Arriva il “SI'” al decreto ingiuntivo per rate non pagate emesso nei confronti di un singolo comproprietario

Arriva il “SI'” al decreto ingiuntivo per rate non pagate emesso nei confronti di un singolo  comproprietario. Infatti, gli intestatari dell’immobile in questione, sono tutti debitori nei  confronti del condominio, e la conseguenza che ne deriva è che l’amministratore ha piena facoltà di pretendere da ciascuno di essi l’intero ammontare, tranne da chi ha il diritto di regresso poiché ha pagato nei confronti degli altri.

La sentenza: Arriva il “SI'” al decreto ingiuntivo per rate non pagate anche da un singolo comproprietario

Lo ha affermato la quinta sezione civile del tribunale di Roma con la sentenza 7178/15 che in questo modo  ha respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo presentata dai comproprietari di un appartamento della capitale.
Tutti i ricorrenti hanno affermato che “le pendenze riguardavano un immobile originariamente di proprietà di una sola persona e che gli attuali intestatari, rispettivamente coniuge e figli dell’uomo, ne erano divenuti proprietari a seguito della morte del loro congiunto. Per questo motivo hanno contestato la legittimità del titolo monitorio perché emesso nei confronti della sola vedova. Nel merito hanno poi affermato che le delibere assembleari da cui scaturiva il debito erano illegittime perché approvate con criteri illeciti“.
Il tribunale, per spiegare il motivo del SI’ al decreto ingiuntivo per rate non pagate, ha affermato che “nel procedimento di opposizione a un decreto ingiuntivo l’ambito cognitivo non può abbracciare questioni relative alla legittimità o meno delle delibere assembleari poste a fondamento della pretesa. L’opposizione, infatti, concerne la sussistenza del debito e la documentazione o il verbale dell’assemblea, ma non può riguardare la validità della stessa che può essere contestata solo in via separata”.
Per quanto riguarda invece la legittimità dell’ingiunzione nei confronti di uno solo dei comproprietari il tribunale ha poi stabilito che “i contitolari di un appartamento sito in un edificio condominiale non possono essere considerati quali condomini singoli, ma nel loro insieme, con la conseguenza che non è consentita, riguardo alle spese condominiali, un’ulteriore divisione e che, pertanto tutti sono debitori solidali verso il condominio“. Per questo motivo, l’amministratore può e deve esigere la riscossione dell’intero debito da parte di ogni singolo comproprietario.

 

Il condomino non deve pagare la sua parte direttamente all’impresa

Il condomino non deve pagare la sua parte direttamente all’impresa che esegue lavori di manutenzione straordinaria, poiché l’unico soggetto referente per il saldo del condominio è l’amministratore.Nel caso in cui lo facesse, egli rimane comunque debitore nei confronti del condominio.

Ciò perché “il condominio si pone, verso i terzi, come soggetto di gestione dei diritti e degli obblighi dei condomini, attinenti alle parti comuni, sicché l’amministratore è rappresentante necessario della collettività dei partecipanti, sia quale assuntore degli obblighi per la conservazione delle cose comuni, sia quale referente dei relativi pagamenti“. Pertanto, il singolo condomino non è assolutamente autorizzato ad effettuare il pagamento delle somme dovute al condominio direttamente all’impresa che esegue i lavori di manutenzione, e inoltre, la dichiarazione di quietanza rilasciata dal legale rappresentante della ditta esecutrice dei lavori. non ha alcun valore legale.

La sentenza: il condomino non deve pagare la sua parte direttamente all’impresa che esegue i lavori

Lo stabilisce la sentenza 823/2015 del tribunale di Pordenone che ha rigettato il ricorso di un condomino convalidando così  la sentenza precedentemente emessa dal giudice di pace che lo aveva condannato a pagare un decreto ingiuntivo di 3.428,55 euro nei confronti del condominio.

In quella sede “il ricorrente aveva esposto che il credito vantato dal condominio per dei lavori di manutenzione straordinaria si era estinto avendo egli pagato quanto di sua spettanza direttamente all’impresa appaltatrice. In proposito aveva prodotto una dichiarazione di quietanza in copia fotostatica rilasciata dal legale rappresentante della predetta impresa. Correttamente il condominio aveva invece evidenziato che quel pagamento non era stato autorizzato“.

In tal  proposito si è espressa anche la Suprema corte, secondo la quale, il condomino non deve pagare la sua parte direttamente all’impresa e inoltre: “non può ritardare il pagamento delle rate di spesa, in attesa dell’evolversi delle relazioni contrattuali del condominio, così riversando sugli altri condomini gli oneri del proprio ritardo nell’adempimento, né può dedurre che il pagamento sia stato effettuato direttamente al terzo, in quanto ciò altererebbe la gestione complessiva del condominio, ma deve, adempiere all’obbligazione verso quest’ultimo, salva l’insorgenza, in sede di bilancio consuntivo, di un credito da rimborso nei confronti della gestione i condominiale, ove residuino avanzi di cassa per mancati esborsi o per la risoluzione dei contratti precedentemente stipulati“. Pertanto, il condomino non può pretendere di aver già versato la sua parte!

Le transazioni possono essere deliberate a maggioranza solo se non riguardano i diritti reali.

La sentenza n. 7201/2016 pronunciata dalla Cassazione (perfettamente in linea con la precedente 821/2014), ha chiarito una volta e per tutte che, quando non si tratta di diritti reali, le transazioni possono essere deliberate a maggioranza.

Le Transazioni possono  essere deliberate a maggioranza

La vicenda parte da un condòmino che, nove anni fa, aveva impugnato una delibera che aveva approvato a maggioranza qualificata (maggioranza dei presenti che rappresentino almeno 500 millesimi), piuttosto che all’unanimità dei condòmini, una transazione sui compensi dovuti a un professionista.

Sentenza della Cassazione sulle Transazioni deliberata a maggioranza

La Cassazione, pertanto, ha dato ragione al condominio, specificando che “l’unanimità dei partecipanti al condominio è necessaria «solo quando la transazione abbia ad oggetto i diritti reali comuni». E l’articolo 1108 del Codice civile (applicabile per il rinvio operato dall’articolo 1139) scatta solo per atti di alienazione del fondo comune, costituzione su die sso di diritti reali, locazioni ultranovennali. E «non rientra nei poteri dell’assemblea condominiale – che decide con il citerio delle maggioranze – autorizzare l’amministratore a concludere transazioni che abbiano ad oggetto diritti comuni». E dato che – conclude la Corte – l’ipotesi in questione non rientra tra quelle elencate all’articolo 1108 del Codice civile, trattandosi di compensi professionali per attività svolte nell’interesse del condominio, la delibera è pienamente valida“.
Pertanto, adesso spetta al condòmino ricorrente l’onere di pagare le spese di giudizio.

La ‘colonna d’aria’ sopra il cortile condominiale non può essere occupata

Secondo la sentenza n. 5551 del 2016 della Corte di Cassazione, la colonna d’aria sopra il cortile condominiale è da considerarsi comune. Nella fattispecie, la Cassazione ha avuto modo di precisare, in diverse situazioni, che “lo spazio aereo sovrastante alle unità abitative in condominio, non può essere occupato dai singoli condomini con costruzioni proprie in aggetto, non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri ai sensi dell’articolo 840, comma terzo, del Codice civile («sottosuolo e spazio sovrastante al suolo»), l’utilizzazione ancorché parziale a proprio vantaggio della colonna d’aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa (Cassazione sentenza 966/1993)”.

La colonna d’aria sopra il cortile condominiale

In condominio, infatti, la funzione della colonna colonna d’aria sopra il cortile condominiale è quella di dare aria e luce a tutte le unità abitative che vi prospettano, mentre per quanto riguarda la costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale è consentita ad ogni singolo condomino solo ed esclusivamente se questa  non va ad alterare la normale destinazione di quel bene, non anche quando questa si traduce in corpi di fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante ed utilizzazione della stessa a fini esclusivi (Cassazione, sentenza 3098/2005). “La sopraelevazione, disciplinata dall’articolo 1127 codice civile, pur essendo riconosciuta come un diritto potestativo del proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare ad uso esclusivo, non solo prevede il pagamento di un’indennità da corrispondere agli altri condomini ma è sottoposta a limitazione in quanto prevede per i condòmini la possibilità di opporvisi, tra l’altro, quando con la nuova costruzione diminuisce notevolmente l’aria o la luce dei piani sottostanti”.

La Sentenza della Cassazione sulla colonna d’aria sopra il cortile condominiale

Nella fattispecie, nella causa sottoposta all’esame della suprema Corte risultava evidente, dalla descrizione dei luoghi, che “si era in presenza di un vero e proprio corpo di fabbrica aggettante sul cortile comune, realizzato mediante incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante la relativa area, con conseguente alterazione della normale destinazione del cortile, che è principalmente quella di fornire aria e luce agli immobili circostanti.

Secondo i giudici di legittimità, la Corte di appello, pur dando atto che il manufatto in esame poggiava su tre pilastri che «occupano stabilmente e definitivamente parte della corte comune» di «dimensioni assolutamente minime e marginali»: “aveva, comunque, tratto delle conclusioni che si basavano su un’incompleta valutazione della fattispecie, perché non aveva tenuto conto del fatto che lo spazio aereo sovrastante il cortile comune, stabilmente occupato dal manufatto in questione, si poneva in contrasto con i principi affermati in materia dalla giurisprudenza, disattendendo il motivo di gravame principale con cui si sosteneva che l’opera alterava la destinazione della cosa comune, rendendola inservibile all’uso degli altri condomini”.

Per tali ragioni, la suprema Corte accoglieva tale motivo del ricorso.