Assemblee condominiali senza l’effetto sorpresa

Il contenuto delle deliberazioni deve sempre risultare da un verbale scritto. Il testo della delibera deve quindi essere chiaro e consentire di individuare con certezza la volontà espressa dalla maggioranza dei condomini. Questo il chiarimento contenuto nella sentenza n. 106 della Corte di appello di Genova

Niente effetto sorpresa per le deliberazioni assembleari. Il contenuto delle stesse deve sempre risultare da un verbale scritto, da conservare nell’apposito registro previsto dall’art. 1130 c.c. Il testo della delibera deve quindi essere chiaro e consentire di individuare con certezza la volontà espressa dalla maggioranza dei condomini, in modo da garantirne l’efficacia e consentire all’amministratore di eseguirla. In caso di incertezza sul contenuto della delibera non si può quindi fare riferimento ai testimoni, perché è inaccettabile una delibera con contenuto «a sorpresa», che emerga a distanza di tempo, quando magari siano già trascorsi i termini per impugnarla. Questo l’interessante chiarimento contenuto nella recente sentenza n. 106 della Corte di appello di Genova, pubblicata lo scorso 29 gennaio 2021.

Il caso concreto. Nella specie era stata impugnata la deliberazione con cui l’assemblea si era espressa su un intervento da effettuare sull’impianto idrico e sulla ripartizione tra i condomini della relativa spesa.

Secondo il tribunale, che aveva accolto l’impugnazione, la delibera in questione risultava indeterminata, in quanto erano stati previsti due possibili criteri alternativi di imputazione della spesa, ma nel verbale non era stata specificata quale fosse la volontà assembleare, non essendo stato indicato quale dei due criteri fosse stato approvato dalla maggioranza dei condomini.

Il condominio, convinto che si trattasse di un mero errore materiale relativo alla redazione del verbale, aveva quindi impugnato la sentenza, rimproverando al giudice di primo grado di non avere provveduto a superare la presunta incertezza del contenuto della delibera in questione con l’applicazione dei criteri di interpretazione cui agli artt. 1362 ss. c.c.

Secondo il condominio l’andamento dei fatti era del tutto chiaro. Si era proceduto a mettere in votazione la prima delle due ipotesi prospettate ai condomini, ovvero la divisione delle spese in parti uguali. L’assemblea si era quindi espressa su questa ipotesi e vi erano stati voti favorevoli e contrari.

Prescrizione delle spese condominiali

Il credito che il Condominio vanta nei confronti dei condomini è soggetto a prescrizione, come qualsiasi altro credito. In materia, occorre distinguere la tipologia di spesa condominiale, infatti, il termine muta a seconda che si tratti di oneri periodici (come quelli ordinari) o non periodici (come quelli straordinari). La prescrizione è di:
• 5 anni nel caso di spese periodiche di gestione ordinaria (art. 2948 c. 1 n. 4 c.c.);
• 10 anni per le spese non periodiche, come quelle straordinarie (art. 2946 c.c.).

Mancata convocazione del condomino, chi può impugnare la delibera?

Per la Cassazione civile (sentenza n. 10071/2020) è legittimato il solo condomino pretermesso e non la generalità dei partecipanti al condominio

Legittimato ad impugnare la delibera è il solo condomino pretermesso e non la generalità dei partecipanti al condominio: la mancata convocazione integra infatti un vizio procedimentale, inerente l’esclusiva sfera d’interesse del soggetto escluso.

Questo è quanto stabilisce la Suprema Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con la sentenza 10 ottobre 2019 – 28 maggio 2020, n. 10071 (testo in calce).

La delibera assembleare adottata in difetto di convocazione di alcuni dei condomini è annullabile e non nulla.

Trattandosi di annullabilità la legittimazione ad impugnare spetta quindi al solo condomino pretermesso e non anche agli altri partecipanti al condominio: il difetto di convocazione è infatti un vizio procedimentale che afferisce unicamente la sfera di interesse dei condomini non convocati.

La legittimazione ad agire per far valere l’annullabilità di una delibera assembleare non può infatti ridursi al mero interesse alla rimozione dell’atto, o ad un’astratta pretesa di sua assoluta conformità al modello legale ma dev’essere espressione di una posizione qualificata.

Il condomino che si è rifiutato di partecipare alla spesa per i lavori urgenti e necessari, di manutenzione straordinaria alle parti comuni dell’edificio, non può lamentare il mancato godimento dei benefici fiscali connessi a tale spesa.

L’assemblea condominiale, nell’esercizio dei suoi poteri gestori, può sempre ratificare la spesa per lavori indifferibili ed urgenti di manutenzione straordinaria delle parti comuni, effettuata dall’amministratore o direttamente dai condomini, se questi non è stato nominato.

Il condomino che si rifiuta di partecipare alla spesa per i lavori urgenti ed indifferibili, di manutenzione straordinaria alle parti comuni dell’edificio, adducendo che erano stati commissionati da altri condomini e non dall’amministratore, non può quindi dolersi di non aver potuto beneficiare delle agevolazioni fiscali connesse a tale spesa. E’ infatti proprio la sua condotta inadempiente che gli preclude di godere di tali benefici.

Lo ha affermato la Sesta Sezione, Seconda Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10845/2020.

Quietanza di pagamento condominiale inopponibile se priva di data certa

Il condomino pignorante i crediti vantati da un terzo nei confronti del proprio condominio è estraneo al rapporto contrattuale da cui scaturisce l’oggetto del pignoramento (Cass. 14599/2020)

Nel procedimento di espropriazione forzata promosso da un condomino nei confronti di un creditore del proprio condominio, il creditore procedente è terzo ed estraneo al rapporto contrattuale concluso tra i due.

La quietanza del pagamento effettuato dall’ente, sprovvista di data certa anteriore al pignoramento, gli è quindi inopponibile, ai sensi dell’art. 2704 c.c..

Lo ha affermato la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 14599/2020 (testo in calce), ribadendo il già consolidato principio secondo cui, in sede di accertamento dell’obbligo del terzo (sia nel giudizio a cognizione piena previsto fino al 31 dicembre 2012, sia in quello a cognizione sommaria oggi regolato dall’art. 549 c.p.c.), il creditore procedente che agisce iure proprio è terzo rispetto ai rapporti intercorsi fra il debitore esecutato e il debitor debitoris.

Pianerottolo accorpato: serve consenso scritto di tutti i comproprietari

L’uso della cosa comune non può mai tradursi in un’appropriazione del bene mediante uno spoglio in danno degli altri comproprietari (Cassazione civile, ordinanza n. 18929/2020)

L’uso della cosa comune non può mai tradursi in un’appropriazione del bene mediante uno spoglio in danno degli altri comproprietari.

L’incorporazione di parti condominiali nella proprietà individuale integra una turbativa del possesso, in danno del condominio e dei singoli condomini. A nulla rileva che le parti comuni siano a servizio di una porzione dello stabile di proprietà esclusiva.

Questo è quanto chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. II Civile, con l’ordinanza 19 febbraio – 11 settembre 2020, n. 18929 (testo in calce).

L’uso frazionato della cosa a favore di uno dei comproprietari può essere consentito per accordo fra i partecipanti ma soltanto se l’utilizzo, nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c., è compatibile con la destinazione del bene e non altera nè ostacola il godimento da parte degli altri comunisti.

Se la cosa comune è alterata o sottratta definitivamente alla possibilità di godimento collettivo non si tratta più di uso frazionato consentito ma di appropriazione di parte della cosa comune, per la quale occorre il consenso negoziale di tutti i partecipanti che – in caso di beni immobili – impone la forma scritta “ad substantiam”.

Questo, in sintesi, il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento, pronunciata in tema di appropriazione del vano scale condominiale ad opera del proprietario dell’ultimo piano.

Balconi

Quando si parla di balconi, occorre dire che la situazione è tutt’altro che chiara e definita. Se il regolamento (contrattuale) non ha sancito nulla in merito alle spese per gli interventi manutentivi riguardanti questa parte dell’edificio, guardare alla legge nella speranza che faccia, chiaramente, altrettanto è un’illusione.

Il tutto, come spesso accade in materia condominiale, è rimesso all’analisi degli orientamenti giurisprudenziali che proprio in quanto tali sono spesso soggetti a mutamenti tanto inattesi quanto sorprendenti.

Nonostante ciò vale la pena capire, ad oggi, quali siano i punti fermi ricavabili dall’esame delle sentenze in materia di balconi in condominio.

In primis sulla proprietà dei balconi è bene far presente che “ è del tutto evidente che i balconi non sono necessari per l’esistenza o per l’uso, e non sono neppure destinati all’uso o al servizio dell’intero edificio: è evidente, cioè, che non sussiste una funzione comune dei balconi, i quali normalmente sono destinati al servizio soltanto dei piani o delle porzioni di piano, cui accedono.

D’altra parte, solo in determinate situazioni di fatto, determinate dalla peculiare conformazione architettonica del fabbricato, i balconi possono essere considerati alla stessa stregua dei solai, che peraltro appartengono in proprietà (superficiaria) ai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastante e le cui spese sono sostenute da ciascuno di essi in ragione della metà (art. 1125 cod. civ.).

Per la verità, è possibile applicare, mediante la interpretazione estensiva, la disciplina stabilita dalla citata norma di cui all’art. 1125 all’ipotesi non contemplata dei balconi soltanto quando esiste la stessa ratio.

Orbene, la ratio consiste nella funzione, vale a dire nel fatto che il balcone – come il soffitto, la volta ed il solaio – funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore”. (Cass. 21 gennaio 2000 n. 637)

I balconi cui applicare la ripartizione delle spese prevista dall’art. 1125 c.c. per ciò che concerne il piano di calpestio (che funge da soffitto) tra i confinati del piano superiore ed inferiore è quello così detto incassato, vale a dire quella tipologia di balcone che non sporge rispetto alla facciata dello stabile.

Per questa categoria le spese per il rifacimento della parte frontale dovranno essere poste a carico di tutti i condomini ai sensi dell’art. 1123, primo comma, c.c. poiché tale parte fa parte integrante della facciata dell’edificio.

Leggermente diversa la situazione per i balconi incassati. Innanzitutto con tale dizione s’identificano quelli che sporgono rispetto alla facciata dell’edificio.

La giurisprudenza è costante nell’affermare che “ I balconi aggettanti, costituendo un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole” (Cass. 30 luglio 2004 n. 14576).

E’ evidente l’incertezza della situazione visto e considerato che la valutazione dell’incidenza sul decoro è questione chiaramente soggettiva che, per quanto ancorata a parametri estetici comuni, non può dar luogo alla formulazione di norme precise.

Ripartizione delle spese: è annullabile una delibera contraria ai criteri legali.

E’ annullabile e non nulla la delibera con la quale l’assemblea nel ripartire le spese condominiali viola o disattende i criteri stabiliti dalla legge. Pertanto, è valido il decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio per il pagamento di oneri condominiali nel caso in cui il condòmino non abbia impugnato la relativa delibera entro il termine di trenta giorni previsto dall’articolo 1137 del Codice civile, decorrenti dall’approvazione per i dissenzienti e gli astenuti e dalla data della sua comunicazione per gli assenti. Lo ha ribadito il Tribunale di Busto Arsizio con la sentenza 301/2020, pubblicata il 19 febbraio 2020.

Amministratore condannato a risarcire 3 mila euro

Per il tribunale di Torino è antigiuridica la divulgazione da parte dell’amministratore di informazioni personali dei condomini, anche se ad altri condomini, senza il rispetto delle modalità previste dalla legge

Il trattamento dei dati personali, per essere lecito, deve avvenire nell’osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti (art. 11 del codice).

Sull’amministratore del condominio, pertanto, grava il dovere di adottare le opportune cautele per evitare l’accesso a quei dati da parte di persone estranee al condominio e per tutelare la dignità dell’interessato.

Ai sensi dell’art. 1130 c.c., è consentito all’amministratore comunicare ai condomini la situazione debitoria degli altri partecipanti, ma le comunicazioni devono rispettare sempre quanto previsto dalla legge e gli accorgimenti dettati a tutela della dignità dell’interessato.

Anche il vademecum del Garante della Privacy pubblicato nell’ottobre 2013 conferma che, “oltre alle informazioni che lo riguardano …” ogni condomino “può conoscere le spese e gli inadempimenti degli altri condomini, sia al momento del rendiconto annuale sia facendone richiesta all’amministratore“. Di certo, dunque, tali informazioni non possono essere comunicate ad esempio ai condomini “incontrati casualmente per strada” ovvero al di fuori delle forme prescritte dall’ordinamento.

Il Tribunale di Torino con sentenza 12 Marzo 2019 chiarisce che le comunicazioni che avvengono non rispettando le modalità stabilite dall’ordinamento, anche se effettuate nei confronti di altri condomini, risultano illegittime e antigiuridiche e per tale motivo l’amministratore ha subito una pesante condanna pecunaria di notevole entità (euro 3.000) a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale causato ad un condomino dall’illecita divulgazione di informazione personali.

Spese per l’istallazione di un cancello automatico

La sostituzione del cancello meccanico con un altro automatizzato non è una “innovazione”, ma una “modifica” della parte comune. Inoltre, la ripartizione della spesa tra i condòmini non può essere deliberata dall’assemblea in deroga ai criteri millesimali o a quanto stabilito dall’articolo 1123 codice civile. È quanto ha precisato il Tribunale di Palermo con la Sentenza pubblicata in data 26 marzo 2016 .

Nei fatti, l’assemblea dei condòmini di un Condominio aveva deliberato la sostituzione di un cancello con uno meccanizzato, volto a consentire l’accesso in una area comune adibita a parcheggio.

La deliberazione, adottata con una maggioranza inferiore ai cinquecento millesimi, ha previsto la ripartizione del costo previa adozione di un criterio convenzionale. In particolare, si è deciso di ripartire il costo dell’automatizzazione in parti uguali in capo ai soli titolari dei boxes, ai quali si sarebbe dovuto consegnare, in via esclusiva, il telecomando di accesso.

Uno dei condòmini, in quanto titolare di una villetta con accesso anche dalla predetta area interna, ha impugnato la deliberazione, ritenendola lesiva dei propri interessi.

Attraverso la sentenza citata, il giudice ha ritenuto legittima la deliberazione con riferimento al quorum deliberativo adottato in sede assembleare, in quanto la stessa, disponendo l’automatizzazione del cancello, non integrerebbe una innovazione, ma una semplice modifica della “cosa comune”. Viceversa, esso decidente ha ritenuto illegittima la statuizione impugnata con riferimento ai criteri prescelti per la ripartizione della spesa anzidetta tra i condòmini. Quest’ultimi, infatti, avevano disciplinato la suddivisione del conto derogando le tabelle millesimali in uso in condominio.

I criteri stabiliti dall’articolo 1123 codice civile e/o, ancor prima dal regolamento e/o della tabelle millesimale, possono essere derogati – rammenta il decidente -, secondo quanto prescrive espressamente l’indicata norma, soltanto da una convenzione sottoscritta da tutti i condòmini interessati. I contributi per la conservazione del bene sono dovuti, infatti, da ciascun compartecipe in ragione dell’appartenenza e si dividono in proporzione alle quote, indipendentemente dal vantaggio soggettivo espresso dalla destinazione delle parti comuni a servire in misura diversa i singoli piani o porzione di piano.