Pianerottolo accorpato: serve consenso scritto di tutti i comproprietari

L’uso della cosa comune non può mai tradursi in un’appropriazione del bene mediante uno spoglio in danno degli altri comproprietari (Cassazione civile, ordinanza n. 18929/2020)

L’uso della cosa comune non può mai tradursi in un’appropriazione del bene mediante uno spoglio in danno degli altri comproprietari.

L’incorporazione di parti condominiali nella proprietà individuale integra una turbativa del possesso, in danno del condominio e dei singoli condomini. A nulla rileva che le parti comuni siano a servizio di una porzione dello stabile di proprietà esclusiva.

Questo è quanto chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. II Civile, con l’ordinanza 19 febbraio – 11 settembre 2020, n. 18929 (testo in calce).

L’uso frazionato della cosa a favore di uno dei comproprietari può essere consentito per accordo fra i partecipanti ma soltanto se l’utilizzo, nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c., è compatibile con la destinazione del bene e non altera nè ostacola il godimento da parte degli altri comunisti.

Se la cosa comune è alterata o sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo non si tratta più di uso frazionato consentito ma di appropriazione di parte della cosa comune, per la quale occorre il consenso negoziale di tutti i partecipanti che – in caso di beni immobili – impone la forma scritta “ad substantiam”.

Questo, in sintesi, il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento, pronunciata in tema di appropriazione del vano scale condominiale ad opera del proprietario dell’ultimo piano.

Balconi

Quando si parla di balconi, occorre dire che la situazione è tutt’altro che chiara e definita. Se il regolamento (contrattuale) non ha sancito nulla in merito alle spese per gli interventi manutentivi riguardanti questa parte dell’edificio, guardare alla legge nella speranza che faccia, chiaramente, altrettanto è un’illusione.

Il tutto, come spesso accade in materia condominiale, è rimesso all’analisi degli orientamenti giurisprudenziali che proprio in quanto tali sono spesso soggetti a mutamenti tanto inattesi quanto sorprendenti.

Nonostante ciò vale la pena capire, ad oggi, quali siano i punti fermi ricavabili dall’esame delle sentenze in materia di balconi in condominio.

In primis sulla proprietà dei balconi è bene far presente che “ è del tutto evidente che i balconi non sono necessari per l’esistenza o per l’uso, e non sono neppure destinati all’uso o al servizio dell’intero edificio: è evidente, cioè, che non sussiste una funzione comune dei balconi, i quali normalmente sono destinati al servizio soltanto dei piani o delle porzioni di piano, cui accedono.

D’altra parte, solo in determinate situazioni di fatto, determinate dalla peculiare conformazione architettonica del fabbricato, i balconi possono essere considerati alla stessa stregua dei solai, che peraltro appartengono in proprietà (superficiaria) ai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastante e le cui spese sono sostenute da ciascuno di essi in ragione della metà (art. 1125 cod. civ.).

Per la verità, è possibile applicare, mediante la interpretazione estensiva, la disciplina stabilita dalla citata norma di cui all’art. 1125 all’ipotesi non contemplata dei balconi soltanto quando esiste la stessa ratio.

Orbene, la ratio consiste nella funzione, vale a dire nel fatto che il balcone – come il soffitto, la volta ed il solaio – funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore”. (Cass. 21 gennaio 2000 n. 637)

I balconi cui applicare la ripartizione delle spese prevista dall’art. 1125 c.c. per ciò che concerne il piano di calpestio (che funge da soffitto) tra i confinati del piano superiore ed inferiore è quello così detto incassato, vale a dire quella tipologia di balcone che non sporge rispetto alla facciata dello stabile.

Per questa categoria le spese per il rifacimento della parte frontale dovranno essere poste a carico di tutti i condomini ai sensi dell’art. 1123, primo comma, c.c. poiché tale parte fa parte integrante della facciata dell’edificio.

Leggermente diversa la situazione per i balconi incassati. Innanzitutto con tale dizione s’identificano quelli che sporgono rispetto alla facciata dell’edificio.

La giurisprudenza è costante nell’affermare che “ I balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” (Cass. 30 luglio 2004 n. 14576).

E’ evidente l’incertezza della situazione visto e considerato che la valutazione dell’incidenza sul decoro è questione chiaramente soggettiva che, per quanto ancorata a parametri estetici comuni, non può dar luogo alla formulazione di norme precise.

Ripartizione delle spese: è annullabile una delibera contraria ai criteri legali.

E’ annullabile e non nulla la delibera con la quale l’assemblea nel ripartire le spese condominiali viola o disattende i criteri stabiliti dalla legge. Pertanto, è valido il decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio per il pagamento di oneri condominiali nel caso in cui il condòmino non abbia impugnato la relativa delibera entro il termine di trenta giorni previsto dall’articolo 1137 del Codice civile, decorrenti dall’approvazione per i dissenzienti e gli astenuti e dalla data della sua comunicazione per gli assenti. Lo ha ribadito il Tribunale di Busto Arsizio con la sentenza 301/2020, pubblicata il 19 febbraio 2020.

Amministratore condannato a risarcire 3 mila euro

Per il tribunale di Torino è antigiuridica la divulgazione da parte dell’amministratore di informazioni personali dei condomini, anche se ad altri condomini, senza il rispetto delle modalità previste dalla legge

Il trattamento dei dati personali, per essere lecito, deve avvenire nell’osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti (art. 11 del codice).

Sull’amministratore del condominio, pertanto, grava il dovere di adottare le opportune cautele per evitare l’accesso a quei dati da parte di persone estranee al condominio e per tutelare la dignità dell’interessato.

Ai sensi dell’art. 1130 c.c., è consentito all’amministratore comunicare ai condomini la situazione debitoria degli altri partecipanti, ma le comunicazioni devono rispettare sempre quanto previsto dalla legge e gli accorgimenti dettati a tutela della dignità dell’interessato.

Anche il vademecum del Garante della Privacy pubblicato nell’ottobre 2013 conferma che, “oltre alle informazioni che lo riguardano …” ogni condomino “può conoscere le spese e gli inadempimenti degli altri condomini, sia al momento del rendiconto annuale sia facendone richiesta all’amministratore“. Di certo, dunque, tali informazioni non possono essere comunicate ad esempio ai condomini “incontrati casualmente per strada” ovvero al di fuori delle forme prescritte dall’ordinamento.

Il Tribunale di Torino con sentenza 12 Marzo 2019 chiarisce che le comunicazioni che avvengono non rispettando le modalità stabilite dall’ordinamento, anche se effettuate nei confronti di altri condomini, risultano illegittime e antigiuridiche e per tale motivo l’amministratore ha subito una pesante condanna pecunaria di notevole entità (euro 3.000) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale causato ad un condomino dall’illecita divulgazione di informazione personali.

Spese per l’istallazione di un cancello automatico

La sostituzione del cancello meccanico con un altro automatizzato non è una “innovazione”, ma una “modifica” della parte comune. Inoltre, la ripartizione della spesa tra i condòmini non può essere deliberata dall’assemblea in deroga ai criteri millesimali o a quanto stabilito dall’articolo 1123 codice civile. È quanto ha precisato il Tribunale di Palermo con la Sentenza pubblicata in data 26 marzo 2016 .

Nei fatti, l’assemblea dei condòmini di un Condominio aveva deliberato la sostituzione di un cancello con uno meccanizzato, volto a consentire l’accesso in una area comune adibita a parcheggio.

La deliberazione, adottata con una maggioranza inferiore ai cinquecento millesimi, ha previsto la ripartizione del costo previa adozione di un criterio convenzionale. In particolare, si è deciso di ripartire il costo dell’automatizzazione in parti uguali in capo ai soli titolari dei boxes, ai quali si sarebbe dovuto consegnare, in via esclusiva, il telecomando di accesso.

Uno dei condòmini, in quanto titolare di una villetta con accesso anche dalla predetta area interna, ha impugnato la deliberazione, ritenendola lesiva dei propri interessi.

Attraverso la sentenza citata, il giudice ha ritenuto legittima la deliberazione con riferimento al quorum deliberativo adottato in sede assembleare, in quanto la stessa, disponendo l’automatizzazione del cancello, non integrerebbe una innovazione, ma una semplice modifica della “cosa comune”. Viceversa, esso decidente ha ritenuto illegittima la statuizione impugnata con riferimento ai criteri prescelti per la ripartizione della spesa anzidetta tra i condòmini. Quest’ultimi, infatti, avevano disciplinato la suddivisione del conto derogando le tabelle millesimali in uso in condominio.

I criteri stabiliti dall’articolo 1123 codice civile e/o, ancor prima dal regolamento e/o della tabelle millesimale, possono essere derogati – rammenta il decidente -, secondo quanto prescrive espressamente l’indicata norma, soltanto da una convenzione sottoscritta da tutti i condòmini interessati. I contributi per la conservazione del bene sono dovuti, infatti, da ciascun compartecipe in ragione dell’appartenenza e si dividono in proporzione alle quote, indipendentemente dal vantaggio soggettivo espresso dalla destinazione delle parti comuni a servire in misura diversa i singoli piani o porzione di piano.

Danni derivanti dal lastrico solare esclusivo

Il proprietario esclusivo del lastrico solare dell’edificio, secondo una sentenza della Cassazione a Sezioni unite del 10 maggio 2016, n. 9449, riguardante fattispecie della responsabilità per danni derivanti dal lastrico solare esclusivo ha l’obbligo di pagare i danni.

La Suprema corte, infatti, con la pronuncia 3239 del 7 febbraio 2017 ha affrontato, ancora una volta tale argomento, facendo anche un passo in avanti nell’interpretazione dell’articolo 1126 del Codice.

Vediamo in ordine  i princìpi cui la Cassazione a Sezioni Unite si è ispirata:

  1. a) la responsabilità per l’eventuale danno causato dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare esclusivo (o dalla terrazza a livello, sempre esclusiva) va ricondotta nell’ambito dell’illecito extracontrattuale;
  2. b) non si può ignorare in ogni caso la specificità di tale tipologia di copertura, in quanto, da un lato, la sua superficie, costituisce oggetto dell’uso esclusivo di chi abbia il relativo diritto; e, dall’altro, la sua parte strutturale sottostante costituisce “cosa comune”, perché contribuisce ad assicurare la copertura dell’edificio;
  3. c) diverse sono le posizioni del titolare dell’uso esclusivo sul lastrico solare e del condominio;
  4. d) da una parte, il titolare di tale diritto è tenuto agli  obblighi di custodia, ex articolo 2051 del Codice civile, in quanto si trova in rapporto diretto con il bene potenzialmente dannoso;
  5. e) dall’altra parte, il condominio è tenuto (secondo gli articoli 1130, comma 1, n. 4. e 1135, comma 1, n. 4, del Codice civile) a compiere gli  atti conservativi e le opere di manutenzione straordinaria relativi alle parti comuni dell’edificio e della relativa omissione risponde in base all’ articolo 2043 del Codice civile;
  6. f) queste due responsabilità di cui ai punti d) ed e) possono concorrere tra loro;
  7. g) in tal caso, il criterio di riparto previsto per le spese di riparazione o di ricostruzione dall’articolo 1126 del Codice civile (un terzo/due terzi) costituisce un parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all’uso e alla custodia della cosa, valevole anche ai fini della ripartizione del danno eventualmente cagionato;
  8. h) diversamente, nel caso in cui risulti che il titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico solare o della terrazza a livello sia responsabile dei danni provocati ad altre unità immobiliari presenti nell’edificio per effetto di una condotta che abbia essa stessa provocato il danno; ipotesi in cui il titolare del diritto va conseguentemente ritenuto l’unico responsabile.

Da tale impostazione, che ormai può dirsi definitiva, deriva che non possono più essere prese in considerazione le precedenti sentenze della Cassazione che attribuivano la custodia del lastrico solare al condominio (25288/2015), ai condòmini (1674/2015), o addirittura all’amministratore (17983/2014) anche se tale area fosse esclusiva.

In sostanza, per le Sezioni unite del 2016 il  «custode» è solo il titolare esclusivo, e non il condominio, il quale risponde, al massimo, per una sua condotta illecita (articolo 2043 del Codice civile), qual è certamente l’omissione di manutenzione.

La pronuncia della Cassazione 3239/2017, oltre a confermare questa impostazione, aggiunge un tassello importante per la valutazione del caso concreto: per poter attribuire la responsabilità per danni derivanti dal lastrico solare occorre effettuare un’indagine  – evidentemente a mezzo di perizia tecnica (e anche in base alle altre risultanze processuali) – sulle specifiche cause dell’evento e se tali cause, in particolare, sono ascrivibili a un concorso di responsabilità oppure a un fatto esclusivo del titolare del diritto di uso (come nell’ipotesi dei danni provocati dall’ostruzione alla griglia di scarico delle acque piovane su un lastrico solare di proprietà esclusiva, chiarita dalla Cassazione con la sentenza 26086/2005 )

IL CONDOMINIO NON HA PERSONALITA’ GIURIDICA

Per la Cassazione, il condominio non è una persona giuridica, e i singoli condomini possono tutelare in giudizio i diritti relativi alle parti comuni.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 10934/2019, si sono pronunciate sull’annosa questione della personalità giuridica del condominio, ribadendone l’assenza.

In base a tale impostazione, al singolo condomino deve essere riconosciuto il diritto di agire e resistere in giudizio per tutelare i diritti riguardanti le parti oggetto di proprietà comune, anche se non ha preso parte ai precedenti gradi del processo di merito.

Questi i fatti che hanno dato origine alla pronuncia.

Un condominio agiva in giudizio, chiedendo la riduzione in pristino delle opere realizzate da una condomina in asserita violazione del regolamento condominiale, oltre che di servitù di passaggio in favore di parti comuni dell’edificio, esercitata da alcuni condomini.

La domanda veniva integralmente accolta dal Tribunale. Avverso la sentenza di primo grado la condomina interponeva appello, parzialmente accolto dalla Corte di secondo grado.

A questo punto, la condomina proponeva ricorso per cassazione.

La causa veniva rimessa alle Sezioni Unite perché altra condomina, la quale non aveva preso parte ai precedenti gradi di giudizio, aveva proposto ricorso incidentale. L’incertezza verteva, appunto, sulla configurabilità del diritto della condomina che aveva proposto ricorso incidentale per la rimozione delle opere, non avendo ella svolto difese nei gradi di merito.

La pronuncia in commento ricorda che anche la riforma del condominio del 2012 ne ha escluso il riconoscimento della personalità giuridica.

Inoltre, nel risolvere la questione, le Sezioni Unite hanno come al solito compiuto un’attenta trattazione dei precedenti giurisprudenziali e degli orientamenti espressi in materia.

L’impostazione tradizionale, precisa in questo caso la Corte, valorizza l’assenza di personalità giuridica del condominio e la sua limitata facoltà di agire e resistere in giudizio tramite l’amministratore nell’ambito dei poteri conferitigli dalla legge e dall’assemblea. In tal modo viene attribuita ai singoli condomini la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti comuni e di quelli personali.

Afferma la pronuncia in commento: “una volta riscontrato che il legislatore ha respinto in sede di riforma dell’istituto… la prospettiva di dare al condominio personalità giuridica con conseguenti diritti sui beni comuni, è la natura dei diritti contesi la ragione di fondo della sussistenza della facoltà dei singoli di affiancarsi o surrogarsi all’amministratore nella difesa in giudizio dei diritti vantati su tali beni”.

Secondo le Sezioni Unite “la ratio dei poteri processuali dei singoli condomini risiede… nel carattere necessariamente autonomo del potere del condomino di agire a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”, e di resistere alle azioni da altri promosse anche allorquando gli altri condomini non intendano agire o resistere in giudizio”.

Infatti è il diritto dell’amministratore ad aggiungersi a quello dei naturali e diretti interessati ad agire per il fine indicato a tutela dei beni dei quali sono comproprietari.

Pertanto, conclude il Collegio, “allorquando si sia in presenza di cause introdotte da un terzo o da un condomino che riguardino diritti afferenti al regime della proprietà e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato, e che incidono sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune, non può negarsi la legittimazione alternativa individuale”.

Del resto – commenta la Corte – non sarebbe concepibile la perdita parziale o totale del bene comune senza far salva la facoltà difensiva individuale.

COMPENSO AMMINISTRATORE

L’amministratore di condominio è un mandatario dei condomini e come tale agisce avendo diritto ad un compenso quale corrispettivo per i servizi prestati, ma a pena di nullità della sua nomina deve specificarlo chiaramente ed interamente al momento dell’accettazione dell’incarico (cfr. art. 1129, quattordicesimo comma, c.c.).

Nella retribuzione del mandatario deve ritenersi compresa tutta l’attività prestata in favore della compagine, indi per cui è illegittima la richiesta (non approvata dall’assemblea) di un compenso extra per le opere straordinarie eseguite sull’edificio. Cass. sent. 30/09/2019 n. 22313

Misura del compenso.
L’amministratore dal punto di vista legislativo non è un professionista al pari d’un avvocato, d’un architetto, d’un commercialista, ecc. per cui non ha mai avuto un tariffario di riferimento.

Nulla a cui rifarsi per dire, ad esempio, “per un condominio con cento partecipanti ho diritto ad X euro, per uno con cinquanta ad Y, per uno con cinquanta e l’ascensore, l’autoclave, ecc. a Z, ecc.

In questo contesto e sempre tenendo a mente le norme applicabili sul mandato, il compenso era (ed è) liberamente concordato con il condominio.

Un esempio vero di libero mercato. Infatti fino ad un decennio addietro, se non v’era accordo le parti, la misura del compenso era determinata dal giudice (art. 1709 c.c.). Ciò vale anche oggi purché, come si diceva in precedenza l’amministratore all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, specifichi analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta (Art. 1129 c.c.).

In passato, in assenza di parametri di riferimento, la misura del compenso dell’amministratore era quella pattuita con l’assemblea al momento della nomina, senza possibilità di aggiungere extra, salvo che non gli fossero riconosciuti dall’assemblea.

Quanto sopra è stato ribadito dalla Cassazione con la sentenza n. 22313. Si legge nella pronuncia: “in tema di condominio, l’attività dell’amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale e non deve, pertanto, essere retribuita a parte (Cass. n. 3596/2003; n. 122047210)” (Cass. 30 settembre 2013 n. 22313).

Il principio – a maggior ragione in considerazione dell’obbligo di indicazione del compenso ai sensi dell’art. 1129 c.c.,di cui s’è più volte detto – deve considerarsi valevole anche per la disciplina vigente dopo l’entrata in vigore della riforma.

COMPENSO ED ATTIVITA’ FISCALE DELL’AMMINISTRATORE

La legge di riforma del condominio negli edifici ha inserito nell’art. 1130 c.c. (che riguarda le attribuzioni dell’amministratore) e tra queste l’amministratore del condominio deve eseguire l’attività fiscale. Ma cosa s’intende con attività fiscale?

Con l’entrata in vigore della riforma, all’atto dell’accettazione della nomina l’amministratore deve indicare analiticamente il compenso per l’attività da svolgere (art. 1129, quattordicesimo comma, c.c.). E dunque niente più sorprese

Già prima dell’entrata in vigore della legge n. 220/2012, era noto che l’amministratore, quale legale rappresentante del condominio, doveva:

  • volturareil codice fiscale del condominio;
  • versare la ritenuta d’accontooperata sul pagamento di fatture per determinate prestazioni (cfr. . 25-ter del d.p.r. n. 600/73);
  • presentare il modello 770(cfr. art. 4 d.p.r. n. 435 del 2001);
  • curare la pratica per le agevolazioni fiscalinel caso di ristrutturazioni edilizie o riqualificazioni energetiche. Questa l’attività era stata contestata da taluni amministratori, non esistendo uno specifico obbligo di legge in tal senso, ma è intervenuta su questo tema la giurisprudenza che, con la sentenza della Corte d’Appello di Milano, 6 febbraio 2008 ha deciso che questo onere gravasse sull’amministratore.

COMPENSO DELL’AMMINISTRATORE E LAVORI STRAORDINARI

Se l’amministratore non ha chiesto un compenso extra all’atto dell’accettazione dell’incarico o del suo rinnovo, come specificato dall’art. 1129, quattordicesimo comma, c.c., ma ne ha avanzato richiesta in una successiva assemblea, cioè dopo l’assunzione dell’incarico, magari proprio quando si è iniziato a discutere e decidere sui lavori straordinari, allora si si chiede se quella richiesta deve essere considerata valida o meno e se la tardività rischia di rendere eventualmente nulla la deliberazione di nomina

Al riguardo s’è espresso il Tribunale di Udine, con in un’interessante sentenza del novembre 2018 che ha innanzitutto inquadrato la questione specificando che la ratio dell’art. 1129, comma 14, c.c. va individuata nella necessità di garantire la massima trasparenza ai condomini al fine di renderli edotto sule singole voci di cui si compone il compenso dell’amministratore di condominio.

Data questa premessa, il Giudice ha tratto la conclusione secondo la quale la garanzia di trasparenza prevista dalla norma «non viene meno nell’ipotesi in cui all’atto della nomina o della conferma dell’amministratore non sono indicati il compenso e le singole voci per l’attività straordinaria, ciò perché, in primo luogo, tale attività, proprio perché straordinaria, non è preventivabile come nel caso di lavori straordinari non essendo possibile stabilire la complessità, la laboriosità, l’urgenza dei lavori da svolgere sui quali, poi, misurare il compenso dell’amministratore, tant’è che l’assemblea, di fronte alla necessità di dar corso ad opere straordinarie, viene edotta ed informata dell’attività e dei lavori da svolgere e può autonomamente stabilire e concordare, nella massima trasparenza, il compenso dovuto all’amministratore» (Trib. Udine 12 novembre 2018).

COMPENSO E TEMPI DI PRESCRIZIONE

Che si tratti di compenso concordato o comunque che può essere preteso, ci si chiede entro quanto tempo l’amministratore deve farsi avanti per non perderne il diritto?

Ricordiamo che il trascorrere del tempo fa sì che assuma importanza la prescrizione, ossia l’impossibilità, se il maturare della prescrizione è eccepito dalla controparte, di ottenere giustizia d’un proprio diritto. Proprio per tale ragione si dice che ciò che si prescrive non è il diritto, ma l’azione.

Riguardo al quesito, la questione prescrizione potrebbe essere vista sotto tre differenti punti di vista:

1) triennale, ai sensi dell’art. 2956 n.2 c.c. ossia di quella applicabile in relazione ai professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative;

2) quinquennale ex art. 2948 n. 4 c.c., perché riguardante una somma che deve pagarsi periodicamente ad anno in termini più brevi;

3) decennale in quanto riguardante un compenso derivante da un contratto e quindi rientrante nell’ambito dell’ordinaria prescrizione prevista dall’art. 2946 c.c.?

Sulla questione è intervenuto il Tribunale di Milano, secondo cui la prescrizione debba considerarsi decennale

Il tutto trae origine da una causa conclusasi nel 2016 e relativa al pagamento del compenso dell’ex amministratore, il condominio convenuto eccepiva l’avvenuta prescrizione triennale, considerando quello dovuto all’amministratore alla stregua del credito d’un professionista.

Il Tribunale non accoglieva la tesi, affermando che «il credito dell’amministratore per il pagamento del compenso per l’attività prestata e per il recupero delle somme anticipate in esecuzione del contratto di mandato è regolato dall’art. 1720 c.c. ed è soggetto a prescrizione ordinaria decennale, non potendo neppure applicarsi la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 n.4 c.c. (Cass. 19348/2005:” Poiché il credito per le somme anticipate nell’interesse del condominio dall’ amministratore trae origine dal rapporto di mandato che intercorre con i condomini, non trova applicazione la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 n.4 cod. civ., non trattandosi di obbligazione periodica; né tale carattere riveste l’obbligazione relativa al compenso dovuto all’ amministratore, atteso che la durata annuale dell’incarico, comportando la cessazione “ex lege” del rapporto, determina l’obbligo dell’ amministratore di rendere il conto alla fine di ciascun anno.”)» (Trib. Milano 30 aprile 2016 n. 5386).

Ricordiamo che il decorso della prescrizione può essere interrotto, ossia fatto ripartire da zero, semplicemente con l’invio di una raccomandata all’amministratore del condominio (o alla controparte in qualunque altro caso), nella quale si reclama l’adempimento della prestazione dovuta.

Rammentiamo, infine, che la prescrizione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma può esserlo solamente se eccepita dalla parte.

COMPENSO AMMINISTRATORE USCENTE

Da ultimo ci sembra importante riportare una importante recente sentenza.

Il principio di diritto: La delibera di nomina del nuovo amministratore cui non faccia seguito l’accettazione del medesimo sia in forma espressa che tacita, ad esempio tramite l’esecuzione del passaggio di consegne, non è sufficiente a determinare la cessazione dell’incarico del precedente amministratore, che pertanto continua a maturare il proprio compenso sino al perfezionarsi del subentro (Trib. Vicenza, n. 1897/2019 ).

La ripartizione spese speciale del regolamento condominiale si estende ai frazionamenti

Il regolamento condominiale può stabilire un modo diverso di ripartizione delle spese, per esempio in parti uguali, ma, in tal caso, si dovrà estendere la stessa modalità di ripartizione anche a nuovi possibili frazionamenti. Lo puntualizzala Corte di cassazione con ordinanza n. 24925 del 7 ottobre 2019.

Si riporta   di seguito una controversia che inizia con l’impugnazione, da parte di una società, della deliberazione con cui l’assemblea di condominio aveva approvato il rendiconto e lo stato di ripartizione delle spese dell’anno precedente. Contestazione respinta dal tribunale di Palermo: la divisione, scrive, era stata operata in base al criterio dettato dal regolamento per cui le spese per l’uso e il godimento delle parti comune spettavano ai proprietari in ragione di 1/14 ciascuno, considerato l’aumento del numero delle quote derivante dal frazionamento in distinte proprietà di alcune delle originarie unità immobiliari.

Interpretazione con cui aveva concordato la Corte di appello la quale rimarcava come il riferimento testuale alla frazione di 1/14 non avesse determinato le quote condominiali di partecipazione alle spese, ma avesse inteso fissare la ripartizione tra i condomini allora proprietari. Il successivo aumento del numero dei proprietari, quindi, ben giustificava la nuova ripartizione dell’intero.

La società, però, portava il caso in Cassazione, adducendo come motivo, l’errata lettura del regolamento che era in realtà teso a dividere le spese in quattordici quote e non in base al numero degli effettivi proprietari delle singole porzioni. Tesi ancora una volta bocciata. È vero, spiegano i giudici, che i criteri di divisione delle spese condominiali possono essere derogati, come prevede l’articolo 1123 del Codice civile, come è vero che la convenzione di modifica della disciplina legale di ripartizione può essere contenuta sia nel regolamento condominiale, sia in una deliberazione approvata all’unanimità.

È consentita, difatti, l’adozione di discipline convenzionali (quindi di natura contrattuale) che differenzino gli obblighi dei partecipanti di partecipare agli oneri di gestione del condominio, attribuendoli in proporzione maggiore o minore rispetto a quella scaturente dalla rispettiva quota individuale di proprietà. Peraltro, è anche possibile – visto che l’articolo 1123 del Codice civile non detta limiti al riguardo – che si decida di dividere in quote uguali tra i condomini gli oneri generali e di manutenzione delle parti comuni o persino di esonerare, parzialmente o anche totalmente, alcuni condomini dal dovere di contribuzione (Cassazione n. 27233/2013).

Del resto, come evidenziato dalle Sezioni Unite con pronuncia n. 18477/2010, la diversa convenzione altro non sarebbe che una dichiarazione negoziale da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese. E l’interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, come quelle contenenti una disciplina convenzionale di ripartizione delle spese, sarà sindacabile in sede di legittimità solo per violazione di regole legali. Nella fattispecie in esame, invece, il contenuto e la portata della deroga pattizia al generale criterio di ripartizione delle spese comuni era desumibile in modo cristallino dalle espressioni letterali usate.

Di qui, il rigetto del ricorso formulato dalla società considerato che l’interpretazione del regolamento fornita dai giudici di merito ed espressamente contestata dalla stessa società, non solo non era discutibile ma era l’unica coerentemente possibile.

Modifica dei criteri di ripartizione delle spese

La ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123 c.c.,se non vi è una particolare convenzione adottata all’unanimità, quale manifestazione dell’autonomia contrattuale dei singoli. L’art. 1123 c.c. così dispone: <<Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne. Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità>>

Per poter identificare in modo corretto l’uso e l’utilità che ciascun condomino trae dalla cosa comune occorre riferirsi all’uso anche solo potenziale che il condomino può fare della cosa comune, non avendo rilievo le scelte personali e discrezionali

E’ nulla la delibera assembleare adottata senza il consenso unanime dei condomini quando ha ad oggetto la ripartizione delle spese comuni in deroga ai criteri legali di ripartizione delle stesse (Cass. 2301/2001; Cass. 16321/2016). E’ invece annullabile e quindi impugnabile nel termine di cui all’art. 1137, ultimo comma, c.c., la decisione con cui l’assemblea, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135, n. 2 e n. 3, c.c., determina in concreto la ripartizione delle spese in difformità dai criteri di cui all’art. 1123 c.c. (Cass. 6714/2010; Cass. 3704/2011, 15523/2013). I compiti dell’assise di cui all’art. 1135 cod. civ., n. 2 e n. 3 attengono all’approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa ripartizione tra i condomini e all’approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e all’impiego del residuo attivo della gestione

La partecipazione con il voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall’assemblea per ripartire le spese secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello espresso nelle tabelle millesimali, o l’acquiescenza rappresentata dalla concreta disapplicazione delle stesse tabelle per più anni, può valere quale univoco comportamento che manifesta il volere di parziale modifica dei criteri di ripartizione da parte dei condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione. Esso può assurgere ad una convenzione modificatrice della relativa disciplina, che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta, ma solo il consenso anche tacito o per facta concludentia, purché inequivoco dei condomini (Cass. 3245/2009; Cass. 13004/2013)

E’ nulla, anche se assunta all’unanimità, la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese ove si tratti di innovazione vietata ai sensi dell’art. 1120 comma 2 cod. civ. (Cass. 5814/2016)

L’art. 1120 comma 2 c.c. dispone che sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino

E’ nulla l’assegnazione in via esclusiva e per un tempo indefinito, di posti auto all’interno di un’area condominiale, in quanto comporta una limitazione all’uso ed al godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune (Cass. 11034/2016; Cass. 1898/2017).

Per l’azione di nullità della delibera occorre fare riferimento alla nullità del contratto ex art. 1421 c.c

Ai sensi dell’art. 1421 cc. le azioni di nullità possono essere proposte da chiunque vi abbia interesse e anche dal condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera nulla: il singolo deve dimostrare di avervi interesse perché dalla deliberazione deriva un apprezzabile suo pregiudizio. Non vale in ambito di diritto sostanziale la regola propria della matteria processuale sulla cui base chi ha concorso a dare causa alla nullità non può farla valere (Cass. 9562/1997; Cass. 5125/1993, Cass. 5814/2016).

Nell’ipotesi di effettiva, improrogabile urgenza di trarre aliunde somme – come nel caso di aggressione in executivis da parte di creditore del condominio, in danno di parti comuni dell’edificio – può ritenersi consentita una deliberazione con cui si tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione di un fondo – cassa ad hoc, atto a evitare danni ben più gravi nei confronti di tutti i condomini, i quali sono soggetti al vincolo di solidarietà passiva. In ragione di ciò nasce in capo al condominio e non ai singoli condomini morosi l’obbligazione di restituire ai condomini solventi le somme a tale titolo percepite, dopo aver identificato gli insolventi e recuperato dagli stessi quanto dovuto per le quote insolute (Cass. 13631/2001)