La tele assemblea: novità sui verbali

Dal 14 ottobre 2020, con l’entrata in vigore della legge 126 del 2020, le assemblee in videoconferenza sono diventate una realtà anche del mondo condominiale. A tal proposito, sono stati modificati il comma 3 e il comma 6 dell’articolo 66 delle disposizioni di attuazione al Codice civile. Frattanto, è stata approvata dal Parlamento in via definitiva un’ulteriore modifica del testo, attraverso la legge di conversione del decreto legge 125, che dovrebbe consentire la costituzione dell’assemblea in videoconferenza tramite l’assenso della maggioranza dei condòmini (e non più da parte di tutti).

La modifica
Di seguito il testo previgente, e tra parentesi in corsivo come è stato modificato il dispositivo dell’articolo 66 delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie: «comma 3: l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell’ora della stessa; comma 6: Anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso (“della maggioranza dei” ex art. 5 bis del Dl 125/2010) di tutti condomini, la partecipazione all’assemblea può avvenire in modalità di videoconferenza. In tal caso, il verbale, redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, è trasmesso all’amministratore e a tutti i condomini con le medesime formalità previste per la convocazione».

La raccolta dei consensi
La prima parte del comma 6 consente la previsione dell’assemblea in videoconferenza ove sia stata prevista dal regolamento; tanto induce a ritenere che questa previsione non sia in contrasto con gli articoli 1136 del Codice civile e 66 e 67 delle disposizioni di attuazione al Codice civile. Si tratta di norme qualificate come inderogabili dalle previsioni di richiamo, contenute negli articoli 1138 del Codice civile e 72 delle disposizioni di attuazione al Codice civile. Appare difficile, tuttavia, ritenere preesistente un regolamento assembleare sulla videoconferenza nei condomini italiani, salvo rari casi. Quindi, al fine di ovviare alla mancanza di un testo specifico, la soluzione potrebbe essere quella di raccogliere il consenso dei condòmini, secondo la forma più congeniale al caso (per documentarlo dopo, in caso di contestazione). Ad esempio, si potrebbe pensare di acquisire il consenso richiesto dalla norma anche tramite una (video)registrazione, proprio in occasione delle prove di collegamento preliminari alla prima assemblea.

La formula mista
Le assemblee “miste”, cioè quelle consentono ai condòmini di partecipare in parte di presenza e in parte da remoto, anche se astrattamente fattibili, non sono semplici da realizzare. In effetti, se del caso, occorrerà predisporre una sala cablata in fibra, con microfono omnidirezionale, televisore di ampissimo formato o videoproiettore, due telecamere una per le persone presenti, una una per l’amministratore. I condomini in remoto appariranno sullo schermo. Occorre che sia determinato il numero delle persone che saranno presenti fisicamente per assicurare la ventilazione costante. Difficile che si possa svolgere nel rispetto delle regole di prevenzione per gli uffici professionali, nello studio dell’amministratore. L’individuazione di sale attrezzate è possibile ma comporta ulteriori costi che possono essere evitati, se si riesce a istruire i condòmini ad operare tutti in videoconferenza.

L’avviso di convocazione.
Per la convocazione dell’assemblea occorre, pertanto, fare riferimento alla “piattaforma elettronica” individuata, a monte, da parte dell’amministratore, ovvero prescelta dall’assemblea in sede di approvazione del regolamento. Ad esempio, «[…] La S.V. è invitata a partecipare all’assemblea straordinaria del condominio… sito in…, che si terrà in prima convocazione il giorno … alle ore… e in seconda convocazione il giorno… alle ore… con partecipazione in video conferenza tramite il link all’evento… per discutere e deliberare sul seguente ordine del giorno…».

La privacy
La convocazione è soggetta ad un’apposita informativa all’interno della quale bisogna dettagliare tutte le richieste. Nel caso di videoregistrazione dei lavori assembleari sarà senz’altro necessario provvedere all’acquisizione di un consenso informato che ne vincoli l’utilizzo e la finalità. Dal sito alla videoconferenza La scelta della piattaforma ove celebrare l’assemblea dei condòmini è discrezionale. Intanto, la piattaforma dovrebbe prevedere che l’accesso sia selezionato a monte, previa identificazione soggettiva degli utenti. Si potrebbe pensare a un sistema analogo a quello descritto dall’articolo 71 ter delle disposizioni di attuazione al Codice civile, in termini di accessibilità. Lo svolgimento dell’assemblea telematica, in fin dei conti, non è dissimile da quella “frontale”, ma è bene adottare alcuni accorgimenti, per evitare brutte sorprese. È senz’altro accettabile l’utilizzo di un sistema di videoconferenza bidirezionale, nel senso che le regole tecniche – prima ancora che giuridiche – da adottare devono essere tali da garantire, da entrambi i lati della trasmissione, che si possa vedere e essere visti, udire ed essere uditi, in un contesto dove non sia in discussione la riconoscibilità di coloro che intervengono in via remota. Allo stesso modo il sistema deve consentire la condivisione del desktop di chi è collegato e soprattutto di chi svolge il ruolo di segretario.
La condivisione del file online consentirà a tutti i partecipanti di comprendere quanto si stia scrivendo, specie in ragione della delibera da adottare. La condivisione dello schermo contenente il verbale garantisce una partecipazione diretta ai lavori assembleari. Nel caso in cui, durante i lavori assembleari, si verifichi la situazione per cui qualcuno dei condòmini perda il collegamento telematico, si determinerebbe una situazione di impasse che risulterà, comunque, superabile dal buonsenso. Lo stesso presidente dell’assemblea potrebbe chiederne conferma, chiamando direttamente il condòmino “scollegato” e attivandosi per trovare una soluzione alternativa (anche, ad esempio, tramite un collegamento telefonico). In ogni caso, la prosecuzione delle attività assembleari risulterà fattibile solo nel caso in cui, nonostante la sopravvenuta assenza di uno dei partecipanti, si manterranno le maggioranze necessarie per poter legittimamente deliberare. Il presidente e il segretario La teleassemblea si differenzia da quella “frontale” quantomeno per la previsione delle figure del presidente e del segretario. Nell’articolo oggetto di analisi è previsto che il verbale redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, sia trasmesso all’Amministratore ed a tutti i condomini con le medesime formalità della convocazione.
Gli effetti della previsione normativa sono rilevanti per i requisiti formali, di cui dovrà necessariamente constare il verbale assembleare. In altri termini, la mancata sottoscrizione del documento da parte del presidente potrebbe essere elevata a causa di invalidità di tutto il deliberato, in base all’articolo 1137 del Codice civile. La modalità e la tempistica con cui si provvederà alla sottoscrizione e all’invio del verbale saranno scelte dal segretario e dal presidente.

Il regolamento e le modalità per il voto a distanza
Il nuovo articolo 66 delle disposizioni di attuazione del Codice civile consente l’utilizzo dei mezzi di telecomunicazione per l’assemblea dei condòmini, specialmente nel caso in cui essi siano stati previsti dal regolamento. «Anche ove non previsto dal regolamento», si traduce nell’intendimento che, se sussista un regolamento o meglio una clausola regolamentare, non occorre il consenso unanime dei condòmini, o meglio degli aventi diritto. D’altronde il “codice” del condominio è preciso anche dal punto di vista lessicale e terminologico: quando si voglia fare riferimento all’unanimità – così ritiene la giurisprudenza -, non ci si riferisce al regolamento ma alla convenzione come quella prescritta dall’art. 1123 c.c. in tema di modifica dei criteri di ripartizione delle spese.
Il regolamento può, quindi, prevedere e disciplinare la teleassemblea, a norma dell’articolo 66 delle disposizioni di attuazione al Codice civile. In questo momento di emergenza sanitaria, non pare semplice convocare un’assemblea fisica per sottoporre all’approvazione un disciplinare o per integrare il preesistente, inserendo una clausola che preveda la videoconferenza. Ove si riuscisse a raccogliere preventivamente il consenso della maggioranza dei condòmini, vista la modifica appena approvata, a dare luogo all’attivazione di una videoconferenza, allora potrebbe esserci il battesimo della nuova assemblea telematica. D’altronde il consenso a cui allude la norma, dovrebbe essere prestabile senza alcun vincolo di forma. L’importante sarà mantenere traccia di questo consenso per il futuro. Il regolamento o clausola sulla teleassemblea, per essere approvato, deve constare della maggioranza dei condòmini e del raggiungimento della soglia dei 500 millesimi. Mentre la clausola da applicare potrà prevedere la videoconferenza secondo le regole dell’articolo 66 disposizioni di attuazione del Codice civile, richiamando un disciplinare esterno va anche ricordato che l’assemblea non può deliberare qualora tutti gli aventi diritto non siano stati regolarmente convocati. Il regolamento dovrà anche disciplinare le modalità di funzionamento della videoconferenza. L’articolo 1136 del Codice civile ci ricorda, infatti, che «delle riunioni dell’assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall’amministratore». L’esigenza primaria avvertita dagli studiosi del diritto, su questo punto, rimane sempre la stessa: cioè quella di garantire, anche in videoconferenza, l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell’interesse comune dei partecipanti, considerati nel loro complesso e singolarmente. Pertanto, è senz’altro accettabile l’utilizzo di un sistema di videoconferenza bidirezionale, nel senso che da entrambi i lati della trasmissione si possa vedere e essere visti, udire e essere uditi, pure in un contesto ove non sia in discussione la riconoscibilità (almeno da parte del presidente dell’assemblea) di coloro che intervengono in via remota. Un regolamento sulla teleassemblee che si rispetti non potrebbe omettere la disciplina dei seguenti argomenti:

  • l’interscambio dei dati attraverso le comunicazioni elettroniche
  • la partecipazione degli aventi diritto tramite l’utilizzo di piattaforma telematica di videoconferenza /webinar per consentire il collegamento simultaneo tra partecipanti, il loro intervento e la possibilità di prendere visione degli atti e documenti oggetto della riunione, garantendo anche la completa sicurezza dei dati e delle informazioni condivise durante lo svolgimento delle sedute telematiche;
  • l’esercizio del diritto di voto e la sua registrazione, attraverso gli strumenti più adeguati al caso, tra cui vanno menzionate le tecniche del “sondaggio” e del “report”, che potrebbero essere parimenti fornite dalla piattaforma telematica;
  • la possibilità per i partecipanti all’assemblea di esprimere comunque il proprio voto, attraverso intervento diretto e verbale alla videoconferenza;
  • informativa sulla tutela della privacy/autorizzazione alla partecipazione in videoconferenza. Per accedere a una videoconferenza, è sufficiente avere il link o il codice della chiamata; in questo modo, dallo screenshot di una conversazione (eseguibile da qualunque utente) è possibile leggere il codice univoco della chiamata e inserirsi immediatamente, senza aver bisogno di un invito. Il Codice della privacy aveva già individuato dei limiti alle videochiamate, precisando i requisiti minimi da adottare per tutelare la privacy dei soggetti utilizzatori del sistema.

Regole speciali in caso di utilizzo del superbonus
L’articolo 121 del Dl 34/2020, il decreto Rilancio, prevede, a favore dei soggetti che sostengono, negli anni 2020 e 2021, spese per gli interventi elencati al comma 2, cioè per gli interventi di superbonus al 110 per cento oltreché per una serie di altri bonus preesistenti, la facoltà di optare, in luogo dell’utilizzo diretto in dichiarazione della detrazione spettante per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare, con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari. Ed è proprio quest’ultima previsione normativa, ripresa nel provvedimento direttoriale delle Entrate dell’ 8 agosto 2020 numero 283847/2020.

Come orientarsi
Le offerte da parte di istituti di credito e altri intermediari finanziari sono ormai all’ordine del giorno. Tuttavia, prima di ricorrere alla possibilità di cedere il credito fiscale o sottoscrivere un finanziamento per l’esecuzione delle opere, è bene che il contribuente analizzi tutte le caratteristiche dell’una e dell’altra opzione. La cessione L’articolo 1 comma 74 della Legge di stabilità per il 2016 (208/2015) ha istituito la possibilità di usufruire della cessione del credito al posto delle detrazioni fiscali per i lavori edilizi. Sebbene la ratio della normasia stata accolta con gran favore da parte degli operatori del settore e dai contribuenti, l’impossibilità di cedere il credito da parte dei soggetti capienti (coloro che risultano essere assoggettati ad Irpef) a banche, finanziarie o assicurazioni non permise di ottenere gli effetti sperati in sede di redazione dell’opzione. Inoltre la possibilità di fruizione di detta agevolazione esclusivamente per lavori di ecobonus e sismabonus limitò ulteriormente le transazioni. L’intendimento del legislatore, sin dall’inizio e mai modificato nel corso del tempo, è stato quello di consentire al contribuente di ridurre l’obbligazione sorta verso il condominio alla sola quota fiscalmente a suo carico, di fatto, cedendo la restante parte ad un cessionario. In concreto, l’operazione appena descritta rientra nell’applicazione dell’articolo 1260 del Codice civile il quale stabilisce che «il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge». A tal proposito occorre osservare che nella cessione del credito effettuata ai sensi degli articoli 1260 e seguenti del Codice civile, il cessionario subentra nel diritto di credito del cedente e si sostituisce a quest’ultimo nella medesima posizione.

La comunicazione all’Agenzia
L’accordo tra i soggetti deve risultare da atto avente data certa e, per essere efficace, deve essere notificata all’agenzia delle Entrate in qualità di debitore ceduto. Alla luce delle disposizioni del Codice civile, e in particolare dell’articolo 2704, non è necessario che l’atto di cessione rivesta la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Il Provvedimento 108577 dell’8/06/2017 dell’A. d E.  ha specificato che il condominio che ha formalizzato un accordo di cessione del credito, qualora non avesse indicato i dati nella delibera assembleare, dovrà trasmettere entro il 31/12 del periodo di imposta di riferimento, l’avvenuta cessione e la relativa accettazione del cessionario all’amministratore di condominio. Sarà dunque onere di quest’ultimo trasmettere all’agenzia delle Entrate, con apposita comunicazione, i dati del soggetto cedente e cessionario, nonché l’ammontare del credito ceduto, spettante sulla base delle spese sostenute dal condominio entro il 31 dicembre dell’anno precedente e alle quali il condòmino cedente ha contribuito per la parte non ceduta sotto forma di credito di imposta. A tal fine è bene ricordare che la possibilità di cedere il credito fiscale corrispondente alle spese sostenute resta un’opzione individuale in capo a ciascun beneficiario. In altri termini, nei rapporti con il fornitore o con il cessionario, l’opzione non è effettuata dal condominio ma dai singoli condòmini o aventi diritto. Il visto di conformità Il superbonus 110% conferma la sua particolarità anche in materia di cessione di credito rispetto alle altre agevolazioni fiscali. Difatti l’articolo 119, al comma 11, del Dl 34/2020, ha previsto che il contribuente ha l’obbligo di chiedere l’apposizione di un visto di conformità dei dati relativi alla documentazione attestante la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione. Si precisa che il visto di conformità pertanto non è previsto per le altre detrazioni per le quali l’ articolo 121 ammette l’opzione.
Oltre all’opzione della cessione del credito, in caso di lavori eseguiti su parti comuni di edificio, sia di natura ordinaria che straordinaria, è possibile ricorrere per il contribuente a forme di finanziamento erogate da istituti di credito.
Nell’applicazione pratica, si potrà verificare che per uno stesso lavoro il condòmino opti per cessione del credito e finanziamento bancario. Nel caso in cui i lavori eseguiti in condominio rientrassero nelle agevolazioni di ristrutturazione edilizia, riqualificazione energetica, sismabonus e bonus facciate, ovvero ove è presente una quota indetraibile per il condòmino, lo stesso potrà ricorrere all’istituto di credito per ottenere la liquidità necessaria per far fronte all’obbligazione fiscalmente rimasta a suo carico e cedere allo stesso tempo il credito collegato al lavoro eseguito su parte comune di edificio condominiale alla Banca, in ottemperanza alle suddette disposizioni normative (artt. 1260 c.c. e seguenti).

Il compenso dell’amministratore di condominio è onnicomprensivo

Ricorda il tribunale di Firenze che il compenso dell’amministratore di condominio viene deliberato al momento della nomina, a pena di nullità della stessa.

Compenso amministratore di condominio

Il tribunale di Firenze con la sentenza n. 441/2021 depositata in data 24/02/2021 ha statuito che il compenso richiesto dall’amministratore in assemblea al momento della sua nomina è omnicomprensivo, ossia deve riguardare tutta l’attività gestoria, non potendo richiedere un compenso ulteriore per lo svolgimento di lavori o per attività connesse alla vita condominiale.

Compensi per amministrazione straordinaria: i fatti

Un condominio di Firenze conveniva in giudizio innanzi al tribunale di Firenze l’ex amministratore chiedendo:

– che venisse accertato e dichiarato che la somma riscossa da quest’ultimo a titolo di compensi per la gestione condominiale 1.10.2015-15.1.2016 non era dovuta, perché non approvata dall’assemblea condominiale, con condanna del medesimo alla restituzione di tale somma in favore del condominio,

– che si accertasse e dichiarasse che la somma riscossa a titolo di compensi per l’amministrazione straordinaria per i lavori di adeguamento antincendio dell’autorimessa condominiale non era dovuta perchè non approvata dall’assemblea condominiale, con condanna del convenuto alla restituzione della stessa in favore del condominio, oltre al risarcimento danni per mala gestio.

Si costituiva in giudizio l’ex amministratore, il quale precisava che il compenso era dovuto nonostante non fosse stato approvato in sede di delibera assembleare e che l’avvenuta approvazione del consuntivo con delibera del 30.11.2015 aveva legittimato la richiesta di compensi dell’amministratore per le ingenti prestazioni straordinarie svolte in favore del condominio.

Compenso amministratore al momento della nomina

Il Tribunale di Firenze ha accolto parzialmente la domanda proposta dal condominio, in quanto a norma dell’art. 1129 comma 14 c.c., il compenso dell’amministratore di condominio viene deliberato al momento della nomina, a pena di nullità della stessa.

Nello specifico, l’amministratore deve presentare in assemblea un preventivo del corrispettivo richiesto e, nel caso in cui vengano svolti lavori straordinari, può chiedere un compenso aggiuntivo, solo quando tale eventualità sia stata prevista nel preventivo presentato in sede di nomina; in ogni caso, il compenso richiesto dall’amministratore in tale sede è omnicomprensivo, ossia deve riguardare tutta l’attività gestoria, non potendo richiedere un compenso ulteriore per lo svolgimento di lavori o per attività connesse alla vita condominiale.

L’amministratore ha, poi, diritto a prelevare il proprio compenso dal conto corrente condominiale, rilasciando fattura, purchè il corrispettivo prelevato sia quello approvato dall’assemblea in sede di nomina o di rinnovo.

Nel caso particolare, oltre a non risultare nessuna approvazione, da parte dell’assemblea condominiale, del compenso richiesto dall’amministratore, il convenuto non ha nemmeno provato di aver presentato il preventivo del proprio compenso al momento della sua nomina o, almeno, nelle successive conferme: ne discende che il diritto al compenso dell’amministratore per la gestione 1.10.2015-15.1.2016 e per i lavori straordinari di adeguamento alla normativa antincendio dell’autorimessa condominiale non può ritenersi maturato e che lo stesso ha illegittimamente prelevato dal conto corrente condominiale la somma dallo stesso richiesta a titolo di compenso, nella misura di Euro 12.904,98 e di Euro 8.674,50, con conseguente obbligo per il convenuto di rimborsarla in favore del condominio , unitamente agli interessi.

Contemporaneamente è stata rigettata la domanda di risarcimento danni perché non provata. In conseguenza del parziale accoglimento delle domande attoree, devono ritenersi sussistenti gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione integrale delle spese di lite fra le parti.

Contratto manutenzione ascensore: il condominio paga per il recesso anticipato

Secondo il tribunale di Bologna, è legittima la clausola che prevede il pagamento di una somma di danaro per il recesso anticipato dal contratto e non si tratta di clausola vessatoria

Contratto manutenzione ascensore e recesso

Il Tribunale di Bologna con la sentenza n. 946, pubblicata il 14 aprile 2021, ha stabilito che non deve essere considerata vessatoria la clausola presente nel contratto di manutenzione dell’impianto di ascensore che prevede il pagamento di una somma di denaro per recedere anticipatamente dal contratto.

Prima di esaminare la sentenza in esame dobbiamo precisare che il condominio viene parificato dalla giurisprudenza ad un consumatore, da ciò l’applicazione del codice del consumo anche ai contratti conclusi tra l’amministratore e fornitori del condominio.

Dobbiamo anche, premettere alcune considerazioni sulle clausole cosiddette vessatorie.

La disciplina di riferimento, nel tessuto codicistico, è contenuta agli artt. 1341 e 1342 c.c., rispettivamente dedicati alle condizioni di efficacia delle condizioni generali di contratto e alla disciplina dei contratti conclusi mediante moduli e formulari. In questi casi, il codice (art. 1341 c. 2 c.c., richiamato a sua volta dall’art. 1342 c.c.) prevede una forma di tutela minima del contraente debole, richiedendo in via formale che alcune clausole particolarmente gravose non siano efficaci nei suoi confronti se non approvate espressamente per iscritto e garantire che il contraente, che non abbia predisposto il contratto, sia stato comunque pienamente consapevole della disciplina del rapporto; in sintesi, che abbia quantomeno conosciuto ed accettato gli effetti di quelle clausole che incidono in modo così significativo sul rapporto contrattuale.

L’elenco delle clausole, considerate dal codice come vessatorie, è contenuto all’art. 1341 c. 2 c.c., si tratta di ipotesi in cui il contraente che ha predisposto il contratto ha alleggerito la propria posizione obbligatoria o di garanzia (prevedendo ad esempio limitazioni solo della propria responsabilità o la possibilità di recedere dal contratto o sospenderne l’esecuzione), ovvero ha aggravato quella della controparte contrattuale.

L’elenco appena citato è unanimemente ritenuto dalla giurisprudenza come tassativo e non si ritiene suscettibile, pertanto, di interpretazioni analogiche e/o estensive.

Il Codice del consumo el resto all’ art. 33 D.lgs. 206/2005, in particolare, prevede al primo comma che siano da considerarsi vessatorie, a prescindere dalla buona fede del professionista, le clausole che determinano un significativo squilibrio contrattuale. Che si tratti di clausole presuntivamente o assolutamente vessatorie, ai sensi dell’art. 36 D.Lgs. 206/2005, la conseguenza è la nullità della sola clausola riconosciuta come vessatoria, mentre il contratto rimane in forza (vitiatur sed non vitiat).

Si tratta di una nullità disciplinata come nullità di protezione/nullità relativa, che può essere rilevata d’ufficio dal giudice ed eccepita solo dal consumatore.

Recesso anticipato dal contratto e pagamento “penale”

Una società di manutenzione di ascensore otteneva decreto ingiuntivo nei confronti di un Condominio per il mancato pagamento di una somma di danaro a seguito del recesso anticipato dal contratto. Avverso tale decreto ingiuntivo il condominio si opponeva eccependo la vessatoria della clausola che prevedeva tale indennizzo in quanto ritenuta una penale rientrante nella casistica di cui all’art. 33 del Codice del consumo e che sarebbe stata a sua volta invalida per la mancanza di una doppia sottoscrizione così come previsto dagli artt. 1341 e 1342 c.c.

Il Giudice di Pace, accoglieva l’opposizione presentata dal condominio, ritenendo vessatoria tale clausola.

Di conseguenza, la società di manutenzione di ascensore proponeva appello innanzi al Tribunale di Bologna per i seguenti motivi:

– la clausola dell’art. 10.2 deve essere considerata separatamente dal resto dell’articolo 10; non è una penale ma una multa penitenziale prevista in conformità all’art. 1373 c.c. che, come tale, non rientra tra le ipotesi di clausole vessatorie di cui all’art. 33 D.L.vo 206/2005;

– anche volendo attribuire natura di penale, la clausola di cui all’art. 10.2 (e in generale, l’art. 10) non è da considerarsi vessatoria perché non altera l’equilibrio tra le parti e non è manifestamente eccessiva.

Viene quindi contestata la errata attribuzione, da parte del giudice di prime cure, della natura vessatoria alla clausola in esame: sia perché non di penale si tratta (dunque, clausola estranea ad ogni problema di vessatorietà); sia perché comunque la clausola non sarebbe vessatoria.

Legittima l’indennità per il recesso, non è clausola vessatoria

Da un’analisi complessiva del contratto, emerge che le parti avevano concluso un accordo di durata piuttosto significativa; cinque anni più cinque di rinnovo tacito, previsto ai sensi del punto 9 per una complessiva durata decennale.

Rispetto a tale vincolo temporale, il medesimo punto 9 stabiliva la possibilità di disdetta alla prima scadenza solo in favore del cliente; mentre il punto 10.2 attribuiva sempre al solo cliente la possibilità di recedere anticipatamente, previo pagamento di una indennità.

Tale indennità, tuttavia, era calcolata secondo lo stesso criterio di quantificazione previsto in caso di risoluzione per inadempimento al punto 10.1.

Da qui, si ritiene, nasca l’equivoco circa l’effettiva natura dell’indennità richiesta.

Il contratto è infatti redatto in modo da generare esso stesso l’equivoco, poiché inserisce nello stesso articolo (con la stessa quantificazione sia per la penale sia per il corrispettivo per il recesso) sia ipotesi di penale, sia appunto il corrispettivo per il recesso prevedendo un indennizzo parametrato al numero di mesi per i quali non vi sarebbe stata l’esecuzione del contratto.

Riconosciuta la natura di corrispettivo per il recesso alla indennità richiesta, deve escludersi che la clausola possa essere considerata una penale ovvero possa essere vessatoria.

Difatti, tale clausola, non è contenuta nell’elenco tassativo che il codice considera vessatorie e per le quali richiede il meccanismo della doppia sottoscrizione, pertanto, deve escludersi la vessatorietà della clausola ai sensi della disciplina di cui al codice civile.

Revoca dell’amministratore di condominio prima della scadenza

La Corte di Cassazione con sentenza n. 7874/2021 ha stabilito che l’amministratore ha diritto sia al compenso maturato per l’attività svolta che al risarcimento del danno per l’amministratore di condominio revocato prima del tempo

Infatti, l’amministratore di condominio, che sia stato revocato dall’assemblea prima della scadenza, ha diritto sia al pagamento dell’attività sino ad allora svolta sia al risarcimento dei danni. Così ha statuito recentissimamente la Suprema Corte nell’ordinanza n. 7874/2021, riportando il rapporto contrattuale in discorso all’applicazione della disciplina del mandato (art. 1725 c.c.) invece che a quella del contratto di prestazione d’opera intellettuale (art. 2237 c.c.). L’inquadramento contrattuale è dirimente, poiché, nel caso di specie, inquadrando la fattispecie all’ambito del mandato, si sancisce come l’amministratore abbia diritto al risarcimento del danno, con l’unica eccezione della giusta causa di revoca). In caso contrario, sarebbe dovuto solo il compenso per l’attività effettivamente prestata.

Un nuovo inquadramento contrattuale

Il mandato trae condominio e  amministratore , se questi venisse revocato anticipatamente, comporterebbe una serie di diritti in capo all’amministrazione, quali il diritto al soddisfacimento dei propri eventuali crediti, nonché il già citato diritto al risarcimento dei danni, tranne che nel caso in cui sussista giusta causa ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dell’incarico.

Secondo la Cassazione, gli effetti della revoca dell’incarico di amministratore di condominio non possono trovare la loro disciplina nella fattispecie di cui all’art. 2237 c.c., avente ad oggetto il recesso del cliente nel contratto di prestazione d’opera intellettuale: il contratto concluso tra l’amministratore e la compagine condominiale non costituirebbe prestazione di natura intellettuale.

Il contenuto del rapporto intercorrente tra l’amministratore e i condomini sarebbe dettato dagli articoli 1129, avente ad oggetto la nomina, la revoca e gli obblighi dell’amministratore, 1130, avente ad oggetto le attribuzioni dell’amministratore e 1131 (rappresentanza) c.c. Inoltre, il Codice Civile farebbe espresso riferimento alla disciplina del mandato, applicabile in via residuale (art. 1129 c. 15 c.c. come modificato dalla legge 220/2012, non applicabile ratione temporis al caso in esame) e anche la giurisprudenza si è pronunciata in tal senso (Cass. 20137/2017; Cass. 9082/2014; Cass. 14197/2011).

Contratto di prestazione d’opera intellettuale o mandato?

L’attività di prestazione d’opera intellettuale, come rilevato dalla Suprema Corte, sarebbe subordinata all’iscrizione in un apposito albo o elenco (art. 2229 c.c.). Ora, il contratto tipico di amministrazione di condominio, il cui contenuto è essenzialmente dettato negli artt. 1129, 1130 e 1131 c.c., non costituirebbe invece prestazione d’opera intellettuale, e non sarebbe pertanto soggetto alle norme collegate al relativo contratto dal Codice Civile, in quanto l’esercizio di tale attività non è subordinata, come richiesto dall’art. 2229 c.c., all’iscrizione in apposito albo o elenco. Al contrario lo stesso rientrerebbe nell’ambito delle professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4.

La professione di amministratore, in seguito alla riforma sul condominio di cui alla legge n. 220/2012, sarebbe subordinata solo al possesso di determinati requisiti di professionalità e onorabilità ex art. 71 bis disp. att. c.c., quale professione non organizzata in ordini o collegi ai sensi della legge 4/2013.

Casi di revoca ante tempus dell’amministratore condominiale

Soltanto in caso di revoca per giusta causa l’amministratore non avrebbe diritto al ristoro per il pregiudizio patito.

L’Amministratore di condominio può essere revocato per tutta una serie di casi, ovvero: scadenza dell’incarico, decorso un anno dalla nomina; revoca assembleare durante l’incarico, per giusta causa o senza giusta causa, revoca da parte dell’autorità giudiziaria, per giusta causa.

In merito alle maggioranze richieste, la delibera di revoca viene adottata, analogamente a quanto previsto per la nomina, con il voto favorevole della metà del valore dell’edificio (500/1000) e della maggioranza degli intervenuti ai sensi dell’art. 1136 c. 4 c.c.

Quanto previsto circa i poteri e gli obblighi correlati al contratto di amministrazione condominiale, trasfusi negli artt. 1129, 1130 e 11.31 c.c., si integra con residuale applicazione la disciplina in tema di contratto di mandato. La Corte rileva come l’art. 1129 c.c. si limiti unicamente ad indicare il potere di revoca dell’assemblea senza disciplinarne gli effetti. Ciò comporta che, a livello interpretativo, si possa ricorrere a “norme analoghe che, a proposito della revoca ante tempus, differenziano le conseguenze avendo riguardo alla sussistenza, o meno, della giusta causa di recesso”.

Il mandato si presume oneroso e conferito per un tempo determinato: se la revoca è fatta prima della scadenza del termine di durata previsto nell’atto di nomina, l’amministratore ha diritto, oltre che al soddisfacimento dei propri eventuali crediti, al risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 1725, c.1, c.c., salvo che a fondamento della revoca sia posta una giusta causa. Detta giusta causa può essere astrattamente individuata tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dell’incarico.

Abuso in condominio: intervento dell’amministratore

In caso di abuso commesso da un condomino sulle parti comuni l’amministratore ha il potere-dovere di agire anche senza autorizzazione dell’assemblea

La Corte di Cassazione,  Sentenza n. 7884 del 19 marzo 2021, ribadisce il potere-dovere dell’amministratore di condominio di agire contro l’abuso commesso da un condomino sulle parti comuni. Statuendo che “la denuncia dell’abuso della cosa comune da parte di un condomino rientra tra gli atti conservativi inerenti alle parti comuni dell’edificio che spetta di compiere all’amministratore, ai sensi dell’art. 1130, n. 4, c.c., senza alcuna necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini”.

Il caso

In seguito all’ingiunzione di ripristinare lo stato dei luoghi, stante l’illegittimità dell’apertura praticata da una condomina nella ringhiera del balcone di sua proprietà, apertura che le consentiva di scendere direttamente nel cortile comune, si era aperto un contenzioso giudiziario tra il condominio, rappresentato dall’amministratore, e la proprietaria. La Corte di appello aveva affermato la sussistenza della legittimazione dell’amministratore, ex art. 1130 c.c., alla azione “negatoria servitutis” esercitata.

La Corte di Cassazione corregge la motivazione dei giudici di secondo grado. Stabilendo che allorquando – come nel caso in esame – oggetto della lite sia l’abuso della cosa comune da parte di uno dei condomini, la declaratoria di illegittimità non è una “negatoria servitutis” – giacché ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità – bensì riguarda il potere-dovere dell’amministratore di agire in giudizio, al fine di costringere il condomino inadempiente alla osservanza dei limiti fissati dall’art. 1102 c.c. In tale ipotesi, l’interesse, di cui l’amministratore domanda la tutela, è un interesse comune. In quanto riguarda la disciplina dell’uso di un bene comune, il cui godimento limitato da parte di ciascun partecipante assicura il miglior godimento di tutti.

La domanda azionata dall’amministratore di condomino in base al disposto dell’art. 1102 c.c., ed avente quale fine il ripristino dello “status quo ante” di una cosa comune illegittimamente contestata da un condomino, ha natura reale. In quanto si fonda sull’accertamento dei limiti del diritto di comproprietà su un bene.

Bonus 110%, le novità per individuare gli abusi edilizi che bloccano lo sconto

Quando il Fisco può bloccare lo sconto fiscale

Abusi edilizi. In quali casi bloccano l’accesso al Superbonus 110%?

Alla domanda più che legittima, anche in considerazione dello stato di salute urbanistico-edilizio del patrimonio immobiliare italiano, è stata data più di una risposta con il risultato di ingenerare dubbi e perplessità sull’interpretazione stessa della legge.

Legge che appunto è molto chiara per quanto riguarda il rapporto abusi edilizi e interventi “trainanti”, ma che invece presta il fianco a diverse interpretazioni quando si tratta di abusi edilizi e interventi “trainati” eseguiti all’interno di una unità immobiliare.

Se in una prima stesura delle legge era impossibile per gli edifici plurifamiliari di usufruire del Superbonus 110% in presenza di eventuali abusi su parti private, con l’aggiunta all’art. 119 del Decreto Rilancio il comma 13-ter gli accertamenti di eventuali abusi sono da fare solo in riferimento alle parti comuni degli edifici che beneficiano degli incentivi disciplinati.

Dunque per gli edifici plurifamiliari (che siano in condominio o no poco importa) per la richiesta del titolo abilitativo necessario per un intervento di isolamento termico a cappotto, il tecnico dovrà limitarsi ad asseverare la conformità delle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi. Fin qui tutto chiaro, grazie a questa modifica eventuali abusi edilizi presenti all’interno dell’unità immobiliare non precludono l’accesso al superbonus per gli interventi sulle parti comuni.

Ma le cose si complicano quando appunto si parla di interventi “trainati”. Ricordiamo che il Decreto Rilancio ha, infatti, previsto due tipologie di intervento: gli interventi trainanti (cappotto termico, sostituzione impianto di climatizzazione, interventi di riduzione del rischio sismico) che accedono direttamente al bonus 110%, rispettando determinati requisiti e adempimenti; gli interventi trainati (efficientamento energetico delle unità immobiliari, tra i quali la sostituzione degli infissi, abbattimento delle barriere architettoniche, fotovoltaico, colonnine di ricarica) che accedono alla detrazione del 110% solo se realizzati congiuntamente ad uno degli interventi trainanti.

Cosa succede quindi se c’è un abuso edilizio all’interno di un’unità immobiliare per la quale il proprietario intende sostituire gli infissi e i serramenti esterni? Questi infatti sono interventi “trainati” di efficientamento energetico dell’unità immobiliare che da sola non potrebbe accedere ad alcuna detrazione nel caso siano presenti eventuali abusi edilizi. Detto in altre parole: l’abuso edilizio presente all’interno dell’unità immobiliare preclude l’accesso alla detrazione fiscale del 110% per l’intervento trainato di sostituzione degli infissi?

A questo punto si è posta la necessità di chiarire anche il concetto stesso di “parte comune”. Il codice civile all’art. 1117 conferma che sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio “tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate”.

Su questo dato di fatto un’impresa, che ha posto un interpello all’Agenzia delle Entrate, ha fatto notare che la presenza di eventuali non-conformità urbanistiche che dovessero essere riscontrate nelle singole unità abitative non preclude l’accesso al Superbonus 110% non solo per gli interventi “trainanti” (cappotto termico e sostituzione di caldaie), ma anche per la sostituzione di serramenti ed infissi (interventi “trainati”) proprio perché “tutti gli interventi che insistono sulle facciate del condominio, ovvero, sulle parti comuni, devono essere a tutti gli effetti considerati quali “parti comuni” di quest’ultimo”. Tale interpretazione è stata confermata dalla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate dell’Emilia Romagna. In sintesi: gli abusi sulle parti private di una unità immobiliare non bloccano l’accesso al superbonus per il condominio, ma nemmeno per l’intervento trainato come la sostituzione degli infissi e dei serramenti per l’unità immobiliare con gli abusi.

Ottenere il Superbonus 110% sarà più semplice: ecco cosa cambia

Il Superbonus 110% è la maxi-agevolazione che interessa tutti i contribuenti che vogliono ristruttura casa e renderla più efficiente a livello energetico. Secondo gli ultimi report, ancora molte persone si lasciano scappare tale occasione a causa della burocrazia troppo complicata e le procedure lente per ottenere il contributo. In effetti, la misura ha diverse criticità, tra cui la normativa troppo complessa che viene sottoposta a revisioni continue ma anche le eventuali responsabilità penali in caso di mancanze e violazioni.

Per venire incontro a operatori e contribuenti, il Governo ha deciso di semplificare tutto ciò che riguarda la richiesta e l’ottenimento del Superbonus 110%. Le modifiche dovrebbero arrivare con il nuovo DL Semplificazioni a cui sta lavorando Mario Draghi, che dovrebbe essere presentato insieme al Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR). Vediamo quali sono le misure che permetteranno di ottenere in modo più facile il bonus.

Superbonus 110% nel DL Semplificazioni: asseverazioni più snelle

Nonostante il Superbonus 110% abbia registrato una crescita del 200% nel 2021, l’agevolazione va ancora a rilento. L’obiettivo del Governo è rendere l’iter burocratico molto più semplice in modo da incentivare i contribuenti a chiedere e ottenere il bonus. Il Governo sta lavorando per inserire un capitolo legato all’agevolazione all’interno del Decreto Legge Semplificazioni. Le questioni su cui si sta lavorando sono soprattutto due:

– prorogare il Superbonus 110% al 2023 per dare ai contribuenti più tempo per gestire tutto l’iter

– velocizzare la procedura per i professionisti asseveratori

In particolare i tecnici hanno l’obbligo di certificare alcune informazioni sull’immobile, come la proprietà o le concessioni edilizie. Per rendere più facile l’iter per i professionisti, il Governo sta pensando che da ora in poi sarà necessario semplicemente presentare il certificato di conformità dell’immobile. Ciò permetterebbe anche di alleggerire il lavoro dei Comuni, dove a causa dello smart working la gestione delle pratiche diventa più lenta. Attualmente per avere questa asseverazione si può aspettare anche 4 mesi e queste tempistiche sono assolutamente incompatibili con il bisogno di avviare i lavori e ottenere i bonus.

Superbonus 110%: serviranno solo i documenti essenziali

Il DL Semplificazioni inserirà anche alcune novità relative a documenti necessari per ottenere il Superbonus 110%:

La Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) verrà concessa rapidamente, è un documento fondamentale per i cantieri

La Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA) non sarà più necessaria per i lavori di manutenzione, ma rimarrà obbligatoria per le ristrutturazioni

Queste sono solo alcune delle modifiche previste all’interno della nuova manovra dovrebbe arrivare entro aprile. Tra i focus del Decreto troviamo anche e soprattutto la semplificazione della Pubblica Amministrazione, quindi in generale la richiesta di atti dovrebbe essere più veloce. Tutto ciò avverrà grazie soprattutto al Digitale, che oggi ha un ruolo cruciale sia nell’ambito pubblico che privato.

Il provvedimento aiuterà soprattutto quegli immobili che hanno tutte le carte in regola per accedere alla detrazione ma che fino ad ora non hanno fatto richiesta proprio a causa della burocrazia: sono quegli edifici – soprattutto condominiali – dove si intendono eseguire interventi di manutenzione straordinaria senza ristrutturazione, che comunque comportano il miglioramento di due classi energetiche (requisito fondamentale per accedere al bonus).

Queste erano le maggiori novità riguardo il Superbonus 110%: chi pur avendo i requisiti non lo ha ancora richiesto a causa della burocrazia, con l’approvazione delle modifiche avrà sicuramente meno ostacoli.

Rendiconto condominiale e impugnabilità se manca il registro della contabilità

L’obbligo di redazione del registro di contabilità

L’articolo 1130 del Codice Civile, così come modificato dalla Legge di Riforma 220 del 2012, stabilisce al numero 7 che l’amministratore di condominio deve curare la tenuta del registro di contabilità. In tale registro, l’amministratore riporta, in ordine cronologico, i singoli movimenti contabili in entrata e in uscita operati sul conto corrente condominiale. L’annotazione deve avvenire entro 30 giorni dalla data in cui è effettuata l’operazione. Il successivo articolo 1130 bis stabilisce che l’assemblea dei condomini può nominare un revisore cui far esaminare la correttezza contabile delle voci del registro o può costituire un consiglio di condomini (tre nei condòmini con almeno dodici unità immobiliari) con la funzione di controllo sul bilancio. Il registro di contabilità è parte integrante del rendiconto condominiale. Attraverso il registro di contabilità i condòmini possono conoscere in che modo sono stati spesi i loro soldi da parte dell’amministratore nella gestione della cosa condominiale.

Il registro di contabilità condominiale secondo la giurisprudenza

Tra i contributi giurisprudenziali che meritano menzione in relazione al tema del registro di contabilità si deve richiamare la sentenza del Tribunale di Imperia del 10 dicembre 2020.

Tale provvedimento ha specificato alcune caratteristiche di validità del registro di contabilità:

– non deve essere redatto con forme rigorose, poiché non si applicano le norme in tema di bilancio delle società;

– deve essere intellegibile per consentire ai condòmini di controllare le voci di entrata e di uscita;

– deve essere strutturato secondo il “principio di cassa” e, dunque, le spese vanno annotate in base alla data effettiva del pagamento e le entrate in base alla data effettiva di incasso;

– l’amministratore deve inviare ad ogni condòmini l’elenco delle spese sostenute e i relativi documenti giustificativi, indicare le quote incassate dai condomini e quelle ancora da incassare, evidenziare le spese da sostenere. In tal modo i condòmini possono meglio apprezzare e valutare il bilancio;

– la mancanza dei predetti elementi determina l’illegittimità del registro di contabilità e dunque l’invalidità della delibera assembleare che approva il bilancio.

L’indicazione generica e poco chiara delle voci di entrata e di uscita inficia la validità del bilancio poiché non fornisce al condomino un quadro completo della situazione contabile condominiale e di conseguenza non gli consente di apprezzare il bilancio stesso.

L’amministratore non solo deve redigere il registro di contabilità secondo i predetti criteri, ma lo deve anche produrre in assemblea in sede di approvazione del bilancio condominiale affinché tutti i condòmini abbiano contezza della gestione contabile dei beni condominiali.

Il bilancio approvato in assenza di un registro di contabilità che segue il principio di trasparenza è invalido e la relativa deliberazione assembleare può essere impugnata per chiederne l’annullabilità (Tribunale di Roma, sentenza del 12 febbraio 2021). Infatti, si ha in tal caso la violazione del diritto all’informazione di cui gode ogni condomino e che indice sul procedimento di formazione della volontà assembleare e dunque sull’approvazione delle delibere (Cass. civ. 12650/2008

Impugnabilità della delibera condominiale

Sulla scorta di quanto previsto dal legislatore e delle interpretazioni giurisprudenziali si può concludere che:

a – l’amministratore di condominio è obbligato a tenere il registro di contabilità;

b – tale registro deve essere il più trasparente possibile per consentire ai condòmini di esercitare i propri diritti in relazione alla situazione contabile condominiale;

c – l’amministratore è revocabile se non tiene il registro di contabilità o se lo fa con modalità tali da non rendere chiara la propria gestione contabile (art. 1129 comma 12 n. 7 Codice Civile);

d – la delibera assembleare che approva il bilancio consuntivo è impugnabile dal singolo condomino se il bilancio non è accompagnato da un registro di contabilità che consente al condomino di conoscere in che modo sono stati spesi i propri soldi versati in favore dell’ente condominiale.

Condomini morosi: i poteri dell’amministratore

In primo luogo, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. egli può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti del condomino moroso, nonostante l’eventuale opposizione. Si tratta, evidentemente, di uno strumento immediato ed efficace per il recupero dei crediti condominiali, che non richiede né la preventiva autorizzazione dell’assemblea né l’obbligo di mettere in mora il condomino inadempiente

Precisiamo inoltre che l’Amministratore ha tempo sei mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale per poter agire contro il condomino moroso per le quote non pagate.

Infine l’amministratore, come misura cautelare, può sospendere il condomino moroso dall’uso dei servizi comuni che siano suscettibili di godimento separato.

La vecchia solidarietà passiva

Soffermandoci ora sulla natura degli obblighi dei condomini nei confronti di terzi Creditori del condominio, quali un’impresa appaltatrice che esegue lavori di ristrutturazione della facciata, o enti erogatori di energia elettrica, acqua ecc, sono opportune le seguenti considerazioni.

È un dato di fatto che le obbligazioni assunte dall’amministratore, in nome e per conto del condominio, erano disciplinate fino alla riforma del 2012 dal principio della solidarietà passiva tra condomini. Il creditore pertanto per la soddisfazione del proprio credito poteva domandare il pagamento ad uno solo dei condomini il quale, a sua volta, poteva rivalersi pro quota, nei confronti dei morosi per la parte dovuta.

Sulla base di quanto stabilito dalla sentenza n. 9148/2008 del 08.04.2008 della Corte di cassazione a Sezioni Unite veniva introdotta, per la fattispecie considerata, la regola della parziarietà delle obbligazioni condominiali nei confronti dei terzi creditori, con superamento del precedente orientamento della solidarietà passiva.

Ne consegue che ogni condomino era chiamato a rispondere dei debiti soltanto per la propria quota di competenza e dunque il creditore poteva pertanto pretendere da ogni condomino solo la parte dovuta.

Il beneficio della preventiva escussione

Occorre dunque in questa sede soffersi su quella che è la posizione oggi assunta dal Legislatore con la nuova disciplina, per comprendere quanto e cosa sia stato recepito dell’orientamento giurisprudenziale sopra esposto.

Possiamo ritenere reintrodotta la solidarietà passiva prima esistente? Forse sul punto c’è ancora un po’ di ambivalenza e non poche perplessità in merito.

Ai sensi del già citato art. 63, al secondo comma si prevede quanto segue:

“I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini.”

Quindi, nel caso in cui la spesa in questione sia dovuta ad esempio, quale corrispettivo per l’effettuazione di lavori di straordinaria amministrazione, a fronte del contratto stipulato dall’amministratore in rappresentanza degli altri condomini, l’impresa che ha eseguito i lavori non potrà chiedere tutto il pagamento ad un solo condomino. Dovrà rivolgersi a ciascuno dei condomini in proporzione alla singola quota debitoria di spettanza. Inoltre, ed è qui la novità rilevante, il creditore dovrà agire “pro quota” prima nei confronti dei condomini morosi (a lui indicati dall’amministratore) e, solo nel caso in cui sia impossibile soddisfarsi sul patrimonio di questi ultimi, potrà successivamente rivolgersi ai condomini in regola. Viene pertanto introdotto il “beneficio della preventiva escussione” ma qualora le azioni esecutive nei confronti dei condomini morosi si dovessero rivelare infruttuose, i “condomini virtuosi” saranno comunque chiamati a rispondere delle obbligazioni condominiali.

Concludendo, è del tutto evidente come la riforma sia intervenuta per dirimere contrasti e conflitti di interesse tipici di questa materia. Da un lato ponendosi a tutela dei condomini adempienti e dall’altro cercando di soddisfare gli interessi dei creditori del condominio in caso di inadempimento dei condomini. Tuttavia, nel lato pratico, la nuova disciplina si presta ancora a diverse interpretazioni che renderebbero necessario un intervento chiarificatore.

Balconi e frontalini

Quando parliamo di balconi, dobbiamo distinguere quelli aggettanti da quelli incassati.

I balconi aggettanti sono quelli che sporgono dalla facciata dell’edificio e costituiscono un prolungamento dell’unità immobiliare, sono di proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti che se ne servono.

I balconi incassati invece sono quelli che non sporgono rispetto ai muri perimetrali, restando incassati nell’edificio condominiale. L’attenzione si sofferma principalmente sul frontalino, che è quella fascia verticale di piccola altezza, che a volte rifinisce sulla fronte una struttura orizzontale aggettante (la parte esterna del parapetto del balcone quella che costituisce una sorta di cornice dello stesso balcone). Il frontalino lo troviamo sia nei balconi incassati, che in quelli aggettanti, ed è proprio in questo caso che sorgono i problemi. Infatti quando si devono effettuare i lavori di manutenzione, ci si domanda a chi debbano essere addebitate le spese per gli interventi sugli stessi.

Natura condominiale dei frontalini dei balconi

Quando si devono effettuare i lavori di manutenzione, ci si domanda a chi debbano essere addebitate le spese per gli interventi sul c.d. frontalino. Tale problematica sorge per il balcone aggettante (cioè quelli sporgenti dalla verticale della facciata dell’edificio) perché sono quelli che appartengono esclusivamente al proprietario dell’appartamento che se ne serve.

Ci si chiede se le spese devono essere sostenute dal proprietario del balcone ovvero dal condominio. Questa questione ha generato negli anni un enorme contezioso. Ormai la giurisprudenza è costante nel ritenere che gli elementi decorativi che caratterizzano la parte frontale del balcone aggettante si debbono considerare beni comuni quando contribuiscono a rendere esteticamente gradevole l’edificio.

Ripartizione delle spese dei frontalini

La Cassazione oggi ritiene che i frontalini appartengono al condominio in quanto elementi estetici e di arredo della facciata. Per cui le relative spese devono essere divise tra tutti i condòmini, anche quelli che affacciano su altro lato del palazzo o quelli che non sono proprietari di balconi (le spese vanno ripartite tra tutti i condomini, secondo i millesimi di proprietà, così come previsto dall’art. 1123 c.c.). Recentemente il Tribunale di Roma con la sentenza n. 915 del 19 Gennaio 2021, ha qualificato le spese da sostenere per il risanamento dei frontalini come “condominiali”.

Tribunale di Roma: frontalini sono condominiali

Con la sentenza n. 915 del 2021, il Tribunale di Roma conferma che i balconi sono una estensione della proprietà individuale, ma contestualmente precisa che si pongono come elementi decorativi esterni che si inseriscono nella facciata. Pertanto, le spese per gli elementi decorativi dei balconi, quando si identificano con la struttura della facciata, vanno ripartite a carico della collettività condominiale, suddivise tra tutti i condomini in maniera proporzionale alle singole quote di proprietà. Questo ragionamento viene fatto anche per i c.d. frontalini e di conseguenza le spese devono essere ripartite tra tutti i condomini, poiché i frontalini vengono considerati elemento imprescindibile della facciata costituendo l’estetica dello stabile allo stesso modo del muro perimetrale dell’edificio con cui si integrano in un rapporto armonico. Lo stesso Tribunale di Roma in precedenti sentenze, ha affermato non essere necessario, affinché i frontalini siano considerati parti comuni, che essi rivestano un particolare pregio architettonico, essendo sufficiente che contribuiscano a segnare le linee ornamentali del fabbricato.