Inammissibile l’istanza di revoca giudiziale per l’amministratore in proroga post scadenza

L’amministratore che cessi dalle sue funzioni dopo un anno dalla nomina oltre un anno di prorogatio, non ha più obblighi gestori, né diritto a compensi, per cui non può esserne richiesta la revoca.

Il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza del 19 aprile 2023, pubblicata il 2 maggio 2023, torna ad affrontare la sempre delicata questione della possibilità di procedersi alla revoca giudiziale, nel caso di amministratore in prorogatio. Lo fa, confermando la tesi della inammissibilità dell’istanza di revoca giudiziale ex articolo 1129 Codice civile, nel caso in cui l’amministratore sia in prorogatio.
Il provvedimento in esame illustra in modo chiaro ed ampio, il quadro un cui si colloca la procedura azionata per ottenere la rimozione (revoca) dell’amministratore. L’ordinanza richiama la norma di riferimento, spiegando l’importanza della volontà assembleare, quale vera “dominus” nella decisione da assumere. Il regime di prorogatio, tuttavia, non è privo di conseguenze negative per lo stesso amministratore non ancora rimosso ed ancora, solo formalmente, in carica. Ne consegue, infatti, la perdita del diritto alla percezione del
compenso.

I fatti di causa
Il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza in commento, infine, si sofferma sulla natura del procedimento (volontaria giurisdizione), ricordando la possibilità, anche parallela se non addirittura autonoma, che innanzi al Tribunale, in un giudizio cosiddetto a cognizione piena, si chieda l’accertamento dell’inadempimento nell’operato dell’amministratore. Nel caso trattato dal Tribunale campano, un condomino chiedeva la revoca dell’amministratrice, lamentando molteplici inadempienze della stessa la quale, peraltro, si costituiva in
giudizio contestando quanto dedotto dal ricorrente. All’esito dell’udienza di comparizione delle parti, emergeva che l’amministratrice della quale era stata richiesta la revoca, operasse in regime di prorogatio. Richiamando l’orientamento della sezione del medesimo Tribunale, il collegio riteneva che dovesse «escludersi che sia consentito chiedere in via giudiziaria la revoca dell’amministratore giunto alla scadenza del mandato e operante in regime di mera prorogatio imperii».

La norma di riferimento
La norma di riferimento è certamente l’articolo 1129 comma 10 Codice civile, secondo cui «l’incarico di amministratore di condominio ha la durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata. L’assemblea convocata per la revoca o le dimissioni delibera in ordine alla nomina del nuovo amministratore». Orbene, l’espressa indicazione del termine durante il quale l’incarico può essere rinnovato è stata introdotta dalla legge 220/2012 che ha riscritto il testo del previgente articolo 1129 Codice civile, il quale si limitava a stabilire la
durata annuale dell’incarico di amministratore di condominio. Tale previsione del termine di rinnovo, si legge nell’ordinanza, è evidentemente frutto della volontà del legislatore di considerare l’amministratore di condominio, in caso di sua mancata revoca, ancora in carica in regime di prorogatio per un solo anno durante il quale soltanto si ritiene, in virtù di una presunzione semplice, che l’amministratore – la cui nomina non sia stata confermata dall’assemblea – continui a porre in essere atti gestori in forza della volontà dei condòmini e nel loro interesse.

Cessazione incarico il secondo anno
«Decorso il secondo anno, invece, l’amministratore cessa dal suo incarico automaticamente, ossia senza la necessità di un’espressa manifestazione di volontà dell’assemblea, perdendo immediatamente i poteri rappresentativi dei condòmini e quelli gestori in precedenza a lui attribuiti». In tale situazione l’unico potere dovere che residua in capo all’amministratore è dunque quello, previsto dall’articolo 1129 comma 8 Codice civile, di compiere gli atti urgenti necessari ad evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto a compensi ulteriori.

La volontà assembleare
Per effetto di tali disposizioni il legislatore ha dunque valorizzato la volontà assembleare stabilendo che i condòmini, «quanto meno allo scadere di un biennio dalla nomina dell’amministratore, debbano necessariamente valutare se la gestione da lui posta in essere sia stata corretta e adottare una delibera con cui espressamente decidono se confermare o meno l’incarico al soggetto precedentemente nominato o nominare un nuovo amministratore». Solo in tal modo si possono infatti evitare situazioni di protrazione della gestione
condominiale da parte di un amministratore il quale continua ad agire in rappresentanza dei condòmini senza un’investitura assembleare.

Nessun obbligo, nessun compenso
Una volta cessato il rapporto contrattuale non sarà dunque più possibile richiedere, con una procedura di volontaria giurisdizione, la revoca dell’amministratore. Al ricorrere di una tale evenienza l’esigenza di sostituire l’amministratore, qualora il condominio abbia più di otto condòmini, dovrà invece essere soddisfatta attraverso la proposizione di un ricorso per la nomina di un amministratore giudiziario ex articolo 1129 comma 1 Codice civile, sempre che venga dimostrata l’inerzia dell’assemblea dei condòmini che, seppur
convocata a tal fine, non abbia raggiunto il previsto quorum costitutivo o deliberativo. In contrario non varrebbe obiettare che, aderendo a tale interpretazione del quadro normativo, non è più possibile valutare l’operato dell’amministratore cessato dall’incarico ed applicare la sanzione di cui all’articolo 1129 comma 13 Codice civile.

La natura del procedimento di revoca
Il procedimento di volontaria giurisdizione volto alla revoca giudiziale dell’amministratore mira infatti ad ottenere, in caso di accertate inadempienze, la risoluzione anticipata del rapporto di mandato ed è improntato a requisiti di rapidità, informalità ed ufficiosità dal momento che il decreto emesso al suo esito, ai sensi dell’articolo 64 comma 1 disposizioni attuative Codice civile, deve essere adottato omettendo ogni formalità, eccettuata quella di instaurare il contraddittorio con l’interessato, come si evince dalla sintetica formula
normativa «sentito l’amministratore».

Anche la giurisprudenza di legittimità ha del resto affermato che il procedimento in questione:

  • riveste un carattere eccezionale ed urgente nonché sostitutivo della volontà assembleare;
  • è ispirato all’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela del diritto ad una corretta gestione condominiale a
    fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore;
  • è di conseguenza improntato a celerità, informalità ed ufficiosità ma non riveste efficacia decisoria
    lasciando ferma la facoltà del mandatario revocato di chiedere la tutela del diritto provvisoriamente inciso dal
    decreto facendo valere le sue ragioni attraverso un processo a cognizione piena (1237/2018).

Quando l’interesse viene meno
Qualora non vi sia più interesse ad ottenere una pronuncia di carattere urgente, perché l’amministratore di cui è stata chiesta la revoca è già cessato dalla carica oppure perché nelle more del procedimento è stata adottata una delibera di nomina di un nuovo amministratore, la procedura di volontaria giurisdizione non può dunque essere più proposta o coltivata. Sempre possibile la devoluzione al Tribunale per la valutazione dell’inadempimento. «Nulla però osta a che venga attivato un giudizio a cognizione piena diretto a valutare le pregresse inadempienze poste in essere dall’amministratore nell’espletamento dell’incarico, con conseguente operatività della sanzione di cui all’articolo 1129 comma 13 Codice civile, oppure la correttezza della sua condotta ed il pregiudizio conseguito all’erronea attivazione del procedimento di volontaria giurisdizione». Alla luce di quanto emerso e, quindi, in considerazione del regime di prorogatio in cui operava l’amministratrice, il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso, contenendo la richiesta di revoca di un amministratore che, per stessa ammissione del ricorrente, era già cessato dalla carica.

Il controllo sulla salubrità dell’acqua potabile e obbligo di verifica

L’amministratore è obbligato a sottoporre l’acqua a controlli periodici?

Il controllo sulla salubrità dell’acqua potabile deve essere effettuato dall’ente erogatore oppure insiste un obbligo di verifica anche in capo all’amministratore, in qualità di supervisore degli impianti condominiali? La legge al riguardo non è chiara, cerchiamo di fare il punto della situazione.

Acqua potabile: definizione normativa.
Si intende per acqua potabile quella destinata al consumo umano, quella trattata o non trattata, destinata ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dall’origine, sia essa fornita tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori (art. 1 lett. a) n. 1 d. lgs. 31/2001).

Contratto di fornitura del condominio.
Il negozio di erogazione dell’acqua potabile è un contratto di somministrazione di natura privata pur avendo ad oggetto l’esercizio di un servizio pubblico (Cass. SU. 8103/2004).

Proprio in ragione della sua peculiare natura, il regolamento contrattuale ha delle particolarità, come il prezzo, definito da disposizioni regolamentari. Inoltre, l’ente erogatore deve rispettare la carta dei servizi. Il controllo circa il rispetto degli standard qualitativi dei servizi idrici è rimesso all’Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico (AEEGSI)

Gli impianti condominiali.
L’art. 1120 c.c., in materia di innovazioni, fa riferimento alla sicurezza e alla salubrità degli impianti. La norma risulta fortemente innovativa; infatti, in passato, si poneva rilievo unicamente alla sicurezza della struttura dell’edificio, mentre adesso assume importanza anche l’affidabilità degli impianti.

L’impianto idrico e i relativi collegamenti sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche (art. 1117 n. 3 c.c.). Il d. lgs. 31/2001 offre delle definizioni molto precise in materia di distribuzione dell’acqua.

Analizziamole e poi valutiamo il ruolo dell’amministratore.
Le condutture, i raccordi, le apparecchiature installati tra i rubinetti normalmente utilizzati per l’erogazione dell’acqua destinata al consumo umano e la rete di distribuzione esterna rappresentano l’impianto di distribuzione domestico (art. 1 lett. b) n. 1 d. lgs. 31/2001).

La delimitazione tra impianto di distribuzione domestico e rete di distribuzione esterna, denominata punto di consegna, è costituita dal contatore, salva diversa indicazione del contratto di somministrazione. L’acqua viene distribuita dal gestore del servizio idrico, ossia colui che fornisce acqua a terzi attraverso impianti idrici autonomi o cisterne, fisse o mobili (art. 1 lett. c) n. 1 d. lgs. 31/2001).

Controlli: deve farli l’ente erogatore o l’amministratore?
L’art. 5 del d. lgs. 31/2001 dispone che per gli edifici e le strutture in cui l’acqua è fornita al pubblico, come i condomini, il titolare ed il titolare della gestione dell’edificio o della struttura devono assicurare che i valori di parametro fissati dalla legge, rispettati nel punto di consegna, siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto. Il dettato normativo pare suggerire quanto segue:

  • il gestore (vale a dire chi somministra l’acqua) deve verificare la salubrità dell’acqua sino al punto di consegna (ossia il contatore);
  • l’amministratore (il titolare della gestione dell’edificio secondo la lettera della legge) deve verificare la sussistenza dei valori di legge dal punto di consegna sino al rubinetto.

Parere del Ministero della Salute: nessun obbligo per l’amministratore.
La norma così interpretata (art. 5 d. lgs. 31/2001) porrebbe un compito assai gravoso in capo all’amministratore. Sul punto è intervenuto un parere del Ministero della Salute che chiarisce la corretta interpretazione della disposizione. Il parere del 10 giugno 2004 sull’articolo 5 del d. lgs. 31/2001 statuisce che per gli edifici ad uso esclusivamente abitativo, “l’amministratore del condominio ovvero, in assenza di questo, i proprietari non hanno l’obbligo di effettuare le attività e i controlli previsti dagli artt. 7 e 8 del decreto in oggetto, bensì quello derivante dall’attività di controllo dello stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto”.

In buona sostanza, l’amministratore ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità dell’acqua non vengano alterati per cause imputabili all’impianto idrico del condominio.

Il parere del Ministero, infatti, dispone che se vi sia motivo di ritenere che nella fase di trasporto dal contatore all’utenza le caratteristiche dell’acqua possano essere alterate, “l’amministratore non solo è tenuto a fare le verifiche del caso, ma soprattutto è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità”.

I controlli che deve fare l’amministratore di condominio.
Come si è visto, spetta all’amministratore il controllo sullo stato degli impianti, compreso quello idrico. Ad avviso di chi scrive, l’amministratore, inoltre, in base allo stato della rete idrica condominiale, dovrebbe farsi carico di un controllo sulla salubrità dell’acqua.
Infatti, certune tipologie di impianti, a causa dell’usura o per i materiali utilizzati nella realizzazione delle tubature di adduzione, potrebbero esporre i condomini a dei rischi; pertanto un controllo periodico, in quelle circostanze, sarebbe quantomeno opportuno.
L’acqua, infatti, può essere portatrice di batteri letali, si pensi alla legionella, questo impone un’attenzione ancora maggiore quando si tratta di controlli.

Sanzioni penali in caso di acqua contaminata.
L’importanza di effettuare dei controlli sulla salubrità dell’acqua emerge anche dalla circostanza che il d.lgs n.31/2001 preveda sanzioni molto elevate; in particolare dispone il pagamento della somma:

  • da euro 10.329 a euro 61.974 per chi fornisca acqua che contenga microrganismi o parassiti o altre sostanze in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana (art. 19 comma 1);
  • da euro 5.164 a euro 30.987 quando i valori di parametri fissati dalla legge, rispettati nel punto di consegna, non siano mantenuti nel punto in cui l’acqua fuoriesce dal rubinetto (art. 19 comma 2).

Qualora l’amministratore, conoscendo il cattivo stato delle condutture ovvero la presenza di perdite o di cattivi odori lamentati dai condomini, non abbia preso provvedimenti ed assunto le verifiche necessarie, si presentano profili di responsabilità e può essere soggetto alle sanzioni di cui sopra. Egli, infatti, in qualità di mandatario dei condomini, deve agire con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710 c.c.) e compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio (art. 1130 n. 4 c.c.)

La normativa comunitaria: la direttiva acque potabili.
L’Unione Europea è sempre in prima linea nella tutela dell’ambiente. Attualmente si applica la direttiva 2015/1787/UE in materia di controlli e analisi delle acque potabili, recepita con D.M. 14 giugno 2017.

La citata direttiva ha modificato la precedente 98/83/CE del Consiglio, attuata con d. lgs. 31/2001 sopra citato come modificato dal d. lgs. 27/2002. La normativa ha lo scopo di tutelare la salute pubblica dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano, garantendone la salubrità e la pulizia; mira, inoltre a verificare che le misure previste per contenere i rischi perla salute umana, in tutta la filiera idro-potabile, siano efficaci e che le acque siano salubri e pulite nel punto in cui i valori devono essere rispettati. Si segnala che allo studio della Commissione v’è una nuova direttiva che “prevede un monitoraggio sulle microplastiche nei bacini idrici e misure per migliorare l’accesso all’acqua potabile degli europei nelle aree svantaggiate”

Conclusioni.
L’amministratore non è tenuto per legge ad effettuare controlli capillari sulla salubrità dell’acqua; tuttavia su di lui grava l’obbligo di verifica sullo stato di adeguatezza e di manutenzione dell’impianto. In altre parole, l’amministratore ha la responsabilità di garantire che i requisiti di potabilità dell’acqua non vengano alterati per cause imputabili alla rete idrica condominiale. Qualora le condizioni dell’impianto (vetustà, usura, tipologia di materiali impiegati) possano cagionare un’alterazione della qualità dell’acqua, l’amministratore non solo è tenuto a fare le verifiche del caso, ma soprattutto è obbligato ad adottare i provvedimenti necessari a ristabilire i requisiti di potabilità. In difetto, è passibile delle sanzioni previste dall’art. 19 d. lgs. 31/2001.

Necessaria l’unanimità di tutti i condomini per la rimozione di una siepe su area condominiale

E’ nulla la delibera condominiale che approva a maggioranza la rimozione di una siepe situata in area condominiale. In tal senso ha deciso il Tribunale di Tivoli con la sentenza n. 1513 del 2 novembre 2022.

Il caso: Mevia, nel chiedere la nullità e/o annullamento di una delibera condominiale, deduceva che:

  • di essere proprietaria di una villa facente parte del condominio convenuto;
  • l’assemblea condominiale convocata in data 17.1.2019 aveva deliberato positivamente per la rimozione, per ragioni di sicurezza, di una siepe situata nella zona inferiore del condominio, di fronte ad alcune ville, tra le quali la sua;
  • di essersi già in precedenza opposta a tale ipotizzato lavoro evidenziando il grave pericolo che sarebbe derivato dalla suddetta rimozione (abbassamento livello terreno, importante fuoriuscita di acqua, difficoltà di drenaggio della stessa, cedimento terreno, ecc);
  • riguardando l’eliminazione di un bene comune, avrebbe dovuto essere assunta all’unanimità.

Si costituiva il Condominio, il quale, nel chiedere il rigetto della domanda, eccepiva, tra l’altro, che:

  • l’abbattimento della siepe non poteva essere considerata come innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c.
  • in ogni caso, la delibera era stata adottata con la maggioranza qualificata di cui al quinto comma dell’art. 1136 c.c. che consente di disporre ogni innovazione diretta al miglioramento o all’uso più comodo dei beni comuni.

Per il Tribunale la domanda deve essere accolta, sulla base della seguente motivazione:

  1. la Corte d’Appello di Roma con sentenza 478/2008,ha avuto modo di affermare che: “L’abbattimento di alberi, comportando la distruzione di un bene comune, deve considerarsi un’innovazione vietata e, in quanto tale, richiede l’unanime consenso di tutti i partecipanti al condominio; né può ritenersi che la delibera di approvazione, a maggioranza, della spesa relativa all’abbattimento, possa costituire valida ratifica dell’opera fatta eseguire di propria iniziativa dall’amministratore”;
  2. va quindi preliminarmente verificato se all’abbattimento dell’albero di cui si parla nella suddetta sentenza possa essere validamente assimilato l’abbattimento della siepe, elementi, entrambi, certamente rientranti nella categoria delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c.;
  3. si ritiene che tale assimilazione sia possibile, non rinvenendosi alcun motivo di regolamentare in modo diverso il destino di beni che, sia pur nella diversità di funzioni e di incidenza rispetto alle proprietà dei singoli, debbono incontestabilmente considerarsi comuni a tutti i condomini.
Installazione di pannelli in lamiera per delimitare proprietà in condominio

Posso installare pannelli in lamiera per delimitare il confine tra il mio giardino e quello del condomino vicino?

Secondo l’articolo 833 c.c. il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.

Per parlare di atto emulativo previsto dall’art. 833 c.c. è necessario che l’atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie ed abbia lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri.

In particolare, perché si possa parlare di “atti emulativi” in senso proprio, la giurisprudenza, sulla base di un’interpretazione letterale della norma, richiede il concorso di due elementi indefettibili: uno di tipo oggettivo, che consiste nella mancanza di utilità per chi compie l’attività, e uno di tipo soggettivo (c.d. animus nocendi), che è rappresentato dalla consapevolezza e volontà di nuocere o arrecare molestie ad altri (Cass. civ., Sez. II, 27/06/2005, n. 13732).

La norma ha la finalità di assicurare che l’esercizio del diritto di proprietà risponda alla funzione riconosciuta al titolare dall’ordinamento, impedendo che i poteri e le facoltà dal medesimo esercitate si traducano in atti privi di alcun interesse per il proprietario ma che, per le modalità con cui sono posti in essere, abbiano l’effetto di recare pregiudizio ad altri.

Si noti che la previsione ex art. 833 c.c. ha carattere residuale di vera e propria norma di chiusura ed è invocabile se dovessero mancare specifiche violazioni di altre disposizioni.

Alla luce di quanto sopra costituisce atto emulativo il comportamento del condomino che erige un muro di confine tra la parte di lastrico solare di sua proprietà esclusiva e la restante parte degli altri condomini, al sol fine di far perdere a questi la vista panoramica.

Non costituisce invece atto emulativo, vietato ai sensi dell’art. 833 c.c., la sostituzione di una siepe con un muro in cemento, volto a precludere ai vicini l'”inspectio” nel proprio fondo, in quanto, rimanendo la funzione del manufatto identica a quella della siepe, tale sostituzione non può dirsi manifestamente priva di utilità.

E se un condomino decide di installare pannelli in lamiera per delimitare il confine tra il mio giardino e quello del condomino vicino si può parlare di atto emulativo?

La risposta è contenuta nella motivazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 17680 del 30 novembre 2022.

Atto emulativo e installazione da parte del condomino di pannelli in lamiera per demarcazione del confine del giardino: la vicenda

Due condomini, per separare il proprio giardino da quello del vicino, innalzavano una struttura divisoria con pannelli riflettenti in aderenza alla rete metallica di recinzione.

I vicini si rivolgevano al Tribunale per richiedere la demolizione della nuova struttura divisoria.

Secondo gli attori detta struttura toglieva notevolmente luce ed aria al loro immobile ed era stata realizzata senza autorizzazione alcuna da parte del Condominio.

In particolare ritenevano che l’opera, realizzata sul confine dai convenuti, costituisse tipico atto emulativo ai sensi dell’art. 833 c.c., essendo evidente come il materiale utilizzato (lamiera bianca grecata) fosse inutile e inadatto ad una recinzione e, dunque, avesse il solo scopo di arrecare danno alla proprietà dell’attrice.

In ogni caso gli stessi attori lamentavano la violazione da parte dei convenuti di una norma del regolamento di condominio che vietava espressamente la realizzazione su aree private o condominiali di “costruzioni accessorie di qualsiasi tipo o materiale”.

L’assemblea non si era voluta pronunciare sulla questione; di conseguenza veniva citato in giudizio anche il condominio, considerato corresponsabile per non essersi adoperato a far rispettare il divieto previsto nel regolamento condominiale

La decisione

Il Tribunale ha dato torto agli attori. Lo stesso giudice ha sottolineato che, ad avviso del CTU, la parete divisoria in pannelli isolanti prefabbricati opachi, installata dai convenuti lungo il confine del proprio giardino, ha comportato una limitazione di aria e luce al giardino di proprietà degli attori.

Quest’ultimi, però, hanno agito sostenendo che la realizzazione del manufatto posto sul confine costituiva un tipico atto emulativo integrante la fattispecie prevista dall’articolo 833 c.c.; di conseguenza – come ha osservato il Tribunale, gli stessi attori, in applicazione del principio sancito dall’art. 2697 c.c., avrebbero dovuto provare la mancanza di utilità dei pannelli, nonché l’animus nocendi, identificabile con il dolo, ovvero con l’intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri.

I vicini, però, non hanno provato l’esistenza dei presupposti richiesti dal citato articolo 833 c.c.

Il Tribunale ha quindi escluso l’intento emulativo dei convenuti e, conseguentemente, la domanda degli attori volta ad ottenere la demolizione del manufatto per violazione del disposto di cui all’art. 833 c.c. è stata rigettata. In ogni caso la clausola del regolamento menzionata dagli attori non è risultata opponibile ai convenuti.

Infine il Tribunale ha evidenziato che non vi è legittimazione passiva del condominio in ordine alla pretesa del singolo rivolta ad accertare le violazioni regolamentari perpetrate da altri partecipanti e ad ottenere una conseguente condanna risarcitoria del condominio stesso.

Nuovi poteri amministratore di condominio e perdita decisionale dell’assemblea con nuove leggi

Quali sono i poteri decisionali di un amministratore di condominio, cosa prevedono le novità 2023 e cosa cambia per assemblea

Quali sono i nuovi poteri amministratore di condominio e perdita decisionale dell’assemblea con nuove leggi 2023? 
L’amministratore di condominio al momento della sua nomina assume diverse responsabilità per garantire la corretta gestione di un condominio nei confronti dei quali assume diversi obblighi ma oggi anche poter maggiori. Vediamo cosa cambia per i poteri di un amministratore di condominio nel 2023.

Stando, infatti, a quanto previsto, se oggi spetta all’assemblea di condominio decidere se intraprendere o aderire ad una procedura di mediazione, e l’amministratore di condominio, una volta ricevuta la notifica dell’invito ad aderire una procedura di mediazione, deve convocare l’assemblea, con l’approvazione della nuova legge avrà pieno potere di aderire alla mediazione senza obbligo di convocazione dell’assemblea.

Ciò significa che la decisione autonoma che può essere presa dall’amministratore di condominio riduce contestualmente il potere decisione dell’assemblea. Dunque, con l’approvazione della nuova legge, l’amministratore di condominio può da solo decidere di attivare un procedimento di mediazione, aderirvi e parteciparvi, informando di tale decisione l’assemblea solo nella fase conclusiva della mediazione stessa.

La nuova legge cambia le norme in vigore che, come stabilito dalla Corte di Cassazione, individuano nel condominio come organo principale depositario del potere decisionale l’assemblea di condominio, mentre spetta all’amministratore di condominio eseguire le delibere dell’assemblea dei condomini. Ed è, inoltre, di competenza dell’assemblea decidere sulla partecipazione alle liti attive e passive.

Nuovi poteri possono essere esercitati dall’amministratore di condominio anche per quanto riguarda decisione di accensione e spegnimento dei termosifoni centralizzati: in tal caso, infatti, l’amministratore di condominio ha il potere decisionale di modificare orari e tempi di accensione dei riscaldamenti centralizzati in condominio, sempre alla luce di quanto stabilito dalle leggi nazionali in merito. Le leggi in vigore prevedono, infatti, specifici periodi e tempi di accensione dei riscaldamenti in Italia in base alle diverse zone. Considerando, dunque, ciò che prevedono le leggi nazionali sui tempi in cui accendere i termosifoni in condominio, nell’ambito delle stesse, l’amministratore di condominio può decidere per eventuali modifiche di accensione dei riscaldamenti.

Un amministratore di condominio ha, inoltre, il potere di decidere in piena autonomia e senza necessità di consultare l’assemblea l’attuazione di lavori urgenti in condominio.

I lavori urgenti in condominio possono essere decisi singolarmente dall’amministratore di condominio, perché quest’ultimo ha la responsabilità di tutelare i condomini e di evitare problemi che potrebbero nuocere al loro benessere e alla loro incolumità.
Dunque, per lavori urgenti in condominio l’amministratore ha pieno potere decisionale e non ha obbligo di convocare l’assemblea che li approvi. 

Seminario di Aggiornamento

Valido ai fini della formazione periodica (DM 140/2014) – 2023

l’ARAI incontra gli amministratori della regione Lazio

Programma
ore   9:00 – Registrazione
ore   9:30 – Apertura lavori (A. D’Agostino)
ore   9:45 – Presentazione nuovo responsabile sede ARAI – ROMA (A. D’Agostino – A. Recchioni)
ore 10:00 – Introduzione e presentazione relatori (Avv. Nicola Salzano)
ore 10:30 – La sicurezza degli impianti tecnologici nel condominio (C. Dandini – ELTI)
ore 11:00 – Responsabilità dell’amministratore di condominio (Avv. Nicola Salzano)
ore 11:30 – Le comunità energetiche e il condominio (Dott. D. Piccolo)
ore 12:00 – Nuovi adempimenti privacy e responsabilità dell’amministratore di condominio (Avv. R. Cusano)
ore 12:30 – Presentazione servizi in partnership
ore 13:00 – Chiusura lavori

Per motivi organizzativi vi comunichiamo che è OBBLIGATORIO prenotare la partecipazione al seminario che sarà COMPLETAMENTE GRATUITA e prevede il RILASCIO ATTESTATO

Per prenotazioni o informazioni sull’evento inviare una mail a segreteria@arai.it o contattare il numero 091 344 385
dal lunedì al venerdì dalle ore 9.30 alle 12 e dalle 16.30 alle 18.

Superbonus, Bonus facciate e ponteggi: il singolo condomino non può ostacolare i lavori mettendo in pericolo i crediti di imposta

Tenendo in considerazione i tempi stretti stabiliti dal legislatore per concludere le opere del Superbonus e del Bonus facciata e fruire dei crediti di imposta nessun condomino può far perdere tempo

 

Secondo l’articolo 843 c.c., primo e secondo comma, il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessita, al fine di costruire o riparare un muro o altra opera propria del vicino oppure comune (e se l’accesso cagiona danno, è dovuta un’adeguata indennità.

La norma è chiarissima.  Si noti che l’obbligo di consentire l’accesso ed il passaggio nella sua proprietà non trova la sua fonte in un diritto di servitù a favore del fondo confinante, integrando, invece, gli estremi di una obligatio “propter rem” che si risolve in una limitazione legale del diritto del titolare del fondo, funzionale al soddisfacimento di una utilità occasionale del vicino e consistente nel dovere di consentire l’accesso e la momentanea occupazione degli spazi necessari al compimento delle operazioni di manutenzione e rifacimento di una parte comune tutte le volte in cui l’impedimento dell’accesso stesso renderebbe impossibile il compimento delle necessarie riparazioni (Trib. Milano, 7 dicembre 2001). L’accesso ed il passaggio del vicino nel fondo altrui devono, quindi, essere sempre consentiti purché l’attività di immissione nell’altrui proprietà sia essenzialmente temporanea e giustificata dall’esigenza di non poter altrimenti eseguire la riparazione del bene comune. Di conseguenza in sede giudiziale il giudice di merito deve verificare se la soluzione prescelta sia l’unica possibile o, tra più soluzioni, quella che consenta il raggiungimento dello scopo con minor sacrificio sia di chi chiede il passaggio, sia del proprietario del fondo che deve subirlo. Naturalmente l’accesso al fondo del vicino, consentito dall’art. 843 c. c., permette implicitamente che l’accesso sia accompagnato dal deposito di cose, operazione necessariamente strumentale alla costruzione. A fine lavori, però, deve essere eliminata, a cura e spese del depositante (cui, sin dall’inizio, fa carico l’obbligo del ripristino) ogni conseguenza implicante una perdurante diminuzione del diritto del singolo condomino che, invece, deve riprendere la sua originaria ampiezza. Accade spesso, però, che il condomino proprietario dell’appartamento al piano terra si rifiuti – senza giustificato motivo – di far collocare il ponteggio nel suo giardino, impendendo così l’avvio dei lavori. Tuttavia, quando le opere mirano all’ottenimento del superbonus o del bonus facciate, i tempi stretti imposti dal legislatore per concludere i lavori e godere dei crediti di imposta non ammettono inutili perdite di tempo. La questione è stata trattata dal Tribunale di Firenze in una recente decisione del 19 settembre 2022. Superbonus, bonus facciate e opposizione all’installazione dei ponteggi del condomino al piano terra: la vicenda

L’assemblea di un caseggiato aveva deliberato (delibera mai impugnata da alcuno dei condomini), all’unanimità dei partecipanti (14 condomini su 23, pari a 624 millesimi), l’esecuzione di lavori per il rifacimento delle facciate, dei balconi, dei lastrici e del vano scala, con ecobonus 110%, bonus facciate al 90% (attualmente al 60%) e cessione del credito d’imposta all’impresa incaricata per gli importi ammessi ai bonus fiscali.
Al momento del montaggio dei ponteggi da parte della ditta, cui era stata subappaltata l’installazione dei medesimi, il condomino proprietario dell’unità (ad uso non abitativo) posta al piano seminterrato ne richiedeva l’immediata rimozione, non essendogli permesso il passaggio carrabile a causa del notevole ingombro. Il condominio, pertanto, agiva in giudizio, chiedendo che il Tribunale ordinasse ex articolo 700 c.p.c. al condomino di consentire l’installazione dei ponteggi nella sua proprietà. In relazione al fumus, i condomini notavano che il resistente – condomino era obbligato a consentire tale montaggio non solo ai sensi dell’art. 843 c.c., sussistendone i requisiti, ma anche ai sensi dell’art. 1137, primo comma, c.c., atteso che le delibere prese dall’assemblea a maggioranza degli intervenuti sono obbligatorie per tutti i condomini. In relazione al periculum, il condominio faceva presente il grave danno conseguente all’eventuale non esecuzione dei lavori nei tempi stabiliti.

La decisione. Il Tribunale ha dato pienamente ragione alla collettività condominiale.

Lo stesso giudice ha notato che per quanto riguarda il requisito del fumus, l’art. 843 c.c. è applicabile al caso in esame, trattandosi di disposizione di carattere generale e, dunque, applicabile anche alla materia condominiale; del resto è emerso che i ponteggi si dovevano “necessariamente” installare proprio nel luogo indicato dalla ditta; in ogni caso il Tribunale ha sottolineato che la delibera di approvazione dei lavori (obbligatoria per tutti i condomini) non è stata impugnata dal condomino proprietario dell’unità posta al piano seminterrato. Nessun dubbio poi che fosse configurabile il periculum in mora.
Come ha notato il giudice toscano, infatti, il trascorrere del tempo necessario per agire in via ordinaria potrebbe comportare la perdita per il condominio della possibilità di avvalersi dei suddetti benefici fiscali, con conseguente grave danno per le casse dello stesso, nonché per lo stesso condomino contrario all’installazione dei ponteggi. Di conseguenza il decidente toscano ha disposto l’obbligo del condomino resistente a consentire l’accesso e il passaggio nella sua proprietà per l’installazione della ponteggiatura necessaria alla realizzazione delle opere deliberate.

Efficienza energetica degli impianti di climatizzazione invernale ed estiva

A seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7 marzo 2014 del decreto 10 febbraio 2014, sono stati resi disponibili gli strumenti che consentono la completa attuazione, da parte del cittadino, di quanto prescrive il  decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 74 (di seguito: D.P.R. 74/2013) recante la definizione dei criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e per la preparazione dell’acqua per usi igienici e sanitari. Al fine di fornire le risposte ai quesiti pervenuti da amministrazioni locali, imprese, installatori, manutentori e privati cittadini, si riportano le risposte alle domande più frequenti.

 

IMPIANTO TERMICO

  1. Cosa si intende per “impianto termico”?

Il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 e ss.mm.ii. (di seguito d.lgs. 192/2005) regolamenta la progettazione e la realizzazione dei nuovi edifici e degli impianti in essi installati, dei nuovi impianti installati in edifici esistenti nonché le opere di ristrutturazione degli edifici e degli impianti esistenti. Regolamenta infine l’esercizio, il controllo, la manutenzione e le ispezioni degli impianti termici e la certificazione energetica degli edifici.

A tali fini assume particolare importanza la definizione di “impianto termico” che è connessa a tutta la materia regolamentata dal D.lgs. 192/05. L’ultima definizione di impianto termico, introdotta dal decreto legislativo 48/2020 che ha modificato il D.lgs. 192/05 (art. 2, comma 1, l-tricies), recita:

(l-tricies)  “impianto  termico”:  impianto  tecnologico fisso destinato ai servizi di  climatizzazione  invernale  o  estiva  degli ambienti,  con  o  senza  produzione  di  acqua  calda  sanitaria,  o destinato  alla   sola   produzione   di   acqua   calda   sanitaria, indipendentemente dal  vettore  energetico  utilizzato,  comprendente eventuali  sistemi   di   produzione,   distribuzione,   accumulo   e utilizzazione  del  calore  nonché’  gli  organi  di  regolazione   e controllo, eventualmente combinato con impianti di ventilazione.  Non sono considerati impianti termici i sistemi  dedicati  esclusivamente alla produzione di acqua  calda  sanitaria  al  servizio  di  singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate;

Tenuto conto delle finalità del D.lgs. 192/05, e quanto specificato nella definizione aggiornata, l’impianto termico deve essere costituito da apparecchi, dispositivi e sottosistemi installati in modo fisso caratterizzanti il sistema edificio/impianto, senza limiti di potenza. La definizione di impianto termico comprende anche l’insieme di più apparecchi indipendenti tra loro, installati in modo fisso, al servizio della stessa unità immobiliare.

Non sono impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di acqua calda sanitaria al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate. Tra le singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate sono da intendersi comprese anche:

Gli edifici residenziali monofamiliari.

le singole unità immobiliari utilizzate come sedi di attività professionali (ad esempio studio medico o legale) o commerciale (ad esempio agenzia di assicurazioni) o associativa (ad esempio sindacato, patronato) che prevedono un uso di acqua calda sanitaria comparabile a quello tipico di una destinazione puramente residenziale.

Sono assimilati agli impianti termici quegli impianti ad uso promiscuo nei quali la potenza utile dedicata alla climatizzazione degli ambienti sia superiore a quella dedicata alle esigenze tecnologiche e/o a fini produttivi, comprendenti anche la climatizzazione dei locali destinati ad ospitare apparecchi o sostanze che necessitano di temperature controllate.

CONTROLLO E MANUTENZIONE AI FINI DELLA SICUREZZA

  1. Chi stabilisce quali sono gli interventi di controllo e manutenzione da effettuare sugli impianti termici e la relativa frequenza?

Il responsabile dell’impianto termico o per esso un terzo che ne assume la responsabilità, ai sensi dell’art. 7 del D.lgs. 192/05 e s.m.i. e dell’art. 7 del D.P.R. 74/2013, provvede affinché siano eseguite le operazioni di controllo e di manutenzione secondo le prescrizioni della normativa vigente. L’Allegato A al D.lgs. 192/05 definisce il responsabile dell’impianto termico come “l’occupante, a qualsiasi titolo, in caso di singole unità immobiliari residenziali; il proprietario, in caso di singole unità immobiliari residenziali non locate; l’amministratore, in caso di edifici dotati di impianti termici centralizzati amministrati in condominio; il proprietario o l’amministratore delegato in caso di edifici di proprietà di soggetti diversi dalle persone fisiche”.

La predisposizione di istruzioni relative al controllo periodico degli impianti ai fini della sicurezza, con l’indicazione sia dei singoli controlli da effettuare che della loro frequenza, è compito dell’installatore, per i nuovi impianti, e del manutentore, per gli impianti esistenti, i quali devono tenere conto delle istruzioni fornite dai fabbricanti dei singoli apparecchi e componenti, ove disponibili. La vigente legislazione non contiene prescrizioni o indicazioni su modalità e frequenza dei controlli e degli eventuali interventi manutentivi sugli impianti di climatizzazione estiva e/o invernale né sui singoli apparecchi e componenti che li costituiscono.

I modelli di rapporto di controllo di efficienza energetica, pur prevedendo alcuni controlli di sicurezza sull’impianto e sui relativi sottosistemi di generazione di calore o di freddo, non sono rapporti di controllo o manutenzione ai fini della sicurezza e pertanto non sono esaustivi in tal senso.

Gli interventi di controllo e manutenzione devono essere eseguiti a regola d’arte, da  operatori abilitati a dette operazioni, nel rispetto della normativa vigente. L’operatore, al termine delle medesime operazioni, con la cadenza prevista dall’allegato del D.P.R. 74/2013, ha inoltre l’obbligo di effettuare un controllo di efficienza energetica i cui esiti vanno riportati sulle schede 11 e 12 del libretto di impianto e sul pertinente rapporto di controllo di efficienza energetica allegato al D.M. 10 febbraio 2014 da rilasciare al responsabile dell’impianto che ne sottoscrive copia per ricevuta e presa visione. Sui modelli di rapporto di controllo di efficienza energetica devono essere annotate, nel campo osservazioni, le manutenzioni effettuate, e nei campi raccomandazioni e prescrizioni quelle da effettuare per consentire l’utilizzo sicuro dell’impianto. Sullo stesso modello il manutentore riporterà la data prevista per il successivo intervento.

  1. In occasione degli interventi di controllo e manutenzione di cui all’art. 7 del DPR n.74/2013, quale documentazione deve essere rilasciata dal manutentore al responsabile dell’impianto?

L’art. 7 del D.lgs. 192/2005 e s.m.i. impone all’operatore, dopo aver eseguito a regola d’arte le operazioni di controllo e eventuale manutenzione, di redigere e sottoscrivere un rapporto di controllo tecnico conforme agli allegati F e G allo stesso decreto legislativo. Tali allegati sono stati sostituiti dal DM 10/02/2014 con i rapporti di efficienza energetica, tipo 1, 2, 3 e 4, pubblicati in allegato allo stesso DM. Pertanto i suddetti rapporti di efficienza energetica devono essere utilizzati come rapporto di controllo tecnico al termine delle operazioni di controllo ed eventuale manutenzione di cui all’art. 7 del DPR n. 74/2013. Sugli stessi rapporti di efficienza energetica il manutentore dichiara in forma scritta ai sensi del comma 4 lettera a) dell’art.7 del DPR n.74/2013 le operazioni di controllo e manutenzione di cui necessita l’impianto per garantire la sicurezza delle persone e delle cose nelle sezioni “raccomandazioni” e “prescrizioni”, e la relativa frequenza, ai sensi del comma 4 lettera b) dello stesso articolo, alla voce: “si raccomanda un intervento manutentivo entro il ……..”.

Per quanto riguarda l’esecuzione del controllo di efficienza energetica del sottosistema di generazione (che nel caso del rapporto di controllo di efficienza energetica tipo 1 si identifica con la misurazione in opera del rendimento di combustione), che negli allegati F e G non era previsto obbligatoriamente ad ogni compilazione del rapporto di controllo tecnico, si ritiene che, ferma restando obbligatoria tale esecuzione:

In occasione degli interventi di cui all’art. 8 comma 3 del DPR n. 74/2013;

con la periodicità di cui alla tabella dell’allegato A del DPR n. 74/2013, con contestuale invio all’indirizzo indicato dalla Regione o Provincia autonoma competente per territorio;

nei restanti casi la scelta sia demandata alla professionalità del manutentore, previa valutazione dello stato del generatore.

LIBRETTO DI IMPIANTO

  1. Quando si compila il libretto di impianto, quale modello bisogna usare e chi compila questo documento?

Ai sensi del D.P.R. 74/2013, art. 7, c. 5 – gli impianti termici per la climatizzazione o produzione di acqua calda sanitaria devono essere muniti di un “Libretto di impianto per la climatizzazione”. Il modello da usare è quello previsto dal D.M. 10/02/2014 (G.U. n. 55 del 07/03/2104) che sostituisce i preesistenti modelli di “libretto di impianto” e “libretto di centrale” e comprende anche gli impianti di condizionamento, finora esenti da tale adempimento. Esso è stato concepito in modo modulare per tenere conto delle diverse possibilità di composizione dell’impianto termico. L’installatore, cui compete la prima compilazione del libretto per i nuovi impianti, o il responsabile dell’impianto, per gli impianti esistenti, provvede a compilare soltanto le schede pertinenti al caso e nel numero necessario a descrivere tutti i componenti dell’impianto termico. Per gli impianti esistenti la compilazione del nuovo libretto, a cura del responsabile dell’impianto, va fatta in occasione e con la gradualità dei controlli periodici di efficienza energetica previsti dal D.P.R. n. 74/2013 o di interventi su chiamata di manutentori o installatori. Con decreto del Ministro dello Sviluppo economico 20 giugno 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 153 del 4 luglio 2014, è stata introdotta una proroga agli adempimenti di cui agli articoli 1 e 2 del DM 10 febbraio 2014. La proroga comporta di fatto che, a partire dal 15 ottobre 2014, a seguito di nuove installazioni di impianti termici o in occasione di controlli periodici di efficienza energetica previsti dal D.P.R. n. 74/2013 o degli interventi su chiamata di manutentori o installatori, sarà obbligatorio l’uso dei nuovi modelli di libretto introdotti con DM 10 febbraio 2014.

Per ogni sistema edificio/impianto, di norma, va compilato un solo libretto di impianto in modo da stabilire un legame univoco tra edificio e codice di impianto che sarà attribuito dal catasto regionale degli impianti termici. Solo nel caso di impianti centralizzati nei quali l’impianto di climatizzazione invernale è distinto (impianti che in comune hanno soltanto il sistema di rilevazione delle temperature nei locali riscaldati e raffreddati) dall’impianto di climatizzazione estiva è possibile compilare due diversi libretti di impianto.

Nel caso in cui uno dei servizi sia centralizzato (riscaldamento o raffrescamento) e all’altro, si provveda in modo autonomo, vanno anche compilati i libretti degli impianti autonomi.

  1. Il DM 10 febbraio 2014 consente al responsabile dell’impianto di selezionare, fare compilare e aggiornare le sole schede del libretto pertinenti alla tipologia dell’impianto termico e, nel caso di successive aggiunte di componenti o apparecchi, di aggiornare il libretto mediante compilazione delle sole schede pertinenti agli interventi eseguiti. Nell’ottica di adattare ancora meglio il libretto all’effettiva composizione dell’impianto, è consentito, nel libretto in formato elettronico e, conseguentemente, nella copia conforme stampata su carta, aggiungere ulteriori campi nel caso di un numero di componenti maggiore di quelli riportati nella versione pubblicata in allegato al decreto, e/o eliminare parti di schede non pertinenti all’impianto, che, se lasciate non compilate, potrebbero essere interpretate come omissioni?

La risposta è affermativa: se, ad esempio, sono presenti nell’impianto quattro vasi di espansione e due pompe di circolazione, è possibile inserire sotto le righe relative ai tre vasi di espansione VX1, VX2 e VX3 una quarta riga eguale alle preesistenti contrassegnandola con VX4, e duplicare la parte di scheda di cui al punto 6.4 creando un campo per la situazione iniziale e le eventuali successive sostituzioni per la seconda pompa di circolazione. Analogamente, se l’impianto non fornisce un servizio di climatizzazione estiva, o se questo è presente ma non necessita di un sistema di trattamento dell’acqua di raffreddamento, è possibile eliminare la parte 2.5 della scheda 2 che altrimenti, non compilata, darebbe adito a dubbi sulla completa compilazione del libretto (richiesta alla voce B del rapporto di controllo di efficienza energetica tipo 2).

TRATTAMENTO DELL’ACQUA DI RAFFREDDAMENTO DELL’IMPIANTO DI CLIMATIZZAZIONE ESTIVA

  1. Nel nuovo modello del libretto di impianto nel riquadro 2.5, cosa si intende per “senza recupero termico”, “ a recupero termico parziale” e “ a recupero termico totale”?In relazione al punto 2.5 del nuovo libretto di impianto si precisa che:

il termine “senza recupero termico” individua i circuiti con acqua a perdere;

il termine “a recupero termico parziale” individua i circuiti in cui l’acqua viene parzialmente riciclata (es. torri evaporative);

il termine “a recupero termico totale ” individua circuiti chiusi.

CONTROLLI DI EFFICIENZA ENERGETICA

  1. Quando e su quali impianti si eseguono i controlli di efficienza energetica?

I controlli di efficienza energetica, si eseguono, ai sensi dell’art.8, comma 1 del D.P.R. 74/2013 “in occasione degli interventi di controllo ed eventuale manutenzione di cui all’articolo 7 su impianti termici di climatizzazione invernale di potenza termica utile nominale maggiore di 10 kW e sugli impianti di climatizzazione estiva di potenza termica utile nominale maggiore di 12 kW, si effettua un controllo di efficienza energetica riguardante:
a) il sottosistema di generazione come definito nell’Allegato A del decreto legislativo;
b) la verifica della presenza e della funzionalità dei sistemi di regolazione della temperatura centrale e locale nei locali climatizzati;

  1. c) la verifica della presenza e della funzionalità dei sistemi di trattamento dell’acqua, dove previsti.”

La cadenza da rispettare è quella dell’allegato A del D.P.R. 74/2013.

L’art. 8, comma 3 del D.P.R. 74/2013, prevede che i controlli di efficienza energetica devono essere inoltre realizzati:

  1. a) all’atto della prima messa in esercizio dell’impianto, a cura dell’installatore;
  2. b) nel caso di sostituzione degli apparecchi del sottosistema di generazione, come per esempio il generatore di calore;
  3. c) nel caso di interventi che non rientrino tra quelli periodici, ma tali da poter modificare l’efficienza energetica.”

Per quanto riguarda le macchine frigorifere e/o pompe di calore, in accordo con la tabella dell’allegato A del D.P.R. 74/2013, si procede al controllo di efficienza energetica solo quando la potenza utile, in una delle modalità di utilizzo (climatizzazione invernale/estiva), è maggiore o uguale a 12 kW.

Per quanto riguarda i limiti degli intervalli di potenza di cui alla nota “1” dell’allegato A del D.P.R. 74/2013 che recita “I limiti degli intervalli sono riferiti alla potenza utile nominale complessiva dei generatori o delle macchine frigorifere che servono lo stesso impianto”, si precisa che per “stesso impianto” si intende che la somma delle potenze va effettuata solo quando le macchine siano al servizio dello stesso sottosistema di distribuzione. Per i singoli apparecchi con potenza inferiore ai valori limite riportati sul suddetto allegato A non si compilano, pertanto, i rapporti di controllo di efficienza energetica.

Circa i limiti delle potenze, (maggiore o uguale o semplicemente maggiore e segni adottati) citati nel comma 1 dell’art. 8 e nell’allegato A del D.P.R. 74/2013, vanno interpretati nel senso di “maggiore o uguale” in accordo con l’art. 9 del D.P.R. 74/2013 che stabilisce i limiti di potenza per gli accertamenti e le ispezioni. Non si possono, infatti, fare gli accertamenti e/o le ispezioni se non sono previsti i controlli di efficienza energetica.

L’articolo 2, comma 2, del DM 10 febbraio 2014, prevede che “gli impianti termici alimentati esclusivamente con fonti rinnovabili” siano esclusi dai controlli di efficienza energetica di cui all’articolo 2, comma 1.

Ai fini della applicazione del DM 10 febbraio 2014, la definizione di “impianti termici alimentati esclusivamente con fonti rinnovabili” resta valida anche in presenza di eventuali consumi elettrici degli ausiliari.

 

PERIODICITÀ DELL’INVIO DEL RAPPORTO DI CONTROLLO DI EFFICIENZA ENERGETICA

  1. Quando deve essere trasmesso il rapporto di controllo di efficienza energetica all’autorità competente?

I commi 1 e 2 dell’art. 8 del D.P.R 74/2013 prevedono l’obbligo di compilazione del rapporto di controllo di efficienza energetica in occasione dell’esecuzione dei controlli ed eventuale manutenzione secondo le indicazioni fornite dall’installatore o dal manutentore ai sensi dell’art. 7 dello stesso decreto.

Il comma 5 dell’art.8 del D.P.R. 74/2013, circa la cadenza di trasmissione del rapporto di controllo di efficienza energetica alla Regione o Provincia autonoma o alle autorità da queste all’uopo designate, rimanda all’allegato A dello stesso decreto. Le suddette cadenze devono, comunque, essere rispettate.

 

REQUISITI MANUTENTORI

  1. Quali sono i requisiti che devono avere i manutentori degli impianti termici e come li devono dimostrare?

Le operazioni di controllo e  manutenzione dell’impianto devono essere eseguite da ditte abilitate ai sensi del decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37 (D.M. 37/08), per le tipologie impiantistiche pertinenti. Le tipologie impiantistiche riguardanti gli impianti termici degli edifici sono quelle previsti dalle lettere c) ed e) del suddetto D.M. 37/08. In particolare esse sono:

lettera c) impianti di riscaldamento, di climatizzazione, di condizionamento e di refrigerazione di qualsiasi natura o specie, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e delle condense, e di ventilazione ed aerazione dei locali;

lettera e) impianti per la distribuzione e l’utilizzazione di gas di qualsiasi tipo, comprese le opere di evacuazione dei prodotti della combustione e ventilazione ed aerazione dei locali.
Nella maggior parte dei casi, impianti termici alimentati a gas, occorrono entrambe le abilitazioni che la ditta manutentrice dimostra attraverso un documento rilasciato dalla Camera di Commercio.

Nel caso di impianti con macchine frigorifere contenenti gas serra occorre, inoltre, che l’impresa sia inscritta al registro nazionale delle persone e delle imprese ai sensi del DPR 43/2012.

 

MACCHINE FRIGORIFERE

  1. Per gli impianti con macchine frigorifere e/o pompe di calore è sufficiente compilare e tenere aggiornato il libretto di impianto?

Per le macchine frigorifere, contenenti gas HFC (F-gas) in quantità uguale o superiore a 3 kg, oltre al libretto di impianto, occorre tenere aggiornato il Registro dell’apparecchiatura pubblicato sul sito del Ministero dell’Ambiente. Entro il 31 maggio di ogni anno, anche in assenza di modifiche o interventi sulle apparecchiature, va presentata, inoltre, al Ministero dell’ambiente, per il tramite dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), una dichiarazione contenete informazioni riguardanti la quantità di emissioni in atmosfera di gas fluorurati relativi all’anno precedente sulla base dei dati contenuti nel relativo registro dell’apparecchiatura.

  1. All’articolo 8 comma 9 del DPR 16 aprile 2013, n. 74, è prescritto che le macchine frigorifere e le pompe di calore per le quali nel corso delle operazioni di controllo sia stato rilevato che i valori dei parametri che caratterizzano l’efficienza energetica sono inferiori del 15 per cento rispetto a quelli misurati in fase di collaudo o primo avviamento riportati sul libretto di impianto, devono essere riportate alla situazione iniziale, con una tolleranza del 5 per cento. Manca però una norma tecnica che prescriva le procedure operative e le condizioni di prova. Come garantire l’affidabilità e la ripetibilità dei risultati ottenuti?

Attualmente è disponibile solo una norma tecnica che consente di effettuare il controllo del sottosistema di generazione previsto all’articolo 8 comma 9 del DPR 16 aprile 2013, n. 74 – la UNI 10389-1, per gli impianti con generatore di calore a fiamma. Per le altre tipologie di impianti, in attesa che l’UNI pubblichi le pertinenti norme tecniche o prassi di riferimento, si provvede a redigere e sottoscrivere il relativo rapporto di controllo di efficienza energetica, e le relative pagine del libretto di impianto, senza effettuare il controllo del sottosistema di generazione.

Contemperamento d’interessi in condominio: legittima l’installazione dell’ascensore che incide sulla larghezza delle scale

Corte di Cassazione – II sez. civ. -sentenza n. 19087 del 14-06-2022

All’esito della comparazione tra vantaggi e svantaggi che l’opera comporta per i condomini risulta legittima l’installazione dell’ascensore che pur incide sulla larghezza delle scale

La vicenda

Alcune condomine dei piani alti citavano in giudizio i proprietari degli altri quattro appartamenti posti ai piani primo e secondo dello stabile, chiedendo che fosse accertato il loro diritto di installare, a proprie spese, un ascensore all’interno dell’edificio realizzato nell’anno 1960, che ne era sprovvisto. In particolare, come da progetto di fattibilità, le attrici intendevano occupare con il vano ascensore la tromba delle scale e piccola parte degli scalini. I convenuti eccepivano che nell’edificio mancava uno spazio idoneo ad alloggiare l’ascensore all’interno del vano scala, poiché non vi era la tromba delle scale; di conseguenza precisavano che l’installazione dell’ascensore avrebbe gravemente compromesso l’uso delle scale e della cabina al condomino. In ogni caso sostenevano come la riduzione in questione (che si intendeva effettuare mediante taglio parziale dei gradini per consentire l’alloggiamento del vano ascensore) fosse vietata dalla legge. Il Tribunale dichiarava il diritto delle attrici all’installazione dell’ascensore, a loro cura e spese, all’interno dell’edificio. La Corte di Appello confermava la decisione di primo grado. A sostegno dell’adottata pronuncia i giudici rilevavano che la legge n. 13/1989 e il decreto attuativo n. 236/1989 non regolavano il caso esaminato, con la conseguenza che la realizzabilità dell’opera era stata esaminata sotto il profilo della comparazione tra i vantaggi e gli svantaggi che essa avrebbe potuto determinare; che doveva essere confermata la valutazione del giudice di prime cure in ordine alla conformità dell’installazione dell’ascensore alle condizioni prescritte dall’art. 1102 c.c.; che, considerate attentamente le abitudini attuali di vita, il sacrificio minore si sarebbe realizzato incidendo sulla larghezza delle scale, ridotta a cm. 77,00, al netto del corrimano, per tutte le rampe, e a cm. 74,00, sempre al netto del corrimano, per la sola prima rampa, peraltro con la possibilità che l’ingombro del corrimano potesse essere ridotto mediante accorgimenti particolari. I soccombenti ricorrevano in cassazione.

La questione

Tenendo conto dei vantaggi e degli svantaggi che l’opera comporta può essere considerata legittima l’installazione dell’ascensore che riduce la larghezza delle scale a cm. 77,00, al netto del corrimano, per tutte le rampe, e a cm. 74,00, sempre al netto del corrimano, per la sola prima rampa?

 

La soluzione

La Cassazione ha ritenuto legittimo il progetto relativo all’installazione dell’ascensore nelle scale. Secondo i giudici supremi, considerate attentamente le abitudini attuali di vita e le esigenze degli abitanti delle grandi città, nonché le attuali caratteristiche della popolazione italiana (composta in misura di gran lunga prevalente da persone non giovani), tale installazione è legittima anche se comporta la riduzione della larghezza delle scale che costituisce il sacrificio minore. Infatti- ad avviso della Cassazione – l’interesse all’installazione, nonostante il dissenso di alcuni condomini, dell’impianto di ascensore è funzionale al perseguimento di finalità non limitabili alla sola tutela delle persone versanti in condizioni di minorazione fisica, ma individuabili anche nell’esigenza di migliorare la fruibilità dei piani alti dell’edificio da parte dei rispettivi utenti, apportando una innovazione che, senza rendere talune parti comuni dello stabile del tutto o in misura rilevante inservibili all’uso o al godimento degli altri condomini, faciliti l’accesso delle persone a tali unità abitative, in particolare di quelle meno giovani. Come hanno notato i giudici supremi detto contemperamento è stato espressamente effettuato dai giudici di secondo grado, che, all’esito del bilanciamento tra utilità e svantaggi di due esigenze non conciliabili, hanno (con motivazione ineccepibile) dato preferenza all’installazione dell’ascensore.

 

Le riflessioni conclusive

La sentenza prosegue il nuovo orientamento formatosi dopo l’importante sentenza della Corte Costituzionale n. 167 del 10 maggio 1999, decisione che ha contribuito ad un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati ora quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall’intera collettività.

Di conseguenza si è cominciato ad affermare che il principio di solidarietà condominiale, che presuppone la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato, implica il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali si deve includere anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche (o comunque delle persone che hanno difficoltà ad affrontare le rampe), trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Cass., sez. II, 28/03/2017, n. 7938). Alla luce di quanto sopra è risultata legittima la riduzione delle scale alla larghezza di 80 centimetri pur comportando un lieve aumento delle difficoltà di transito o di trasporto con barella (Trib. Roma 27 maggio 2016); ma è apparsa non contestabile pure l’installazione dell’impianto in questione anche quando la larghezza della scala rimasta a disposizione per il transito è risultata pari a 0,72 m (Cass., sez. II, 05/08/2015, n. 16468)

Appalto lavori in condominio: se manca la contabilità finale addio al decreto ingiuntivo

Solamente la contabilità finale rende il credito certo ed esigibile

Torniamo ancora ad esaminare il contratto di appalto per l’esecuzione di lavori in Condominio; stavolta, però, in relazione all’aspetto del pagamento del prezzo, che costituisce l’obbligazione principale del Condominio quale committente.

Vediamo quindi a quale approdo è giunto il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la sentenza n. 2131 del 1° giugno 2022.

 

Appalto lavori in condominio e opposizione a decreto ingiuntivo: la pronuncia

Un Condominio si oppone al decreto ingiuntivo notificatogli dalla Alfa, appaltatrice, per € 80.000,00 circa, richiesti ed intimati quale residuo del prezzo del contratto di appalto per la realizzazione di lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio e delle sue facciate, di rifacimento del manto impermeabilizzante dei terrazzi di copertura e dei canali pluviali, nonché per i lavori ai balconi e per altri interventi di manutenzione.

A giustificazione di tale importo, in sede monitoria, la Alfa depositava n. 3 fatture.
Il Condominio opponente sostiene, non contestando il rapporto di appalto con la Alfa, che avrebbe già provveduto al pagamento di quanto dovuto e che, inoltre, il diritto al pagamento si sarebbe prescritto. Inoltre, il Condominio solleva eccezione di inadempimento, affermando che Alfa non aveva redatto la contabilità finale dei lavori, nonostante ciò fosse suo onere come da contratto stipulato, così che il Condominio aveva sì sospeso il pagamento, ma ciò solamente in quanto la Alfa non aveva redatto la contabilità finale dei lavori.
In assenza di contabilità finale dei lavori, il credito azionato da Alfa non sarebbe infatti né certo né esigibile, come invece richiesto quale una delle condizioni fondamentali per concedere il decreto ingiuntivo dall’art. 633 c.p.c.

Rammentiamo a noi stessi ed al lettore che il diritto dell’appaltatore di richiedere il prezzo dell’appalto si prescrive in 10 anni dal momento in cui il credito diventa esigibile, quindi dall’accettazione dell’opera o dalla scadenza dell’ultima delle rate pattuite; nel caso sottoposto al Tribunale ed in esame, il contratto era stato stipulato nel 2000, il decreto ingiuntivo emesso nel 2017.

Alfa, costituitasi in opposizione, contesta la prescrizione, osservando che erano stati richiesti lavori extracapitolato che aveva comportato l’esecuzione, su richiesta del Condominio, di lavori aggiuntivi non contabilizzati.

Alfa sostiene di aver inoltrato ad uno dei Direttori dei Lavori la nota di quanto eseguito ed i conteggi del dovuto, senza ricevere contestazioni o censure.

Secondo Alfa, non essendo state contestate le fattura, vi sarebbe accettazione tacita dell’opera da parte del Condominio.

Osserva ancora Alfa che i lavori oggetto di appalto siano stati totalmente modificati in corso d’opera, essendo stati rilevati gravi problemi strutturali, con conseguenze duplici, da un lato, lo slittamento del termine dei lavori e dall’altro, l’aumento dei costi.

In sede di memorie istruttorie, Alfa avanza domanda di condanna del Condominio per indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c. in relazione alla sola fattura contestata dal Condominio stesso.

Il Tribunale di S.ta Maria Capua Vetere accoglie l’opposizione del Condominio.

L’inadempimento dell’appaltatore e la contabilità finale

Il Giudice campano costruisce il proprio ragionamento partendo dall’asserito inadempimento di Alfa, quale appaltatrice.

Innanzitutto, l’obbligo di rendicontazione finale era stato imposto ad Alfa dall’Art. 6 del contratto siglato con il Condominio, che prevedeva che la stessa dovesse provvedere «in collaborazione con il Direttore dei Lavori».

In secondo luogo, il Giudice ne valuta la gravità, ritenendo che non si trattasse di un obbligo minore o secondario, a fronte del tenore del contratto, dell’importo appaltato (circa 80.000,00 €) e del fatto che si trattasse di elemento che incideva direttamente sulla principale prestazione del committente, cioè il pagamento del prezzo.

Prezzo che, peraltro, risulta diverso da quello iniziale a fronte della documentazione in atti.
Rileva infatti il Giudice che il Condominio, stipulato un contratto che prevedeva una spesa di € 80.000,00 circa, aveva pagato sino a quel momento circa € 150.000,00, quindi quasi il doppio.

Ebbene, pur essendo possibile che il prezzo, teoricamente, potesse ‘lievitare’, come conseguenza delle variazioni ordinate dal committente, tuttavia a maggiore ragione la contabilità dei lavori eseguiti avrebbe dovuto essere ancora più esaustiva e puntuale.

Sottolinea ancora il Tribunale che il computo metrico depositato in sede istruttoria dalla Alfa non vale a surrogare la contabilità richiesta, atteso che lo stesso non risulta controfirmato dal Direttore dei Lavori in collaborazione con il quale la Alfa doveva muoversi come da contratto.

Peraltro, il computo metrico rende ancora più incerta la situazione, perché riporta stime ancora diverse rispetto al contratto ed al decreto ingiuntivo, indicando, come totale dovuto, ora una somma vicina agli € 180.000,00 ca, ora invece un’altra somma di €. 200.000,00 ca.

Recentemente, il Tribunale di Roma, richiamando la giurisprudenza della Corte di legittimità, si è così espresso circa il diritto dell’appaltatore al pagamento del prezzo: «Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, “in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1667 cod. civ., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorché il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte” (Cass., n. 936 del 20/01/2010; conformi, Cass., n. 3472 del 13/02/2008; Cass., Ord. n. 98 del 04/01/2019)». (Trib. Roma, sent. 17 febbraio 2022, n. 2630).

L’arricchimento senza causa

L’art. 2041 c.c. tutela colui che abbia arricchito un’altra persona in assenza di giusta causa.

Chi ha pagato o dato una cosa determinata ad un altro, così arricchendolo e in assenza di una giusta causa, può chiedere l’indennizzo a colui cui abbia versato o consegnato: costui è a sua volta obbligato, a fronte della richiesta e del ricorrere delle condizioni di legge, a tenere indenne il primo della relativa diminuzione patrimoniale o a restituire in natura la cosa consegnata, se sussiste al tempo della domanda.

L’art. 2042 c.c. precisa tuttavia che l’azione di arricchimento è sussidiaria, cioè è proponibile quando il danneggiato non abbia a sua disposizione altre azioni per ottenere ristoro del pregiudizio subito.

Osserva il Tribunale di S.ta Maria Capua Vetere: «Ora, però, ci si domanda se detta sussidiarietà vada vista in astratto o in concreto. Ci si chiede, in altri termini, se tale azione sia invocabile solo se nell’ordinamento non sussistono altri rimedi di per sé idonei a tutelare il proprio diritto oppure anche nel caso in cui astrattamente detti strumenti esistano ma, calandoli nel caso concreto, per talune ragioni (quale è, ad esempio e per quanto interessa, la mancanza di certezza del credito o l’impossibilità di riconoscerlo per accoglimento dell’eccezione di inadempimento) essi non possono portare alcun giovamento».

La risposta che si dà il Tribunale è nel senso della sussidiarietà in astratto:

così anche la Cassazione (sent. n. 20747/2007, citata nella sentenza in commento), perché si sottolinea che la ratio della sussidiarietà risiede nella protezione dell’ordinamento rispetto ad iniziative ‘parassitarie’ ed infondate, che avrebbero portato ad una fuorviante prassi di abuso del diritto di indennizzo.

Come spiega il Tribunale, «si sono volute evitare ipotesi specifiche: che il venditore potesse cumulare, all’eventuale credito per il prezzo pattuito, un’ulteriore pretesa per il maggior valore della cosa venduta; che il lavoratore potesse chiedere, in aggiunta al salario, il plusvalore; che potesse applicarsi la disciplina dell’ingiustificato arricchimento al cosiddetto arricchimento mediato o indiretto; che attraverso il viatico di tale strumento si potessero aggirare le regole di prescrizione e decadenza».

Nel caso in esame, non siamo peraltro nemmeno dinnanzi ad un’ipotesi in cui manchi la giusta causa, perché, a ben vedere, il rapporto sottostante esiste (il contratto di appalto in virtù del quale il Condominio deve un corrispettivo ad Alfa), è provato ed incontestato; ciò che manca è che, in concreto, il credito derivante dal contratto non può essere riconosciuto perché non risulta certo ed esigibile.

Inoltre, l’indennizzo per arricchimento senza causa non può mai includere il lucro cessante, ma solamente il depauperamento, mentre la richiesta di Alfa, nel caso specifico, andava proprio nel senso di richiedere il lucro cessante.

Peraltro Alfa avrebbe dovuto provare, volendo sostenere la debenza dell’indennizzo menzionato, l’an, cioè che l’esecuzione delle opere avesse comportato un mancato guadagno ed anche una perdita economica, che non risulta in re ipsa per il solo fatto del mancato guadagno.

Cioè, Alfa non poteva sostenere che fosse presente la «diminuzione patrimoniale» di cui all’art. 2041 c.c. per il solo fatto di non essersi vista pagata la fattura in contestazione da parte del Condominio.