, se a scegliere quella determinata ditta è stata proprio l’assemblea. Pertanto, come evidenziato dalla sentenza 73/2016 della seconda sezione civile del Tribunale di Taranto, il ricorso fatto da un condomino che ha impugnato una delibera condominiale, che aveva approvato un preventivo di spesa per dei lavori straordinari di manutenzione, a suo dire non molto vantaggiosi, va rigettato.

La Sentenza

Il condomino in questione, fra le altre cose, ha affermato “l’incompetenza dell’assemblea nella decisione in esame”. In poche parole, partendo proprio dalla questione dei millesimi, il Tribunale di Taranto ribadisce che: “La preesistenza di tabelle millesimali non è necessaria per il funzionamento e la gestione del condominio, non solo ai fini della ripartizione delle spese, ma neppure per la costituzione delle assemblee e la validità delle deliberazioni. La formazione delle tabelle millesimali nonché la loro modifica, non necessita di forma scritta ad substantiam ed è desumibile anche da facta concludentia, quale il costante pagamento per più anni delle quote millesimali secondo criteri prestabiliti, invece dalla formale approvazione, fatta salva la possibilità del singolo condomino di impugnare la ripartizione delle spese quando questa non rispetti i criteri dettati dalla legge, per essere divergenti il valore della quota considerato ai fini della spesa e quello reale del bene in proprietà esclusiva”.

Il Caso

Per quanto riguarda invece l’affidamento dei lavori non si può accusare l’assemblea di eccesso di potere solo perché questa non aveva fornito la motivazione sulla scelta della ditta che ha successivamente eseguito i lavori consistenti in frontalini, fioriere e muretti dei parapetti. In fondo, si tratta di elementi strutturali che conferiscono un’identità estetica al fabbricato e alla sua facciata e che incidono su entità condominiali: pertanto la relativa spesa va deliberata dall’assemblea. In tal proposito, la Suprema corte ha affermato che: “l’assemblea può liberamente compiere le sue scelte operative e devono ritenersi tassative le limitazioni poste dalla legge, talché, ove esercitasse un sindacato di controllo sulle valutazioni e determinazioni dell’assise, il giudice finirebbe con il sostituirsi alla volontà dei partecipanti al condominio senza nessuna previsione normativa che ve lo legittimi”. I ricorsi presentati dal condomino vanno pertanto rigettati.

Condominio parziale: ecco cosa accade quando il cancello è usato solo da alcuni

Le spese di manutenzione di un cancello devono essere ripartite solo tra i condomini (condominio parziale) comproprietari dell’area alla quale dà accesso il cancello stesso.

Questo è quanto ha ribadito la Cassazione civile (sentenza 4127/2016) nel corso di una decisione riguardante una causa di impugnazione assembleare di una delibera precedentemente emessa che aveva assegnato ai soli condomini comproprietari dell’area del cortile, le spese di manutenzione del cancello. In pratica, l’amministratore di condominio aveva deciso di ripartire le spese sulla base dell’esistenza di un “condominio parziale”, ovvero di alcuni beni che, a causa della propria struttura funzionale, possono essere utilizzati solo da alcuni condomini e non da tutti.
In poche parole, la Cassazione ha dichiarato legittima questa delibera poiché rispettosa di tutti quei principi espressi più volte dalla stessa Corte suprema.

La Sentenza

Nella fattispecie – osserva la Corte – si si deve ricordare che la natura condominiale (quindi non esclusiva) di un bene è accertata qualora il bene stesso sia destinato a servire non la proprietà di un solo condomino ma una parte del fabbricato (appunto il condominio parziale), riferibile ad un numero limitato di condòmini”.
Quindi, una volta appurato che il bene in questione (ovvero il cancello) serve alcuni e non tutti i condòmini, dovrà essere applicato il principio espresso dall’articolo 1123 del Codice civile: norma quest’ultima, che prevede che le spese, se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, sono ripartite in base all’uso che ciascuno può farne”.
La Corte, nel prendere questa decisione, ha richiamato un principio per via del quale “deve ritenersi legittimamente configurabile la fattispecie del condominio parziale ex lege tutte le volte in cui un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto dell’edificio in condominio, venendo meno in tal caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene”.

Il Caso

In questo modo, ovvero applicando questi principi di diritto, la Corte ha rilevato come, in questo caso, trattandosi di un cortile di proprietà solo di alcuni condòmini, ovvero di un condominio parziale, le spese riguardanti la manutenzione del cancello spettano solo ai comproprietari.

I comproprietari valgono per una sola «testa» ai fini del supercondominio

Un nostro lettore ci ha chiesto: “Amministro un supercondominio di 8 stabili per complessivi 120 enti, in quanto ogni edificio è costituito da 7 appartamenti ed otto cantine, per un totale di 56 appartamenti e 64 cantine. 51 appartamenti fruiscono di una cantina ciascuno, 4 appartamenti ne hanno 8, 1 appartamento è di proprietà dell’Ater unitamente a 5 cantine distribuite in 4 stabili.
Essendo quasi tutti gli appartamenti di proprietà di 2 o più persone, superando ampiamente il numero di 100, chiedo se a tale casistica vada applicato quanto previsto dal comma 3 art. 67 delle “Disposizioni di attuazione del codice civile”.”.

Conta il numero delle teste, non quello delle unità Immobiliari

Ecco la soluzione più adatta al suo problema: “Ciò che rileva al fine del conteggio del numero dei partecipanti al condominio è il numero delle così dette “teste” e non il numero delle unità immobiliari. Qualora una unità immobiliare appartenga a più persone, esse, ai fini del conteggio dei “partecipanti” al condominio, vengono considerate come “uno”. Se una persona è proprietaria di più unità immobiliari nello stesso condominio (o supercondominio come nel suo caso), essa verrà conteggiata come “uno”. Pertanto, se ho bene compreso, nel suo caso vi sono 56 partecipanti al condominio e, quindi, non trova applicazione l’articolo 67 commi III e IV delle disposizioni di attuazione del codice civile che prevedono una speciale forma di rappresentanza all’assemblea del supercondominio.

Precetto al condominio: il creditore non può pretendere le spese per escutere tutti i condomini

Quando un creditore intima il precetto ad un condominio, può pretendere il pagamento di tutte le spese sostenute per l’attività propedeutica alla sua esecuzione, solo e soltanto da parte del destinatario dell’atto esecutivo senza poter in alcun modo rivendicare per sé le spese dovute dagli altri debitori in solido, ovvero tutti i condomini.
In particolare, il creditore che chiede il precetto al condominio, non può in alcun modo rivendicare le spese per escutere tutti i condomini. Nella fattispecie, ciò che risulta irrilevante è che le spese che il creditore si trova a dover affrontare per escutere tutti i suoi debitori in solido, trovino la propria fonte nella “ sentenza di condanna che è il titolo esecutivo posto a base del precetto (nonostante che per tali esborsi sia consentita la cosiddette auto-liquidazione in precetto).

Rinvio al mittente

Per quanto riguarda invece tutte le spese inerenti alla notificazione del titolo esecutivo e quelle relative alla redazione e alla notificazione del precetto, “quest’ultimo – spiegano i giudici – può contenere l’intimazione di pagamento, senza preventiva liquidazione processuale, soltanto delle spese sostenute dal creditore quando l’obbligazione di pagamento delle spese processuali sia solidale tra il debitore nei cui confronti è minacciata l’esecuzione e altri debitori, a loro volta destinatari di distinti atti di precetto. Accolto, contro le conclusioni del pm, il ricorso del condominio: sarà il giudice del rinvio a distinguere, nell’ambito del precetto opposto, le spese delle quali il creditore il creditore avrebbe potuto pretendere il pagamento dal condominio dagli esborsi di cui invece è stato intimato intimato illegittimamente il versamento.

Autonomia e solidarietà

Sbaglia invece il giudice del merito a ritenere che in questo caso la “solidarietà passiva” riguardi non solo il credito in quanto tale, ma anche le spese strettamente necessarie all’escussione di ciascuno dei debitori in solido. “Portare ad esecuzione una condanna solidale nei confronti di ciascuno degli obbligati richiede un’attività che è diversa per ognuno dei destinatari: le relative spese, dunque, danno luogo a un’obbligazione di rimborso personale per ognuno di loro. Poniamo infatti che il creditore compia senza successo l’attività nei confronti di uno degli obbligati in solido – spiegano ancora i giudici – non si può certo pretendere il pagamento delle spese da un altro debitore che invece abbia adempiuto spontaneamente, senza costringere il creditore a una preventiva minaccia di esecuzione col precetto o ad un’esecuzione nei suoi confronti. Insomma: va cassata la sentenza che ha rigettato il motivo di opposizione ad hoc laddove invece il precetto “incriminato”, intimato nei confronti del condominio, contiene l’indicazione delle voci autoliquidate anche in tutti gli altri precetti che il medesimo creditore ha intimato nei confronti di ciascuno dei condomini in quanto obbligato in solido. La parola passa al giudice del rinvio”.

Stop al riscaldamento centralizzato? Allora niente rimborso dai condomini già staccatisi

Nel momento in cui l’assemblea condominiale decide di sospendere l’esercizio del riscaldamento comune, ma per garantire un quieto vivere l’impianto rimane comunque funzionante, i condomini che nel frattempo hanno continuato ad utilizzarlo, non possono pretendere di ricevere il rimborso da chi invece si era già staccato precedentemente dal servizio comune e che, di conseguenza, hanno adempiuto per primi alla nuova delibera. Questo è quanto emesso con la sentenza 21742/13, pubblicata lo scorso 23 settembre, della seconda sezione civile della Cassazione.

Pro bono pacis

Ovviamente ciò che conta non è il calore disperso attraverso le colonne verticali negli appartamenti che si erano già staccati dall’utilizzo dell’impianto centralizzato. Risulta decisiva, in tal senso, “ la considerazione secondo cui è fondata la tesi che rende irrilevanti i perduranti consumi dell’impianto centralizzato dalla delibera adottata all’unanimità dei presenti da parte di proprietari (espressione di millesimi 810,43) era non di autorizzazione a distacchi individuali, ma di sostituzione dell’impianto in forza della legge 10/1991: coloro che hanno continuato a utilizzare l’impianto centralizzato tenuto acceso pro bono pacis non avrebbero dunque potuto pretendere ulteriori rimborsi di costi proprio da coloro che per primi avevano adempiuto a quanto deciso dall’assemblea condominiale”.
In questo caso, tutto ciò che ha fatto il giudice di appello, è stato di limitarsi ad osservare che la delibera posta a base della della delibera di riparto delle spese non risultava annullata, pertanto non avrebbe dovuto essere eseguita.