Nullo il divieto da regolamento ma chi si stacca dall’impianto paga pro quota la dispersione al 25% (sentenza 18748/16 – Tribunale Civile di Roma)

È la riforma che consente di lasciare il sistema centralizzato senza autorizzazione dell’assemblea. In base alla norma Uni 10200 consumi involontari anche a carico del condomino termoautonomo

Grazie alla riforma il regolamento non può vietare al singolo condomino di staccarsi dal riscaldamento centralizzato senza autorizzazione dell’assemblea, se non crea squilibri al sistema. Ma il singolo proprietario esclusivo che diventa termoautonomo deve continuare pagare pro quota non soltanto le spese di conservazione dell’impianto ma anche i relativi consumi involontari rilevati lungo la rete di distribuzione, in applicazione della norma Uni 10200/2013 sulla ripartizione degli esborsi: la quota è il 25 per cento stimato dal consulente tecnico d’ufficio da suddividere fra tutti i condomini sulla base delle tabelle millesimali. È quanto emerge dalla sentenza 18748/16, pubblicata dalla quinta sezione civile del tribunale di Roma (giudice Claudia Pedrelli).

Menomazione esclusa
Accolto il ricorso di due proprietari esclusivi: sono annullati il bilancio preventivo e i relativi piani di riparto a suo tempo approvati dall’assemblea perché imputano spese non dovute dai condomini che hanno lasciato l’impianto comune. È nullo il regolamento nella parte in cui prevede l’unanimità dei condomini per l’autorizzazione al distacco dal riscaldamento centralizzato: l’articolo 1118, comma 4, Cc impedisce infatti di menomare i diritti di ciascun proprietario esclusivo, entro i quali va ricompresa la facoltà di conquistare l’indipendenza termica per il proprio appartamento. La norma è stata introdotta dalla legge 220/12 e risulta successiva all’instaurazione del giudizio ma viene applicata ugualmente perché, spiega il giudice, la riforma del condominio si limita recepire la giurisprudenza di legittimità sul punto.

Quoziente e tabelle
Decisiva la ctu che conferma come il distacco non determini inconvenienti agli altri condomini: riduce solo pro quota le spese sostenute per l’energia termica. Ma bisogna tenere conto anche della dispersione stimata nella distribuzione del calore che va messa a carico anche del proprietario esclusivo che si è affrancato dall’impianto comune: paga un contributo calcolato sul 25 per cento delle spese per l’acquisto del gas metano che fa funzionare la caldaia, quoziente che poi è ripartito sulla base delle tabelle millesimali fra tutti i condomini, compresi coloro che non utilizzano più l’impianto centralizzato. Intanto i due proprietari esclusivi ottengono dall’ente di gestione il rimborso delle somme versate in eccesso. Scatta la rifusione delle spese di lite in favore del loro procuratore dichiaratosi antistatario.

Cadono pezzi dalla facciata condominiale, chi paga se qualcuno si fa male?

La responsabilità per i danni a cose e persone è del condominio, salvo eventi di forza maggiore

Partiamo dal caso ipotetico che la facciata di un condominio abbia  un cornicione pericolante che rischia di cadere sui passanti o sulle automobili parcheggiate in cortile. Nonostante il rischio sia stato segnalato in più occasioni dai condòmini, l’assemblea non ha mai risolto il problema per la mancanza  del numero legale necessario per riunirsi e  decidere.

I condomìni, a questo punto, decidono di porre all’attenzione dell’amministratore  la situazione di rischio, sollecitandolo ad  intervenire pur se manca l’autorizzazione dell’assemblea. L’invito ad agire prontamente rimane, tuttavia,  inascoltato poiché anche l’amministratore prende tempo. In queste circostanze, cosa stabilisce la legge?

Secondo l’art. 1135 comma 4  Codice civile  l’amministratore può, in casi di urgenza, ordinare lavori  di manutenzione straordinaria anche senza l’approvazione dell’assemblea.

In generale, sull’amministratore grava il dovere di attivarsi per eliminare le situazioni di pericolo a prescindere dall’autorizzazione deliberata dall’assemblea condominiale. Dopo aver iniziato i lavori, egli è obbligato a comunicarlo durante la prima assemblea utile.

Se l’amministratore, nonostante la grave situazione di rischio, non provvede ad avviare i lavori, dovrà risarcire in prima persona i danni procurati ai terzi e di cui abbia dovuto rispondere il condominio a causa della sua inerzia. Insomma, qualora la persona danneggiata domandi il risarcimento al condominio, l’assemblea potrà decidere di rifarsi sull’amministratore. Ma non solo. L’assemblea, a causa dello  scarso impegno mostrato nello svolgimento dei propri doveri, può revocargli  il mandato.

Occorre sottolineare che, alla luce di quanto detto, l’amministratore non può disconoscere la sua colpa giustificandosi con il fatto di  non aver avviato i lavori poiché mancava la preliminare autorizzazione dell’assemblea.

Per quanto riguarda il condominio, esso è responsabile per i danni cagionati a terzi, cose e persone, dalla caduta di frammenti di cemento dal cornicione o di vernice dalla facciata.  Nel caso in cui il crollo in questione è scatenato, invece, da eventi non prevedibili ed evitabili, quale ad esempio una scossa di terremoto, il condominio può esonerarsi dalla suddetta responsabilità.

Il risarcimento del danno è a carico del condominio e pagare saranno tutti i condòmini in proporzione ai rispettivi millesimi. Come già detto, può rivalersi sull’amministratore rimasto inoperoso nonostante gli inviti a effettuare gli interventi di manutenzione urgenti.

Nel caso di inattività dell’amministratore e dell’assemblea, ogni singolo condòmino può rivolgersi al tribunale affinché il giudice, vagliato il carattere di urgenza, decreti l’esecuzione delle opere di manutenzione straordinaria e indifferibile. La decisione del giudice va oltre la volontà dell’assemblea ed è un valido titolo per provvedere alla messa in sicurezza della facciata condominiale.

Comunicazione alle Entrate, dagli amministratori i dati dei soli condòmini

Rimedio in arrivo per gli amministratori, alle prese con la comunicazione all’Agenzia delle entrate dei dati dei condòmini cui spetta la detrazione per i lavori di recupero o risparmio energetico sulle parti comuni. L’Agenzia potrebbe snellire le «specifiche tecniche» eliminando le richieste più assurde. Sarebbe opportuna una revisione ed una proroga. Gli amministratori, quindi, anche se mancano pochi giorni, potrebbero sospendere momentaneamente gli invii con dati di cui non siano sicuri sino all’annunciata revisione (sempre che arrivi entro il 28 febbraio).

I problemi maggiori, dopo che il Sole 24 Ore e le Entrate hanno chiarito a Telefisco 2017 i dubbi su come indicare i morosi nella comunicazione, sono emersi da un’interpretazione piuttosto estensiva dell’Agenzia stessa sull’articolo 2 del Dm del 1° dicembre 2016, che stabilisce: «(…) gli amministratori di condominio trasmettono in via telematica all’Agenzia delle entrate, entro il 28 febbraio di ciascun anno, una comunicazione contenente i dati relativi alle spese sostenute nell’anno precedente dal condominio con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, (…). Nella comunicazione devono essere indicate le quote di spesa imputate ai singoli condòmini».

Lo stesso articolo 1 del provvedimento dell’Agenzia del 27 gennaio 2017 dispone: «(…) gli amministratori comunicano la tipologia e l’importo complessivo di ogni intervento, le quote di spesa attribuite ai singoli condòmini nell’ambito di ciascuna unità immobiliare».

I problemi, nascono dal modo in sono state predisposte le specifiche tecniche allegate al provvedimento dell’Agenzia. Nella sezione («Dati del soggetto al quale è stata attribuita la spesa»), infatti, non si è rispettata l’indicazione del decreto e, invece di farsi riferimento ai soli condòmini e alle quote di spesa agli stessi attribuite, si è introdotto – attraverso il campo «Tipologia del soggetto al quale è stata attribuita la spesa» – il riferimento ad altri soggetti (quali i locatari, i comodatari, i familiari conviventi ,eccetera), chiedendo di indicare il relativo codice fiscale.

L’agenzia avrebbe dovuto dovrebbe riflettere sull’impossibilità di ingabbiare la multiforme realtà condominiale nei suoi schemi e rassegnarsi a restare nel perimetro di quanto era stato indicato nel Dm, cioè ottenere i dati dei soli «condòmini», quindi dei soli titolari di diritti reali. Invece, nella pretesa utopica di presentare ai contribuenti una precompilata perfetta, l’amministratore è stato chiamato a raccogliere un’infinità di dati di cui non è in possesso (e che neppure sono previsti nell’anagrafe condominiale istituita dalla legge 220/2012), oltretutto in tempi ridottissimi. Sinora, invece, l’amministratore si limitava a fornire ai singoli condòmini la quota spettante e pagata, dopo di che questa poteva essere suddivisa tra i vari aventi diritto (inquilini, conviventi, comodatari) a loro stessa cura nelle loro dichiarazioni dei redditi. E il sistema ha sempre funzionato.

È chiaro, quindi, che le nuove regole delle Entrate hanno reso la comunicazione corretta impossibile, al di fuori dei casi più semplici, con il rischio della sanzione di 100 euro. Gli amministratori potrebbero quindi indicare solo i dati di chi risulta effettivamente «condòmino», eliminando così una buona parte dei possibili errori nella comunicazione. Anche se poi moltissimi «aventi diritto» dovranno controllare la loro precompilata e correggerla in base alle spese da loro effettivamente sostenute.

Considerando che mancano però solo 9 giorni alla scadenza, siamo tutti contrari ad un’operazione che non si attaglia alla realtà dei condomìni italiani e che una cosa opportuna da fare sarebbe rinviarne di un anno l’operatività o, almeno, sospendere l’applicazione delle sanzioni.

Contabilità in disordine, il compenso non spetta all’amministratore

La prova del compenso dell’amministratore deve essere fornita anche mediante l’esibizione della contabilita’ condominiale. La Corte di Cassazione puntualizza, con la sentenza numero 3892 del 14 febbraio 2017 , alcuni principi in materia di amministrazione condominiale e di retribuzione dell’amministratore di condominio.

In particolare, la vicenda in commento principia quando un amministratore condominiale al termine del proprio mandato domanda allo stabile il saldo delle proprie spettanze.

Al rifiuto del condominio, l’amministratore risponde ricorrendo alle sedi giudiziali competenti.

La domanda di pagamento degli emolumenti viene rigettata sia in primo grado che in grado di appello, ove il giudice afferma che “dalla espletata ctu era risultata la mancanza di un giornale di contabilità che avesse registrato cronologicamente le operazioni riguardanti il condominio, onde non era possibile ricostruire l’andamento delle uscite e dei pagamenti effettuati”.

L’amministratore, quindi, ricorreva in Cassazione, domandando la revisione della predetta sentenza di merito.

La Cassazione, tuttavia, si associava alle considerazioni mosse dalla Corte d’Appello e specificava come nei doveri dell’amministratore vi sia quello di tenere una corretta contabilità condominiale.

Tale contabilità deve essere tenuta mediante la redazione da parte dell’amministratore di rendiconti periodici e del giornale di cassa.

In particolare, sottolinea la Suprema Corte la contabilità condominiale deve essere tenuta in modo preciso e regolare, di modo tale da consentire ai condomini di verificare le uscite, le entrate e la ripartizione delle spese.

Nel caso in oggetto, quindi, viene specificato che la mancata tenuta della regolare contabilità non costituisce necessariamente un danno per il condominio, tuttavia questa fa parte dei doveri dell’amministratore e quindi può comportare il mancato riconoscimento degli emolumenti dell’amministratore qualora questi non possa dare prova del mancato pagamento degli stessi.

Per quanto riguarda gli onorari dell’amministratore, infatti, l’avere mancato di tenere una precisa e regolare contabilità non consente di fornire la prova della spettanza degli onorari e comporta un possibile esito negativo in giudizio.

Nel caso in commento, inoltre, l’amministratore aveva omesso di ottenere le delibere dei rendiconti da parte dei condomini ai sensi dell’articolo 1130 bis del Codice Civile i quali , qualora approvati, avrebbero rappresentato un vero e proprio riconoscimento di debito in favore dell’amministratore.

Si può quindi concludere che la prova del credito dell’amministratore può essere provata solamente tramite una corretta documentazione dell’”ammontare complessivo dei versamenti effettuati dai condomini e dalle uscite per spese condominiali, con relativi documenti giustificativi”.

Al fine di vedersi riconoscere i propri emolumenti quindi, l’amministratore deve avere cura di tenere una contabilità precisa e aggiornata e ottenere periodicamente l’approvazione dei rendiconti come previsto dagli articoli 1130 e 1130 bis del Codice Civile.

Mini proroga per la precompilata

Le correzioni alle «specifiche tecniche» della comunicazione da inviare entro il 28 febbraio (con i dati dei condòmini che beneficiano della detrazione Irpef per lavori sulle parti comuni) si faranno. Parola del vice ministro dell’Economia Luigi Casero, interpellato ieri a Milano dal Sole 24 Ore, che ha confermato quanto scritto il 19 febbraio sul giornale: «L’input per correggere le specifiche tecniche è stato dato, e non è esclusa neppure una piccola proroga».

Quindi la semplificazione chiesta da Confedilizia per l’adempimento a carico degli amministratori condominiali sta per essere recepita dall’Agenzia delle Entrate ma i giorni che mancano alla scadenza sono davvero pochi: in questo contesto, quindi, una breve proroga che non impedisca all’Agenzia di recepire i dati provenienti dagli amministratori (valutabili in parecchie decine se non alcune centinaia di migliaia) in modo da poterli inserire nella dichiarazione dei redditi «precompilata» (modello 730 o Redditi) che i contribuenti dovrebbero avere a disposizione tra un paio di mesi, il 15 aprile 2017, per poi procedere alla consegna entro il 24 luglio 2017.

È quindi ragionevole pensare che la proroga non possa essere decisa per un a data lontana, come il 30 giugno (questo il nuovo termine chiesto da Anaci in una lettera al ministro dell’Economia Carlo Padoan), ma un differimento si renderebbe davvero indispensabile per permettere agli amministratori condominiali di rivedere le comunicazioni in giacenza e quelle ancora da fare alla luce della promessa semplificazione.

Il vero problema, infatti è il modo in sono state predisposte le specifiche tecniche allegate al provvedimento dell’Agenzia, dove sono indicati i dati da inserire nella comunicazione . Confedilizia ha fatto presente che invece di fare riferimento ai soli condòmini e alle quote di spesa agli stessi attribuite, vengono nominati altri soggetti(inquilini, comodatari, familiari conviventi, eccetera). In sostanza, chi ha predisposto le «specifiche tecniche» è andato oltre quanto indicato nel Dm del 1° dicembre 2017 ma anche oltre a quanto indicato nel provvedimento del 27 gennaio della stessa Agenzia, dove si parla dei soli «condòmini», quindi dei soli titolari di diritti reali. Dl resto, sinora, l’amministratore si limitava a fornire ai singoli condòmini la quota spettante e pagata, dopo di che questa poteva essere suddivisa tra i vari aventi diritto (inquilini, conviventi, comodatari) a loro stessa cura nelle loro dichiarazioni dei redditi. E il sistema ha sempre funzionato.