Precompilata e oneri detraibili: se si paga con la carta di credito serve l’estratto conto

La presentazione diretta del 730 precompilato

Il 730/2021 precompilato può essere inviato direttamente dal contribuente oppure tramite il proprio sostituto d’imposta, il CAF o intermediario di fiducia. Quale può essere il commercialista. La dichiarazione sarà disponibile sul portale dell’Agenzia delle entrate a partire dal 30 aprile 2021. Se decidiamo di provvedere direttamente all’invio, è necessario essere in possesso delle seguenti credenziali:

 – Sistema Pubblico di Identità Digitale (Spid),

 – Carta d’identità elettronica (CIE),

 – Carta nazionale dei servizi (CNS),

 – Credenziali dei servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate ossia Entratel.

Se il contribuente decide di inviare direttamente la dichiarazione o tramite il proprio sostituto d’imposta, senza apportare alcuna modifica: non saranno controllati i documenti che attestano le spese detraibili/deducibili indicate nella dichiarazione, cui dati sono stati forniti all’Agenzia delle entrate da soggetti terzi quali operatori sanitari, università, banche, assicurazioni, enti previdenziali, imprese di pompe funebri, ecc.
Se, invece, il contribuente modifica la precompilata (direttamente o tramite il sostituto d’imposta): l’Agenzia potrà eseguire il controllo formale, ex art.36-ter del DPR 600/73, su tutti gli oneri indicati, compresi quelli trasmessi dagli enti esterni sopra citati.

Anche l’inserimento degli oneri riportati solo nel foglio riepilogativo allegato alla precompilata, comporta che la dichiarazione sia considerata modificata.

La tracciabilità per il pagamento degli oneri nel 730

La Legge di bilancio 2020 ha disposto l’obbligo di tracciabilità dei pagamenti degli oneri detraibili in dichiarazione dei redditi, 730 e modello Redditi. In particolare, il comma 679, della legge n. 160/2019, prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2020  “Ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, la detrazione dall’imposta lorda nella misura del 19 per cento degli oneri indicati nell’articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e in altre disposizioni normative spetta a condizione che l’onere sia sostenuto con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.

Sono esclusi dall’obbligo di tracciabilità gli acquisti di:

  • di medicinali e dispositivi medici
  • le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche o private accreditate al Servizio sanitario nazionale.

Attenzione per le spese che possono essere pagate cash, c’è da rispettare comunque il limite

di utilizzo di contanti fino all’importo di 2.000 euro. Per singola spesa.

Ad ogni modo, salvo le eccezioni citate, la detraibilità degli oneri di cui all’art.15 del TUIR (spese funebri, universitarie, ecc) e in altre disposizioni normative è subordinata all’effettuazione del pagamento mediante «versamento bancario o postale» ovvero mediante i sistemi di pagamento previsti dall’articolo 23 del d.lgs. n. 241 del 1997. Tale articolo fa riferimento a: carte di debito, di credito e prepagate, assegni bancari e circolari ovvero «altri sistemi di pagamento. Sono ammessi anche pagamenti con app e altri sistemi: paypal, amazon pay, google pay ecc.

Infatti, l’indicazione contenuta nella norma circa gli altri mezzi di pagamento tracciabili ammessi per aver diritto alla detrazione deve essere intesa come esplicativa e non esaustiva.

Le spese pagate con carta di credito nel 730.

In merito alla dimostrazione dell’effettivo sostenimento della spesa , l’Agenzia delle entrate, ha messo in evidenza che: l’onere possa considerarsi sostenuto dal contribuente al quale è intestato il documento di spesa, non rilevando a tal fine l’esecutore materiale del pagamento, aspetto quest’ultimo che attiene ai rapporti interni fra le parti. Tuttavia, occorre assicurare la corrispondenza tra la spesa detraibile per il contribuente ed il pagamento effettuato da un altro soggetto.

Ad ogni modo vale sempre la regola secondo la quale, la spesa la detrae chi effettivamente sostiene l’esborso.

Luogo di svolgimento dell’assemblea di condominio

La riunione di condominio deve tenersi nello stesso Comune ove si trova il palazzo e comunque in un luogo che non pregiudichi la presenza dei condomini. L’amministratore deve adattarsi alle richieste dei condomini.

In quale luogo deve riunirsi l’assemblea di condominio e chi lo decide? Cosa succede se alcuni condomini hanno difficoltà a raggiungere i locali indicati nell’avviso di convocazione perché ritenuti troppo distanti? Chi vede nell’amministratore di condominio un rivale può esigere che, al posto dello studio di quest’ultimo, l’assemblea si tenga in un posto neutrale? A queste domande ha offerto più volte risposta la giurisprudenza. Il principio sposato dai giudici è il seguente: la scelta del luogo ove deve tenersi l’assemblea di condominio deve garantire la presenza di tutti i condomini, ragion per cui non può essere troppo lontano dall’edificio, ritenuto come centro di riferimento degli interessi di tutti.

Chi sceglie il luogo dell’assemblea di condominio?

Se il regolamento di condominio non stabilisce nulla a riguardo, il luogo in cui l’assemblea deve riunirsi viene stabilito, di volta in volta, dall’amministratore. È lui infatti che compila e spedisce gli avvisi di convocazione, definendo giorno, ora e locali della riunione.

Laddove l’amministratore venga sollecitato da alcuni condomini a spostare il luogo della riunione dell’assemblea non potrebbe arroccarsi su scelte personali. Egli resta infatti pur sempre un mandatario del condominio. Sicché, non potrebbe imporre un posto a lui più congeniale ma scomodo per il resto della compagine.

La recente riforma ha stabilito poi che, se a chiederlo è la maggioranza dei condomini, l’amministratore è tenuto a disporre l’assemblea con modalità telematiche ossia a distanza (la cosiddetta teleassemblea) in modo totale o parziale (ossia consentendo, a chi lo vuole, di partecipare fisicamente).

Assemblea di condominio: in quale luogo?

Nell’individuare i locali ove l’assemblea di condominio debba tenersi l’amministratore deve scegliere un luogo appropriato, formula quest’ultima elaborata dalla giurisprudenza ma che non trova alcun riferimento né all’interno del Codice civile né delle disposizioni di attuazione. Queste ultime, all’articolo 66, stabiliscono solo che l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell’ora della stessa.

Dunque, in assenza di previsioni della legge e di specifiche disposizioni del regolamento, la determinazione del luogo dell’assemblea viene rimessa alla discrezionalità dell’amministratore. Si può tuttavia far riferimento – come già avvenuto in passato – alle norme relative alla convocazione e allo svolgimento delle assemblee delle società di capitali (le Srl ad esempio). In particolare, l’articolo 2363 del Codice civile stabilisce che l’assemblea di una società debba essere convocata nel Comune ove ha sede la società stessa, salvo che lo statuto non preveda diversamente. Dunque, per analogia, potrebbe ritenersi che l’assemblea di condominio debba svolgersi nello stesso Comune ove si trova l’immobile (o in quello strettamente limitrofo se contiguo, come succede spesso in numerosi Comuni italiani tra loro attaccati) [1].

Secondo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite [2], l’amministratore, a cui spetta la scelta del luogo ove debba tenersi l’assemblea, è tenuto a rispettare due limiti:

1) anzitutto quello territoriale, con la necessità di scegliere una sede entro i confini della città in cui sorge l’edificio in condominio;

2) quello della idoneità di tale luogo di riunione: idoneità per ragioni fisiche e morali, in modo tale da consentire la presenza di tutti i condomini.

Assemblea di condominio in un luogo troppo lontano 

Una distanza eccessivamente distante tra il luogo di svolgimento dell’assemblea e la collocazione dell’edificio condominiale renderebbe la delibera annullabile entro 30 giorni dalla data in cui si è tenuta o, per gli assenti, da quando è stato comunicato il relativo verbale.

Se il regolamento di condominio non stabilisce la sede in cui debbano essere tenute le riunioni assembleari, l’amministratore ha il potere di sceglierla. La Corte d’Appello di Milano [1] ha annullato una delibera emessa dall’assemblea a circa 40 chilometri dall’edificio condominiale, in quanto ritenuta pregiudizievole alle esigenze del condomino ricorrente che aveva problemi motori.

Non è stata l’unica ragione: il luogo prescelto sarebbe stato lo studio legale di un avvocato antagonista nel passato alle posizioni sostanziali del condomino ricorrente, dunque «non era sicuramente – scrivono i giudici – un luogo neutrale».

Assemblea in un luogo diverso

Potrebbe succedere che, all’ultimo minuto e con il consenso dei presenti, l’amministratore decida di modificare il luogo di svolgimento dell’assemblea. A riguardo, secondo la Corte di Appello di Firenze [3], è annullabile la delibera assembleare se l’assemblea si sia svolta in un luogo diverso da quello indicato nell’avviso di convocazione, poiché ogni condomino deve essere edotto con un congruo anticipo del luogo preciso, del giorno e dell’ora della convocazione dell’assemblea. Il diritto all’impugnativa sussiste, poiché il pregiudizio subìto dallo stesso per la mancata partecipazione consiste nel fatto che al condomino è stato impedito di essere presente all’assemblea condominiale, di esprimere in quella sede le proprie ragioni e, quindi, concorrere con il proprio voto alla formazione della volontà assembleare.

Assemblea e green pass   

Per lo svolgimento di assemblee di condominio non sembrerebbe, secondo le normative in vigore, esserci alcun obbligo di dotarsi del green pass per parteciparvi, a meno che questa non si svolga al chiuso, in istituti e luoghi di cultura, strutture ricettive, centri culturali, sociali e ricreativi, secondo quanto indicato all’articolo 3, comma 1, lettera a, c, d, g del Dl 105/2021. Il controllo, in questo caso spetta al gestore della sede prescelta. E il decreto 127/2021 riguarda anche le assemblee condominiali poiché all’articolo 8, prevedeva l’estensione della capienza dei luoghi sopracitati. Il Comitato tecnico scientifico l’ha portata all’80 per cento, avvantaggiando anche il condominio di grandi dimensioni che potrà ora affittare uno spazio meno grande. Non ci sono indicazioni, però nè del Cts nè dell’Iss in merito alla questione delle riunioni di condominio. Non ancora chiaro cosa fare in particolare per le assemblee in spazi comuni condominiali o presso lo studio dell’amministratore. In questo caso il controllo del green pass non sembrerebbe necessario non essendo l’assemblea giuridicamente configurabile come un incontro di lavoro.

Mascherina sempre obbligatoria.

Una cosa è certa: l’amministratore che la organizza e il presidente che la conduce devono garantire la partecipazione in sicurezza considerato che l’obbligo di indossare la mascherina e la sanificazione degli ambienti permane in tutti i luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private, a meno che sia garantito in modo continuativo l’isolamento da persone non conviventi (articolo 1, commi 1 e 2, del Dpcm 2 marzo 2021). Diventa allora consigliabile che la riunione si svolga in maniera ibrida (parte in presenza, parte da remoto) in modo da permettere a tutti di poter concorrere alle decisioni senza problemi.

L’amministratore di condominio può impugnare le delibere assembleari?

Solitamente si pensa che l’interesse ad una eventuale impugnazione di una delibera assembleare possa essere solo di un condomino dissenziente.

Alcune volte, ovviamente, non è così.

Infatti anche l’amministratore condominiale potrebbe avere un suo interesse contrario alla delibera. Ad esempio, nel caso l’assemblea non gli riconosca una retribuzione dal medesimo posta all’ordine del giorno, o la riconosca in misura inferiore.

E, quindi, in casi come questi, l’amministratore di condominio può impugnare le delibere assembleari?

Apparentemente la risposta è negativa, alla luce di quanto previsto dall’art. 1137 del codice civile. Questa norma, nel regolare le impugnazioni contro le delibere assembleari, precisa chi è titolare del diritto di impugnativa, non prevedendo la legittimazione dell’amministratore, ma solo quella del condomino.

È quindi del tutto esclusa l’impugnativa da parte dell’amministratore?

Per dare una compiuta risposta a tale interrogativo, occorre distinguere tra delibere annullabili e delibere nulle.

Non ci soffermiamo, in questa sede, sulla diversa natura delle tipologie di vizio, e relative conseguenze, che potrebbero colpire una delibera condominiale.

E rivolgiamo la nostra attenzione a quanto, invece, riguarda l’impugnazione nei due distinti casi.

Delibera annullabile

Se la delibera è semplicemente annullabile, l’amministratore non può impugnarla.

Qualora ritenga, autonomamente, o su rimostranza di uno o più condomini, che sia per qualche motivo viziata, altro non può fare, che agire come segue.

Proporre una nuova assemblea, in cui propone la modifica o l’annullamento totale della delibera ritenuta viziata.

Ma se l’assemblea ritiene di convalidarla, allora l’amministratore non può procedere al successivo passo dell’impugnazione.

Delibera nulla

Ma una delibera potrebbe anche presentare un vizio decisamente più grave, quello della nullità.

In questi casi potrebbe essere impugnata anche oltre il termine di trenta giorni, previsto dalla legge. Ma anche dall’amministratore?

Apparentemente dovremmo rispondere comunque negativamente, a fronte dello specifico articolo del codice, sopra richiamato.

Tuttavia, in questa ipotesi viene in considerazione altra normativa, in particolare gli articoli 1418 e 1421 del codice civile.

Nullità del contratto ed applicazione analogica

In realtà, si tratta di due norme dettate in materia di contratti, non di condominio. Ma una consolidata ermeneutica, sottesa alla ratio di tali disposizioni, unitamente ad altrettanto cristallizzata giurisprudenza, ritengono che tali norme possano essere applicate, per analogia legis, ad altre tipologie di atti, tra cui le delibere assembleari.

Ne consegue che la nullità può viziare anche una delibera assembleare e che chiunque ne abbia interesse può impugnarla.

Pertanto, pur non essendo il vizio di nullità espressamente previsto per la delibera assembleare, anche questa può incorrere in questo vizio.

Ed in tal caso, quindi, si ritiene applicabile l’art. 1121, che stabilisce il diritto di impugnazione per chiunque ne abbia interesse, quindi amministratore compreso.

Pertanto, in tale ipotesi, anche l’amministratore condominiale sarebbe legittimato ad impugnare una delibera.

A proposito del quesito se l’amministratore di condominio possa impugnare le delibere assembleari, abbiamo quindi distinto due categorie di vizi, che possono riguardare una delibera, e spiegato le diverse conseguenze sulla sua impugnabilità da parte dell’amministratore.

Bonus facciate e parapetti balconi

Via libera al bonus facciate 2021 anche per i parapetti dei balconi? A fornire la risposta è l’Agenzia delle Entrate. Vediamo quanto chiarito.

Con la risposta n. 482, l’Agenzia delle Entrate si è espressa in tema di bonus facciate 2021 e balconi. In particolare, ha ricordato che, ai fini del riconoscimento del bonus facciate, gli interventi devono essere finalizzati al “recupero o restauro” della facciata esterna e devono essere realizzati esclusivamente sulle “strutture opache della facciata, su balconi o su ornamenti e fregi”. Pertanto, l’agevolazione riguarda gli interventi effettuati sull’involucro esterno visibile dell’edificio, vale a dire sia sulla parte anteriore, frontale e principale dell’edificio, sia sugli altri lati dello stabile (intero perimetro esterno).

Successivamente, per quanto riguarda nello specifico il bonus facciate 2021 e i balconi, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, in presenza di tutti i requisiti richiesti ai fini dell’agevolazione e fermo restando il rispetto di ogni altro adempimento previsto a tal fine, il bonus facciate spetta per le spese sostenute per l’intervento sui parapetti dei balconi, trattandosi di elementi costitutivi del balcone stesso.

Ha poi spiegato che, in merito all’installazione dei corpi illuminanti a soffitto o a parete, “nel presupposto che si tratti di opere accessorie e di completamento dell’intervento sulle

facciate esterne nel suo insieme i cui costi sono strettamente collegati alla realizzazione dell’intervento stesso, il bonus facciate spetta nel caso in cui tali interventi si rendessero necessari per motivi ‘tecnici’ aspetto desumibile, tra l’altro, dai documenti di progetto degli interventi nel loro complesso”.

Via libera dunque al bonus facciate 2021 per i parapetti dei balconi, in quanto rappresentano elementi costitutivi del balcone stesso. E via libera al bonus facciate per l’installazione di corpi illuminanti a soffitto o a parete, ma solo nel caso in cui tali interventi siano necessari per motivi tecnici.

Abusi edilizi e Bonus facciate: serve la conformità urbanistica-edilizia?

Per intervenire su un immobile e beneficiare delle detrazioni fiscali del 90% (bonus facciate) è indispensabile la verifica di conformità urbanstica-edilizia?

Per l’avvio dei cantieri che accedono al bonus facciate è necessaria la verifica di conformità edilizia? Oggi rispondo a questa domanda che mi arriva direttamente dall’amministratore di un condominio che sta valutando di intervenire sulla facciata utilizzando i benefici previsti dall’articolo 1, commi da 219 a 224 della legge 27 dicembre 2019 n. 160 (Legge di bilancio 2020).

Bonus facciate: il titolo edilizio

Per rispondere a questa domanda occorre, come sempre, prendere come riferimento la normativa edilizia e spulciare qualche sentenza della Corte di Cassazione che possa chiarirci al meglio le idee.

Partiamo dalle basi. Gli interventi finalizzati al recupero o restauro della facciata esterna degli edifici esistenti, anche di sola pulitura o tinteggiatura, se non interessano le parti strutturali, si configurano come interventi di manutenzione ordinaria di cui articolo 3, comma 1, lettera a) del DPR n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

Come prevede il successivo art. 6 del Testo Unico Edilizia, questa tipologia di intervento “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” è eseguita senza alcun titolo abilitativo.

L’avvio del cantiere

Cosa significa questo? Che per l’avvio di un cantiere che accede al bonus facciate, non necessitando di alcun titolo edilizio (permesso di costruire o SCIA leggera/pesante), né di comunicazione di inizio lavori asseverata (in alcune Regioni, come la Sicilia, si presenta la CIL, ovvero una semplice comunicazione di inizio lavori), non è necessario (per l’interessato) attestare la conformità urbanistica-edilizia. Attestazione necessaria nel caso di interventi che necessitano di CILA, SCIA o permesso di costruire.

I benefici fiscali e la decadenza

Quindi tutto ok? Assolutamente no e bisogna fare molta attenzione! L’art. 49 del Testo Unico Edilizia prevede “Fatte salve le sanzioni di cui al presente titolo, gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici. Il contrasto deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, ovvero il mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione”.

Si potrebbe pensare che un intervento per il quale non è necessario un titolo edilizio non può essere considerato abusivo. Ma si sbaglierebbe.

Gli interventi della Cassazione

L’argomento è stato oggetto di numerosi interventi della giurisprudenza. A memoria, l’ultimo che io ricordi è la sentenza della Corte di Cassazione n. 11788/2021 che è stata molto chiara affermando che ogni intervento (anche di manutenzione ordinaria) su immobile illegittimo, effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, “ancorché l’abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria, perché anche tale categoria di interventi edilizi presuppone che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legalmente”.

L’abuso edilizio

Secondo la Cassazione, qualsiasi intervento viene realizzato su un immobile che presenta degli abusi edilizi, per cui lo stato dei luoghi non è conforme alla concessione edilizia o all’ultimo titolo presentato, rappresenta una prosecuzione dell’attività criminosa. Situazione che deve essere chiara a chi vuole realizzare degli interventi anche di edilizia libera, utilizzando i benefici fiscali previsti dalle norme.

La regolarizzazione dell’immobile

È, infine, necessario ricordare l’art. 50, comma 4 del Testo Unico Edilizia per il quale “Il rilascio del permesso in sanatoria, per le opere o le parti di opere abusivamente realizzate, produce automaticamente, qualora ricorrano tutti i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni agevolative, la cessazione degli effetti dei provvedimenti di revoca o di decadenza previsti dall’articolo 49”.

Ciò significa che la sanatoria dell’abuso (anche successiva) consente di far cessare gli effetti dell’eventuale decadenza dei benefici fiscali.

La conformità urbanistica-edilizia

Volendo rispondere al nostro lettore, nel caso di manutenzione ordinaria per l’avvio dei cantieri non serve la verifica dello stato legittimo ma è chiaro:

1) se l’immobile presenta degli abusi anche questo intervento integra una nuova irregolarità almeno sin quando non viene rimosso;

2) la verifica di conformità urbanistica-edilizia è indispensabile nel caso si voglia fruire di qualsiasi detrazione fiscale;

3) la sanatoria dell’abuso fa cessare gli effetti dei provvedimenti di revoca o di decadenza dei benefici fiscali.

E’ opportuno in ogni modo prima di intervenire su un immobile, affidarsi sempre ad un professionista attento, qualificato e possibilmente terzo rispetto a chi eseguirà i lavori.

Bonus 110 per il condominio: due chiarimenti delle Entrate sulle fatture e il general contractor

L’eventuale corrispettivo spettante al General contractor non è ammesso al Superbonus 110%

Fatturazione prestazioni 110% e studio di fattibilità, su questi due aspetti l’Agenzia delle entrate ha rilasciato due importanti chiarimenti con la risposta n° 480 del 15 luglio.

Lo studio di fattibilità e il bonus 110%

Rientrano tra le spese agevolabili con il bonus 110 anche le spese sostenute in relazione agli interventi che beneficiano dello stesso Superbonus. A condizione, tuttavia, che l’intervento a cui si riferiscono sia effettivamente eseguito. Si tratta, in particolare: delle spese sostenute per l’acquisto dei materiali, la progettazione e le altre spese professionali connesse, comunque richieste dal tipo di lavori (ad esempio, l’effettuazione di perizie e sopralluoghi, le spese preliminari di progettazione e ispezione e prospezione).

Tali indicazioni sono state fornite dall’Agenzia delle entrate con la circolare n°24/e 2020. Da qui, partendo da tale assunto, con la risposta n° 480 del 15 luglio, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che il bonus 110 può essere riconosciuto anche per lo studio di fattibilità degli interventi agevolabili.

Nello specifico, in quanto spesa professionale connessa e comunque richiesta dal tipo dei lavori (così come chiarito dalla citata circolare n. 24/E del 2020) la spesa per lo studio di fattibilità è ammessa al superbonus 110%. Per la stessa si può optare anche per lo sconto o la cessione del credito pari alla detrazione spettante. Ferma restando la sussistenza degli ulteriori requisiti previsti dalla norma.

La fatturazione delle prestazioni superbonus 110%

Un ulteriore chiarimento ha riguardato le corrette regole di fatturazione dello studio di fattibilità sostenute dal General Contractor e da questo nuovamente addebitate al condominio che intende effettuare lavori ammessi al bonus 110.

A tal proposito, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che trova applicazione, ai fini IVA, l’articolo 3, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Ai sensi di tale disposizione “le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra mandante e mandatario”, nel senso che hanno la stessa natura. In sostanza, il trattamento fiscale oggettivo dell’operazione, resa o ricevuta dal mandatario si estende anche al successivo passaggio mandatario-mandante. Fermo restando il rispetto dei requisiti soggettivi degli operatori. Il mandatario, comunque, pur agendo per conto di un terzo opera a nome proprio (cfr. risoluzioni n. 6/E datata 11 febbraio 1998 e n. 250/E del 30 luglio 2002).

Non rientra nel bonus 110 l’eventuale corrispettivo corrisposto al “contraente generale” per l’attività di “mero” coordinamento svolta in favore del condominio. Si tratta di costi non “direttamente” imputabili alla realizzazione dell’intervento. Pertanto, tale corrispettivo è, in ogni caso, escluso dall’agevolazione.

Il sismabonus acquisti anche con il superbonus al 110%

L’articolo 16, comma 1-septies del Dl n. 63/2013 prevede il c.d. sismabonus acquisiti. Si tratta di una detrazione per gli acquirenti delle unità immobiliari vendute da imprese che abbiano realizzato interventi di ristrutturazione, tramite demolizione e ricostruzione di interi edifici anche con variazione volumetrica, dai quali derivi una riduzione del rischio sismico. La detrazione spetta a condizione che le stesse imprese provvedano, entro diciotto mesi dalla data di conclusione dei lavori, alla vendita dell’immobile.

La detrazione può variare dal 70% all’80% su una spesa max di 96.000 euro per unità immobiliare, gli interventi devono essere realizzati nei comuni ricadenti nelle zone classificate a rischio sismico 1, 2 e 3.

Per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022, la detrazione sale al 110%, nel rispetto di tutti i requisiti previsti per il superbonus 110%.

L’agevolazione in parola è commisurata al prezzo della singola unità immobiliare risultante nell’atto pubblico di compravendita e non alle spese sostenute dall’impresa in relazione gli interventi agevolati.

Le novità nel Decreto Semplificazioni

In fase di conversione in legge del D.L. 77/2021, ora in procinto di approdare alla Camera, è stato approvato un importante emendamento che riguarda propria il sismabonus acquisti. Tali novità impattano anche sul superbonus 110%. L’approvazione è avvenuta in Commissioni Affari Costituzionali e Ambiente della Camera.

Nello specifico, intervenendo sul sopra citato comma 1-septies, dell’art. 16, del D.L. n. 63/2013, con l’emendamento approvato:

viene portato da 18 a 30 mesi dalla data di termine dei lavori, il periodo di tempo entro il quale le imprese di costruzione o ristrutturazione le imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare devono vendere o assegnare l’immobile oggetto di interventi antisismici, per permettere agli acquirenti beneficiare del sismabonus acquisti.

Anche nella versione potenziata del superbonus  110%.

Anche per il sismabonus è possibile optare, in luogo della detrazione, per la cessione del credito o per lo sconto in fattura. Dunque ciò è ammesso anche quando si acquistano immobili facenti parte di interi fabbricati oggetto di interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie, che provvedono entro diciotto mesi (30 con il D.L. Semplificazioni) dalla data del termine dei lavori alla successiva alienazione o assegnazione.

Superbonus 110% più facile, ecco le nuove regole per ottenerlo

Il decreto legge 77 prevede nuove facilitazioni per il Superbonus. Allungati anche i tempi per spostare la residenza in caso di acquisto di prima casa sottoposta a lavori

Sono cinque le modifiche procedurali introdotte nel decreto legge 77 che riguardano le modifiche al Superbonus. Nel Dl Semplificazioni, quindi, entrano modifiche che rendono più facile ottenere il Superbonus 110%. Vediamo quali sono e cosa cambia per chi ha intenzione di usufruire del pacchetto di agevolazioni fiscali per gli interventi sulla casa.

LE NOVITÀ INTRODOTTE

Avviare i lavori sarà più facile. Con le ultime novità introdotte, inoltre, si sono anche allungati i tempi per spostare la residenza in caso di acquisto di prima casa sottoposta a lavori, con uno sgravio anche dal punto di vista burocratico. Nello specifico, si tratta di cinque facilitazioni procedurali per dare il via agli interventi sugli edifici sottoposti alle opere di miglioramento energetico che danno diritto al beneficio.

1 – CAPPOTTO TERMICO

Iniziamo a vedere nel dettaglio quali sono le novità. Il cappotto termico e il cordolo antisismico non concorrono al conteggio della distanza e dell’altezza, in deroga alle norme sulle distanze minime.

2 – LE VIOLAZIONE FORMALI

Nel provvedimento viene specificato che le “violazione formali non arrecano pregiudizio all’esercizio delle funzioni di controllo” e non comportano quindi “la decadenza delle agevolazioni fiscali limitatamente alle irregolarità od omissione riscontrata”.

3 – PIÙ TEMPO PER LA RESIDENZA

Nel caso l’immobile sia venduto e interessato agli interventi del 110%, viene allungato da 18 a 30 mesi il termine per fissare la residenza nel nuovo immobile acquistato senza perdere però i benefici fiscali legati all’acquisto.

4 – BASTA LA CILA

Per avviare i lavori, con interventi strutturali, basterà infatti la Cila, cioè la comunicazione di inizio lavori. Se vengono descritti in maniera semplice nella Cila, gli interventi in edilizia libera vengono di nuovo ritenuti tali. Si parla, a titolo di esempio, dell’installazione di caldaie o finestre. Se in corso d’opera ci saranno delle modifiche, basterà riportarle a fine lavori come integrazione della Cila.

5 – LA MANUTENZIONE STRAORDINARIA

Con le ultime modifiche contenute nel Dl Semplificazioni, si precisa che vanno considerati manutenzione straordinaria ed essere eseguiti mediante Cila (modello Superbonus) anche gli interventi che riguardano “le parti strutturali degli edifici o i prospetti”.

PANNELLI ANCHE IN CENTRO

Novità anche per i pannelli fotovoltaici che si potranno installare anche nei centri storici. Il Dl Semplificazioni convertito in legge, infatti, prevede la possibilità di fare questo tipo di intervento anche nei centri storici e non solo in altre aree come era precedentemente previsto.

SUPERBONUS E COMPENSO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO

Nell’ambito di interventi effettuati in condominio e che danno diritto al Superbonus, l’amministratore di condominio è chiamato ad occuparsi di molti aspetti importanti relativi al godimento del beneficio fiscale, come ad esempio:

– presentazione delle pratiche edilizie;
– assistenza e supporto al tecnico incaricato;
– cura degli adempimenti fiscali, tra cui la comunicazione dell’opzione per la cessione o per lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali;
– attività di coordinamento tra tecnici e impresa esecutrice.

Tuttavia, nascono diversi interrogativi riguardo il compenso da corrispondere all’amministratore di condominio per il Superbonus che contempla attività, senza dubbio, particolarmente complesse e maggiori rispetto a quanto normalmente necessario per la gestione di lavori di manutenzione in condominio.
In particolare, una prima questione da chiarire è proprio se l’amministratore di condominio possa ricevere un compenso extra per lo svolgimento delle attività inerenti il Superbonus, e in caso di risposta affermativa come si possa quantificare tale compenso. Inoltre, si ritiene necessario chiarire se e quando tale compenso extra sia o meno detraibile.

Inoltre, l’amministratore, considerata la delicatezza e la complessità del lavoro che è chiamato a svolgere, potrebbe avvertire la necessità di farsi assistere da un tecnico. In tale situazione ci si chiede se l’amministratore possa farsi supportare da un professionista terzo, e se il compenso di tale professionista terzo sarà poi detraibile.

IL COMPENSO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO
L’art. 1129 del Codice civile, comma 14, prevede che all’atto dell’accettazione della nomina e dell’eventuale rinnovo dell’incarico, l’amministratore debba specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta. Il compenso, specificato dall’amministratore, è considerato in linea di massima comprensivo di tutte le attività svolte dal professionista (per maggiori approfondimenti vedi anche L’amministratore di condominio).
A tal riguardo Cass. civ. 02/03/2018, n. 5014, ha affermato che rientra nelle competenze dell’assemblea quella di riconoscere all’amministratore, con una specifica delibera, un compenso aggiuntivo al fine di remunerare un’attività straordinaria, qualora non si ravvisi sufficiente il compenso forfettario in precedenza accordato.
Tale interpretazione appare preferibile rispetto al differente e più datato orientamento (vedi: Cass. civ. 28/04/2010, n. 10204; Cass. civ. 12/03/2003, n. 3596), secondo cui l’attività dell’amministratore – connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali e non esorbitante dal mandato con rappresentanza – deve ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale, e non può pertanto stabilirsi una ulteriore retribuzione a parte.

Diverso invece è il caso del compenso riconosciuto all’amministratore dalle altre parti contrattuali che, ponendosi come potenziale conflitto d’interessi, potrebbe causare l’annullamento del contratto. Con riferimento all’istituto del conflitto d’interessi la giurisprudenza (Cass. civ. 31/01/2017, n. 2529) ha specificato che quest’ultimo, per risultare idoneo a produrre l’annullabilità del contratto, richiede l’accertamento dell’esistenza di un rapporto d’incompatibilità tra gli interessi del rappresentato e quelli del rappresentante, da dimostrare non in modo astratto od ipotetico.
Dunque, secondo la Corte di Cassazione tali situazioni sono da valutare caso per caso, attraverso un giudizio concreto che sfugga a generalizzazioni di sorta.
Ad ogni modo, nonostante tali situazioni in astratto non arrechino alcun danno al condominio, una semplice valutazione di opportunità imporrebbe di evitare questo genere di commistioni, che potrebbero in concreto minare l’indipendenza del legale rappresentante, nonché la sua credibilità verso il mandante.

LA (NON) DETRABILITÀ DEL COMPENSO EXTRA DELL’AMMINISTRATORE
Con la Circolare 22/12/2020, n. 30/E, al punto 4.4.1, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che l’eventuale compenso dell’amministratore condominiale per tutti gli adempimenti connessi al Superbonus non può essere portato in detrazione.
Ciò in base al principio secondo cui la detrazione spetta per gli altri eventuali costi strettamente collegati alla realizzazione degli interventi, mentre tale spesa sostenuta dal condominio non è caratterizzata da un’immediata correlazione con gli interventi che danno diritto alla detrazione, in quanto gli adempimenti amministrativi rientrano tra gli ordinari obblighi posti a carico dell’amministratore da imputare alle spese generali di condominio.

La tele assemblea: novità sui verbali

Dal 14 ottobre 2020, con l’entrata in vigore della legge 126 del 2020, le assemblee in videoconferenza sono diventate una realtà anche del mondo condominiale. A tal proposito, sono stati modificati il comma 3 e il comma 6 dell’articolo 66 delle disposizioni di attuazione al Codice civile. Frattanto, è stata approvata dal Parlamento in via definitiva un’ulteriore modifica del testo, attraverso la legge di conversione del decreto legge 125, che dovrebbe consentire la costituzione dell’assemblea in videoconferenza tramite l’assenso della maggioranza dei condòmini (e non più da parte di tutti).

La modifica
Di seguito il testo previgente, e tra parentesi in corsivo come è stato modificato il dispositivo dell’articolo 66 delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie: «comma 3: l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell’ora della stessa; comma 6: Anche ove non espressamente previsto dal regolamento condominiale, previo consenso (“della maggioranza dei” ex art. 5 bis del Dl 125/2010) di tutti condomini, la partecipazione all’assemblea può avvenire in modalità di videoconferenza. In tal caso, il verbale, redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, è trasmesso all’amministratore e a tutti i condomini con le medesime formalità previste per la convocazione».

La raccolta dei consensi
La prima parte del comma 6 consente la previsione dell’assemblea in videoconferenza ove sia stata prevista dal regolamento; tanto induce a ritenere che questa previsione non sia in contrasto con gli articoli 1136 del Codice civile e 66 e 67 delle disposizioni di attuazione al Codice civile. Si tratta di norme qualificate come inderogabili dalle previsioni di richiamo, contenute negli articoli 1138 del Codice civile e 72 delle disposizioni di attuazione al Codice civile. Appare difficile, tuttavia, ritenere preesistente un regolamento assembleare sulla videoconferenza nei condomini italiani, salvo rari casi. Quindi, al fine di ovviare alla mancanza di un testo specifico, la soluzione potrebbe essere quella di raccogliere il consenso dei condòmini, secondo la forma più congeniale al caso (per documentarlo dopo, in caso di contestazione). Ad esempio, si potrebbe pensare di acquisire il consenso richiesto dalla norma anche tramite una (video)registrazione, proprio in occasione delle prove di collegamento preliminari alla prima assemblea.

La formula mista
Le assemblee “miste”, cioè quelle consentono ai condòmini di partecipare in parte di presenza e in parte da remoto, anche se astrattamente fattibili, non sono semplici da realizzare. In effetti, se del caso, occorrerà predisporre una sala cablata in fibra, con microfono omnidirezionale, televisore di ampissimo formato o videoproiettore, due telecamere una per le persone presenti, una una per l’amministratore. I condomini in remoto appariranno sullo schermo. Occorre che sia determinato il numero delle persone che saranno presenti fisicamente per assicurare la ventilazione costante. Difficile che si possa svolgere nel rispetto delle regole di prevenzione per gli uffici professionali, nello studio dell’amministratore. L’individuazione di sale attrezzate è possibile ma comporta ulteriori costi che possono essere evitati, se si riesce a istruire i condòmini ad operare tutti in videoconferenza.

L’avviso di convocazione.
Per la convocazione dell’assemblea occorre, pertanto, fare riferimento alla “piattaforma elettronica” individuata, a monte, da parte dell’amministratore, ovvero prescelta dall’assemblea in sede di approvazione del regolamento. Ad esempio, «[…] La S.V. è invitata a partecipare all’assemblea straordinaria del condominio… sito in…, che si terrà in prima convocazione il giorno … alle ore… e in seconda convocazione il giorno… alle ore… con partecipazione in video conferenza tramite il link all’evento… per discutere e deliberare sul seguente ordine del giorno…».

La privacy
La convocazione è soggetta ad un’apposita informativa all’interno della quale bisogna dettagliare tutte le richieste. Nel caso di videoregistrazione dei lavori assembleari sarà senz’altro necessario provvedere all’acquisizione di un consenso informato che ne vincoli l’utilizzo e la finalità. Dal sito alla videoconferenza La scelta della piattaforma ove celebrare l’assemblea dei condòmini è discrezionale. Intanto, la piattaforma dovrebbe prevedere che l’accesso sia selezionato a monte, previa identificazione soggettiva degli utenti. Si potrebbe pensare a un sistema analogo a quello descritto dall’articolo 71 ter delle disposizioni di attuazione al Codice civile, in termini di accessibilità. Lo svolgimento dell’assemblea telematica, in fin dei conti, non è dissimile da quella “frontale”, ma è bene adottare alcuni accorgimenti, per evitare brutte sorprese. È senz’altro accettabile l’utilizzo di un sistema di videoconferenza bidirezionale, nel senso che le regole tecniche – prima ancora che giuridiche – da adottare devono essere tali da garantire, da entrambi i lati della trasmissione, che si possa vedere e essere visti, udire ed essere uditi, in un contesto dove non sia in discussione la riconoscibilità di coloro che intervengono in via remota. Allo stesso modo il sistema deve consentire la condivisione del desktop di chi è collegato e soprattutto di chi svolge il ruolo di segretario.
La condivisione del file online consentirà a tutti i partecipanti di comprendere quanto si stia scrivendo, specie in ragione della delibera da adottare. La condivisione dello schermo contenente il verbale garantisce una partecipazione diretta ai lavori assembleari. Nel caso in cui, durante i lavori assembleari, si verifichi la situazione per cui qualcuno dei condòmini perda il collegamento telematico, si determinerebbe una situazione di impasse che risulterà, comunque, superabile dal buonsenso. Lo stesso presidente dell’assemblea potrebbe chiederne conferma, chiamando direttamente il condòmino “scollegato” e attivandosi per trovare una soluzione alternativa (anche, ad esempio, tramite un collegamento telefonico). In ogni caso, la prosecuzione delle attività assembleari risulterà fattibile solo nel caso in cui, nonostante la sopravvenuta assenza di uno dei partecipanti, si manterranno le maggioranze necessarie per poter legittimamente deliberare. Il presidente e il segretario La teleassemblea si differenzia da quella “frontale” quantomeno per la previsione delle figure del presidente e del segretario. Nell’articolo oggetto di analisi è previsto che il verbale redatto dal segretario e sottoscritto dal presidente, sia trasmesso all’Amministratore ed a tutti i condomini con le medesime formalità della convocazione.
Gli effetti della previsione normativa sono rilevanti per i requisiti formali, di cui dovrà necessariamente constare il verbale assembleare. In altri termini, la mancata sottoscrizione del documento da parte del presidente potrebbe essere elevata a causa di invalidità di tutto il deliberato, in base all’articolo 1137 del Codice civile. La modalità e la tempistica con cui si provvederà alla sottoscrizione e all’invio del verbale saranno scelte dal segretario e dal presidente.

Il regolamento e le modalità per il voto a distanza
Il nuovo articolo 66 delle disposizioni di attuazione del Codice civile consente l’utilizzo dei mezzi di telecomunicazione per l’assemblea dei condòmini, specialmente nel caso in cui essi siano stati previsti dal regolamento. «Anche ove non previsto dal regolamento», si traduce nell’intendimento che, se sussista un regolamento o meglio una clausola regolamentare, non occorre il consenso unanime dei condòmini, o meglio degli aventi diritto. D’altronde il “codice” del condominio è preciso anche dal punto di vista lessicale e terminologico: quando si voglia fare riferimento all’unanimità – così ritiene la giurisprudenza -, non ci si riferisce al regolamento ma alla convenzione come quella prescritta dall’art. 1123 c.c. in tema di modifica dei criteri di ripartizione delle spese.
Il regolamento può, quindi, prevedere e disciplinare la teleassemblea, a norma dell’articolo 66 delle disposizioni di attuazione al Codice civile. In questo momento di emergenza sanitaria, non pare semplice convocare un’assemblea fisica per sottoporre all’approvazione un disciplinare o per integrare il preesistente, inserendo una clausola che preveda la videoconferenza. Ove si riuscisse a raccogliere preventivamente il consenso della maggioranza dei condòmini, vista la modifica appena approvata, a dare luogo all’attivazione di una videoconferenza, allora potrebbe esserci il battesimo della nuova assemblea telematica. D’altronde il consenso a cui allude la norma, dovrebbe essere prestabile senza alcun vincolo di forma. L’importante sarà mantenere traccia di questo consenso per il futuro. Il regolamento o clausola sulla teleassemblea, per essere approvato, deve constare della maggioranza dei condòmini e del raggiungimento della soglia dei 500 millesimi. Mentre la clausola da applicare potrà prevedere la videoconferenza secondo le regole dell’articolo 66 disposizioni di attuazione del Codice civile, richiamando un disciplinare esterno va anche ricordato che l’assemblea non può deliberare qualora tutti gli aventi diritto non siano stati regolarmente convocati. Il regolamento dovrà anche disciplinare le modalità di funzionamento della videoconferenza. L’articolo 1136 del Codice civile ci ricorda, infatti, che «delle riunioni dell’assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall’amministratore». L’esigenza primaria avvertita dagli studiosi del diritto, su questo punto, rimane sempre la stessa: cioè quella di garantire, anche in videoconferenza, l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle assemblee, nell’interesse comune dei partecipanti, considerati nel loro complesso e singolarmente. Pertanto, è senz’altro accettabile l’utilizzo di un sistema di videoconferenza bidirezionale, nel senso che da entrambi i lati della trasmissione si possa vedere e essere visti, udire e essere uditi, pure in un contesto ove non sia in discussione la riconoscibilità (almeno da parte del presidente dell’assemblea) di coloro che intervengono in via remota. Un regolamento sulla teleassemblee che si rispetti non potrebbe omettere la disciplina dei seguenti argomenti:

  • l’interscambio dei dati attraverso le comunicazioni elettroniche
  • la partecipazione degli aventi diritto tramite l’utilizzo di piattaforma telematica di videoconferenza /webinar per consentire il collegamento simultaneo tra partecipanti, il loro intervento e la possibilità di prendere visione degli atti e documenti oggetto della riunione, garantendo anche la completa sicurezza dei dati e delle informazioni condivise durante lo svolgimento delle sedute telematiche;
  • l’esercizio del diritto di voto e la sua registrazione, attraverso gli strumenti più adeguati al caso, tra cui vanno menzionate le tecniche del “sondaggio” e del “report”, che potrebbero essere parimenti fornite dalla piattaforma telematica;
  • la possibilità per i partecipanti all’assemblea di esprimere comunque il proprio voto, attraverso intervento diretto e verbale alla videoconferenza;
  • informativa sulla tutela della privacy/autorizzazione alla partecipazione in videoconferenza. Per accedere a una videoconferenza, è sufficiente avere il link o il codice della chiamata; in questo modo, dallo screenshot di una conversazione (eseguibile da qualunque utente) è possibile leggere il codice univoco della chiamata e inserirsi immediatamente, senza aver bisogno di un invito. Il Codice della privacy aveva già individuato dei limiti alle videochiamate, precisando i requisiti minimi da adottare per tutelare la privacy dei soggetti utilizzatori del sistema.

Regole speciali in caso di utilizzo del superbonus
L’articolo 121 del Dl 34/2020, il decreto Rilancio, prevede, a favore dei soggetti che sostengono, negli anni 2020 e 2021, spese per gli interventi elencati al comma 2, cioè per gli interventi di superbonus al 110 per cento oltreché per una serie di altri bonus preesistenti, la facoltà di optare, in luogo dell’utilizzo diretto in dichiarazione della detrazione spettante per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare, con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari. Ed è proprio quest’ultima previsione normativa, ripresa nel provvedimento direttoriale delle Entrate dell’ 8 agosto 2020 numero 283847/2020.

Come orientarsi
Le offerte da parte di istituti di credito e altri intermediari finanziari sono ormai all’ordine del giorno. Tuttavia, prima di ricorrere alla possibilità di cedere il credito fiscale o sottoscrivere un finanziamento per l’esecuzione delle opere, è bene che il contribuente analizzi tutte le caratteristiche dell’una e dell’altra opzione. La cessione L’articolo 1 comma 74 della Legge di stabilità per il 2016 (208/2015) ha istituito la possibilità di usufruire della cessione del credito al posto delle detrazioni fiscali per i lavori edilizi. Sebbene la ratio della normasia stata accolta con gran favore da parte degli operatori del settore e dai contribuenti, l’impossibilità di cedere il credito da parte dei soggetti capienti (coloro che risultano essere assoggettati ad Irpef) a banche, finanziarie o assicurazioni non permise di ottenere gli effetti sperati in sede di redazione dell’opzione. Inoltre la possibilità di fruizione di detta agevolazione esclusivamente per lavori di ecobonus e sismabonus limitò ulteriormente le transazioni. L’intendimento del legislatore, sin dall’inizio e mai modificato nel corso del tempo, è stato quello di consentire al contribuente di ridurre l’obbligazione sorta verso il condominio alla sola quota fiscalmente a suo carico, di fatto, cedendo la restante parte ad un cessionario. In concreto, l’operazione appena descritta rientra nell’applicazione dell’articolo 1260 del Codice civile il quale stabilisce che «il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge». A tal proposito occorre osservare che nella cessione del credito effettuata ai sensi degli articoli 1260 e seguenti del Codice civile, il cessionario subentra nel diritto di credito del cedente e si sostituisce a quest’ultimo nella medesima posizione.

La comunicazione all’Agenzia
L’accordo tra i soggetti deve risultare da atto avente data certa e, per essere efficace, deve essere notificata all’agenzia delle Entrate in qualità di debitore ceduto. Alla luce delle disposizioni del Codice civile, e in particolare dell’articolo 2704, non è necessario che l’atto di cessione rivesta la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Il Provvedimento 108577 dell’8/06/2017 dell’A. d E.  ha specificato che il condominio che ha formalizzato un accordo di cessione del credito, qualora non avesse indicato i dati nella delibera assembleare, dovrà trasmettere entro il 31/12 del periodo di imposta di riferimento, l’avvenuta cessione e la relativa accettazione del cessionario all’amministratore di condominio. Sarà dunque onere di quest’ultimo trasmettere all’agenzia delle Entrate, con apposita comunicazione, i dati del soggetto cedente e cessionario, nonché l’ammontare del credito ceduto, spettante sulla base delle spese sostenute dal condominio entro il 31 dicembre dell’anno precedente e alle quali il condòmino cedente ha contribuito per la parte non ceduta sotto forma di credito di imposta. A tal fine è bene ricordare che la possibilità di cedere il credito fiscale corrispondente alle spese sostenute resta un’opzione individuale in capo a ciascun beneficiario. In altri termini, nei rapporti con il fornitore o con il cessionario, l’opzione non è effettuata dal condominio ma dai singoli condòmini o aventi diritto. Il visto di conformità Il superbonus 110% conferma la sua particolarità anche in materia di cessione di credito rispetto alle altre agevolazioni fiscali. Difatti l’articolo 119, al comma 11, del Dl 34/2020, ha previsto che il contribuente ha l’obbligo di chiedere l’apposizione di un visto di conformità dei dati relativi alla documentazione attestante la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione. Si precisa che il visto di conformità pertanto non è previsto per le altre detrazioni per le quali l’ articolo 121 ammette l’opzione.
Oltre all’opzione della cessione del credito, in caso di lavori eseguiti su parti comuni di edificio, sia di natura ordinaria che straordinaria, è possibile ricorrere per il contribuente a forme di finanziamento erogate da istituti di credito.
Nell’applicazione pratica, si potrà verificare che per uno stesso lavoro il condòmino opti per cessione del credito e finanziamento bancario. Nel caso in cui i lavori eseguiti in condominio rientrassero nelle agevolazioni di ristrutturazione edilizia, riqualificazione energetica, sismabonus e bonus facciate, ovvero ove è presente una quota indetraibile per il condòmino, lo stesso potrà ricorrere all’istituto di credito per ottenere la liquidità necessaria per far fronte all’obbligazione fiscalmente rimasta a suo carico e cedere allo stesso tempo il credito collegato al lavoro eseguito su parte comune di edificio condominiale alla Banca, in ottemperanza alle suddette disposizioni normative (artt. 1260 c.c. e seguenti).